En 1925, una figura de camisa negra y gesto arrogante comienza a ocupar todos los intersticios de la vida pública italiana. Benito Mussolini, una vez que se ha convertido en el presidente del Consejo más joven de la historia de Italia, se prepara para el siguiente paso del proyecto fascista: fundir su nombre con el de su propio país. Pero la senda del autoritarismo no es sencilla: luchas internas en el partido, durísimas batallas parlamentarias, la amenaza revolucionaria, la necesidad de expandirse territorialmente, una turbulenta vida personal y palaciega, intentos de asesinato y la nueva relación con un joven Herr Hitler, cada vez más popular. Todo para que Mussolini, fascismo e Italia sean uno. Este proceso irá tomando cuerpo hasta que, en 1932, se cumpla una década de la marcha sobre Roma. Pero no hay tiempo para mirar atrás, el futuro parece encerrar una promesa brillante para el fascismo.
Docente e ricercatore all'Università Statale di Bergamo, coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Sempre presso l'Università Statale di Bergamo insegna Teorie e tecniche del linguaggio televisivo. Nel 2005 Scurati diviene Ricercatore in Cinema, Fotografia, Televisione. Nel 2008 si trasferisce alla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, dove svolge l'attività di ricercatore e docente titolare nell'ambito del Laboratorio di Scrittura Creativa e del Laboratorio di Oralità e Retorica.
Ancor più aneddotico del primo. Meno intenso e teso dal punto di vista narrativo. La disputa sul tema “è un romanzo o no?” mi pare un esercizio vacuo. Romanza fatti storici frantumandoli in narrazioni ad episodi attorno ad alcuni fili conduttori centrali. In questo caso Turati, la guerra libica, il fascismo milanese e altri minori. Chi cercasse il rigore strutturale e stilistico del romanzo di qualità o il rigore accademico di un saggio di storia avrebbe sbagliato libro. Scurati d’altronde non è di sicuro uno storico e nemmeno un grande scrittore (comunque non mi è mai piaciuto). Qui però ha azzeccato l’architettura e la tonalità della narrazione; ha fatto un gran lavoro di documentazione e di selezione ed ha una posizione davanti ai personaggi ed ai fatti che racconta assolutamente condivisibile.
Bella la parte di Turati (Augusto, non il Turati buono). Non regge il confronto con quella di Matteotti del primo volume, ma fa scoprire un bel personaggio in chiaroscuro, che sta ai margini della storiografia “seria”. Un po’ pallosa, ma anche coraggiosa la parte “libica”, con la denuncia degli orrori da operetta (che non significa meno orribili, anzi) del colonialismo italiano. Segnalo i capitoletti in cui ci sono Edda e Galeazzo Ciano. Mi sono parsi di godibilitá assoluta. Il ritrattino di presentazione di lui in particolare é un cammeo. Ma anche quello di lei (gran personaggio letterario di suo, d’altronde) e le scene dal matrimonio (con il pollaio e l’orto di donna Rachele a Villa Torlonia) sono notevoli.
Il pregio maggiore, ancor più accentuato che nel primo, é quello di far uscir fuori molto bene l’aspetto eticamente ignobile, cialtronesco, umanamente inaffidabile dell’uomo Mussolini. Altrettanto vale per la miseria umana del pezzo d’Italia che fu lo scheletro ed il motore muscolare del fascismo. La sua attualità sta nel fatto, per dirla con un elegante francesismo, che i pezzi di merda si somigliano in tutte le epoche della storia. Basta affiancare i ritratti. Può quindi svolgere bene una funzione di didattica antifascista minima forse essenziale in questo tempo. Anche perché si legge con una leggerezza tossica, con un piacere sproporzionato al suo valore. Pure questo è un merito in fondo. A saperlo sceneggiare ed interpretare sarebbe uno splendido materiale per una serie tv. Infatti pare che ci stiano lavorando.
Post P.S.) A qualche anno di distanza da commento e libro, esce questo articolo, a recensire un saggio di Enzo Traverso (La tirannide dell’Io). Si parla di un certo modo di raccontare la storia. Mi pare c’entri molto con i “Mussolini” di Scurati.
Il secondo volume dell'opera monumentale con cui Scurati si è prefissato d'immergersi integralmente nei remoti abissi della mente di Mussolini onde farci sentire la roboante eco che tanta deserta vastità cranica può produrre non è, per mole d'informazioni presentate, inferiore al primo. Vi è, semmai, una minor tensione narrativa. Il figlio del secolo era stato capace di avvincermi maggiormente, del resto, gli avvenimenti trattati erano tali da far torcere le budella a chiunque abbia ancora in petto un cuore che palpiti in nome della libertà.
Ne L'Uomo della Provvidenza il misfatto è ormai compiuto e anche se, più che per i limitati meriti personali del protagonista, come spesso capita in questi frangenti, il tutto è stato reso possibile principalmente dall'inadeguatezza dei suoi avversari, ovvero dal suicidio collettivo dell'intera classe politica liberal-democratica del Paese, il risultato non cambia.
Il consenso è certamente rassicurante da vivere per i conformisti, ma assai sconfortante da leggere: la misera fine dell'inutile Aventino, le botte, le retate, le morti, le incarcerazioni e le fughe all'estero dei pochi oppositori superstiti, le ridicole sedute notturne del Gran Consiglio, i quattro attentati falliti nel giro di un anno e il conseguente inasprimento della stretta liberticida con l'emanazione delle leggi fascistissime e l'avvio del totalitarismo, la cacciata dalla Camera degli ultimi deputati non irregimentati, ma pure l'allontanamento dei più facinorosi fra i fascisti della prima ora per togliersi di dosso il puzzo di sangue e inscenare una posa di rassicurante rispettabilità; il delirante discorso dell'ascensione, l'istituzione di uno Stato di polizia allo scopo di conoscere e schedare anche i più intimi segreti di tutti gli italiani (altissime sfere comprese) e la conseguente creazione dell'OVRA; la reintroduzione della pena di morte, che era stata abolita da Zanardelli nel 1889; la fine delle libere elezioni e di ogni rappresentanza democratica, accompagnata, come una soffocata salmodia, dall'ultimo discorso parlamentare di Giovanni Giolitti, vecchio leone ormai sdentato che si rifiuta -lui, il campione del trasformismo, l'uomo delle riforme sociali, del suffragio universale, del primo boom economico, ma pure della guerra di Libia e del sostegno iniziale al fascismo, l'unico presidente del consiglio ad aver dato il proprio nome a un'epoca intera, proprio lui, che da ragazzo aveva ascoltato la viva voce di Cavour infervorarsi discorrendo del sogno d'una futura unità italiana e ora da ottuagenario ascolta Mussolini sbraitare di nefasti incubi imperiali- si rifiuta di appoggiare l'ennesimo scempio della carta costituzionale, denunciando tardivamente e mestamente l'inganno fascista, in un ultimo tenue lamento inascoltato della liberaldemocrazia; il re che firma tutto e tace, ad eccezione d'una proposta di legge ripetutamente sottopostagli negli anni che prevede di affiancare il fascio littorio allo stemma crociato sulla bandiera e sempre puntualmente respinta -perché va bene tutto, bruciate pure lo Statuto del bisnonno, ma lo stemma dei Savoia è sacro!-; i disastri economici, a partire dalla rivalutazione forzosa della Lira e l'inevitabile aumento del caro vita; i disumani campi di concentramento libici e gli sterminî di Graziani in Tripolitania e Cirenaica per stroncare ogni resistenza indigena, la conquista del Fezzan, gli attacchi aerei contro carovane di donne e bambini in fuga, le menzogne di Badoglio e le sue responsabilità nell'uso dell'iprite, la cattura e l’esecuzione di Omar al-Mukhtar; ma pure i Patti Lateranensi, gli elogi di Churchill e il plauso degli Stati Uniti, che vedono nel fascismo l'argine più saldo al dilagare del bolscevismo; per giungere infine al 1932, l'apice del consenso, il decennale della marcia su Roma celebrato in pompa magna con l'imponente mostra della rivoluzione fascista a cui fa da sfondo una capitale sventrata dalle nuove devastazioni urbanistiche.
