Corso Bramard è un uomo silenzioso, riservato. Ha la stessa eleganza contenuta delle montagne di Torino. È stato il commissario più giovane d’Italia, un investigatore di talento. Poi la moglie e la figlia di pochi mesi sono state rapite e uccise dal serial killer cui stava dando la caccia. Da allora, abbandonata la polizia, trascina un’esistenza fatta di giornate solitarie e notti trascorse a scalare senza protezioni, nella speranza di sbagliare un movimento e cadere. A impedirgli di lasciarsi il passato alle spalle ci sono le lettere che Autunnale – così si firma l’assassino – gli scrive da vent’anni. Tra loro è in atto una partita mentale che ha raggiunto una situazione di stallo. Finché Autunnale commette un errore, piccolo: quanto serve a Bramard per ritrovare una parte dell’uomo che era. Arcadipane, che ha ereditato il suo posto, e la spigolosa agente Isa Mancini lo aiuteranno a riaprire il caso. Ma all’appuntamento con la giustizia li attende una verità più sfaccettata e costosa del previsto.
È la prima volta che vedo la faccia di Davide Longo – di cui ho letto tre romanzi con alterna soddisfazione – Feltrinelli la pubblica nella bandella, e rimango colpito perché sembra un volto preso pari pari da quello che per me è il suo titolo più riuscito, Il mangiatore di pietre (dopo quattordici anni è uscito il film omonimo con Luigi Lo Cascio), un viso segnato, più che dal tempo, dalla vita all’aria aperta. Rughe profonde per i suoi cinquantuno anni, marcate molto probabilmente dalla frequentazione delle montagne, luoghi amati anche da questa sua ultima creatura letteraria, il commissario Corso Bramard.
E quindi il protagonista indicato nel titolo è un commissario. Per la precisione lo è stato – il più giovane d’Italia, chissà perché Longo e Feltrinelli ci tengono tanto a farcelo sapere – ma ha poi abbandonato per motivi che vengono spiegati, quando la violenza è arrivata a colpire i suoi affetti ha lasciato la polizia, e ora insegna part time in un liceo, ma è chiaro che non ha affatto smesso d’essere un segugio. Se il protagonista è commissario, questo è un poliziesco. Vero. In effetti, c’è un serial killer da individuare, ci sono delitti, c’è un’indagine.
Ma per buona parte sembra di essere dalle parti del poliziesco alla Dürrenmatt: un poliziesco destrutturato, dove l’anima della storia non è individuare il colpevole, ma altro. Per lo scrittore svizzero si tratta di grandi interrogativi morali, di ragionar su Giustizia e giustizia, sull’uomo e sull’Uomo: per lo scrittore piemontese si tratta di raccontare una storia che ha un inizio, uno sviluppo e (forse) una fine, ma stando soprattutto attento all’atmosfera, e ai personaggi.
Daphne Maugham ritratta a Pavarolo da Felice Casorati. Davanti a questo quadro Bramard ricorda il suo primo e unico pianto per la morte di Michelle e Martina.
Altro aspetto che differenzia il poliziesco di Longo dal mainstream è che serial killer di solito si coniuga con efferata violenza, particolari macabri, incisioni perforazioni sventramenti… Niente di tutto ciò è presente in queste pagine: la materia, tutta, è trattata con parsimonia di aggettivi, con predisposizione al silenzio. Quello stesso silenzio che impera tra e sulle montagne, dove ogni gesto conta. Quel silenzio che Bramard, dopo la morte delle sue persone care, ha adottato spontaneamente. Quel silenzio che da sempre contraddistingue il bel tenebroso, che motivava t-shirt con scritte tipo “Silenzio. Genio al lavoro” e perché no, anche “Non datemi consigli. So sbagliare da solo.” (Quest’ultimo aforisma pare sia attribuito a Leo Longanesi. Sono certo che ai tempi belli credevamo in tanti provenisse dal libretto rosso).
Un fiore di chiri tsubaki, ossia camelia giapponese, che si rivela molto importante per l’indagine.
