Due amanti si trovano regolarmente in un bar ai confini della città. Si guardano, si tengono le mani e sanno che quei pochi gesti, quel luogo, quel sentirsi stranieri sono il confine della loro intesa. Una donna entra nel condominio, è polacca, è sola, è riservata. Guardarla fumare, la sera, sul balcone sembra il massimo di vicinanza che possa concedere. Poi, una volta, la vediamo con un cellulare in mano leggere un messaggio e digitarne un è un messaggio che ha atteso chissà per quanto. Forse la sua vita regge, la sua solitudine ha un senso per quelle parole che arrivano da chissà dove. Una ex moglie lascia gli oggetti (mobili e quant'altro) di una lunga vita in comune sul pianerottolo del sono oggetti disperati, abbandonati, reliquie sofferenti. Maurizio Maggiani lascia passare il testimone da un io a una terza persona che chiama "l'uomo" raccontando che cos'è l' cerca di spiegarlo a un figlio putativo prossimo alle nozze, a una bambina che gioca nel tinello – ma forse è lei a spiegargli qualcosa –, a una donna che se n'è andata e che gli manca.Di episodio in episodio, viene modellandosi un mondo interiore compromesso dall'amore, dall'assenza dell'amore, dalla meraviglia dell'amore, e su ogni piccolo evento passano le note di una canzone che non è nostalgia ma futuro, che è vertigine e smarrimento. C'è molta musica in questo libro. Ci sono tredici "pezzi", suonati o cantati con la voce limpida di un'emozione che resiste.
Nato in una famiglia di modeste condizioni, dopo aver svolto decine di professioni (è stato anche impiegato e costruttore di pompe idrauliche) è approdato alla letteratura, politicamente vicino agli anarchici. Nel 1987 ha vinto il Premio "Inedito - L'Espresso" con il racconto Prontuario per la donna senza cuore. Con Il Coraggio del pettirosso (1995) ha poi vinto il Premio Viareggio e il Premio Campiello; con La Regina disadorna (1998) ha vinto il Premio Alassio e nel 1999 il Premio Stresa di narrativa e il Premio Letterario Chianti. Nel 2005 ha vinto, con il romanzo Il viaggiatore notturno, i premi Premio Ernest Hemingway e Premio Parco della Maiella e il Premio Strega. Come giornalista e commentatore cura una rubrica all'interno del quotidiano genovese Il secolo XIX e scrive per La Stampa. Per la casa editrice Feltrinelli pubblica dei podcast sotto il titolo Il viaggiatore zoppo. Nel 2008 ha pubblicato il CD Storia della meraviglia, con Gian Piero Alloisio, tratto dallo spettacolo teatrale rappresentato dai due nella stagione precedente. Nel 2010 apre il suo archivio personale ai lettori rendendo disponibili sul suo sito, con una licenza copyleft, i suoi primi racconti, pubblicati in edizioni ormai introvabili, e dei cui diritti è tornato in possesso esclusivo, nonché gli inediti, insieme agli articoli scritti in tanti anni di collaborazioni con vari giornali.
"Da qualche parte stanno stampando il mio nuovo romanzo, non so dove, ma ci sono buone probabilità che lo stiano facendo alla Grafica Veneta, è il più grosso service nel ramo della stampa, di lì ci passano la gran parte degli editori e dei libri, persino Harry Potter, e l’idea che a stamparlo siano degli schiavi mi fa schifo.
Vallo a sapere, magari sono stati degli schiavi a stampare tutti quanti i miei romanzi; le mie storie così colme di aneliti libertari, così madide di empatia per gli ultimi, per i senza voce, sono finite tra le mani delle brave persone che le hanno volute leggere perché a farne degli oggetti acquistabili sono stati degli umani violati, picchiati, derubati e privati di ogni dignità perché fosse contenuto al minimo possibile il prezzo di copertina.
