Una donna in dialogo perpetuo con se stessa e con il mondo disegna una mappa delle sue ossessioni, del suo rapporto con l'amore e con il corpo, serbatoio di ipocondrie e nevrosi: il nuovo romanzo di Daniela Ranieri è un diario lucido e iperrealistico, in cui ogni dettaglio, ogni sussulto di vita interiore è trattato allo stesso tempo come dato scientifico e ferita dell'anima. Dalla pandemia di Covid-19 alla vita quotidiana di Roma, tutto viene fatto oggetto di narrazione ironica e burrascosa, ma in special modo le relazioni d'amore: le tante sfaccettature di Eros - l'incontro, il flirt, il piacere, le convivenze sbagliate, la violenza, l'idealizzazione, la dipendenza, l'amore puro - vengono sviscerate nello stile impareggiabile dell'autrice, un misto di strazio, risentimento, ironia impastati con la grande letteratura europea (e non solo). E forse è proprio la lingua di Daniela Ranieri il vero protagonista di questo "Stradario aggiornato di tutti i miei baci", una lingua ricchissima di echi gaddiani, di irritazioni à la Thomas Bernhard, di citazioni, e allo stesso tempo inquietantemente diretta e inaudita, una lingua la cui capacità di nominare e avvicinare le cose è pari soltanto alla sua potenza nel distruggerle. Lo Stradario di Daniela Ranieri non è solo un romanzo: ha la sostanza di un corpo vivente che abita nel mondo, di una voce che avvince e persuade con la forza della grande letteratura.
Il diario romanzato di una dongiovanni moderna che vive in una Roma inevitabilmente fetida, turistificata, malfunzionante. Una mappa - o meglio uno stradario iperealistico di amori, amorazzi, quasi amori, inizi sconquassati e finali quieti o viceversa, flirt, tradimenti, gelosie e tutto il catalogo di tipi umani, colpiti dal capriccio di Eros.
Ma soprattutto un quaderno che vuole contenere l’esistenza in un barattolo, ogni minutaglia, tutti i pensieri che scavano questa donna irritata, burrascosa, scostante: l’insonnia, i ritardi, la paura, gli imbarazzi, gli odori e i profumi del mondo, l’ipocondria, la filosofia, i viaggi, la letteratura, la vita che la attraversa. Gaddiano nel fluire di ansie esacerbanti e quindi, di riflesso, comiche. Tirannica la voce ossessiva della protagonista, a tratti pretenziosa e malmostosa nel suo rimuginare risentito, ma sempre riequilibrata da un cipiglio ironico, e da una prosa eclettica e trascinante. Vorticosa e malinconica come Francesco Pecoraro, probabilmente un po’ reazionaria nel suo orrore della contemporaneità digitale, nell’indignazione per la superficialità ubiqua, l’insicurezza collettiva e la medicalizzazione dei sentimenti. Un libro sorprendente e indomabile, forse fin troppo, tanto da risultare in alcuni punti troppo artificioso, prolisso e pretenzioso (soprattutto quando nomina qualsiasi filosofo occidentale), salvo poi scadere spesso in invettive grilline (le parti sui medici potevano essere ridotte, siamo a un passo dall'abbracciare l'omeopatia). Consiglio di porlo in dialogo diretto con un altro pseudo diario italiano molto più misurato ovvero Niente di Vero di Veronica Raimo.
Per me ok: (1) La trama che cede il passo alle digressioni, la ricerca di uno stile più che della linearità del racconto; (2) la volontà chiara di creare qualcosa di diverso e contemporaneo; (3) il rapporto con lo psicanalista; (4) la percezione amplificata dei rumori e la ricerca estrema del silenzio (Uso talvolta anche di giorno i tappi di cera rosa, a foderarmi il cervello, a inguainare di silenzio artificiale i nervi straziati); (5) le cronicità assortite (La prova che sono non è il pensiero, ma il prurito); (6) L’ultimo capitolo.