Peccato che a un certo punto Longo imprima un’accelerazione al suo racconto, come se all’improvviso si fosse ricordato quello che ritengo insegni ai suoi allievi della scuola Holden: non dimenticate la storia, e una storia che si rispetti deve avere una fine. E così, la fine giunge, il lettore scopre il colpevole – che per la cronaca è quello che sin dal principio si è pensato lo fosse (per quale altro motivo raccontare la vicenda parallela di quest’altro personaggio?) - Bramard lo incastra, e in qualche modo fa giustizia. Solo che sia il commissario, anzi, ex commissario, sia il suo creatore, si dimenticano di fornire al lettore movente, spiegazione, un perché. Tutto arriva in modo così precipitoso che personalmente avrei preferito il colpevole restasse ignoto come l’assassino del capolavoro di Dürrenmatt La promessa. Peccato. Ma rimane lo spesso piacevole saporito piacere della lettura della maggior parte del romanzo. E tutto sommato, anche a Bramard, come faccio solo con Goffredo Fofi, perdono i sandali.
Corso Bramard era el inspector de policía más prometedor de Italia, hasta que un asesino en serie al que seguía la pista secuestró y mató a su esposa y a su hija. Han pasado veinte años desde entonces, Corso vive en una vieja casa en las colinas cercanas a Turín, da clases en un instituto y pasa la mayor parte del tiempo escalando solo. Sin embargo, algo permanece intacto en él: la obsesión, cultivada con tranquila firmeza, por encontrar a su enemigo.
Un asesino que sigue enviándole los versos de una canción de Leonard Cohen. Diecisiete cartas en veinte años, mecanografiadas con un Olivetti del 72. ¿Una invitación? ¿Un reto? Ahora, ese oponente que nunca ha cometido errores parece haberse topado con una distracción. Una pista fundamental.
Suficiente para que Corso Bramard reanude la caza...
No ha estado mal la trama pero es muy lento, apunto estuve de abandonarlo ya que tardó en "enganchar". Nada espectacular salvo su forma de escribir.
Estoy muy complacido con el estilo narrativo del autor. Muy, muy bueno, es cautivador y atrapante. Tanto su estilo como la trama me llamó. El problema es su ritmo y otras cosas.
Una historia de detectives donde el alma de la historia no es sólo identificar al culpable, sino algo más. Cuestiones morales con un protagonista castigado por la vida con razonamientos sobre la justicia. Para mi son también sus defectos. Son ingredientes que me aburren.
El resto daría forma a una buena lectura si no fuera por el ritmo. Con una gran atención a la atmósfera y los personajes. Eso me gustó junto su prosa. Lamentablemente para mi eso solo no lo salva.
Un thriller que entretiene pero el ritmo le pasa mucha factura. Protagonista en la mierda, un ingrediente que no puedo expresar lo mucho que me irrita esa moda. No hay investigadores que estén bien psicologicamente, sin traumas o sin familia muerta. Y las reflexiones.. ✍️🎩
Non sono molti i libri di genere in grado di oltrepassarne i limiti. I tre romanzi di Davide Longo con Corso Bramard e Arcadipane (Il caso Bramard, Le bestie giovani e Una rabbia semplice) sono tra i pochissimi gialli italiani che secondo me ci riescono. Per qualità della scrittura innanzitutto. Ma anche per la profondità di scavo e la caratterizzazione dei personaggi; per la luce particolare con cui racconta certi paesaggi e certe atmosfere del nord ovest italiano; per la tonalità umorale di un certo modo di essere italiani, molto poco convenzionale, pudicamente oscillante tra il malinconico e il cinico.
La cosa però che mi ha colpito di più (che è poi la ragione per cui mi è venuto di mettermi a scriverne), a lettura finita ormai da qualche tempo, è che mi accorgo di ripensarci ogni tanto, a Bramard e i suoi. E di farlo anche avvertendo una certa emozione calda di fondo, come fosse gente viva incontrata per davvero di cui per un attimo ti chiedi “chissà che fine hanno fatto…che stanno combinando”. Quando un attimo dopo razionalizzi che è di libri che si sta parlando non puoi che concludere che di buoni libri, di buona letteratura si tratta. (e pensi anche che cosa strana e bella sia leggere)
Attenzione signore e signori sono entrata nel tunnel del commissario Arcadipane e di Bramard. Come dice Baricco, il Montalbano piemontese con un po' di Fenoglio.
