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Ci chiamavano matti: Voci dal manicomio

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Dagli ospedali psichiatrici di Gorizia e di Arezzo si leva una voce, un coro, quasi un sono le parole dei pazienti ricoverati, dei “matti”. È il racconto dell’oppressione e della violenza che quelle donne e quegli uomini, resi invisibili al mondo esterno, subivano quotidianamente ai tempi dell’elettroshock e della lobotomia, prima di Basaglia e delle sue riforme. Anna Maria Bruzzone, che di Basaglia fu collaboratrice, intervistò i malati e trascrisse i colloqui, per raccontare la vita nei manicomi, le storie, il dolore, le il Saggiatore riporta in libreria quelle preziose testimonianze, in una nuova edizione accresciuta di moltissimi materiali inediti. Ci chiamavano matti è una grande storia corale della malattia mentale e della povertà, della miseria da cui i malati provenivano, e del tentativo di nasconderli agli occhi dei “sani”. È il vivo grido di dolore degli emarginati, prima che le porte si aprissero e si tornasse a considerarli, semplicemente, umani.

450 pages, Kindle Edition

First published January 1, 1979

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Anna Maria Bruzzone

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Displaying 1 - 4 of 4 reviews
Profile Image for Fede La Lettrice.
836 reviews86 followers
November 20, 2023
Voto: 3&mezzo

• Gli anni '60 e ’70 in Italia vedono l'inizio della deistituzionalizzazione della psichiatria, processo lungo e travagliato e ancora lontano dalla sua conclusione. Bruzzone riporta in questo libro-documento le interviste fatte nel 1968 ai pazienti del manicomio di Gorizia allora diretto da Franco Basaglia e di Arezzo nel 1977 sotto la direzione di Agostino Pirella.
• Le voci degli internati non solo mostrano quella fase delicata di transizione tra il manicomio tradizionale e quello aperto ma sono anche testimonianza della storia dell’Italia tra l'avvento del fascismo e il secondo dopoguerra.
• In molte interviste è evidente la soddisfazione dei pazienti per tutte le novità e le libertà inserite dopo Basaglia, il fatto di avere finalmente voce e di essere trattati da esseri umani. Augusto M. "C’è una differenza enorme tra l’ospedale prima e dopo l’attuale direttore. Prima la vita si svolgeva tra il soggiorno, il corridoio, la stanza da letto; ora possiamo uscire nel parco e ottenere permessi per andare a casa. C’erano gabbie, si usavano camicie di forza, e nel giardino si era legati agli alberi". Giuseppe B. "Scriva che qui è sparito il paternalismo: quello che si fa è per solidarietà umana, non per carità cristiana. Non subiamo umiliazioni, che possono anche far morire. Un tozzo di pane dato per carità non si può inghiottire".
• Un timore ricorrente è l'instabilità della nuova situazione: Valburga C. "Se Basaglia andasse via, sarebbe un dispiacere enorme. Se mettessero di nuovo i recinti, si cadrebbe nella più grande disperazione. Ma non credo che avvenga. Le autorità dovrebbero essere d’accordo con Basaglia, ma noi malati non potremmo far niente, uno che è qui non può lottare, è già stanco di lottare". Maria C. "Non saremo mai più chiusi. Guai. Speriamo che non ci capiti. Non so cosa potremmo fare se un altro direttore volesse chiudere; potremmo dire tutte che non si deve chiudere».
• La prospettiva di uscire con le difficoltà economiche, con la paura del rifiuto da parte della società e la possibile solitudine fanno montare nei pazienti una sensazione mista di voglia di riprendersi la vita e di rassegnazione alla attuale situazione.
• Lucio "Uno dei motivi principali per cui i dottori tengono dentro i malati è la paura, perché se viene un malato in crisi, va bene?, quando lo fanno uscire lo devono fare uscire con l’assicurazione che é guarito e che la crisi non ci sarà: e se, putacaso, gli riviene la crisi oppure se anche combina qualche cosa, insomma, perché può anche tirare un piatto in testa a qualcuno, eh la colpa è del dottore, va bene? E allora va cosi, che quando entrano qui é l’interesse del dottore farli stare qui, farli stare qui in modo che finché li cura il dottore, sta sempre a posto; se invece li fa uscire, corre rischi, e tra lo stare a posto e il correre rischi gli conviene lo stare a posto. È per questo che gli ospedali s’affollano eccetera, ha capito? Perché una vera sicurezza, il dottore, che una volta uscito l’ammalato non gli prende più niente, una volta che è rimesso in quell’ambiente familiare, è difficile che ce l’abbia, va bene? Perciò per farli uscire ci vuole il coraggio, ci vuole praticamente coraggio perché una garanzia proprio che un malato di mente è guarito, e come fanno?, ha voglia a studiar la mente, non ce l’hanno mai, va bene? E perciò ci vuole il coraggio di sdrammatizzare la questione, dire: “Questo non é pericoloso per sé e per gli altri e… insomma, anche se ha qualche crisi, insomma, pazienza, non succede niente, va bene?”. Ci vuole un coraggio di questo genere. “O se succede è una cosa come succede anche a quelli di fuori…” E farli uscire è un rischio, capito?"
Profile Image for Come Musica.
2,065 reviews629 followers
September 29, 2022
Anna Maria Bruzzone ha fatto un potente lavoro di raccolta documentale, registrando e trascrivendo le voci di chi ha vissuto rinchiuso nei manicomi.

“Ci chiamavano matti”, ma poi erano storie di povertà, di solitudine profonda, di ignoranza.

La scelta di pubblicare questa nuova edizione del volume pubblicato da Einaudi nel 1979, nasce a un anno dalla morte di Anna Maria Bruzzone avvenuta nel 2015.
Due i luoghi attorno a cui si snoda la narrazione: l’Ospedale psichiatrico di Gorizia e il Colle del Pionta di Arezzo.

Le curatrici, Marica Setaro e Silvia Calamai, scrivono nella premessa: “È stata Paola Chiama, la nipote di Anna Maria Bruzzone, a fornirci generosamente le chiavi per aprire uno scrigno, scrupolosamente conservato negli anni. E così le pagine di Ci chiamavano matti, che fino a quel momento erano servite da bussola e mappa, si trasformavano in grandi scatole di cartone, colorate da losanghe e richiami floreali, all’interno delle quali erano riposte in bell’ordine tutte le audiocassette con le interviste aretine. Sui dorsi delle custodie erano stati appuntati a penna i nomi delle voci femminili e maschili registrate, così come erano molto puntuali le descrizioni dei contenuti che ogni lato delle cassette conservava. Ma non bastava. Paola Chiama apriva altre scatole e, mentre mostrava i quaderni delle trascrizioni manoscritte e dattiloscritte, ci introduceva in quella che era stata un’officina operosa dove saltavano agli occhi, attraverso il tratto pulito della grafia di Bruzzone, i nomi delle deportate e delle partigiane intervistate negli anni: Giuliana Tedeschi, Lidia Beccaria Rolfi, Tersilla Fenoglio, solo per citarne alcune.”

Quanta tenerezza ho provato durante l’audiolettura di questo libro.
La malattia mentale fa paura.
Ma quanta sofferenza si nasconde nelle profondità di chi perde il senno. Anna Maria Bruzzone ci invita ad andare oltre le paure. A non emarginare, aggiungendo sofferenza ad altra sofferenza. Ci invita ad ascoltare queste storie, senza giudicare. Ci invita a riscoprire la nostra umanità.
Profile Image for Valitza.
157 reviews3 followers
October 30, 2022
Matti, ci chiamavano matti, ma noi non eravamo matti, noi eravamo seri.
Elvira

E invece mi scansano, perché son vestito piuttosto male e poi parlo anche molto male, ma ci sono anche peggio di me che parlan fuori eh, han fatto un quadrato intorno a noi, c'è niente da fare, ti scansano, non ti parlano mica, ti scansano e ti mettono accantonato come dei panni sporchi, i panni sporchi si buttano là, e così noi, come spazzatura.
Bruno.

Anna Maria Bruzzone ha fatto un lavoro importantissimo di interviste, al manicomio di Gorizia e a quello di Arezzo, subito dopo l'arrivo di Basaglia.
Il libro è strutturato come una serie di parole con pochissima spiegazione, piano piano entri nel mondo del manicomio, di come tantissimi fossero internati perché orfani, o poveri, o donne con forme di depressione post partum, epilettici, tutte persone completamente abbandonate dalle proprie famiglie, del tutto sole. Parlano di come i medici, infermieri, suore, mettessero in pratica il proprio lavoro usando una violenza inaudita e una negazione completa della persona. Praticamente tutti dicono a loro modo che se non sei matto, ci diventi per forza, anni interi chiusi in una camera, nudi, legati, oppure decine e decine di persone in piedi in stanze minuscole senza fare nulla, tecniche come il cravattino, la maschera, l elettroshock.
Tutti ringraziano la libertà della nuova linea, ma denunciano anche un impossibile inserimento nella società che disdegna i matti, matti che per di più sono delle povere persone senza famiglia, malate, o solo tanto tristi e sole.
85 reviews1 follower
March 30, 2025
Interviste ai degenti dei manicomi di Gorizia e Arezzo dopo Basaglia e Pirella. In entrambe le parti in cui è suddiviso il libro si può notare la sofferenza e il modo in cui parlano del cambiamento in atto con l'apertura dei reparti. Mi ha stupito la lucidità con cui parlano dell'esterno e della necessità di un cambiamento culturale e non solo di apertura fisica dei cancelli. Sembra quasi di sentire le loro voci. Molto utili gli approfondimenti in appendice delle curatrici. Per interesse personale avrei voluto si soffermassero più a lungo sull'aspetto statistico.
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