Per me no: (1) la quantità infinita di epigrafi, tratte da qualsiasi cosa, basta che sembri difficile; (2) la punteggiatura creativa in modalità fastidiosa (due punti consecutivi in numero variabile, parentesi nelle parentesi); (3) le invettive fuori contesto, da arrabbiata col mondo: vs medici, scuola, onnivori, decadenza di Roma Capitale; (4) quasi tutto quello che riguarda profumi / essenze; (5) frasi / situazioni al limite del tremendo sparse dovunque, tipo la protagonista che presta un libro ad un tizio, un libro su cui aveva dormito sopra, e quindi è come se lui toccasse i miei seni e l’alone del mio calore; (6) le ossessioni che da punto di forza possono indebolirsi a vezzo.
Potenzialmente interessante, ha pagine molto buone, ma è anche iper-costruito. Troppo lungo, troppa accumulazione. Tende alla logorrea enciclopedica. Molti capitoli da far fuori senza pietà. Oscilla continuamente tra il capolavoro e la rottura di scatole. Forse è solo difficile tenere insieme questa quantità di roba lasciando alla fine la sensazione che ogni riga abbia un senso. Tre stelle, arrotondate per eccesso.
Libro formidabile, una scrittura che non ricordo di aver letto con tanta ammirata sorpresa nella narrativa italiana recente. Una riflessione mobile ed erudita del personaggio cha racconta, spirito da moralista esacerbata e umoristica, Donna Giovanni e Zena Cosini che si muove attorno a tutto ciò che preme sulle nostre vite. Affetti storti, disavventure con persone vanesie, volgarità, ipocondria, animali, profumi. Descrizioni impareggiabili di Roma. Tenerezza per una sé stessa dimidiata dalle relazioni erotiche.
«Non esiste in letteratura la figura del Don Giovanni femmina. Dell’uomo predatore seriale ammiriamo l’incessante destrezza. La donna che passa da un uomo all’altro, sperando che ciascuno sia in fondo colui che resiste confermandole che l’amore esiste, è una figura patetica, non malinconica tragica delicata sardonica disperata come Don Giovanni. Ella è invariabilmente: puttana».
Una donna che racconta le sue vicissitudini, nata a Roma sull’isola tiberina, ma poi la sua esistenza si fa difficile, di periferia, risentita, studia, si muove nel mondo della cultura con una sorta di furore rattenuto. Si confida col suo amico Michele, ama l’ultimo uomo conosciuto, un certo A., che rappresenta l’ultimo amante di Don Giovanni e può essere l’assoluto oppure soltanto l’ultimo prima del prossimo.
Gli autori e i rimandi sono un’enormità, da Gadda a Kundera, da Nietzsche a Bernhard a Kafka, dai tragici greci a Marco Aurelio, lo stile è autentico, scattoso, ossessionante e salutare come quando in riferimento alle sue numerose ansie raggiunge questa conclusione: «L’ipocondriaco è solo un iperlogico che sbaglia i tempi».
Sono quasi 700 pagine che si leggono come uno stradario di morale offesa, poteva essere uno dei possibili titoli. Comincia con una toccante dedica a suo padre scomparso:
Papà, le stelle morte continuano a inviare la loro luce. Se mi trovassi adesso su un pianeta lontano e guardassi dentro un telescopio abbastanza potente puntato verso la Terra, potrei vederti ancora.
Termina con un capitolo solenne dall’estensione universale. Gran libro.
C’è, tra i tanti, un capitolo splendido in cui si sofferma sulle sue nevrosi, si intitola: “Di preoccupazioni e altre cose preoccupanti”. La citazione in esergo è tratta da Montaigne, lei non lo direbbe (l’autrice) immagino, ma suppongo che tra le miriadi di autori citati, la segreta intenzione di questo libro è di osservare sé stessa seriamente come fa Montaigne. Uno dei suoi tanti uomini flop che incontra, le rinfaccia che ha paura delle moto, in realtà lei ha paura di tante cose, comprese la piattezza dell’uomo che le sta accanto e di sé stessa che ha creduto fosse un altro, sempre un altro inesistente, poi aggiunge che tra le paure non ha soltanto quelle ordinarie, malattie, topi (gira con sacchetti di Scappatopo nella valigia), incidenti nel traffico, ma anche quelle più inaspettate, cerebrali, che Montaigne non ci dice, ha pura delle coincidenze, il timore che mentre sta vivendo un momento di felicità o di estasi allo stesso tempo un suo caro soffre o muore, tutto congiunto, ha paura che le crolli un ponte di sotto (questa è anche una paura di Cheever), che le lettere spedite non arrivino da nessuna parte…
Questa lettura mi ha davvero appagato, mi ha fatto venire in mente tutti i tromboni, nostrani e non, che parlano con enfasi al maschile, raccontando di donne ma soprattutto di se stessi. Si può parlare anche di sé senza pretendere di essere al centro del mondo, ma avendo una voce universale, raffinata, colta, arguta e pungente.