Ho schifo, sì, ma tanto per cominciare ho schifo di me stesso. Di me che non ho avuto mai cura di chiedermi chi li avesse materialmente fatti i miei libri, di chi fossero le mani e le vite di quelle mani, vite di lavoratori. Ho schifo di me, che sono così attento al Dop all’Igp, al Doc, di me che guardo bene le etichette di scarpe e camicie onde arrivare alla quasi certezza che non si tratti di opera di bambini, di me che coltivo io stesso i pomodori e con grande orgoglio in casa si fa la conserva, così che non ci sia alcun dubbio sull’estraneità allo sfruttamento della manodopera agricola, altri schiavi.
Ecco, sto attento a quasi tutto, mi è solo mancato l’interesse per ciò che più mi dovrebbe riguardare, come se non sapessi che il mio lavoro, perché questo mi vanto di essere, un onesto lavoratore, è parte di una catena, e posso anche vantarmi di vendere la mia opera d’ingegno e non le mie mani, ma nella catena niente mi autorizza a distinguermi da un altro lavoratore, niente mi autorizza a stare sopra, o distinto, o ignaro.
Ho iniziato la mia carriera di rivoluzionario occupando la mia scuola nell’inverno del ‘68, una cosa piuttosto dura, al portone non c’erano le mamme ma il battaglione della Celere, a portarci cibo e coperte, a discutere con noi e cercare di farci ragionare un filo più concretamente del vogliamo tutto, vennero gli operai dei cantieri navali e dell’arsenale militare; pareva a loro che, così differenti come eravamo, non ci fosse distanza e estraneità tra ciò che chiedevano nelle loro lotte sindacali e ciò che noi non sapevamo che sognare e pretendere, eravamo alla vigilia del contratto unico, delle grandi riforme sociali, vigilia di grandi vittorie.
Io vengo da lì, quello che sono è da lì che è cominciato ad essere, e ora che siamo ai postumi delle grandi sconfitte, e a parte i pochi privilegiati come me, il lavoro è per la massima parte venduto al peggior offerente alle peggiori condizioni semplicemente perché non c’è n’è di migliori, come ricambio le coperte, il cibo e le parole, la generosa fraternità di un tempo? Posso dire che non ho controllo della catena, che l’ignoranza del suo funzionamento ne è addirittura parte essenziale, e è vero, come è vero che neppure il mio editore e i suoi colleghi, i lettori e i librai non hanno strumenti per sapere.
Ecco, forse è venuto il momento di smetterla di non sapere, se non ci sono strumenti cercarli, smetterla di aspettare di farci dire come stanno le cose dai giudici e dai carabinieri, come se fossero gli unici a poter vedere. Io non so che parlare per me, e per me posso solo dire che, ringraziando Iddio, ho smesso da un bel pezzo di firmare appelli, risparmiandomi almeno questa ipocrita inanità a costo zero; ma come onesto lavoratore non ho mosso un dito per gli altri onesti lavoratori, e ho ben ragione di farmi un po’ schifo.
Se poi dovessi pensare che questo che ho appena scritto basta a poter dire che ho fatto la mia parte, allora non mi guadagno nemmeno lo schifo. Parlo per me, ma mi permetto di porre la seguente domanda ai miei colleghi venditori di opere di ingegno, come all’art. 53, 2° c. lett. b) DPR 917/86, testo unico Imposta diretta: val la pena di scrivere bei libri pieni di buoni pensieri e storie avvincenti e finali struggenti, se poi per farli leggere abbiamo bisogno del lavoro degli schiavi?"
(Comunicato stampa ripreso da Repubblica.it del 27/7/2021 dopo l'arresto di due manager della tipografia Grafica Veneta per caporalato.)
Mentre sto leggendo "È stata una vertigine" mi imbatto in questa notizia sul meschino mondo del lavoro e leggo la dichiarazione di Maggiani che ho cominciato a conoscere proprio con questo testo affrontato da un paio di giorni.