In meno di dieci anni Mussolini ha surrettiziamente divorato ogni rappresentanza democratica, abolito ogni libertà costituzionale, assoggettato la fede cattolica ed eroso fino al suo scheletro il potere monarchico. Ogni aspetto della vita del popolo è ormai fascistizzato. L'Italia intera è fascista. Il demiurgo può dirsi soddisfatto e lanciare se stesso e il Paese verso nuove conquiste: gli allori imperiali attendono solo una mano tanto ardita da coglierli.
Leggendo questo secondo romanzo documentario -definirlo romanzo storico sarebbe improprio, giacché Scurati ha volutamente rinunciato a ogni elemento romanzesco e a qualsiasi imbellettamento romanzato, ad eccezione d'un guizzo solingo nel finale- ho percepito, come altri lettori prima di me, un'aderenza ancor più stringente alle carte della Storia. Le intenzioni veridiche dello scrittore si fanno vieppiù maniacali, tant’è che le fonti riportate al termine di ogni capitolo e che ribadiscono parola per parola il contenuto dei paragrafi che le hanno precedute potrebbero apparire quasi ridondanti, se non fossero necessarie ad avvalorare l'autorevolezza del lavoro svolto da Scurati anche agli occhi degli ignoranti. Li chiamo ignoranti non per spocchia, ma perché è l'epiteto più garbato di cui disponga per definire i cittadini di una democrazia che non (ri)conoscono le nequizie della pregressa dittatura liberticida che portò alla rovina il loro stesso Paese, segnando il punto più truce e vergognoso della nostra Storia; anche se suppongo che se su costoro nulla poterono gli insegnamenti della scuola dell'obbligo, a ben poco varranno i miseri stralci d'archivio in calce ai capitoli del romanzo. Quando si è refrattari alla verità, il sacro fuoco della conoscenza non si propagherà mai, neanche usando un lanciafiamme.
Eppure l'opera di Scurati è ugualmente meritoria, perché mostra in purezza cosa fu la dittatura totalitaria fascista, tanto nella sua gaglioffa cialtroneria, quanto, e soprattutto, nella sua efferata violenza, quella di un regime fondato sull'omicidio come arma politica; dimostrando come basti veramente un attimo di distrazione, una manciata di mesi, per sprofondare nel baratro antidemocratico.
Noi, figli della lunga pace democratica, ci siamo addormentati convinti che la libertà e la democrazia fossero due traguardi inalienabili, per risvegliarci in un tetro Occidente in cui nuove forze, non fasciste, ma dalla mentalità non dissimile, arse da imperialismi e nazionalismi nutriti da quel razzismo, quell'odio, quell'illiberalità autoritaria e quella sete di dominio che credevamo ormai estinti per sempre, stanno di nuovo minando i principî su cui si fondano le nostre libertà.
Le democrazie occidentali, che negli ultimi decenni hanno colpevolmente dimenticato la loro promessa di giungere a una vera giustizia sociale, mancando e tradendo il loro fine ultimo, oggi stanno crollando di fronte a queste nuove forze liberticide; l'unico baluardo rimasto siamo noi. Se non vogliamo rinunciare alla democrazia, è il nostro impegno, la partecipazione di tutti coloro che credono ancora nella libertà, a non dover più mancare, perché, come canta Giorgio Gaber, La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.
La recensione finisce qui, anzi, sarebbe finita un paragrafo più in su; in virtù di quanto ho testé scritto sento, tuttavia, la necessità di aggiungere un’ultima riflessione: oggi è una ricorrenza fondamentale per la nostra democrazia, l'ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, festa della riunificazione nazionale, resa possibile anche grazie al contributo della Resistenza, ovvero di donne e uomini di ogni credo politico che ambivano vivere liberi in un'Italia democratica. Anche se le loro azioni di guerriglia non furono decisive alla sconfitta militare dell'Asse, il loro impegno fu però determinante per tutti gli italiani, che grazie alla lotta partigiana e al CLN furono gli unici, fra i popoli delle nazioni sconfitte, che si guadagnarono la libertà di scriversi da soli una Costituzione, senza le ingerenze straniere che gli Alleati imposero, invece, ai tedeschi e ai giapponesi.
La festa odierna, però, non si farà col fasto che avrebbe meritato e che ci saremmo meritati; le bandiere resteranno a mezz'asta e molte delle solenni cerimonie che le istituzioni pubbliche avevano in programma sono state soppresse, specialmente quelle diffuse sul territorio, a cominciare dal declassamento di tutte le manifestazioni culturali promosse dagli Archivi di Stato, preziosi scrigni della nostra Storia e baluardo della nostra Memoria, adducendo come motivazione un inaudito pretesto senza precedenti. A molte persone tutto ciò potrebbe apparire un'inezia a paragone dei gravi problemi che attanagliano il Paese, l'Europa e il Mondo, e costoro avrebbero ragione.
Tuttavia, se c’è una cosa che la rappresentazione del comune sentire degli italiani di cent'anni fa di fronte all'avanzare dell’onda nera mirabilmente descritta da Scurati in questi tomi può e deve insegnarci, è che i più riusciti maneggi dei regimi autoritari e antidemocratici volti a sofisticare l'opinione generale di un popolo per assoggettarla al proprio volere si celano proprio dietro alle inezie, alle minuzie, ai cavilli, ai chesaràmai; perché è attraverso il rapido e costante susseguirsi di cambiamenti impercettibili che si arriva in una manciata d'anni e nel silenzio generale ad alterare irrimediabilmente i principî fondanti di uno Stato. È già successo in passato, tutto ci porta a credere che possa succedere ancora, spetta a noi cittadini impedirlo, esercitando un impegno costante e concreto in difesa dei valori della democrazia propugnati dalla nostra Costituzione.
In tempi di crisi gli uomini non chiedono di essere propagandati ma comandati
M2 è meno romanzesco di M1, il Duce non parla più in prima persona, i capitoli sono spesso il riassunto dei documenti e dei dispacci che poi vengono menzionati puntualmente in calce ai capitoli stessi. In M1 i documenti erano corroboranti alla narrazione, in questo secondo volume sono parafrasati in porzioni significative di testo. Il gran lavoro di raccolta e coordinamento delle fonti continua a caratterizzare l'opera di Scurati sul dittatore. M diventa l'uomo della provvidenza dopo esser sfuggito a cinque attentati e aver siglato l'accordo (successivo a trattative segrete) fra stato e chiesa nel palazzo del Laterano. Forse proprio agli attentatori sono riservati i profili più romanzeschi del libro. In M2 si narrano gli avvenimenti dal 1925 al 1932 e si chiude con i festeggiamenti per il decennale della marcia su Roma. L'uomo della provvidenza dice di avere un compito e sente che non morirà prima di averlo compiuto. La retorica fascista e la cialtroneria si mescolano e danno vita ad emanazioni che sarebbero comiche se non si fossero rivelate tragiche per migliaia di individui (*1). Quando non si può ridere della buffonata perché chi la propugna la prende tremendamente sul serio, c’è da preoccuparsi parecchio. È probabile che se inizierete a leggere gli M, proseguirete, o almeno a me è successo così. Trovo corretta la strategia di dilazionare l'uscita dei libri, fosse già in commercio non mi dedicherei a M3 adesso, così come non mi sarei dedicato a M2 a ridosso del primo volume. Scurati ha trovato la formula giusta per farci confrontare con il ventennio, formula che ha ribadito anche in questo secondo volume scrivendo che “Il tempo si umanizza solo entrando in un racconto, veritiero, ma pur sempre un racconto”
(*1) Mi hanno colpito per esempio la storia dell'acronimo/non acronimo OVRA (La trovate anche su Wikipedia, io non la conoscevo) nonché i soprannomi da wrestler affibbiati al sanguinario Rodolfo Graziani. Lo so che i wrestler sono successivi a Graziani, noi siamo stati fortunati a veder usare quei soprannomi truci per gioco.
