Villaggio Tognazzi, Torvaianica, sul litorale romano. Alfreda, accumulatrice seriale con i primi segni di demenza senile, ha reso il villino nel quale vive con il figlio Marco un tugurio invivibile. Lo spettro di un’azione da parte dell’ufficio d’igiene rende necessario svuotare in fretta l’abitazione, pena lo sfratto. Da qualche tempo la donna soffre di paralisi del sonno durante le quali le appare Sandra Mondaini, una vecchia conoscenza dei tempi d’oro del Villaggio Tognazzi, quando il complesso abitativo fu il ritrovo estivo del jet set culturale italiano. L’attrice, addolorata dalla sepoltura separata dal marito Raimondo Vianello, trova in Alfreda un tramite ricettivo al quale chiedere aiuto per porre fine alla loro sofferta separazione. Alfreda, che col marito non avrebbe più potuto ricongiungersi, quella scorrettezza proprio non riusciva a tollerarla; il corpo di suo marito infatti, morto in acqua durante una lamparata a Torvajanica, non fu mai ritrovato. Alfreda pone al figlio una condizione per dare l’assenso allo sgombero del villino: trafugare la salma di Raimondo dal Verano e portarla al cimitero di Lambrate a Milano, da Sandra. Dopo le prime resistenze, come in una specie di suggestione collettiva, Marco getta le basi del piano che avrebbe messo fine a quella vergognosa ingiustizia, aiutato da Carlo, un pescatore, e da Er Donna, il travestito più ambito della Pontina.
𝗕𝗼𝗰𝗰𝗶𝗮𝘁𝗼. Un'idea tutto sommato interessante, ma sviluppata malissimo.
Un'accozzaglia di storie e personaggi: il pescatore, l'ex bambino del 𝗱𝗮𝗱𝗼 𝗞𝗻𝗼𝗿𝗿, la vecchia sepolta in casa dagli oggetti, il tombarolo, il travestito, ogni tanto un "drummino"... e ovviamente le salme Sandra e Raimondo da ricongiungere! Tutto ambientato in una 𝗥𝗼𝗺𝗮 la cui incuria ricorda il peggio delle pagine satiriche della Capitale, sporca e pervasa dalla sporcizia e dall'inettitudine amministrativa. Non c'è spazio per la riflessione, non per la satira, non per strappare una risata. Tanti luoghi comuni partoriti da una penna sforzata e 𝗿𝗮𝗱𝗶𝗰𝗮𝗹 𝗰𝗵𝗶𝗰 ogni volta che i contenuti si fanno deboli. Il Pigneto a Torvaianica. Sorry, questo è uno dei libri più brutti mai letti.
Continua la mia avventura alla scoperta dei candidati al Premio Strega 2021.
Inizio col dire: not my cup of tea.
Se questo libro non fosse stato candidato al premio non gli avrei concesso una possibilità, lo so, e infatti mi trovo in difficoltà nel dargli una valutazione in stelline.
La mia valutazione varia tra il "non mi è piaciuto" perché ci sono elementi che proprio non ho sopportato (come la violenza su un povero animaletto che ha attraversato la strada: preso a calci, schiacciato e così via. Ci mancava solo che il personaggio in questione ci saltasse sopra, fino a renderlo in poltiglia e poi, dipingendosi il viso col sangue, si mettesse ad ululare... ), "è stato ok". Non capisco la candidatura. Forse persone più vicine al premio - e con questo voglio dire: persone che leggono ogni anno i candidati e sono più vicine al panorama contemporaneo italiano - capiranno il motivo. Senonché io ho letto da poco "L'isola di Arturo" e mi sono fatta una idea precisa su come sia un romanzo da premio. Ad ogni modo ho apprezzato il racconto dei bei tempi che furono, sul litorale di Torvaianica, quando c'erano Tognazzi, Mastroianni, grandi attori nostrani e stranieri ad animare di dolce vita questi luoghi. Ho trovato anche ben descritti i personaggi, probabilmente realistici, ma per ora il libro è all'ultimo posto tra le mie preferenze. Non che "L'acqua del lago non è mai dolce" sia un capolavoro. Sinceramente mi sto chiedendo: ma i tempi di Elsa Morante sono finiti? Spero andrà meglio leggendo qualche altro candidato.
Questo libro è nella dozzina del Premio Strega 2021. L'ambientazione del romanzo è a Tor Vaianica, abbracciando un po' tutto il litorale romano: questo è quello che ho apprezzato molto del romanzo (mi sembrava di riconoscere i vari posti dalle descrizioni).