Daniela Ranieri si fa leporella di se stessa e compila questo catalogo/stradario delle peripezie amorose della madamagiovanni, come si autodefinisce ad un certo punto. Ma se il Don Giovanni è pur sempre un dramma giocoso, lo stradario è piuttosto un elenco pressoché completo di tutte le meschinità, volgarità ed insensibilità che la scrittrice subisce dal compagno del momento, che raggiunge il proprio climax al momento del distacco, gettando un'ombra di tristezza su tutto il suo rapportarsi con gli uomini. In questo non picciol libro (696 pagine) compaiono il Famoso attore lo Scrittore affermato , il Politico in auge, l'Alto funzionario della Pubblica Amministrazione, il Chirurgo di fama, una galleria di figure di successo il cui comportamento nella sfera affettiva è inversamente proporzionale allo status sociale. Ma cosa si aspettava la Ranieri ? lo sapeva che nel branco umano (come tra gli scimpanzé e a differenza di tutte le altre specie animali) prevale l'individuo più aggressivo (leggasi più stronzo e dotato di pelo sullo stomaco ) e non il più forte, il migliore. Tra un ritratto e l'altro ci sono capitoli-oasi in cui racconta del (presente?) compagno in cui ha trovato tutto quello che ci si può aspettare in fatto di comprensione ed empatia. Madamagiovanni insomma ha un lieto fine. La galleria (dis)umana offre il destro per descrivere il panorama di questi decenni e le molte miserie camuffate da illusori splendori, la società con i vecchi rituali che si perpetuano ed altri che si aggiungono (i social !) sempre nel segno dell'ipocrisia. In conclusione un libro da leggere, innanzitutto per la qualità della scrittura, sempre appropriata con momenti veramente notevoli, per la vasta e composita cultura dell'autrice, che avrebbe avuto maggior risalto se fosse stata meno esibita: l'apparato di citazioni appesantiscono la lettura, così come le frasi in epigrafe a ciascun capitolo fanno tanto bigliettini dei baci perugina, sempre per restare in argomento. Peccato, se avesse lavorato di più per asciugare e smagrare anziché accumulare, avremmo avuto forse un male oscuro del terzo millennio scritto al femminile ( opera con cui ha qualche punto in comune: l'analisi, l'ipocondria e la totale disistima della casta dei medici) , quindi in area di sicuro capolavoro. In definitiva un'occasione sprecata, anche se la capacità di scrittura è certamente ben al di sopra gli standard cui ci ha abituato la recente produzione delle patrie lettere.
Io non ho problemi con i romanzi in cui il protagonista è essere insopportabile, vanesio, pieno di sé e totalmente lontano dalla possibilità di empatia. Anzi. Io ho un problema con chi trasforma in 700 pagine una dichiarazione di idolatria verso il protagonista. E con chi fa un uso criminale dei due punti. Più di ogni altra cosa, ho faticato e non poco a digerire l'autocompiacimento che c'è nel raccontare questo ricettacolo di tirchi, mammoni, egoisti, frustrati, aggressivi, riccastri e snob cliché di uomini - ma tutti, nessuno escluso, perdutamente innamorati della protagonista. Tutti la amano, capite? Tutti. Non c'è mai ghosting, non c'è un rifiuto - saio a parte - non c'è uno scopamico in allegria. Sono tutti innamorati, sono tutti pronti a dichiarare un amore che come minimo è manifestato con dichiarazioni roboanti. Bah. Chiariamoci, ci sono parti interessanti, in alcuni momenti si ride e in altri ci si complimenta con l'autrice per lo stile. Però il buono è affogato in un testo che avrebbe avuto bisogno di un buon lavoro di editing. Peccato, è un'occasione sprecata.