Le prime pagine mi hanno irritato, non entravo nel libro, non capivo il personaggio, ero spiazzata da una scrittura distante anni luce dal giallo senza impegno che volevo leggere. Ho trascorso una notte insonne in loro compagnia e mi sono decisamente innamorata, dei caratteri, degli umori cupi ben lontani dal clima che si respirava a Vigata, della scrittura di Davide Longo su cui avevo già messo gli occhi con L'uomo verticale ma che mi ero persa come giallista sui generis visto che non bazzico la materia. Poi ci sono inciampata per caso e sono già a metà del secondo libro della trilogia , crea dipendenza e so già che mi mancheranno.
E adoro gli scrittori che sanno descrivere quel Piemonte lì, quelli che preferiscono il Roero alla Langa (anche io, anche io), quei personaggi duri e cupi e senza vie d'uscite come ne ho conosciuto qualcuno lasciandoci il cuore.
Ho aperto un Nebbiolo, mio preferito sempre, ho acceso una candela nel buio dei pomeriggi invernali e che inizia alle 15. Inutile ribadire quanto io ami l'inverno e questi scrittori che ti trascinano dentro.
"Jean Claude le parlò in inglese. Fu questione di pochi secondi. La ragazza prese i soldi e uscì. Mentre lo salutava, nei suoi occhi non c'erano domande inespresse. Doveva accadere spesso che la gente fosse stanca al ritorno dalle battute, che pensasse di sì e poi decidesse di no, per motivi diversi, talvolta bizzarri, come la fedeltà, la paura di fallire o di innamorarsi: tutte cose che interessavano poco lei e non riguardavano lui."
Uno stile asciutto, scarno ed essenziale.
Piccoli riquadri che pian piano compongono la storia. Un protagonista di poche parole, di sentimenti celati e pudico. Un uomo di montagna, nelle cui cime ama perdersi per cercare silenzio, ristoro o forse la fine di quel tutto che un giorno ha perso valore.
E poi la storia, l'ossatura del poliziesco che pian piano si lascia portare alla luce.
Scoperto perché pubblicizzato da Baricco - di cui tuttavia deploro lievemente l’operazione di promozione di un suo docente, come se fosse la prima volta che legge un suo libro - mi ci sono immerso rapidamente, in quei paesaggi scuri e terrosi, di laconica bellezza. Ne emergo con qualche dubbio di comprensione, ma forse è un problema mio. Due righe in più, a scopo puramente didattico, le avrei apprezzate.
"È l'ombelico di ogni vita, il momento prima del quale si pensa di essere qualcosa che dopo non si sarà mai più."
Conoscevo Davide Longo e la saga Arcadipane per le lodi tessutegli da Baricco (e come più volte mi sono trovata ad osservare, Baricco è molto più bravo a parlare dei libri degli altri che a scrivere i propri, influencer libresco ante litteram)
Non pensavo di leggerlo perché il giallo seriale proprio non fa per me, diciamo che in assoluto ciò che è seriale mi viene a noia. Figurarsi un giallo che segue pur sempre una ricetta nello sviluppo della trama.
Però, se vengo smentita, e trovo qualcosa che mi appaga, sono sempre lieta di ricredermi.
Corso Bramard, Isa e il commissario Arcadipane sono talmente ben caratterizzati da uscire dalle pagine. La scrittura è suggestiva e molto elegante.
Le vicende si seguono con piacere più che con la curiosità di scoprire il colpevole, insomma una lettura non per giallisti accaniti (lo scioglimento del mistero a mio modesto parere non troppo lineare e un po' lacunoso nella logica) ma sicuramente affascinante e, ripeto, molto ben scritto.
Un libro che sa fare buona compagnia credo non solo sulla spiaggia ma anche e forse meglio per clima e ambientazione quando comincia a fare freddo, accompagnati da the caldo e copertina sul divano.
Giallo discreto,una scrittura asciutta ma curata ed evocativa. È lo stile di Longo che eleva una trama non certo innovativa o con particolari colpi di scena.