I protagonisti sono Marco e Alfreda che si imbarcano nell'impresa di disseppellire i resti di Raimondo Vianello, sepolti al Verano, perché possano ricongiungersi con quelli di Sandra Mondaini, sepolti a 600 km di distanza dal marito.
La storia è tragicomica e l’audiolettura è molto piacevole: in più punti mi sono divertita. Credo che le 3 stelle le abbia assegnate più all'audiolibro, letto da Luca Ghignone, che al libro in sé. Gli spunti per sviluppare meglio la trama c'erano tutti. Peccato che l'autore si sia perso un po' nei luoghi comuni di cui è farcito il libro.
Credo che sia difficile che questo romanzo sia ammesso nella cinquina finalista. Poi, mai mettere limiti alla Provvidenza.
Pensate a un revival degli anni '90 con motti di pubblicità indimenticabili, citazioni di famosi sketch televisivi e nomi di gelati che adesso, forse, non esistono più. Aggiungeteci la location di Villaggio Tognazzi, dove è facile incontrare attori celebri del calibro di Ugo Tognazzi, i coniugi Vianello e Vittorio Gasman. Infine, mescolate tutto con una serie di personaggi semplici, un po' grotteschi, ma tanto veri.
Questi sono gli ingredienti principali di "L'anno che a Roma fu due volte Natale" di Roberto Venturini, un romanzo colorato, ironico e fuori dagli schemi.
La sua protagonista è Alfreda, una donna che non si è mai ripresa dalla morte prematura del marito. Diabetica e affetta da demenza senile, inizia a diventare un'accumulatrice seriale di oggetti e a immaginare che Sandra Mondaini, ogni sera le faccia visita sedendosi sulla sua poltrona di velluto verde con strane richieste. L'ultima tra queste è quella che Alfreda l'aiuti a riunire lei e Raimondo anche dopo la morte, in quanto sono stati sepolti in due cimiteri diversi.
Così, il figlio Marco e gli strambi amici Er Donna e Carlo, si lanciano in una rocambolesca avventura che li renderà dei particolari profanatori di tombe.
La vera forza del romanzo di Roberto Venturini è la contrapposizione tra degrado e bellezza: le attuali storie travagliate e sofferenti di Alfreda, Marco, Er Donna e Carlo si scontrano con i meravigliosi ricordi di una vita felice, delle estati trascorse al villaggio Tognazzi con simpatici amici e celebrità del mondo dello spettacolo. Proprio questa contrasto tra ciò che prima era e adesso non è più, ci fa capire quanto la felicità passata non possa essere rovinata dalle sofferenze future, e che spesso il suo ricordo ci può aiutare a sorridere e a vivere meglio.
1) Dopo aver letto altri titoli in gara, non capisco perché questo sia candidato allo Strega. 2) C'è violenza gratuita sugli animali e devo ancora riprendermi dalla scena. Detesto queste cose, non serve, soprattutto se descritta nei dettagli. Lo scrivo perché so che ci sono persone che hanno bisogno di sapere se c'è violenza sugli animali prima di leggere un libro. 3) C'è linguaggio omofobo e sessista. 4) Vorrebbe essere divertente ma per me non lo è.
Mi dispiace perché forse l'idea poteva anche essere interessante, ma l'ho trovato illeggibile, completamente fuori dal tempo - siamo nel 2021, non abbiamo niente di meglio di cui parlare di Sandra e Raimondo? - e pieno di eventi al limite dell'assurdo. Ammetto di averlo finito (mooolto velocemente) solo per dargli una stella
Ho durato una vera fatica. Avevo delle buone aspettative per questo romanzo, promosso come ironico e brillante. Le ventiquattro ore “tragicomiche” del trio di amici dovrebbero suscitare non tanto il riso a crepapelle (e in effetti non credo che fosse l’obiettivo dell’autore), ma quantomeno smorzare l’atmosfera malinconica che pervade tutti i personaggi. Siamo a Torvaianica al villaggio Tognazzi, e infatti tutta la narrazione è piena di citazioni e rimandi alla televisione e al cinema italiano: anche questo, forse, ha contribuito a mettermi confusione con i troppi salti temporali; la quantità estrema di disavventure a cui sono sottoposti i personaggi li svuota di carattere, come se la storia andasse per la sua strada senza tenere conto della loro personalizzazione. Non ho riso, non ho pianto e non ho riflettuto: niet. Non che cercassi in questo romanzo un trattato di filosofia, però anche una mezza domanda un libro la dovrebbe suscitare. Un immenso boh di questi 12 finalisti che non riesco davvero a capire. Delucidatemi.