Saltellando da una vicenda ad un'altra, Daniela Ranieri ci racconta in prima persona le molte faccende sentimentali di una nevrotica donna italiana che potrebbe essere il suo alter ego. Sono storie molto spesso banali di tradimenti, meschinità, incomprensioni, incompatibilità, piccole gioie e grandi sofferenze. Le diverse storie sono intervallate da capitoli che descrivono profumi (sono stati tra i miei preferiti), inadeguatezze, invettive, riflessioni e angoli di Roma. Quello che rende straordinario questo zibaldone di pensieri è la scrittura di Ranieri: ricca, arabescata, carica di immagini efficaci, parole precise ed evocative (indimenticabile per me la possibile futura suocera che mangiava con ostilità "come se masticasse lacci emostatici"), a volte tenere, a volte furenti e la sua capacità di estrarre dal cilindo personaggi di volta in volta diversi eppure così comuni. Meritatissima candidatura allo Strega e ancor più al Campiello, che in genere premia la ricercatezza linguistica.
Sono sempre contenta quando incontro un autore italiano che sa scrivere. E Daniela Ranieri indubbiamente lo sa fare. Il bestiario maschile che la protagonista incontra non è né più né meno quello che, tra amiche, ci si racconta dopo ogni delusione, dopo ogni tentativo fiducioso andato male, una “disastrologia” di amori morti. Il dottore, lo scrittore, il feticista, il taccagno, il carnivoro, il traditore, il cocco di mamma, il collezionista…di donne naturalmente. Bisogna scappare: la vanità e la gioia dell’infatuazione sono il preludio della sofferenza più atroce e dell’addio più severo, ormai lo so: che vado cercando da anni? E lei, la protagonista, rappresenta tutta la gamma delle mie amiche più ingenue, più fragili, o più scassacazzi, quelle che amo ben sapendo che sia bene frequentarle con dosi rigorosamente omeopatiche. “Cosa faccio che non dovrei fare? E cosa devo fare che non faccio?” . Tutte con queste domande inutili, con caratteri inquieti e facili all’imbizzarrimento. Lo sguardo impietoso su un mondo maschile che non sta al passo coi tempi: “Pure quando sono bassi, ‘sti caproni, la donna la vogliono valchiria, per esibirla agli altri maschi, e traballante, insicura sui trampoli tacco 12, e deve pure fingere di stare comoda” E il contorno di questo rosario di disamori è scritto con sagacia e acume: la Sanità pubblica, i salotti milanesi, la mania della velocità, gli psicologi, lo strazio dell’attendere chi è in ritardo, la moda della meditazione, tutta una serie di situazioni raccontate con ironia e intelligenza. Senza parlare del mondo dei profumi che non ho la fortuna di condividere avendo io un “naso” che serve solo a riempire fazzoletti. Però, benedetta ragazza, se non tu, che presa dalla voglia di scrivere, con quel logos vivace che tieni, almeno la tua editor (che mi immagino non possa essere altro che donna!) poteva suggerirti che 500 e passa pagine erano troppe. Che ci potevi fare ben due libri con tutto quello che hai scritto, e guarda: per come scrivi li avrei letti tutti e due. Invece per star dietro al tuo “stradario” io non ho aggiornato il mio. E questo, francamente, non mi sembra giusto. Per quello ti ho tolto una stella, ma sappi che è solo per questo.
I'm finished nel senso che ho provato a leggere e riprendere sto libro trecento volte, ed è pure scritto bene, ma non fa per me. Ne leggo trenta pagine e poi lo lascio lì dei mesi. Poi lo riprendo e altre cinquanta pagine e altri mesi. Ho deciso che basta.
Mollato a pagina 27. Mi rifiuto di leggere 624 pagine dove la scrittrice è ancora convinta che utilizzare tre sinonimi per descrivere qualsiasi cosa sia una buona idea.