Che dire: sono contenta della mia scelta e della mia lettura, i sentimenti e le emozioni che traspaiono dal suo linguaggio intenso mi coinvolgono, e adesso, la condivisione del suo sfogo, mi rende Maggiani anche più affine alla mia esperienza.
Ho iniziato a leggerlo senza troppa convinzione perché supponevo si trattasse di racconti, una forma narrativa che non mi è proprio congeniale. E invece la struttura narrativa si rivela più interessante: dire che sono tredici racconti o pezzi è un poco improprio e fuorviante, potrebbero sembrare racconti, che però hanno in comune più di un semplice filo conduttore, di sicuro non è un romanzo, si tratta di un insieme disarticolato e inconsueto. Oltre al tema, i “pezzi” hanno in comune lo stesso tono indolente, vagamente ingenuo e ironico, hanno in comune alcuni personaggi, alcune vicende ed episodi – si intuisce che in tutto questo c’è molto di autobiografico anche laddove non viene precisato. Maggiani propone sé stesso come racconto, ma questo racconto viene spezzettato dedicando un brano a ogni dettaglio, più o meno rilevante che sia. Anziché proporci un cortometraggio, ci propone dei singoli fotogrammi, degli scatti in cui a volte viene ritratto un paesaggio, o in altri un dettaglio di un interno. Tutte le foto messe insieme cercano di essere il racconto di quale e quanto amore ci può essere nella vita di un uomo normale: amore per la moglie, amore per una sconosciuta, per il gatto, per la figlia, per il figliastro, per la famiglia tutta. Però vi si trovano anche la fine dell’amore, i temi dell’assenza e dell’addio. Bella scrittura e belle emozioni, però non arrivo a 4/5 perché da Maggiani mi aspettavo qualcosa di meglio: in alcuni passaggi ho avuto anch’io la sensazione, come scrive Ajmarchi qua sotto, che ci siano tante belle parole per dir niente, va bene la leggerezza ma ci voleva un po’ più di consistenza (come è riuscito a fare ne Il viaggiatore notturno). Concludo con un passaggio che vale la pena di perder tempo a trascrivere: “Ci sono certi momenti in cui non importa se stai bene così come sei; a un certo punto, nel bel mezzo del tuo star bene ti sovviene che tutta ‘sta beatitudine non è per niente una cosa interessante. E’ un tipico pensiero di quelli che ti colgono a tradimento. E così ti viene da ricordare di come ai bei vecchi tempi era eccitante stare male. Magari non troppo, ma abbastanza da mettere in movimento tutto quello che adesso vedi fermo, immobile intorno a te e dentro di te. Visto che non sei stupido e sai bene che ti sei conquistato la tua pace con l’immobilità, tenendo a debita distanza tutto quanto può guastarla. […] Svegliarsi nella perfezione, e sentire la smania che ti monta di mandare tutto a ramengo. Tutta la perfezione, la bellezza, la pace che ti stanno facendo felice. E immobile come un albero, un albero fronzuto e sano, nodoso e immortale. […] Innamorarsi, naturalmente, è un buon modo per farla finita con la perfezione.”
L'amore, che ha le sue gradazioni, in questi tredici racconti è tanto forte - per Maggiani - da produrre vertigine: una vibrazione interiore che ho percepito chiaramente solo in alcune delle storie - con citazione speciale per “La buriana”, il racconto più lungo; in altre, come quelle che l'autore incentra sulla sua gatta, la vibrazione è stata modesta, per me, se non assente.