Da dove inizio? dal sessismo, razzismo e omofobia di cui l'autore si compiace e l'intera narrazione è bellamente intrisa o dalla coltre di moralismo becero che tenta di giustificare il tutto? dai numerosi errori di ortografia e sintassi (tra cui un clamoroso "recinzione" scritto con la 's')? dai paragoni forzati e verbosi che dovrebbero fare leva sulla nostalgia per gli anni '90 (a tutt'oggi la peggior decade di sempre), o alle prolisse e pretenziose incursioni "alte" nel campo lessicale dell'anatomia e della medicina, disseminate nel testo a segnalare che tuttavia le intenzioni, qui, sono serie, serissime. E ancora: violenza gratuita sugli animali, buonismo da Mulino Bianco, sciatteria, ma soprattutto una buona dose di ipocrisia squisitamente italiana pervadono questo testo che, torno a ripetere, è tra i più sessisti che abbia letto ultimamente. Non mi sorprende che il volume abbia riscosso quasi esclusivamente pareri favorevoli tra i lettori di sesso maschile, almeno a giudicare dai pareri espressi su questa pagina. Come sia entrato a far parte dei dodici candidati al premio Strega, questo "romanzo" che si fregia dell'aggettivo 'psico-pop' rimane un mistero.
Ho ascoltato l'audiolibro, e come disse un mio amico con il mio stesso problema: ma possibile che un libro ambientato sul litorale laziale lo facciamo raccontare ad un milanese, che per quanto si sforzi, alle orecchie di un romano vero sembra solo una presa in giro? Dopo questo inquietante quesito, che, diciamocelo, sarebbe bastato veramente poco per evitare, la storiellina é carina, strizza piu di un occhio alla mia generazione o a quella appena dopo, e ti lascia l'amaro in bocca.
"L'anno che a Roma fu due volte natale" parte dal decluttering. Anzi, parte dal contrario del decluttering, dall'accumulazione di oggetti che il tempo trasforma in cianfrusaglie e un altro po' di tempo ritrasforma in ricordi. Perché senza oggetti probabilmente non avremmo nemmeno dei ricordi e non importa essere Proust per sapere che la memoria ha spesso bisogno di qualcosa che la inneschi. Qui però gli oggetti sono anche oggetti virtuali, pubblicità, film, telefilm, videogiochi: per tutto il romanzo c'è una foresta di citazioni prese da scene che ormai sono diventate immaginario collettivo e in qualche modo ci aiutano a leggere il presente mediante il ricordo del passato. E molto spesso quegli oggetti sono segnaposti che servono per tenere in vita il ricordo di qualcuno che non c'è più, come per Alfreda, la vedova che è rimasta attaccata a un passato che cerca di riconquistare e di riavvicinare a sé.
Libro che non mi è piaciuto per niente. Sono meravigliata che sia tra la dozzina dello Strega, ma forse sono io che non ho capito il libro fino in fondo. La storia mi ha convinta poco...sembra un film đi Fellini venuto male. A tratti vorrebbe essere esilarante, ma la scena che fa ridere in un film non ha lo stesso effetto riproposta sulla carta (mi viene in mente la scena al cimitero con i due balordi/trafficanti....secondo me patetica). Peccato, la copertina era bellissima e il titolo e la trama intriganti, ma l'abito non fà il monaco, come dice il proverbio!
⭐️⭐️⭐️ e mezzo: temo non lo vedremo in cinquina, ma è un romanzo che sa divertire, pieno di citazioni da film, telefilm e cultura popolare varia, e che con spensieratezza riesce a parlare di come sia difficile per noi lasciare andare il passato, le cose a cui teniamo di più, e di come lottiamo per rivivere ancora una volta i più bei momenti della nostra vita.
L'autore si cimenta con il grottesco, ma fa una confusione pazzesca, rendendo comici i momenti tragici e tragici i momenti comici. Non è chiaro se il romanzo sia una satira di qualche tipo, oppure solo una scusa per inserire a profusione peti e "sbratti".