Alzo il voto a 5 stelline piene perché, nonostante i piccoli problemi riscontrati durante la lettura a cui accenno nella recensione scritta subito dopo aver finito il romanzo, è uno dei libri a cui ripenso più spesso e che mi ha lasciato di più quest'anno. -------------------
C'è vita nella letteratura italiana, soprattutto quella al femminile, molto (troppo) spesso impegnata a declinare in tutti i modi possibili il romanzo familiare e a fornire pallide imitazioni dei romanzi della Ferrante. "Stradario aggiornato di tutti i miei baci" è una vera e propria ventata d'aria fresca: un romanzo diviso in brevi capitoli dedicati a differenti momenti o episodi della vita della nostra narratrice, che fungono da apripista per una miriade di riflessioni sui temi più disparati, da quelli più intimi come l'amore, il lutto, la nevrosi, il desiderio, fino ad arrivare a vari aspetti della società contemporanea, come la sanità, gli ambienti intellettuali e letterari e così via. La carta vincente del romanzo è però sicuramente lo stile di scrittura: Ranieri utilizza una prosa ricchissima e curata, piena di riferimenti e citazioni colte e non, dimostrando una straordinaria cultura. Ho letto in alcune recensioni delle critiche proprio allo stile del romanzo e ovviamente ognuno ha i propri gusti, ci mancherebbe, ma io voglio difendere il diritto a scrivere più che bene, ad andare oltre il semplice compitino, a cui molti scrittori contemporanei (non solo italiani) si riducono; amo quei libri che ti lasciano a bocca aperta, che ad ogni frase ti fanno innamorare un po' di più della letteratura e che ti fanno pensare "vorrei poter scrivere così" e questo romanzo è proprio uno di quelli.
L'unica critica che mi sento di muovere è che forse il romanzo è eccessivamente lungo; data la struttura "sfilacciata" del testo, ci sono sicuramente dei capitoli che ho trovato più interessanti da leggere rispetto ad altri (ad esempio, quelli sui profumi, li ho trovati noiosi, ma questa è una preferenza personale); proprio per questo non do le 5 stelline piene, ma è sicuramente un romanzo che consiglio di leggere assolutamente.
Vorrei assistere ad una conversazione impossibile: il signor Weasley che chiede a Daniela Ranieri qual è la funzione di una papera di gomma. Daniela risponderebbe più o meno così: descrivendo l'Anser anser nel suo habitat naturale, proseguendo col legame a idrogeno delle molecole d'acqua, citando la leggenda delle Oche del Campidoglio e finendo con la descrizione di Roma vista dall'alto dalle oche come nella "Parigi a volo d'uccello" di V. Hugo in Notre-Dame de Paris. Voli pindarici. In tutti i sensi. Così mentre io descriverei la mia nascita citando ospedale, luogo e ora manco stessi compilando il diario "Il mio bebè" o manco stessi parlando con un annoiato impiegato dell'ufficio anagrafe, lei riesce a mettere in mezzo Esculapio, le fogne di Roma, Romolo e Remo, la guerra di Troia. Dopotutto un evento tanto poetico come la nascita necessita parole tanto poetiche. E un minuto dopo vi descrive il braccio "addormentato" sotto al cuscino con lo stesso lirismo. Daniè, mi descrivi la sensazione di pre-infarto che si prova quando si crede di star cadendo dal letto? O la frustrazione che si prova quando si è sul wc e ci si accorge che la carta igienica è finita? Ti ascolterei per delle ore parlare dell'Iliade come del volo del moscerino della frutta che si posa su una mela marcia. Perché è questo quello che fai, rendi epica come la guerra di Troia qualunque banalità della vita. Ma che collegamenti neurali hai??
Se fossi Yalom, direi che è una delle migliori rappresentazioni di come, per sopravvivere all'angoscia di morte, ci si distacchi dall'esperienza rendendo tutto intellettuale, inafferrabile. Se fossi Sehgal direi che è un esempio limpido di scrittura del trauma: la vita di una persona che vive nell'inanticipabile, dopo la precoce morte del padre, quindi nel desiderio - espresso in purezza - di controllo. Trovo quindi che Lo stradario aggiornato di tutti i miei baci sia un libro che merita ogni riconoscimento che gli potrà arrivare perché è una scrittura chirurgica, volutamente "alta", che espone una posa esistenziale assai (apparentemente) comune nell'Italia del 2022: essere ruggenti nell'essere (apparentemente) non allineati, affermando e negando al contempo opinioni talvolta superficiali, ma espresse con una erudizione che generi ammirazione. In questo Ranieri ha creato un libro e un personaggio assai contemporanei. D'altro canto, svelato il gioco di controllo seduttivo dell'opinione dell'altro (quindi anche del lettore) fin dalle prime pagine, l'esperienza di lettura per me è stata annoiata, immaginando troppo facilmente come si sarebbe comportata la protagonista, come si sarebbe posta nelle varie situazioni, in cui l'altro da sè non ha spazio se non svuotato di umanità, ridotto a ruolo, pedina di un gioco. Le uniche pagine che ho sentito appassionarmi, infatti, sono state quelle in cui entra in relazione con i gatti e quelle della chiusura, ovvero le pagine in cui la protagonista molla (almeno in parte) le armi e si permette di stare nel gioco della vita in modo diverso.