Ero abituato con Maggiani a romanzi di più ampio respiro, con storie diverse che si intrecciano fin quasi a confondere le trame e il lettore…. Questa volta no, lo scrittore mette in fila, tra dissertazioni e ricordi personali tredici pezzi sull’amore, Si comincia con un bambino (lo scrittore?) che va al cinema negli anni sessanta a fare da chaperon alle zie con i rispettivi fidanzati e basta una canzone per essere toccato dall’amore, quel sentimento gli apparterrà per sempre, segnerà la sua esistenza… Quel bambino si ritroverà adulto alle prese con l’amore finito del suo matrimonio, con i “resti” abbandonati dalla moglie, un tempo la sua “orsetta” sul pianerottolo sotto gli occhi della vicina impicciona, ma ricorderà teneramente il tempo trascorso con la figlioletta, a sollevarla in aria nei prati, o a vederla giocare sul tappeto in salotto rimpiangerà, ormai single, l’amore platonico per la ragazza del piano di sotto che non ha mai invitato a fumare sul terrazzino, sorriderà dell’amore della gatta di casa che aveva una passione sfrenata per le sue ascelle.E ancora un padre libertario che racconta idealmente al figlio poliziotto durante il G8 di Genova gli anni struggenti di due “figli dei fiori” in una casupola in campagna, innamorati e felici, e del loro figlioletto che imparava canzoncine anarchiche[GE1] ed ora potrebbe essere dall’altra parte della barricata…Ci sono poi gli amanti silenziosi in un bar di periferia, che comunicano con gli sguardi e sfiorandosi le mani o quelli che si incontrano per caso, per sfuggire alla disperazione di una settimana di pioggia nei vicoli. E si chiude con il racconto di una foto, tre donne il giorno del matrimonio della più giovane (una delle zie del cinema?), tre generazioni diverse, stesso destino di lavoratrici e di dignitosa povertà, ma quel giorno c’è spazio solo per l’amore con lo scrittore bambino accanto al fotografo con le tasche piene di confetti. Ah! l’amore, l’amore… ancora l’amore: uno dei temi più sfruttati in letteratura. Eppure Maggiani, riesce a catturare il lettore, quasi ad irretirlo, a toccare qualche corda giusta, grazie ad uno stile più intimo e sussurrato del solito, dosando un pizzico di nostalgia con molta malinconia, qualche rimpianto e i pezzi scorrono al ritmo di vecchie canzoni come fotogrammi di una vita che potrebbe essere o essere stata quella di ciascuno di noi. Quattro stelle.
"Ci sono certi momenti in cui non importa se stai bene così come sei; a un certo punto, nel bel mezzo del tuo star bene ti sovviene che tutta ‘sta beatitudine non è per niente una cosa interessante. E così ti viene da ricordare di come ai bei vecchi tempi era eccitante stare male. Magari non troppo, ma abbastanza da mettere in movimento tutto quello che adesso vedi fermo, immobile intorno a te e dentro di te. Visto che non sei stupido e sai bene che ti sei conquistato la tua pace con l’immobilità, tenendo a debita distanza tutto quanto può guastarla." (p. 71)
Forse sono io che non sono portata per questo genere di libro ma non sono riuscita ad andare avanti... Non capisco la storia, oppure le storie... Non si capisce se sono unite fra loro oppure storie diverse, non è il mio genere di lettura. Lasciato a metà.
Mauri, Mauri io mi perdo della tua scrittura. Mi riconosco, sono io, nella mia liguritudine sopita, mai dimenticata. Negli odori nei suoni. Piano piano comprerò tutti i tuoi libri, promesso. Grazie. Scrivi molto bene.
Un uomo ha nel cuore una canzone d’amore. Quell’uomo ca in giro con la sua canzone notte e giorno, e lui e sono una cosa sola, come lo può essere una coppia di cocorite nella gabbietta sul poggiolo, un vagabondo e i suoi fagotti per strada..... È stata una vertigine incipitmania.com
Miei preferiti: -Scusami, scusami ancor -Bye bye Doris Day -L'Orsetta ("E' questo che mi manca di lei. Essenzialmente questo. Lei che mi guarda.") -Nel cuore dell'Europa ("Lo scroscio dell'acqua non era un rumore, il silenzio che si è fatto all'improvviso sì.) -La buriana (Innamorarsi, naturalmente, è un buon modo per farla finita con la perfezione.") -Fontevivo