Cosa sta accadendo ai selezionatori del Premio Strega? Dopo la lettura di questa roba, che onestamente è al livello di certi blog nostalgici in cui inciampavi su splinder a metá anni 2000, mi aspetto di entrare nei finalisti l'anno prossimo, con una raccolta di mie liste della spesa all'Esselunga - scritte bene però, ironiche, citazionistiche.
Al momento abbandonato. Non riesco proprio ad andare avanti. Mi sembra un elenco di nomi, citazioni, non riesce a catturare la mia attenzione. Forse non sono predisposta io, non so. Ma niente, sono arrivata a fatica a inizio secondo atto.
2.5✨ ci ho trovato il dolore umano per la perdita, la mancanza e anche da un certo punto di vista la promozione del territorio laziale. ma niente più di questo, peccato perché pensavo sarebbe stata una lettura molto più coinvolgente.
Roberto Venturini racconta, con uno stile ironico e a tratti graffiante, la storia di una donna che vive nel ricordo della felicità passata. E quanto questo atteggiamento possa influire anche su chi ci sta intorno.
In realtà quello che dalla trama sembra essere il perno principale dell’intera vicenda non è altro che uno spunto, una “scusa”, attraverso cui l’autore ci rende partecipi di esistenze disastrate ma che ardono di voglia di vivere.
Villaggio Tognazzi, una volta jet set dell’estate vip italiana (e non solo), diventa un luogo dove esistenze al limite si ritrovano e si supportano. Ed è così che il villaggio stesso diventa metafora, metro di comparazione tra bellezza e degrado, tra ciò che fu e ciò che rimane.
Il risvolto psicologico di questo romanzo è molto forte e ben netto: accanto al sorriso che inevitabilmente scappa per alcune scene, il lettore si ritrova catapultato in momenti di profonda tristezza e nostalgia. Tristezza che a volte nemmeno i personaggi avvertono, non quanto la nostalgia per un passato che non può più tornare.
Ma è proprio questa nostalgia per il passato, questo sguardo perennemente puntato all’indietro, che permette ad alcuni di andare avanti con la propria vita: perché il presente può essere brutto e disastroso, il futuro può far paura ma il passato sarà sempre una sorta di coperta di Linus che riuscirà ad addolcire tutto.
L’anno che a Roma fu due volte Natale di Roberto Venturini è un romanzo che ho faticato a capire. Inizialmente mi aveva delusa, aspettandomi dalla trama tutt’altro. Ma, lasciando sedimentare la lettura per qualche giorno, sono riuscita a cogliere sfumature che a caldo avevo quasi ignorato. Sarà questo il suo punto forte?
Mi chiedo come alcuni libri riescano ad essere candidati a premi, pure prestigiosi. Boh. Sarà sicuramente colpa mia ma questo libro che dovrebbe essere divertente e dissacrante mi ha messo addosso una tristezza abominevole.
24 ore di una umanità allo sbando nel quale pullulano canne, linguaggio sessista e omofobo, riferimenti sessuali abbastanza inutili e, ciliegina sulla torta, una scena ai danni di un povero animale che si poteva tranquillamente evitare. Tanti, ma davvero tanti riferimenti alla cultura pop anni 80. Divertenti per me che c'ero, ma inutili per salvare una storia che aveva anche delle possibilità ma che naufraga in divagazioni e sottoracconti. Al termine della lettura rimane solo una domanda: "e quindi?"
Gli riconosco però un pregio: è una perfetta sceneggiatura, praticamente già pronta, e in mano a un buon regista potrebbe pure essere un bel film. Un bel libro, secondo me, no.
che libro curioso! la trama è molto originale e a tratti surreale. il linguaggio è scoppiettante e strappa più di un sorriso, per poi precipitarti in alcune verità spiazzanti. verso la metà del libro, quando la storia ingrana, viene il dubbio se non cominci a essere un po' troppo carico di metafore e similitudini a discapito della scorrevolezza della trama. un lavoro interessante!
Un romanzo che avrebbe dovuto essere divertente e dolceamaro, ma la cui lettura per me è stata un po' piatta e noiosa, non trasmettendomi quasi niente.
Mi dispiace ma no, no e ancora no. Una storia poco avvincente e un modo di raccontarla al limite del fastidioso. Un libro che ho fatto fatica a finire.
Amiche e amici come state? Io spiaggiato. C’è chi in estate preferisce leggere i gialli, i chick-lit (si scrive così?), le letture poco impegnate e cose. A me sta bene tutto, anche destagionalizzare L’anno che a Roma fu due volte Natale, il fortunato romanzo di Roberto Venturini pubblicato da Società Editrice Milanese.