Libro letto sull'onda della recensione di Baricco. A suo parere dovrebbe essere una spanna sopra altri scrittori di giallo o noir italiani. Anzi, l'unico degno di nota nel panorama italiano. Spinta da cotanto apprezzamento immaginavo qualcosa di veramente al di sopra degli altri e invece... Invece non ho trovato l'originalità sperata nella storia in se, nel modo di raccontarla, nei personaggi e nell'ambientazione. Il protagonista è un ex poliziotto che ha lasciato la professione venti anni prima a causa di un serial killer che gli ha rovinato la famiglia e la vita. È ancora in contatto con il suo vice diventato capo, si ritrova sulle tracce del suo incubo e viene affiancato nelle ricerche da una poliziotta con qualche problema. Il meccanismo narrativo è fatto per disvelamenti successivi e questo mi piace in genere ma secondo me non è per nulla gestito bene, è più un buttare a casaccio elementi. I personaggi non sono descritti al meglio, non si riesce ad entrare in empatia con nessuno di loro, siano essi negativi o positivi. Anche nella descrizione si sofferma sulle caratteristiche fisiche e somatiche inserendo tanto di quel Lombroso da essere stucchevole, mi è sembrato anche vagamente razzista (e non sono una che plaude alla moda del politically correct). Il linguaggio è inutilmente ampolloso, quasi un voler urlare al lettore "guarda quanti termini desueti e complessi conosco", quindi non in grado di inserirli nel modo migliore all'interno delle frasi. La trama non è male anche se non ci si riesce ad appassionare alla storia, non si capisce come mai non abbiano pensato prima di indagare sull'unica sopravvissuta al serial killer.
Insomma, essere raccomandati da Baricco genera troppe aspettative forse ma anche in generale il voto non può essere alto. Consiglio di leggere altri autori italiani, indipendentemente che abbiano un'ambientazione al nord o sud della penisola.
Due stelle perché il libro si è lasciato leggere fino in fondo, cosa non scontata.
Osservazioni:
1) Se dovessi giudicare dalla naturalezza dei dialoghi di questo romanzo avrei il sospetto che Longo non abbia mai assistito a una conversazione dal vivo.
2) Le descrizioni e le metafore in cui si lancia la narrazione sembrano pagate a parola, con effetti spesso involontariamente comici: "Chiuse la comunicazione con il cellulare e guardò l'ora. Sarebbe stato laggiù tra una ventina di minuti, lo zio un po' prima. Rallentò attraversando l'unico paese sul tragitto, poche migliaia di cristiani, tre ristoranti, uno soltanto buono, una tabaccheria il cui gestore era stato suo compagno di scuola, due attività di parrucchiera, una con negozio, l'altra in casa, un meccanico, un carrozziere, una grossa boita dove facevano pianali per bisarche impiegando più di venti operai, un'impresa edile, un negozio di alimentari, un bar con tre macchinette e ricevitoria, la struttura di una pompa di benzina iniziata ma mai aperta per problemi di credito, un'impresa di pompe funebri, una chiesa, un asilo a conduzione familiare (la madre aveva un vecchio diploma di maestra e un occhio di vetro, la figlia un attestato di educatrice) e una scuola elementare. [...] Corso vide in lontananza il paese. Non aveva nemmeno voltato la faccia verso casa sua o dello zio. Nessun pensiero estraneo, niente sguardi indietro, solo il presente e la traiettoria con cui andava a cadere qualche metro più in là. Era molto tempo che non funzionava a quel modo. Non credeva di esserne ancora capace."
2) I personaggi minori (Arcadipane, Isa) sono macchiette e caricature immotivatamente sgradevoli.
3) Una serie di intrecci romantici/sessuali molto fiacchi è inserita a forza nella storia, senza che ce ne sia motivo e senza che portino particolari tensioni o sviluppi per la trama. L'impressione è che l'autore voglia fare del suo Bramard un commissario Santamaria, senza averne le capacità, con il risultato di passaggi fortemente erotici come: "Allo stop Corso di fermò e scese dall'auto. Isa lo vide sparire oltre l'angolo per poi ricomparire subito dopo, tagliare la strada e scomparire di nuovo dietro la cancellata della villa che affacciava sull'altro lato. Quando poco dopo risalì in macchina, sentì ancora una volta quell'odore di cane che nell'ultimo mese l'aveva fatta dormire male, leggere un paio di libri, toccarsi a ore insolite e non riuscire più a digerire alcune «stampelle» che fino a quel momento avevano funzionato benissimo." Svolta zoofila!
4) Nell'ansia di costruire per i propri personaggi un mondo troppo inutilmente ampio e articolato l'autore ha trascurato di concentrarsi sul motivo per cui effettivamente il lettore legge il romanzo, ossia la storia, che sarebbe anche interessante se non fosse soffocata dalle divagazioni insensate e se avesse il tempo di svilupparsi a dovere, specie sul finale. Non a caso i capitoli più interessanti sono quelli che seguono Monticelli, che fa cose intriganti senza fermarsi a dare dettagli sul numero di piede della zia del proprietario dell'albergo in cui soggiorna.
4) Le citazioni insistite dai dischi e dai romanzi per quanto mi riguarda dovrebbero restare confinate nel loro ambiente naturale, le fanfiction scritte dai minorenni.
5) "Non bisogna aspettarsi che la cosa venga compresa da tutti. La maggior parte della gente corre nei musei a vedere i dipinti di Van Gogh, ma in fondo ritiene che non fosse altro che un malato di mente che si tagliò un orecchio, fece soffrire i suoi e dipinse grossolani quadri infantili."
6) "Con un piede lei gli circondò il polpaccio. Aveva piedi delicati e forti, come gli arti di certe creature marine, che forse non avevano nemmeno gli arti."
7) "Il viso della donna non nascose il fastidio di dover tornare su una questione che giudicava conclusa. Non doveva avere molti amici. Serate in casa. Microoonde. Monoporzioni. Puzzle."
Ho trovato il racconto in grado di incollare alle pagine, ma troppe descrizioni che nulla hanno dato alla trama, non si empatizza mai per davvero col protagonista e meno che mai con la protagonista femminile, poco verosimile e trattata con enorme superficialità. Conclusione non rapida, di più, tutto si consuma in meno di 5 pagine e si resta con l'amaro in bocca. Peccato.
Piacevole e ben scritto, però la figura del serial killer poteva essere tratteggiata meglio. In più è tutto "troppo facile". Tuttavia credo che ne leggerò altri perché sono delle buone letture di riempimento.
Camelie Libro certamente ben scritto, si fa leggere, ma non mantiene la promessa di essere un libro giallo. Mi permetto di dirlo perché a scuola ero destinata ad andare quasi sempre fuori tema: iniziare una traccia e poi deragliare per vie laterali e non pertinenti. Mi sembra che l’autore abbia adottato il giallo perché è strumento di sicure vendite, mentre la scrittura intimista ha molta più difficoltà ad emergere, almeno a livello di successo commerciale. Infatti quello che mi è piaciuto di più è il contorno, i personaggi, l’ambientazione provinciale, mentre la storia gialla è molto inverosimile e inoltre marginale. Non mi pare che si possa proporre un investigatore che per vent’anni ha cercato l’assassino e torturatore della moglie e poi, una volta trovato, condivide con lui un calice di vino buono. Molti libri gialli sono libri nei quali parla l’ambiente, però una conclusione ragionevole è richiesta. Inoltre, mi sembra che Fenoglio dovrebbe essere lasciato sul suo altare, considerando quello che ha dato alla letteratura: questo è un prodotto commerciale, basta inquadrarlo per quello che è.
La terza stella è arrivata perché la scrittura di Davide Longo è come la crema pasticcera tiepida alla vaniglia. È così vellutata che per un effetto sinestetico la senti in bocca mentre leggi. Le altre due stelle invece sono per la scelta di rendere troppo ellittico il romanzo. Si è smembrato nel volgere delle pagine. I non detti sono diventati documenti strappati dai quali ricavare un senso e i non visti una sfida alle diottrie mentali del lettore. Consiglierei questo libro solo perché Davide scrive davvero ma davvero bene. Meraviglioso. Del caso, del thriller, della storia, fregatene.
Come dice Baricco, ben più attendibile di me, in Davide Longo troviamo un giallista letterato. Uno scrittore come ce ne sono pochi (lo stesso Baricco lo è), di quelli che scelgono le descrizioni giuste, dipingendole nel contesto con grazia e armonia. Come una torta panna e cioccolato - per chi ama il connubio - dove la leggera pastosità della panna montata incontra l’amarognolo delizioso del cioccolato fondente. Una goduria. Solo che qui il piacere perdura, dall’inizio alla fine della storia, frase dopo frase, con repentini ritorni per rileggere un passaggio particolarmente deliziante. È decisamente un giallo, questo romanzo, caratterizzato da un ex-commissario abbattuto dai lutti, immerso nel dolore, eppure attivo nella ricerca di un assassino. Silenzioso, musone, solitario, affascinante: non uno di compagnia. Non solo la storia procede impeccabile e tesa, non solo i personaggi si fanno subito amare: il bello è che te la gusti, la storia, nel susseguirsi di parole che costruiscono amorevolmente un paesaggio tagliato nella roccia. Uno scrittore da approfondire.
2023 Riletto
Ebbene sì, l’ho già riletto, nonostante ricordassi ancora bene l’ex Commissario Bramard e il suo sostituto Arcadipane. Perché assaporarne di nuovo l’aria, lo stile, i silenzi, fa bene alla mente stanca. Ora riprenderò in mano le altre storie, In attesa che Davide Longo si decida a proseguire nei racconti.
Lettura faticosa: episodi scollegati, trama debole e prevedibile. Manca totalmente l'ironia di uno Schiavone o di un Monterossi (al quale viene tra l'altro copiata l'idea del Dylan di Robecchi: qui viene citato Cohen, peraltro senza molto senso). Il personaggio principale che dà il nome al romanzo non riesce ad essere empatico in un succedersi di fatti che restano in embrione e non vengono sviluppati, fino ad un finale incomprensibile. Speriamo che i 2 successivi romanzi della triade migliorino il giudizio che per ora rimane largamente deficitario. Inutile.
Il caso Bramard di Davide Longo è il primo romanzo di una trilogia noir ambientata in Piemonte, tra le colline del Roero e le montagne torinesi. Piacevolissima scoperta di un poliziesco che mescola atmosfere cupe, introspezione e indagine. Affascinante e ben scritto, cattura più per le vicende personali che per la ricerca della verità. C'è quel che di cupo, malinconico, silenzioso che non ha bisogno di troppe parole, si gusta come un intenso e introspettivo calice di vino rosso (viva i nebbioli ovviamente) mentre fuori il paesaggio si copre di una densa e umida nebbia autunnale e la voce di Cohen scalda il cuore come una morbida copertina di lana.
Sto già degustando il secondo libro... c'è quella necessità di sapere come se la cavano ora Bramard e Arcadipane e di tornare nella nebbia.
Sul finale pensavo di avere un libro difettoso in cui mancavano alcuni capitoli. Invece non è un difetto, ma un taglio voluto che io non ho gradito. Inoltre mi è sembrato fin dall'inizio di leggere le trame di altri libri o telefilm. Salvo soltanto la citazione del delle belle addormentate di Kawabata
Schon ganz lange schleiche ich um Davide Longo und seine Bücher herum. Ich weiß nicht, warum genau, vermute aber, dass es etwas mit der Aufmachung des Covers oder dem Klappentext zu tun hat, dass ich ihn die Schublade “Regionalkrimi – außerhalb Deutschlands” gepackt habe, so �� la Provence-Krimi oder so. Nur eben in Italien, also eigentlich im Piemont (für mich Geo-Idioten klingt das ja auch noch ähnlich). Und ja, ich habe Schubladen. Die hat jeder – es gibt nur nicht jeder zu. Und manchmal muss man die Schubladen eben mit Gewalt zuschlagen und seinen innneren Schweinehund, der ständig diese Schubladen anlegt und öffnet, überwinden. Und wie immer muss ich mich ein wenig ärgern, wenn ich so lange brauche, um eine Schublade zu schließen, denn hätte ich mich dazu schon früher überwunden, hätte ich das Leseerlebnis ja schon viel früher gehabt, nicht? So, genug zu meinen wirren Gehirnwindungen, jetzt zum Buch.
Vor zwanzig Jahren war Corso Bramard Kommissar und verfolgte den Serienmörder Autunnale. Als der Mörder dann Bramards Frau getötet hat und seine Tochter verschwindet, wird er untragbar für den Polizeidienst und scheidet aus. Heute lebt er in seinem einstigen Elternhaus, in einem der schönsten Dörfer Italiens, gibt einige Stunden Unterricht an einer Schule. Er ist ein schweigsamer Mann, am liebsten klettert er auf die umliegenden Berge und genießt die Einsamkeit. Nur wenige Freunde hat er im Dorf. Wie jedes Jahr erhält er auch jetzt einen Brief vom Mörder mit einer Strophe eines Leonard Cohen Songs. Diesmal ist allerdings ein Haar enthalten. Ein Haar des ersten Opfers. Des einzigen Opfers, welches Autunnale überlebt hat.
Ich kann mir gut vorstellen, dass das Buch viele “Mainstream”-Leser anzieht (so wie es mich eher abgeschreckt hat) und dann enttäuscht. Das Stichwort Serienmörder hat quasi eine magische Wirkung auf viele Krimileser. Davide Longo macht es seinen Lesern nicht einfach, denn sein Stil ist gewöhnungsbedürftig, aber dabei höchst literarisch. Der Autor gibt nicht alles preis, vieles muss man als Leser hinein interpretieren. Wäre im Klappentext nicht das Schicksal seiner Frau und Tochter beschrieben, man würde es im Buch erst spät mitbekommen. Der Fall eröffnet sich nur langsam, viel mehr Platz bekommt die Landschaft, das Dorf, Bramard selbst aber auch die Dorfbewohner. Es ist eine Skizze Italiens, so wie man es nicht kennt. Melancholisch, schweigsam, düster – etwas, dass man nur langsam öffnen kann und Geduld beweisen muss, um dann am Ende umgehauen zu werden.
Bramard ist ein gebrochener Mann, kriegt sein Leben aber nach einem tiefen Fall wieder einigermaßen auf die Reihe. Freunde hat er nur dediziert, überhaupt würde ich nur Cesare so bezeichnen, einen alten Mann aus dem Dorf, der ihn sein lässt, wie er will. Als nun das Haar im Brief auftaucht, zieht Bramard Arcadipane hinzu, seinen Nachfolger bei der Kriminalpolizei. Bramard war einst sein Vorgesetzter, doch nun ist er auf Arcadipanes Gutmütigkeit angewiesen. Die Wahrscheinlichkeit, einen Fall nach 20 Jahren zu lösen, tendiert gegen Null, doch Bramard kennt den Täter nicht als nachlässig, so muss es einen Grund haben, dass das Haar sich im Umschlag befindet. Arcadipane stellt ihm die junge Isa zur Seite, eine sehr gute Polizistin, die allerdings Schwierigkeiten hat, sich in das Team der Polizei einzufügen. Überhaupt hat sie Probleme mit dem Wörtchen “einfügen”. Und zudem erinnert sie ein wenig an Lisbeth Salander, was Davide Longo aber gerne zugibt und im Text als Isa gleich mal erwähnt, um den Vergleich dann abzulehnen.
Auch der Täter, Autunnale, darf im Buch immer wieder zu Wort kommen und man verfolgt seine Vorbereitungen zum Finale. Das ist allerdings weit weniger actionreich als man vermuten möchte, allerdings durchaus der letzte Stoß, um Bramard zu zerbrechen. Ob es dazu kommt, bleibt offen, doch natürlich unterstreicht das, wie perfide der Täter seine Taten geplant hat, wie akribisch er Bramard in seine Vorstellungen eingebaut hat und offenbart seine Vorgehensweise endgültig. Doch auch hier weniger reisserisch als vermutet, fast schon quälend offen und mit viel Interpretation vom Leser auszufüllen. Davide Longo macht es seinen Lesern nicht einfach, er lässt sie knobeln und nachdenken, dies allerdings erzählerisch grandios verpackt.
Italien ist für mich literatisches Neuland – Donna Leon habe ich nie gelesen und spontan ist sie schon die einzige italienische Krimischriftstellerin, die mir einfällt. Davide Longo hat es aber mit diesem Buch geschafft, auf meiner Liste ganz nach vorne zu preschen. Wie gut, dass ich zu Weihnachten “Der aufrechte Mann” erhalten habe. Zwar gehört dieser Titel nicht in die Bramard Reihe, aber die literarische Qualität erwarte ich natürlich auch hier – zusammen mit einem spannenend Blick in die Zukunft Italiens! Davide Longo sollte man auf jeden Fall im Auge behalten!
Fazit: Ganz sicher nichts für die Masse, aber wirklich feine Erzählkunst, gestrickt um einen gebrochenen Kommissar und einen lebenslangen Fall. Grandios!
Una buona prosa, a tratti involuta; purtroppo, la vicenda si conclude troppo bruscamente e quasi "per caso", lasciando l'impressione di aver perso il filo della trama. Il personaggio del commissario Arcadipane qui è secondario ma, a differenza degli altri, mi è parso delineato in modo soddisfacente. Recensione di Baricco abbastanza fuorviante e che genera aspettative eccessive.