Un’amica mi faceva notare qualche tempo fa che le mie letture duemilaventine mostravano un costante respiro storico: aveva e ha del tutto ragione, le pagine che mi hanno accompagnato in questi mesi – dal saggio vero e proprio al romanzo – hanno spesso avuto a che fare con la Storia. E io non so se questo sia dovuto al fatto che stiamo vivendo un anno che finirà certamente nei programmi affrontati alla maturità del 2117 o se, può semplicemente, sia il tempo che passa anche per me e che mi fa volgere più spesso lo sguardo indietro.
So per certo, però, che con “M. L’uomo della Provvidenza” di Antonio Scurati questa tendenza di lettore ha raggiunto probabilmente il suo apice.
Una lettura lungamente attesa. Il volume precedente – M. Il figlio del secolo – mi aveva convinto enormemente, ed ero davvero curioso di verificare se si trattasse di un abbaglio dovuto a uno stile narrativo quasi inedito (i Wu Ming in un saggio di quale anno fa avrebbero parlato di New Italian Epic) e se potesse funzionare anche sul lungo periodo.
Lo affermerò più chiaramente che posso: fun-zio-na! Il racconto dell’Italia del 1925 – 1932 colpisce inevitabilmente per la sua contemporaneità e, raccontando gli anni della crescita del consenso, scolpisce in modo inequivocabile una tendenza nazionale che non ci ha certamente abbandonato nel 1945: la ricerca dell’uomo “risolutore”, non necessariamente “l’uomo forte”, ma la figura in grado di prendere in mano una situazione disastrosa assumendosi in prima persona e con pochissimi gregari l’onere di una risoluzione. Quante volte è successo e quante ancora accadrà.
Svelare il meccanismo – comunicativo, politico, addirittura corporeo o carnale, mi verrebbe da dire – che fanno scattare la ricerca ossessiva di un “uomo della provvidenza” è un regalo che Scurati ci fa, e che davvero non dovremmo lasciar cadere.
Scurati riprende la narrazione delle vicende di Mussolini laddove ci aveva lasciato, al termine del primo capitolo della sua opera monumentale. Opera che, come la precedente, ha un duplice valore: quello letterario, grazie ad una scrittura che si fa leggere con estremo piacere e sorprendente scorrevolezza, nonostante l'argomento molto impegnativo, e quello storico, dal momento che l'intera narrazione si attiene ai fatti, incontestabili e documentabili con moltissime fonti, alcune delle quali fedelmente riportate tra un capitolo e l'altro. Ne risulta un documentario in forma di romanzo, un lavoro impressionante che concilia attendibilità storica e intrattenimento letterario.
Si riparte dal febbraio del 1925: il più giovane presidente del Consiglio della storia italiana, che si è da poco assunto la piena responsabilità politica del delitto Matteotti, è in bilico tra la vita e la morte, insidiato dalla malattia e tormentato dagli spettri del collega assassinato. Ma la storia di Mussolini, si sa, procederà con quella dell'Italia ancora per molti anni, e in questo romanzo si arriverà fino all'ottobre del 1932, momento in cui cade il decennale della Marcia su Roma, inizio della rivoluzione fascista, occasione per celebrare il regime con una memorabile Mostra al Palazzo delle Esposizioni.
Sono gli anni del consolidamento del fascismo e della figura del suo capo, che si vuole liberare, più per opportunismo politico che per convinzione personale, degli animi più anarchici e rivoluzionari, tipici dello squadrismo e del sansepolcrismo, e delle ideologie anticlericali e antimonarchiche della prima ora. Sono gli anni delle lotte intestine tra Mussolini e Farinacci, gli anni in cui il primo deve scendere a compromessi con i suoi antichi nemici (monarchia, papato e borghesia) per tagliare fuori dai giochi il secondo, più intransigente. Sono gli anni delle epurazioni all'interno del Partito Nazionale Fascista, gli anni in cui le alte gerarchie vengono occupate da chi, pur senza grandi doti politiche, obbedisce ciecamente al Duce (è emblematica la figura di Starace, che con la sua feroce ignoranza è destinato ad avere sempre più risalto).
Sono gli anni delle leggi liberticide di Alfredo Rocco, quelle “leggi fascistissime” che permettono l'eliminazione dello Stato liberale, il definitivo svuotamento di significato del Parlamento, che muore in mezzo agli sbadigli, la fine delle elezioni democratiche, viste quasi come una stupida usanza del passato. Il fascismo, grazie al lavoro dei fedelissimi di Mussolini, come il segretario del PNF, Augusto Turati, viene inquadrato nelle istituzioni dello Stato, fino a coincidere con esso.
Sono gli anni in cui ogni opposizione politica è messa a tacere, anche a causa della complicità e dei silenzi del re e dei moderati, ma soprattutto mediante ripetute aggressioni, anche mortali, arresti, confini ed esili, nei confronti dei pochi strenui difensori della democrazia rimasti (Amendola, Gobetti e Gramsci, solo per citarne alcuni). Sono gli anni in cui i partiti politici sono messi fuorilegge, gli anni dell'Ovra di Bocchini, dei sospetti e delle calunnie, gli anni della fondazione dello Stato corporativo, dello Stato di polizia e dei sogni totalitari del Duce. Sono gli anni in cui la perfida macchina del fango mieterà le prime vittime, anche tra i suoi ideatori.
Sono gli anni in cui anche le scienze, le arti, la cultura e il pensiero filosofico si sottomettono alla politica per magnificare il fascismo. Sono gli anni del tramonto di Gabriele D'Annunzio e Margherita Sarfatti, gli anni di Mario Sironi, Giuseppe Terragni e Adalberto Libera, gli anni di Guglielmo Marconi e gli anni del Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Sono gli anni delle esplorazioni polari di Nobile. Sono gli anni del consenso e della propaganda, gli anni dell'Istituto Luce e dell'Eiar, gli anni in cui cambia la bandiera italiana e cambia il calendario, gli anni in cui le città eterne sono sventrate e le paludi bonificate. Sono gli anni dei Patti Lateranensi e del concordato con la Chiesa Cattolica. Sono gli anni in cui Benito Mussolini, il figlio del secolo, diventa per tutti l'uomo della Provvidenza.
Sono gli anni in cui, prima che Hitler prendesse il potere in Germania, in Italia si parla già di razza, e della razza pura italiana come quella superiore, da salvaguardare ad ogni costo. Sono gli anni del primo colonialismo fascista, del protettorato in Albania e del conflitto in Libia. Sono, soprattutto, gli anni dei crimini di guerra di Graziani e Badoglio in Cirenaica, gli anni dei bombardamenti con fosgene e iprite, già vietati dalla convenzione di Ginevra, gli anni delle deportazioni delle popolazioni locali nei campi di concentramento. Sciaguratamente, di questi fatti atroci sembra che ce ne siamo dimenticati.
Sono gli anni in cui il corpo del Duce, uscito immune dalla malattia mortale e da quattro attentati falliti, mostrato al suo popolo nei campi di grano durante le mietiture e al mare durante le vacanze estive, viene santificato e glorificato, gli anni in cui la sua figura in carne ed ossa è onnipresente, e viene moltiplicata all'infinito nel bronzo e nella pietra: “A petto di quel corpo denudato, nessun argomento è più lecito, nessun ragionamento, nessuna obiezione, nessuna giustizia, legge, giurisprudenza, nessun appello alla divina provvidenza, alla umana pietà, alla clemenza. Al popolo non resta che adorare. Adorare quel corpo, o straziarlo” (pagina 567).
