Questo volume illustrato è quanto di più simile a un’autobiografia potrei mai concepire, perché il calcio è stata anche una splendida scusa per vedere il mondo, e più i luoghi in cui mi mandavano si scostavano dai percorsi tradizionali, meglio mi trovavo... Ne ho visti a centinaia di stadi, e di ciascuno ricordo un particolare, che sia una scalinata, una sala stampa o una tettoia cadente. Tutti gli stadi assolvono alla stessa funzione, ma non ce n’è uno uguale a un altro. Sono come persone. Ti sorprendono. Ti stancano. Ti fanno battere il cuore.
La prima volta che sono stato allo stadio avevo 19 anni e stavo vivendo, senza saperlo, il periodo di tante nostalgie di oggi.
Laziale da sempre, il mio primo appuntamento allo stadio è stato in Spagna, al Sánchez-Pizjuán di Siviglia: era la classica gita in trasferta del quinto superiore, quando il CoVid non c’era e niente avrebbe potuto fermare quello che per molti era il primo viaggio fuori dall’Italia, quel momento di gioiosa maturità che anticipava quella ufficiale, di maturità, e più evidentemente la fine del liceo.
Io e i miei amici avevamo incontrato un bagarino, e chissà se esistono più o se si sono estinti con la tessera del tifoso. A forza di escuchame e di s aggiunte alla fine di ogni parola, avevamo acquistato due biglietti in tribuna per vedere l’Inghilterra di Don Fabio Capello contro la fortissima Spagna. Una ramanzina dall’intero corpo docenti, il dubbio che quei biglietti fossero finti, la fuga dopo cena ed eccoci là, praticamente a due metri dal campo, a cantare “Villa Villa Villa, Villa Maravilla” e sentirci parte di qualcosa di grande, di semplice e inspiegabile allo stesso tempo: la magia del calcio.
Ha ragione Paolo Condò quando dice che il suo Porte aperte, libro illustrato edito da Baldini + Castoldi, è un’autobiografia per immagini. Templi del calcio come l’Olimpico, il Camp Nou, San Siro, il Santiago Bernabeu e persino il Manuzzi di Cesena o il Dall’Ara di Bologna fanno parte della nostra vita e ci fanno rivivere mondi e culture diverse sotto il comune denominatore del calcio. Condò in questi stadi ha vissuto il suo magistero professionale da cronista, quello che l’ha portato ad essere uno dei giornalisti sportivi (e non solo) più rappresentativi e preparati della sua generazione.
Condó è sempre un piacere da leggere e questa raccolta di storie non è da meno. L'aneddoto sull'aereo tenuto a terra dal boss malavitoso per consentire a Condó di partecipare alla cena vale da solo la lettura. Peccato per quella frase su Drogba definito il più forte calciatore africano di tutti i tempi... Forse ha considerato Eto'o alieno e quindi non rientrante nella categoria. Ci può stare.
Bellissimo libro, pieni di aneddoti, fotografie ed esperienze di uno dei migliori giornalisti sportivi del nostro tempo. "Voglio tornare a Parigi" (ma anche a Bilbao, Glasgow, Liverpool, Bueno aires...)
È veramente un libro simile ad una biografia, e la vita di Paolo Condò è veramente vicina a quella che ogni aspirante giornalista sportivo sognerebbe. Come corrispondente della Gazzetta Condò ha girato il mondo in lungo e in largo, principalmente per assistere a partite di calcio... così dalle tante storie è nata una splendida "rubrica" che ha tenuto gli appassionati incollati ai suoi tweet durante il lockdown, e poi questo splendido volume che raccoglie 15 storie già raccontate e 15 inedite, correlate da belle foto ed illustrazioni. È il regalo perfetto per l'appassionato di calcio, si viaggia per tutto il Mondo partendo dagli stadi, raccontando storie che intrecciano aneddoti sportivi, politici e personali. Il modo di scrivere di Condò non è mai pesante ed autoreferenziale, bensì divertente ed appassionato... motivo per il quale il libro si legge in poche ore. Consigliatissimo per chi ama il calcio.