Finalizada. Por momentos me pareció muy buena. Por momentos me pareció un truño confuso. Creo que leeré la siguiente para declinar la balanza. Nota 3/5. FIN.
Ne ho letto più della metà come una forsennata, apprezzandone l'ambientazione rustica e nostrana e la ruvidezza del protagonista, Corso Bramand, ma quando l'ho ripreso in mano è come se la magia fosse andata a disperdersi. Che strano. Resto perplessa. La prosa è lodevole, limpida, fluida, accurata. Corso Bramand è un uomo ossessionato da un fatto di sangue avvenuto nel suo passato, quando lavorava come agente di polizia: l'uccisione della moglie e della figlioletta da parte di un killer che già aveva seviziato e ucciso altre giovani donne. Talmente ossessionato che aveva dismesso i panni del poliziotto e indossato quelli dell'insegnante. Ma, com'è prevedibile, il passato ritorna. E a Corso arriva una lettera con una ciocca di capelli che rimanderebbe alla prima vittima del killer. Quindi resta insegnante ma al contempo riprende a indagare, ossessionato, cieco, furioso, instancabile. Il tormento del protagonista emerge in maniera evidente, tra le pagine, attraverso le sue azioni ruvide e brutali e attraverso il suo rapporto, che pare complesso e anaffettivo, con gli altri personaggi, tra cui l'ex collega Arcadipane. E le pagine si leggono e si leggono con avidità e curiosità. La trama, però, si sgretola ben presto e alla fine restano tanti dubbi e poca sorpresa. Leggo che Davide Longo insegna scrittura presso la Scuola Holden e non me ne stupisco, perchè, ripeto, la prosa è meritevole...la storia, tuttavia, che in un romanzo di questo genere non può essere relegata sullo sfondo, andava curata maggiormente. Leggerò gli altri suoi romanzi? Non lo so.
Il libro è bello, di Longo ne ho letti altri due con protagonisti Bramard e Arcadipane, e quindi parto da quello che secondo me è un difetto: sono forse un po' troppo collegati. Le vicende personali di commissario ed ex commissario sono il filo che li tiene insieme. Io sono partito da "La vita paga al Sabato" e poi sono tornato alle origini con "Il caso Bramard". Intendiamoci, la lettura è comunque ottima e la questione va sul piano del gusto personale, ma è una cosa che io trovo un po' fastidiosa. Longo ha letto probabilmente moltissimo Fenoglio e moltissimo Simenon (tra gli altri, si capisce), con il personaggio di Arcadipane strizza l'occhio ad autori come Manzini, è bravissimo a scrivere e il risultato è davvero buono. Solo che mischiare una scrittura che a tratti riecheggia davvero tanto quella di due grandissimi artisti con una logica troppo marcata "da serie" mi pare banalizzi un poco il risultato finale. Comunque autore davvero bravo, il migliore "giallo" italiano, tra gli ultimi che ho letto. Per scrittura anni luce migliore degli altri.
No me ha gustado el estilo. No puedo decir que sea mala novela, la verdad, porque en cierto modo me ha enganchado, pero no soporto los libros crípticos, hechos de silencios más que de palabras, donde la trama queda, en algunos puntos, pendiente de que tú ates ciertos cabos.
No es una novela policíaca al uso porque Corso Bramard ya no es policía, sino profesor, pero vive pendiente de unas cartas que recibe periódicamente del asesino que le arrebató a su mujer e hija. Un desliz en la última carta reabrirá, de manera oficiosa, la investigación, y Corso, con la ayuda de un antiguo compañero y otra policía marginal, tratará de buscar nuevas evidencias que le ayuden a continuar avanzando en una investigación que lleva 25 años en suspenso.
Es una historia que me parece que tiene mucho potencial, pero en una novela tan corta y críptica se queda en decepción. Tengo la siguiente novela en la recámara, que seguramente lea por ver cómo sigue el asunto... espero que me resarza un poco. Nota: 5/10.
Bello, bello, bello. È il primo libro della serie Arcadipane e Bramard anche se qui il protagonista è Bramard. La scrittura di Longo è molto particolare ma coinvolgente e non riesci a smettere di leggere. Trama noir e ritmo incalzante. Il migliore dei tre libri. L’edizione Einaudi Stile Libero BIG è del 2021 mentre l’originale Feltrinelli del 2014.