L’idea di Venturini è interessante e la sua scrittura è originale, pirotecnica, surreale, divertente, in certi passaggi estrema, tutti aspetti che mi sono piaciuti. Per quanto riguarda un’opinione nel merito, sento di dover sospendere il giudizio. Ho trovato il testo così particolare da aver bisogno di leggere qualcos’altro di questo autore per poter capire se “ci è o ci fa”: i periodi lunghi e articolati; i numerosi salti in avanti e indietro nel tempo (ma anche di lato, a destra e a sinistra); i rimandi abbondanti, abbondanti assai, ai piccoli e grandi fenomeni culturali della nostra infanzia (un melting pot ingombrante anche per un pop fed come me) e le tante, tantissime metafore e similitudini.
Consigliato: a chi vive di rimpianti per un mondo che non c’è più, di quanto era bello il cinema, la TV, anche la pubblicità di una volta, ce n’era per tutti signora mia; a chi ogni sera si commuove con Techetechetè; a chi ancora colleziona le sopresine Kinder; a chi ha passato l’infanzia inseguendo una palla per strada, spiando le coppiette e cariandosi i denti con Smarties, Fruit Joy e Morositas; a chi si appassiona riconoscendo nei libri ogni angolo che viene nominato; a chi non soffre di emicranie da palo-in-frasca; a chi trova che Roma sia una città ormai degradata in modo irrecuperabile, animali, immondizia, maleducazione, buche, abbandono, prostituzione, droga, preda dell’arrivismo opportunista a tutti i livelli, dal più anonimo degli impiegati comunali al capo di partito, spartita dalle mafie di ogni etnia e provenienza geo-tipica; a chi sa riconoscere tracce di tenerezza, sensibilità e amore nella giungla di decadenza urbana, civile, sociale ed emotiva che ci attanaglia; a chi vuole leggersi tutti i finalisti al Premio Strega 2021 per intimo gaudio o perché, in fondo, siamo sessanta milioni di allenatori, virologi e giurati.
Incipit Quando Alfreda si rese conto che tutto lo zucchero dentro la tazzina del caffè si era sciolto da tempo a forza di mescolare, il nevischio iniziò a cadere sulla spiaggia del Villaggio Tognazzi. L’anno che a Roma fu due volte Natale Incipitmania
Noioso. Didascalico. Pieno di descrizioni, troppa confusione, manca anche il fine. Raramente do una stella ai libri ma questo mi ha fatta proprio incazzare: ho buttato soldi e tempo per una cosa proprio brutta.
Venturini ti prego cambia mestiere, evita spreco di carta inutile.
Bello ma pensavo meglio, ho adorato l’atmosfera romana del jet set televisivo, i pettegolezzi e le chiacchiere. Ho trovato forse un po’ sterile l’idea di fondo che alla fine non si chiude, non si concretizza
Leggere queste pagine è stato come assaggiare una pietanza, che lascia al palato prima un sapore piacevole, poi un retrogusto amaro. La narrazione trasporta il lettore nel Villaggio Tognazzi a Roma, con i suoi abitanti ancora legati a ricordi di tempi in cui le vie erano frequentate da stelle del cinema e della televisione italiana. Questa romantica atmosfera fa da cornice a vicende che poco hanno del romantico. Il dramma di una donna vedova di un marito scomparso in mare, incapace di elaborare il lutto, che finisce per impazzire dentro una casa dove ha accumulato tutti i ricordi. Il dramma di suo figlio, orfano di padre e con una madre diventata la brutta copia di se stessa, che porta anche sulle spalle la delusione di passare dall’essere il bambino prodigio della pubblicità al diventare uno qualunque. Da chi possono ricevere aiuto?Dagli improbabili amici, un travestito e il pescatore testimone della sparizione in acqua del marito. Un intreccio di strani personaggi, vicende poco verosimili, raccontati con un linguaggio oscillante tra il ricercato e il cruento. Belli i riferimenti alla tv degli anni ‘80/‘90 che mi hanno fatta tornare bambina, le descrizioni del Villaggio e delle dolci atmosfere del quartiere. Allo stesso tempo però l’amaro in bocca è arrivato leggendo delle tristezze, dei drammi e delle avventure tragicomiche di quei personaggi pittoreschi.