Come molti appassionati di lettura, ho appreso con grande curiosità i titoli dei dodici libri finalisti al Premio Strega. Tra questi c'è STRADARIO AGGIORNATO DI TUTTI I MIEI BACI di Daniela Ranieri, una lettura impegnativa sia dal punto di vista della mole (siamo a quasi 700 pagine), sia per quanto riguarda lo stile narratorio.
Sconsiglio questa lettura ai distratti e a coloro che prediligono storie d'azione o avventura. Affascinante in modo diverso dal solito, la trama è arricchita da variegate citazioni, rimandi, riferimenti, suggestioni, tanta cultura e ironia a profusione.
Il romanzo è il racconto in prima persona della vita di una donna della quale non viene mai specificato il nome. La protagonista parla della sua nascita nella bella e decadente Roma, accenna alla pandemia da Covid e l'impatto che ha avuto sul mondo e su di lei e prosegue con una riflessione impetuosa e ardente sull'eterno mistero delle correnti amorose...
Devo confessare che all'inizio ho fatto un po' di sforzo per inserirmi nello spirito dell'opera, probabilmente a causa dell'innegabile natura magnificente dello stile, ma una volta entrata in questo mondo, ne sono stata rapita.
Un libro improntato sul dialogo interiore di una donna sensibile e intelligente: flusso di pensieri, riflessioni, dubbi, curiosità, domande e paure (delle quali stila un elenco minuzioso). La protagonista è ossessionata dai ricordi e appare come dotata di coscienza esagerata e strabocchevole che le impedisce quasi di vivere. Analizza diversi aspetti della quotidianità in modo meticoloso e ironico e si reputa una malata di mente d'amore e infatti si innamora spesso, fino all'incontro fatale con A, incarnazione del vero e del sognato, immaginato e presente, e si scopre perduta.
Nel Capitolo IL MIELE DELL' ESISTENZA ho vissuto un'esperienza olfattiva (si avete capito bene!). La protagonista racconta la sua passione per i profumi descrivendo le sottigliezze di alcune fragranze note. Squaderna incanti e accompagna i lettori nel suo percorso olfattivo, rappresentando i vari odori e distinguendoli a uno a uno in modo lirico e sorprendente.
"I profumi non occultano la nostra complicata struttura di esseri animali e persone civili, come forse crede chi li ritiene tecnologie utili a mascherare l'odore naturale. Il profumo ci eleva verso l'alto, come i fumi balsamici che portavano le ceneri dei morti verso il cielo durante i riti funebri (da qui -profumo-, dalla maniera di sublimare la materia attraverso il fumo), e ci ingrandisce verso l'esterno con un'aura sottile."(Cit)
Per me leggere questo romanzo è stato come essere investita da una tempesta multisensoriale. L'autrice crea incantesimi con le parole ad evocare immagini, odori e sapori che si imprimono nella mente.
Stradario aggiornato di tutti i miei baci è una dedica dell’autrice “ai gatti ricoverati nelle cliniche veterinarie” che introduce subito uno dei primi racconti, esperienze raccolte in questo “stradario” di Daniela Ranieri.
Il suo gatto per lei “mediatore con le potenze invisibili” si ammala e ricoverato in una clinica veterinaria, viene sottoposto ad un trattamento che gli toglie ogni dignità. Lei soffre e così soffre lui
“due creature in pena nell’universo compatto e indifferente”.
Il ricovero del gatto sembra preludere ad una serie di odissee ospedaliere che l’autrice racconta, non senza astio e livore nei confronti di medici e paramedici, con cui sembra ci sia una specie di resa dei conti in sospeso, una vecchia ferita che sanguina ad ogni contatto con l’ambiente sanitario.
Ma Stradario aggiornato di tutti i miei baci è soprattutto un “catalogo” delle sue esperienze amorose, spesso disastrose e laceranti, con uomini indifferenti, vanitosi, tirchi o traditori.
Un elenco aggiornato e completo di amori finiti, o forse mai nati; eccetto il rapporto con A, il saggio e affascinante professore siciliano, che percorre come una linea rossa l’intera opera, nonché la memoria sentimentale della narratrice.
Questo libro non è propriamente un romanzo, ma non può essere definito un saggio o un’opera di erudizione. È una raccolta di pensieri e di esperienze, quasi uno zibaldone o un’operetta morale.
Dire che è scritto dal punto di vista della narratrice, quindi in prima persona, è quasi riduttivo: non stiamo leggendo il suo punto di vista, siamo letteralmente dentro la testa del suo io narrante, tra emozioni più intime e paure più ancestrali.
Stradario è un lungo viaggio attraverso i sentieri perigliosi e talora contorti dell’io, che avvolge nella sua visione ipertrofica la percezione dell’universo intero.
Non è amore a prima vista quello che ho provato leggendolo: è un libro poco scorrevole, a tratti difficile, soprattutto quando cede alla seduzione dell’accumulo di aggettivi e citazioni.
Le digressioni non mancano, a volte dirottano il percorso narrativo e disorientano il lettore.
Rispetto ai dialoghi prevalgono le descrizioni arricchite da riferimenti letterari, mitologici o filosofici. Ad un certo punto, al catalogo di esperienze amorose si aggiungono pagine e pagine dedicate ai profumi: lo sguardo impietoso riservato agli uomini si intenerisce nel descrivere le fragranze ambrate o le essenze sublimi. Si intuisce che questa attenzione derivi dall’asportazione di un polipo dal setto nasale che restituisce alla protagonista un rapporto prima impossibile con il mondo dei profumi.
Io, personalmente, ho avuto l’impressione che l’economia dell’opera ne subisse un contraccolpo, un’inutile sfida all’abbandono lanciata al lettore.
Le difficoltà vengono superate da una scrittura potente ed elegante, con un lessico ricercato e prezioso che alleggerisce e ingentilisce periodi lunghi e articolati.
Inoltre, ho apprezzato molto la cura editoriale riservata al libro, nella grafica e nell’impaginazione, nonché nell'accurato lavoro di editing.
Stradario aggiornato di tutti i miei baci è un bel libro da tenere sul comodino e da centellinare come un buon vino d’annata.
“Sogno un mondo in cui la solidarietà conti più dell’amore”. Questa è una delle frasi finali del libro migliore del 2022 e di chissà quanti altri anni. La parola perfetta, a mio modestissimo parere, per descriverlo è completo. C’è tutto. Amore, ossessione, descrizioni minuziose, sarcasmo, ironia, temi sociali, attuali e meno attuali, piante, fiori, cani, gatti, gelosia, profumi, mitologia, filosofia. Tutto. Ho riso tanto, mi sono sentita appagata, compresa. L’autrice di base offre un catalogo di tutti i suoi incontri amorosi, ovviamente descrivendoli con estremo sarcasmo ma anche con una nota di rammarico e fragilità (in alcuni casi). Ci mostra anche la sofferenza, le sue ossessioni, i suoi problemi personali, eppure lo fa con una spontaneità così vera e divertente che tutte le varie vicende ne escono alleggerite. Ho amato il capitolo sulla gelosia ma ne ho amati tanti altri, le descrizioni (a volte brutali) di Roma, quelle sui gatti, quelle sulla sanità. Per non parlare delle parole che lei riserva ad A. La dedica finale mi ha fatta commuovere, ho percepito tutta la rabbia e l’onestà dell’autrice. Ci ha fatto un dono, si percepisce che per lei questo libro sia stata una specie di liberazione, uno sfogo. E CHE SFOGO. Per tutti questi motivi vi invito seriamente a leggerlo. Non fatevi spaventare dalla mole, sara sufficiente seguirla e lasciarvi andare e sarà un percorso bellissimo.
Un romanzo (?) sfilacciato e disorganico (ma solo in apparenza) perché la voce narrante in realtà è demiurgo. La voce di una donna intelligente alle prese con relazioni e uomini spesso improponibili. