Joseph Roth, journalist and novelist, was born and grew up in Brody, a small town near Lemberg in East Galicia, part of the easternmost reaches of what was then the Austro-Hungarian empire and is now Ukraine. Roth was born into a Jewish family. He died in Paris after living there in exile.
Raccolta di articoli sulla stremata Vienna del primo dopoguerra, Roth con la sua penna talentuosa è il miglior testimone della fine dell'Impero, il suo occhio lucido e coinvolto racconta come pochi altri la fine di un epoca.
C'è stato un tempo in cui uno comprava il quotidiano e ci trovava un articolo o un reportage di Joseph Roth. Bei tempi, verrebbe da dire. Prudenza, direi, perchè era la Vienna devastata del primo dopoguerra, dopo la caduta del KuK che aveva lasciato dietro di sé una quantità di macerie, sotto le quali erano finiti in molti.
Come spesso accade, queste operazioni "antologiche" rischiano di mescolare testi eterogenei e molto diseguali, il che è puntualmente accaduto anche qui. Si trovano brevi corsivi su fatterelli forse noti al tempo, ma impossibili da comprendere oggi, testi più articolati e su temi di ampio respiro (e tuttora storicamente molto interessanti, ad esempio sulla situazione sociale cittadina), reportages come quello sui tedeschi etnici del confine ungherese che chiude il libro.
Forse la parte più interessante è proprio quest'ultima, una preconizzazione del futuro disgregato dei Balcani occidentali, mille nazioni \ nazionalità intersecate inestricabilmente tra loro. Così, nel bel mezzo della rivoluzione dei Consigli di Bela Kun, ci sono magiari che si sentono tedeschi pur non parlando il tedesco, ungaro-tedeschi che odiano egualmente i viennesi e i budapesters e vorrebbero starsene per conto loro nella loro "piccola patria" fatta di una decina di villaggi, ebrei come sempre presi in mezzo che vorrebbero tornare austriaci, pur sapendo che si tratterebbe di una soluzione solo parziale ai loro problemi (come la storia purtroppo si incaricherà di dimostrare di lì a poco).
Non mancano altre immagini fortissime, del resto la penna era quella di un fuoriclasse. Così nel girovagare tra i poveri caffè abitati da artisti malconci, i locali di lusso rimasti in vita, gli angoli di strada affollati di disgraziati e borsaneristi compaiono personaggi rothiani, vecchi ebrei orientali, bizzarre compagnie di varietà galiziane, letterati che del mondo in cui vivono capiscono ben poco e si rifugiano nei libri e nel teatro (come, del resto, spiega bene Claudio Magris nel suo Mito absburgico).
Agli appassionati di Roth interesserà sicuramente, non lo consiglierei ai semplici curiosi.
Crónicas, publicadas originalmente en 1919 en el periódico Der Neue Tag, en las que un joven Roth, de tan solo 24 años, retrata la Viena después de la Primera Guerra Mundial. Se agrupan por temas: Primavera de café, Síntomas vieneses, Tipos vieneses, Escenarios vieneses y Viaje por el país de Heanzen, y se acompañan de fotografías de la época.
A partir de la descripción de escenas cotidianas, Roth refleja con sutileza e ironía la tensión del momento en que la gran capital del imperio austrohúngaro cambia su pompa cortesana por el nuevo orden republicano.
A propósito de las fronteras, Roth reflexiona lo siguiente:
«El doctor Valentín Langensack, mi profesor de geografía, solía decir que había dos clases de fronteras: naturales y políticas. Infaliblemente, a continuación venía la pregunta: '¿Cuáles son las naturales, cuáles las políticas?'.
Montañas, ríos, mares y cadenas montañosas son las naturales. Las políticas son barreras de madera de dos o tres colores, casetas con escudos, policías fiscales in natura. Marcadas por el mapa con puntos, rayas, líneas, etc.
Cuando el doctor Valentín Langensack —¡Dios lo tenga en su gloria!— aún vivía, sólo había dos clases de fronteras.
Ahora que está muerto, sin duda sigue habiendo fronteras políticas, pero hace mucho que ya no hay fronteras naturales, sino antinaturales.
Las fronteras políticas tampoco son ya puntos, rayas, líneas, etc., sino vejaciones, vías dolorosas, pasiones, Gólgotas, crucifixiones, en una palabra: registros…
(…)
Quien busque la ocasión de irritarse puede cubrir el resto del camino junto a la vía del ferrocarril hasta Sauerbrunn. ¡Qué hermosa vía! ¡Qué fácilmente podría recorrerla un tren! ¡Y no habría que gritar '¡Manos arriba!' ni haría falta ver gendarme alguno, y sería en general mucho más cómodo!
¡Pero no! Las fronteras son incómodas. ¡Sí! ¡Cuando mi profesor de geografía vivía, y las dividía en políticas y naturales, la cosa era distinta, por supuesto! Pero ahora que está muerto solamente quedan las antinaturales…».