Sono gli anni della consacrazione politica, anche proveniente dall'estero, di Benito Mussolini: ma accanto alle luci della figura pubblica, che fanno vedere agli italiani un semidio implacabile, instancabile, infallibile e granitico, ci sono le ombre di quella privata, ci sono tutte le ossessioni, le ingratitudini e le bassezze umane di un uomo piccolo e sempre più solo, che per il potere e la gloria ha fatto il vuoto intorno a sé, circondandosi di opportunisti e dicendo addio agli amici, ai famigliari agli amori: “Che puoi farci, domani, con questo scadente materiale umano? Con questo popolo di adulatori e mugugnatori, di delatori accaniti, diviso tra calunniatori esaltati e calunniati avviliti, con gli avidi faccendieri, con questi famelici servi. In vista del domani, servirebbe innanzitutto una classe dirigente ma, per crearla, bisognerebbe fidarsi degli uomini. E tu non ti fidi. Li puoi perdonare, tutti possono essere perdonati, ma questo non ti risolve il problema di una dittatura senza forza” (pagina 488).
E, come la traiettoria di un proiettile in moto, che non ancora raggiunto il suo apice inizia a risentire della forza di gravità che lo spinge verso il basso ancora prima di incominciare il ramo discendente della sua parabola, il Duce già avverte dentro sé le imminenti ombre lunghe dell'avvenire, con il pensiero onnipresente della morte, ad aprire e chiudere il cerchio: “Il passato ti ha dimenticato, il futuro prossimo è un brutto posto, impossibile vivere nella delusione del presente. Non resta che aguzzare la vista, strizzare gli occhi e delineare i contorni incerti del dopodomani. E piantarla, una volta per tutte, di porsi l'unica domanda che conti, quella con cui l'amico di un tempo, divenuto nemico, perseguitato dai tuoi poliziotti, ti perseguita a sua volta dall'esilio: che cosa significa vincere?” (pagina 489).
Come quando affrontai “M. Il figlio del secolo”, anche durante la lettura di “M. L'uomo della provvidenza” ho apprezzato moltissimo la capacità dell'autore di entrare nella quotidianità, nella vita pubblica, privata, e segreta di Benito Mussolini, e di mostrare cosa è stato davvero il fascismo. Non solo: l'opera di Scurati è anche in grado di lanciare un monito: perché i parallelismi tra passato e presente sono ancora visibili, nonostante tutto, perché oggi come ieri la democrazia può ammalarsi nell'indifferenza generale. Sta a noi sviluppare nel modo più efficace i giusti anticorpi, anche grazie a opere come questa. Un'impresa, quella di Scurati, preziosa e necessaria, benché ardua, che prosegue al meglio nell'encomiabile intento dell'autore di rifondare e dare nuova linfa al movimento antifascista che, basandosi interamente ed esclusivamente sui fatti storici, con lucidità e senza bisogno di comode mistificazioni, vuole contrapporsi a quel fascismo nostalgico ed eterno che ciclicamente ricompare durante le crisi democratiche e che tende ad edulcorare, dimenticare e rimuovere, più o meno consciamente, le innumerevoli infamie di cui si è macchiato in passato.
Een meeslepende geschiedenisroman over de opkomst van Benito Mussolini en het fascisme in Italië. Daar waar deel een van deze trilogie ging over de opkomst van Mussolini, met de Mars op Rome en de pijnlijke moord op Matteoti, gaat dit deel over de consolidatie van de macht. Een complex web van politieke intriges en persoonlijke drama's waarin de democratie in Italië langzaam maar zeker wordt vervangen door de fascistische eenpartijstaat van de Duce.
Wederom een boek wat me deed walgen van de criminele methoden van de fascisten. Scurati schildert een verontrustend beeld van politieke manipulatie en onderdrukking, wat mij confronteerde met de rauwe werkelijkheid van die tijd. De zwijgende medewerking van de koning werpt een schaduw over het verhaal en benadrukt de complexiteit van de politieke machinaties die destijds plaatsvonden.
Dit is geen vrolijk boek. Het dompelt de lezer onder in een tijdperk doordrenkt van onzekerheid en angst. Scurati schuwt niet om de duistere kant van de geschiedenis te belichten en legt de pijnlijke realiteit bloot van een samenleving die gevangen zit in de greep van autoritarisme.
Ik ben erg benieuwd naar het derde en laatste deel. Die ga ik zeker lezen. Ik ben benieuwd naar de gebeurtenissen tijdens de Tweede Wereldoorlog en de uiteindelijke val van Mussolini.
La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa Karl Marx
Troppo tempo ho impiegato per finirne la lettura. Per demeriti miei e qualcuno di Scurati. Sorvolo sui miei anche se il principale, la noia, è strettamente intrecciato a quelli di Scurati che a loro volta sono stati generati dalle aspettative: uno scrittore che maneggia documenti della storia, cercando tra le burocratiche righe degli archivi “l’umanità e l’inumanità” dei suoi protagonisti, non è cosa che lascia indifferenti e non solo per questioni di gusti. Da Manzoni a Stendhal, quello delle Cronache italiane in primis et ante omnia, da Sciascia al postmoderno Cercas gli esempi non mancano. Ma il nostro, che dovrebbe seguirne le orme a mio parere, non si discosta troppo dal giornalista competente che si attiene rigorosamente alle fonti pur riuscendo ad essere affabulante con l’ostica materia e solo a tratti, ma senza scalare vette più alte di una collinetta, ci restituisce un ritratto dell’uomo. Ci riesce con Arnaldo Mussolini e con Augusto Turati, con Quinto Navarra, l’usciere e cameriere di M, e grazie alle sue Memorie del cameriere di Mussolini solo a pagina 610 possiamo sbirciare "l’uomo solo al comando", il dittatore privato, ché quello pubblico possiamo papparcelo nei documentari Luce, che ieri per ore ho guardato su you-tube (immagini che Scurati sembra sottotitolare per quasi tutto il libro).
E, come nel primo libro della saga, è il ritratto di una donna che ci dice che il ragazzo ha stoffa. Là fu la vedova di Matteotti, qua è la musa amante del dux per vent’anni e ora in disgrazia perché troppo vecchia per il sempre ormonalmente dotato maschio italico, il puttaniere Benito. Ma non solo lei. Da un lato, La Sarfatti, attempata, triste, delusa attende ad occhi chiusi, labbra tirate e mani abbandonate in grembo nell’ anticamera a quella del Mappamondo, lo studio dell’amante; nel mezzo, il cameriere imbarazzato non vuole umiliare la donna, potentissima e amatissima fino a poco prima; dietro le tende del balcone su piazza Venezia Lui, ossessivamente, annota le targhe delle automobili ad ogni loro minima infrazione: siamo di fronte a una potente e inquietante immagine di un film espressionista: stanze enormi dai tetti altissimi e soprattutto vuote e queste tre figurine perse in quello spazio. Bene, bravo Antonio.
Certo sette anni di movimenti carsici registrati solo dagli addetti ai lavori e che portarono alla “normalizzazione totalitaria” della nazione non sono facile materia per uno scrittore che deve e, soprattutto, vuole occuparsi di rapporti tra il personaggio principale, più o meno senza qualità, e chi lo circonda. Fino al ‘ 25 la lotta fuori e dentro le stanze è maschia e quindi appassionante per le masse, la pubblica opinione e il lettore un po’ voyerista. Diciamo che c’era materia da colossal. Ora la normalizzazione richiede passi felpati, più ombre che luci e tutti sono sfocati ma nel libro ciò che è più sfocato anzi non pervenuto è la sinistra, quella che fino al delitto Matteotti contese all’uomo nuovo la piazza, le masse, i titoloni dei giornali e le passioni dei cittadini ancora non fanatizzati, forse l'illusione di esserci.
Dov’era finita la sinistra storica? È Scurati che tralascia la materia o non c’è niente da dire oltre il sonnecchiare dei liberali giolittiani sui banchi del parlamento mentre Lui ne fa strame? La secessione aventiniana, l’esilio scelto da Turati e altri quattro gatti, il confidare nel criminale di guerra Vittorio Emanuele III, fu tutto qua la sinistra, l’opposizione che doveva arginare la valanga che si stava abbattendo sull’Italia e sul mondo?
Certo questo mio amminchiamento ( cit.) non è innocente: ciò che sta succedendo, sotto i nostri occhi senza che ne capiamo le conseguenze, mi fa drizzare le antenne. Una ricerca veloce e trovo un articolo scritto da Carlo Rosselli in “Quaderni di Giustizia e Libertà, 8 giugno 1934. Non mi sono lasciata trascinare dai miei soliti pregiudizi. Non solo sola. Mi rincuoro.
La Camera, eletta nel 1921, era in maggioranza antifascista; la stampa, idem; in tutti i corpi dello Stato il fascismo era appena tollerato. le opposizioni, avendo conservato per concessione del dittatore ("avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia...") le posizioni legali, si battevano sul terreno formale e morale, contestando la validità giuridica dei decreti mussoliniani, e rivendicando la rappresentanza di un'Italia che viveva ormai solo nelle memorie… Scambiando i reali rapporti di forza sociale con i vecchi risultati elettorali, vedevano nel fascismo un semplice colpo di mano contro il suffragio universale, un'avventura di stile sudamericano destinata a concludersi fatalmente nel giro di qualche mese: e non si preoccupavano di rovesciare il rapporto di forze che aveva permesso al fascismo di spazzare il movimento operaio e non si preparavano in nessun modo a resistere e a contrattaccare nelle piazze… Essa sconterà così per anni il passivismo mostrato durante la marcia su Roma. Abbiamo preso molto in giro Mussolini perché, mentre i fascisti marciavano allegramente su Roma, se ne stava a Milano. Ma che cosa stavano a fare i deputati della sinistra a Roma? Tra il girare nei corridori attendendo il decreto di stato d'assedio e l'andare nel paese a organizzare la resistenza, era meglio andare nel paese. E a Roma, oltre Montecitorio, c'era San Lorenzo, dove il popolo si batteva; ma nessuno o quasi se ne ricordò in quei giorni… Le elezioni dell'aprile 1924 avevano in parte corretto questo stato di cose. L'opposizione diventava per la prima volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da uomini che avevano gustato le gioie del potere e della popolarità, che si erano fatti in tutt'altra atmosfera.Gli oratori più celebri, usi al successo in un parlamento in cui si trovavano come in famiglia, non resistevano all'ambiente nuovo e ostile creato dai fascisti.Erano depressi, stanchi, preoccupati; non avevano la psicologia dell'attacco ma della ritirata. Quando la crisi scoppiò, la depressione era al colmo. La decisione di ritirarsi dai lavori della Camera non fu un atto volontario diretto a portare battaglia nel paese, ma un atto necessario di chi, non potendone più, si ritira. Ma poiché la retorica vuole la sua parte, così l'Aventino fu presentato alle masse come la decisione energica di gente che passa all'attacco. Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei primi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il sovrano.
Impressionante l’anologia con i nostri tristi giorni. [E io mi spingo a dire che l’appoggio della sinistra al nuovo governo, nato da un colpo di stato mascherato, è l’Aventino della nostra sinistra, e che l’astensione sarebbe stato almeno più dignitoso che il non voler essere né di lotta ma di governo. Non si può vedere che il popolo inneggi al banchiere di dio ( il quale prende per buono il refuso di 2 milioni ricoverati in terapia intensiva, per quanto gli interessi la pandemia!) dopo l’innamoramento per il loden de fu Monti. La classica relazione vittima carnefice]. Poche parole e tanta riconoscenza per aver potuto leggere, bianco su nero su “Gli italiani brava gente”: campi di concentramento in Libia a cui mancavano solo i forni per essere fratelli gemelli di quelli hitleriani. Ma si sa, gli italiani sono di bocca buona: ciò che si può fare a mani nude perché demandarlo ad asettiche procedure? E poi, vuoi mettere bombardare con l’iprite villaggi di pastori stanziali o inseguire deserto deserto i nomadi dall’animalesca condotta morale, a detta dei fascistissimi capi della conquista dell’Impero? Quattro stelle anche per questo.
Eccoci dunque al secondo capitolo della saga de più terribile assassino della storia patria, che copre gli anni dal 1925 al 1932. La qualità non è certo inferiore a quella del primo sia per leggibilità che per documentazione, e questa è già una notizia; anche se ovviamente mancando del fattore novità "L'uomo della provvidenza" non ha avuto lo stesso successo de "il figlio del tempo" in termini almeno di premi vinti.
Sono gli anni dell'istituzionalizzazione del regime, gli anni in cui la controrivoluzione fascista compie il passo obbligato che ogni dittatura controrivoluzionaria deve per forza compiere, quello da forza eversiva a strumento dell'oppressione conservatrice. Il corposo romanzo-documento di Scurati ci mostra come anche questo sia stato fatto alla maniera italiana, cioè male. Da un lato, essendo entità politica basata esclusivamente sulla forza bruta e non su un apparato di idee, il fascismo non sa mai scegliere veramente tra istituzionalizzazione e sfruttamento estensivo delle forze criminali originarie. Non ha le idee abbastanza chiare per farlo, ed il pendolare della scrivania fascista da elementi tutto sommato normalizzatori come Turati a veri ed autentici picchiatori di periferia come Farinacci e Starace sta lì a dimostrarlo. Dall'altro, l'alleanza con le forze legittimiste conservatrici, vale a dire la borghesia industriale e la corona, è solo di comodo, solo uno strizzarsi l'occhio in funzione anticomunista tra elementi che non vedono l'ora di tradirsi. Ben altro patto demoniaco, con ben altra solidità, sarà quello tra l'astro nascente nazista e l'aristocrazia Junker prussiana.
Su tutto, cresce la statura del deus ex machina Mussolini, sempre più grande ma sempre più solo, e, si comincia a vedere, sempre più stanco. Si cominciano a leggere nelle pagine de "L'uomo della provvidenza" le caratteristiche tipiche del Tiranno già descritte così bene 2300 anni fa nelle pagine della repubblica di Platone. Fortissimo accentratore (quasi patologico: accentra su di sè ben sette ministeri!), Mussolini è incapace di fidarsi e di dividere il potere con qualcuno. La conseguenza, sarà inevitabilmente quella che deve fidarsi di tutti. Sarebbe quasi patetico nel suo sfinimento spirituale, se non fosse che tutti sappiamo che ignobile criminale assassino sia stato e sarà: il lettore si rifiuta di avere pena di un mostro simile.
Fanno da sfondo gli avvenimenti storici più importanti, che mascherano la fragilità del regime che si sta avviando al picco della sua gloria internazionale. Dalla conquista e pacificazione (a prezzo di fiumi di sangue) della colonia libica fino ad allora in preda del terrorismo beduino, fino ai patti lateranensi che pongono fine ad una diatriba tra stato e chiesa durata decenni è tutta una serie di vittorie militari e politiche che però sotto l'occhio esperto della storia e dell'autore diventano patetiche pezze che stanno lì a mascherare la vera essenza di un regime da operetta. Operetta che rischia di diventare tragedia, man mano che si perfeziona l'apparato repressivo del regime (è di questi anni la fondazione dell' OVRA), che per un decennio e oltre sottoporrà lo spirito degli italiani ad una oppressione tale da rasentare la psicosi.
Più che degno seguito del famosissimo esordio, "L'uomo della provvidenza" è un tomo di 600 pagine ed oltre che si fa leggere velocemente e con piacere, nell'attesa spasmodica di veder arrivare i capitoli successivi sapientemente dilatati nel tempo, soprattutto quelli che riguardano la caduta, la rovina e la morte dell'uomo più terribile e maledetto della nostra storia.
“El Excmo. Sr. Mussolini se ha granjeado ya la legendaria fama de un hombre contra el que resulta inútil atentar porque evidentemente se halla protegido por la Providencia.” “Comunicado de Reuters, agencia de noticias británica, 12 de septiembre de 1926”
Para muchos que se dejan llevar por la linealidad de los textos, si han tenido una aproximación al primer libro de tres M. El hombre del siglo, este texto M. El hombre de la providencia sigue la misma estructura de su predecesor, marcado por escenas breves, cortadas por fragmentos de documentos, que van desde cartas, testimonios, discursos, que en momento te hace creerte si están en una ficción o en un libro de historia, o biografía sobre Mussolini.
“Mejor abandonar a los intelectuales a sus mezquinos egoísmos y su innata cobardía. Tal vez tuviera razón Croce, después de todo: el fascismo había estado en guerra con el intelectualismo desde el principio.”
Si M. El hijo de siglo abarca el periodo que va desde 1919 a 1924, en cambio esta va desde 1925 a 1932 años que desvelan la apabullante victoria del fascismo y la conversión de Mussolini en un nuevo Cesar. 1925 es presentando un Mussolini enfermo, con dolores abdominales, vómitos, estrías de sangres. “Benito Mussolini se le apareció demacrado, deshidratado a causa de los ataques de diarrea, consumido, debilitado por la dieta a base casi exclusivamente de leche. El médico recomendó la abstención sistemática de todo esfuerzo.”
Personalmente, siendo esta una continuación del M. El hombre del siglo, creo ver más impacto en el primero, claro sin dejar a un lado que es una continuación, pero es un texto cargado de personajes, que a veces se nos hace algo tortuoso, pero reconociendo que es parte de la historia misma de formación del fascismo y Mussolini, y se he necesario escribirla o darla a conocer. Creo ver bien que Scurati dominó la organización los materiales, puso en marcha la imaginación y nos encandilo con su estilo que nos hace ir más allá de una novela y a veces perdernos en el péndulo de lo ficcionario y lo real.
“La política no es una ciencia, indudablemente, la política es arte, adivinación instantánea. Fuera de la política, vivir es vegetar, pero en cambio vivir, para él, es otra cosa. Vivir, para él, es lucha, riesgo, tenacidad.”
Es una lectura densa, por la cantidad de datos que maneja, pero la forma maravillosa en que despliega su prosa el autor convierte a ratos su lectura en un auténtico placer estético. Esto alivia la sensación devastadora que impregna toda la experiencia: se remueve algo por dentro al seguir paso a paso la transformación un país con funcionamiento e instituciones democráticas en una absurda concentración de poder sin límites ni contrapesos.
«Noi non siamo una massa di associati, noi siamo un esercito di credenti.»
Ho trovato questo secondo capitolo più lineare e scorrevole rispetto al primo, e forse è anche questo un effetto della dittatura: semplifica e asciuga la storia. Il primo capitolo era scontro, contrapposizione, conquista, tradimento, propaganda, fallimento, violenza, vittoria e assassinio; qui è affermazione e potere assoluto, senza avversari, ma senza nemmeno eroi.
Allora la trama avvincente del romanzo dov'è? Con un tono di voce più carico emotivamente, più vivido, sofferente, ironico, tagliente, è nel racconto dell'uomo che diventa icona, e che diventa divinità; è nel racconto di un paese che lo osanna, di un popolo che gli scrive lettere che sembrano preghiere, perché quando sopravvivi a quattro attentati in pochi mesi sicuramente c'è l'intervento della provvidenza. È nel racconto della vergognosa conquista della Libia, dove la dignità di un popolo è massacrata da un velleitario desiderio di imperialismo.
In generale è anche il racconto (e qui mi piacerebbe che fosse noto ai nostalgici di oggi, ai cosplayer dei fascisti dal braccino teso a comando) di un Duce capriccioso che si libera sistematicamente di chi lo ha sostenuto quando diventa zavorra, che siano persone comuni come gli squadristi o borghesi intellettuali come Margherita Sarfatti. Di come in un regime totalitario si creino velenosi conflitti interni e di cosa succede ai perdenti, come nella tragicomica rivalità tra Roberto Farinacci e Augusto Turati. Come Sarfatti, proprio Turati, del quale ho scelto la emblematica citazione, secondo me rappresenta l'archetipo del fascista tradito e amareggiato. L'ex segretario del Partito Nazionale Fascista ci credeva, nel fascismo e nel suo Duce, forse non era così motivato da avide ambizioni di potere, faceva il suo dovere con pragmatismo e obbedienza. Ma quando la macchina del fango obbedisce alla legge del più forte, devi essere il più forte per sopravvivere.
Ci vuole tempo per leggere e metabolizzare questo libro. Non certo per la narrazione incalzante ed estremamente scorrevole ma per il contenuto denso di un periodo lontano (nella memoria collettiva) ma non troppo (nel tempo storico). Un'opera enorme, che supera il primo volume. È impressionante vedere l'ascesa del potere e la decadenza della democrazia in una dissolvenza senza soluzione di continuità. Credo che il vero successo narrativo stia nell'intercalare i documenti storici nei capitoli, dei pizzicotti che portano il lettore a comprendere ritmicamente che quello che si narra nel romanzo è successo veramente. L'atrocità della guerra in Libia, riportata con un registro cronistico, è di una durezza sconcertante.
Un libro da leggere assolutamente, una storia da conoscere necessariamente.
Decisamente inferiore rispetto al primo libro della serie. Conserva la struttura dell'alternanza della documentazione e decisamente una narrazione di parte. La storia è poco avvincente e si fa fatica a portarla avanti. La speranza è che sia il capitolo di transito verso il successivo più accattivante, che ho in lista...d'attesa.
Quello di Scurati non è un romanzo storico ma è storia romanzata, come quella, per rimanere in ambito Strega, che faceva Maria Bellonci in romanzi come Lucrezia Borgia e I segreti dei Gonzaga. Niente personaggi né dialoghi inventati: tutto rigorosamente basato sui documenti. Il romanziere si riserva giusto una maggiore libertà nel montaggio e nella messa in scena degli eventi, e nell’immaginare i pensieri dei personaggi, che ovviamente non possono essere smentiti (e che comunque sono spesso tratti da lettere o diari). Quindi una lunga serie di brevi capitoli ognuno corredato da una selezione di documenti a sostegno (lettere, articoli di giornale, testi di discorsi, telefonate intercettate, informative della polizia…). Il primo volume, Il Figlio del Secolo, copriva gli anni dal 1919 al 1924, dalla fondazione dei Fasci di Combattimento alla Marcia su Roma fino alla crisi del delitto Matteotti (e scelta strategica di saltare completamente l’infanzia, gli anni di povertà e tutto il periodo da militante e leader socialista). Il secondo volume, L’Uomo della Provvidenza, va dal 1925 al 1932, il consolidamento del regime. Fra l’altro questa parte del romanzo ci ricorda utilmente che quello italiano in Libia, fra gas e campi di concentramento fu un genocidio: numeri forse piccoli, relativamente a altri genocidi del XX secolo, ma pur sempre genocidio e tutto nostro. All’epoca dell’uscita del primo volume vi fu chi si preoccupò che Scurati desse un’immagine troppo positiva del Duce e chi, al contrario, sperò la stessa cosa, un Mussolini libero dalla ‘vulgata resistenziale’ o del ‘buonismo radical chic politically correct’, come usano dire i fiancheggiatori. All’uscita del libro i primi furono parzialmente rassicurati – l’antifascismo era salvo – mentre i secondi furono molti delusi e Il Figlio del Secolo ebbe il dubbio onore di una stroncatura in prima pagina sul Corriere della Sera e un costante fiume d’odio sui social che non accenna a spegnersi. Perché il Mussolini di Scurati, l’Uomo di Potere, non è uno qualsiasi. Non lo esalta ma nemmeno lo sminuisce. Può essere un mostro ma non è certo uno stupido o un mediocre: è un personaggio a tutto tondo. Questi primi due volumi, in cui Mussolini passa di successo in successo e supera tutte le crisi e gli ostacoli che si trova davanti fra il plauso delle masse italiane e dell’opinione pubblica mondiale, si leggono tenendo a mente lo sguardo allucinato dell’uomo smagrito appena liberato dai tedeschi a Campo Imperatore, per non parlare del cadavere appeso a un traliccio a Piazzale Loreto. Il Mussolini delle ultime pagine, al vero culmine della sua parabola politica, ormai semi-divinizzato ma anche sempre più solo e diffidente verso tutto e tutti, è un Mussolini che forse sente il passo del futuro, che sa bene che il fascismo senza di lui crollerebbe in un attimo.
Tutti uniti, tutti fascisti. Tutto il potere al fascismo e tutti i fascisti al potere
La brillantezza del primo volume lascia il passo alle ombre di questo secondo. Scompare l'ironia, e l'aspetto caricaturale dei personaggi scivola verso le zone più mefitiche della loro condotta.
Nel periodo italiano 1925-1932 Scurati ci mostra un Duce che diventa leggenda, mito irraggiungibile e unica presenza del panorama politico, capace di far digerire la sua dittatura come necessaria. Le leggi fascistissime rafforzano il suo regime nella mente e nell'anima del popolo - quelli che si oppongono sono costretti a fuggire all'estero. Compie una mossa storica strizzando l'occhio alla Chiesa facendosela 'amica' e porta la guerra in Libia.
Una vita pubblica in ascesa, dunque, che lo avvicina al cielo e al tempo stesso lo allontana dalla terra, facendogli dimenticare le persone che l'hanno portato dov'è ora, meri meccanismi strategici al suo servizio.
Lettura un po' sottotono rispetto al dinamismo del precedente volume, ma indubbiamente interessante.
Bello, bellissimo anche questo secondo libro della serie, fedele ricostruzione di alcuni momenti cruciali nella vita di Mussolini, e soprattutto nella vita del fascismo. Come dicono altri lettori, il primo era più avvincente, ma soprattutto perché gli anni dal 1919 al 1926 sono stati più avvincenti (per questo tema) degli anni dal 1926 al 1932.
Spiccano, dal testo di questa parziale storia del nostro Paese, le porcate del barbaro Graziani, un infame che insieme a Badoglio commise una sfilza di crimini di guerra in Libia, che per fortuna il fascismo non è riuscito a cancellare.
Il capitolo su Quinto Navarra che fa aspettare Margherita Sarfatti per ore, verso la fine, è un capolavoro assoluto.
Questo e` il secondo volume di una trilogia romanzata, ma storicamente accurata, sull'ascesa di Mussolini. Come già il primo volume, anche il secondo e` difficile da stomacare. Questo non perché il libro sia scritto male, o perché il soggetto non sia affascinante, ma perché e` deprimente leggere una descrizione cosi` dettagliata di come il cosiddetto "Duce" riuscì ad arrivare al potere e a rimanerci incontrastato per un ventennio. Cosi` come nel primo volume della serie, ho apprezzato la cura di Scurati nel rispettare i fatti storici. Ogni capitolo e` accompagnato da documenti dell'epoca che sono pertinenti alla storia raccontata, inclusi articoli di giornale e anche lettere personali di Mussolini. Probabilmente la parte più difficile da leggere de "L'Uomo della Provvidenza" e` la descrizione dettagliata delle atrocità commesse dagli italiani in Africa, parte dell'assurda avventura coloniale del regime fascista. Come dicevo, ci vuole uno stomaco forte per leggere questo libro, ma ne vale la pena. Dopo una pausa necessaria per riprendere le forze leggero` anche il terzo volume.
Bello, bello, bello. Non fa rimpiangere il primo e ci lascia in attesa dei prossimi due. Ricostruzione incredibile e scrittura magistrale. Una chicca le citazioni sparpagliate qua e là di Guccini (il tedio mortale del vivere in provincia), Battiato (tutti i muscoli del corpo pronti per l'accoppiamento) e Conte (la sensualità delle vite disperate) e gli echi foucoultiani di Sorvegliare e punire e dello splendore dei supplizi.
"Tutto nello stato, niente al di fuori dello stato, nulla contro lo stato". Questa frase racchiude il significato del secondo volume di A. Scurati. L'ascesa e la presa di potere da parte di Mussolini è narrata ancora una volta attraverso documenti, telegrammi, insomma dal solo punto di vista storico senza giudizi. Si continua dunque il viaggio da dove lo avevamo interrotto nel primo volume, dal 1925 (dopo il delitto Matteotti) per proseguire fino al 1932: dalla promulgazione delle leggi "fascistissime" alla conquista della Libia. Ritroviamo lo stile chiaro e oggettivo dell'autore che ci mostra quei tristi momenti con profonda lucidità.
Un libro che varebbe la pena leggere, solo per il fatto che l'autore non commenta, si limita a riportare i fatti così come sono e questo permette di avere un quadro ben chiaro di quei tristi anni e che ognuno di noi tiri le proprie conclusioni.
Una magnífica novela sobre la institucionalización del fascismo. Una «revolución del espíritu» que buscó trascender la esfera política y naturalizarse en la vida cotidiana de los italianos. Scurati está construyendo una monumental historia del fascismo a través de la figura de Mussolini.
Veldig mange namn , oversikt bakerst . Forteljing om Mussolinis og Italia frå 1925 til 1932 . Her skjer mykje , litt utmattande å lese pga alle detaljane , men absolutt verdt det
Het boek ‘De man van de voorzienigheid’ van Antonio Scurati is het tweede deel in zijn trilogie over Benito Mussolini. Het volgt op ‘M. De zoon van de eeuw’ en werd in 2020 gepubliceerd onder de Italiaanse titel ‘M. L’uomo della provvidenza’. In dit deel beschrijft Scurati de periode van 1925 tot 1932, waarin Mussolini zijn dictatuur consolideert en Italië transformeert in een totalitaire staat.
Scurati verweeft historische feiten met literaire vertelkunst, waardoor een levendig en gedetailleerd beeld ontstaat van Mussolini’s opkomst en de impact daarvan op Italië en de wereld. Het boek werd geprezen om zijn grondige research en meeslepende schrijfstijl, en ontving diverse literaire prijzen.
Voor geïnteresseerden in historische romans die de opkomst van het fascisme en de persoonlijke en politieke dynamiek van Mussolini belichten, biedt dit boek een diepgaand inzicht in een cruciale periode van de 20e eeuw.
Interesante secuela del apogeo político, artistico y cultural del fascismo Italiano en torno a la figura de B Mussolini. Quizás muchos nombres y muchas historias entrelazadas pero a mí parecer contadas con agilidad y estilo. No os recuerda este Benito a nuestro amigo Puttin?
HANNA ARENDT ne "Le origini del totalitarismo" scrive: "…il fascismo, fino al 1938 non fu un vero regime totalitario, bensì una comune dittatura nazionalistica, nata dalla difficoltà di una democrazia multipartitica…l'unico aspetto tipicamente moderno della dittatura fascista era l'insistenza del partito sulla sua natura di movimento; che non fosse nulla del genere...divenne evidente appena esso si impadronì delle leve dello stato senza mutare drasticamente la struttura del potere, accontentandosi di affidare le cariche del paese ai suoi militanti. In seguito...il fascismo cessò di essere un "movimento" legandosi alla struttura fondamentalmente stabile dello stato....la chiesa capì che il fascismo non era in linea di principio nè totalitario nè anticristiano e semplicemente attuava la separazione di stato e chiesa già esistente in altri paesi...L'idea centrale del fascismo è quella dello stato corporativo. Mussolini la interpretò come il tentativo di eliminare con un'organizzazione sociale integrata i pericoli incombenti sullo stato nazionale a causa delle divisioni di classe, di risolvere l'antagonismo tra stato e società mediante la "statalizzazione" di questa. Quando il partito fascista ("un partito al di sopra dei partiti" in quanto pretendeva di rappresentare gli interessi della nazione nel suo insieme) si impadronì dello stato e si identificò con la massima autorità nazionale, si apprestò a fare del "popolo" una parte dello stato. Ma non si pose al di sopra dello stato nè i suoi capi si ritennero al di sopra della nazione....Il fascismo italiano divenne l'unico esempio di un moderno movimento di massa che, organizzato entro la cornice già esistente dello stato e ispirato esclusivamente da un nazionalismo estremo, trasformasse in modo permanente i cittadini in patrioti, come lo stato nazionale era riuscito a fare soltanto in momenti di emergenza." SCURATI racconta e documenta gli anni dell'apogeo fascista, dal 1925 al 1932, e il suo sguardo sembra strabico o duplice aspirando ad una visione non solo centrata ma globale: sguardo da preda, centrato su un punto, sguardo da predatore, allargato e panoramico. Il risultato è notevole. in M2 c'è il racconto del "movimento" che diventa partito sopra gli altri partiti fino a diventare partito unico; c'è l'occupazione della macchina statale, la nascita e lo sviluppo dello stato corporativo, il "patto" tra stato e chiesa e c'è lui, l'unico uomo al comando, divinità terrena, ubiquo, visionario, astuto. c'è il graduale e inesorabile distacco dell'uomo, osannato dal popolo come un dio, da una realtà sfocata e contingente e dal suo "movimento" rivelantesi come una muta di cani famelici, rabbiosi e sempre più gretti. c'è la graduale ed inesausta solitudine, la malinconia che diventa rassegnazione davanti alla violenza non più fisica dei Fasci ma verbale e diffamatoria dei "suoi" cani, capaci di azzannarsi l'uno l'altro pur di mantenere una briciola di potere "terreno". Lo stile è netto, essenziale, martellante, ermetico e dettagliato. Sono tanti i livelli di questo "romanzo" ma il risultato, almeno personale, è uno solo: non basta la visione di un singolo per costruire un popolo, è essenziale, invece, che quella visione affondi e si alimenti di cultura profonda e sedimentata e partecipata. Scurati realizza l'ambizione di ogni grande pensatore: lui pensa e fà pensare.
“O espinho que mais incomoda é que, concluída a revolução, restam os revolucionários”. A frase dita lá pelas tantas pelo narrador, talvez seja uma boa síntese desse segundo volume. Antonio Scurati continua a narrar a vida de Benito Mussolini. Conquistado o poder, agora se trata de consolidá-lo. Não são mais os tempos épicos da derrubada do velho sistema liberal carcomido e incapaz de resistir aos ataques de Mussolini e seus capangas. Em 1925, já se havia passado um ano do assassinato do Giacomo Mateotti por sicários fascistas. A morte do deputado socialista foi o salto que a Itália deu rumo ao abismo. Era o momento em que o fascismo poderia ter sido contido e derrotado. Ao invés disso, o pusilânime Vitor Emanuel III entregou tudo a Mussolini. O próprio Duce se referia ao rei como o primeiro fascista... Após 1925 a violência continua. Os assassinatos políticos são inúmeros. Opositores – cada vez em menor número – são presos, mortos ou fogem para o exílio. Quem fica escolhe a conversão – mais ou menos sincera, a depender do caso. De qualquer modo, Mussolini anseia transformar cada italiano em um fascista. Na colônia da Líbia, Rodolfo Graziano ascende na carreira militar por meio da brutal repressão dos rebeldes locais. Usa todo o repertório disponível: armas químicas, campos de concentração, tortura, assassinato indiscriminado de civis, etc. Enquanto isso, na Itália, os novos donos do poder se apropriam do Estado. Associados em algum grau com o poder econômico, se tornam mini-ditadores em suas cidades ou regiões. Cada qual abocanha o seu quinhão no butim e se digladiam pelo poder. Enfim, em poucos anos, uma democracia – com todas as suas imperfeições – se tornou em um estado totalitário e violento. Scurati, como já fizera antes, se baseia em documentos reais. Cada capítulo se funda em algo concreto, em alguma fonte real. De certo modo, o único personagem ficcional – digamos assim – é o próprio narrador, que guia o leitor, nesse inferno em que se transformou a Itália. O narrador não é um mero ensaísta. É uma figura que combina – imagino eu – o próprio autor, mas que é também algo mais: faz suas análises, comenta fatos, liga eventos, mas sem a pretensão de ter algum tipo de isenção ou buscar, tal qual faria um historiador, uma compreensão mais ampla dos fatos. Tudo se costura aos poucos por meios de uma técnica utilizada habitualmente pelo ficcionista: o caos que é a vida faz sentido a partir do próprio narrador, que é isento apenas na aparência. O livro, no final das contas, é uma interessante mescla de ficção, ensaio e história. Muitos criticam o autor por ter humanizado Mussolini. Parece-me uma crítica meio besta. No final das contas, retratar o ditador italiano em moldes menos caricatos, nos faça relembrar o quanto cada um de nós pode ser muito complexo do que um certo moralismo infantil pós-moderno do século XXI parece sugerir. Mais ainda, nos faz refletir o quanto cada um de nós também não tão é bom quanto possa parecer. Na realidade, talvez a pergunta dele, autor, seja outra: em que medida cada um de nós tem o potencial – lá no nosso âmago – para ser o vilão da estória?
Tanta fatica, dimostrata anche dal tempo considerevole impiegato per finirlo, e poco gusto. Perde il ritmo rispetto al primo M e perde interesse. Tra le giustificazioni sicuramente il fatto che il periodo che il libro affronta è privo di grandi eventi e concentrato sull’analisi dell’ombelico del fascismo, ma troppo spesso - immagino per scelta - la lingua dell’autore si adatta alla retorica fascista, vuota, pomposa, in cui non succede niente. Anche Mussolini è sullo sfondo, quasi invisibile, mentre gli unici personaggi degni di nota sono un inno meschinità: Graziani, Badoglio, Farinacci. Si salva, almeno nella descrizione che ne viene fatta, Augusto Turati, che è il vero eroe - sconfitto - del libro.
Unica grande nota positiva del romanzo: questa narrazione spiega la pochezza del fascismo, la nullità dei fascisti, l’assoluta mediocrità di un paese, della sua classe dirigente e della sua stampa (anche quelle liberali). E di questa eredità noi vediamo i segni ancora oggi, molto evidenti.
The second part in Scurati's envisioned Mussolini trilogy is still a well written and interesting read. However, just as with Hillary Mantel's Cromwell books, when they have no clear conflict or antagonist to work with (i.e. Communist leaders/ opposition in the first book, More/ Boleyn with Mantel, for example) , both authors often succumb to sometimes merely anectodal history retellings, failing to establish their respective novels' raison d'etre. In addition, Scurati here even completely abandons some of the more adventurous psychologizing of the first novel and labors harder to make kind of a statement on current times. Not a bad book, but a disappointing one.
In generale molto meno scorrevole rispetto al primo, ma non meno interessante. Nel primo capitolo della saga era più la “Storia” vera e propria ad essere la protagonista del romanzo, mentre in questo libro si entra forse di più nei sentimenti e nelle sensazioni personali del mussolini uomo, si percepisce una netta svolta del personaggio verso la follia e l’orrore più assoluto. Diciamo che ho vissuto questo libro più come un libro “ponte” verso il terzo libro, in cui temo si raccontino le nefandezze e gli orrori del periodo più terribile del fascismo. Quindi sicuramente un libro fondamentale, ma che risulta un po’ più “pesante” rispetto agli altri della saga.
Faccio davvero tanta ma tanta fatica recensire questo libro,lento,davvero lento lento,probabilmente ci sono 150-200 pagine di troppo,il personaggio principale ,che dovrebbe essere Mussolini,lo si incontra davvero poche volte in questo secondo libro,se non per descrivere i suoi problemi di salute,per il resto tanti personaggi secondari che rendono il libro poco interessante e davvero lento e difficile da concludere,niente a che vedere con il primo capitolo di questa trilogia vincitore del premio Strega,peccato,speriamo nel terzo.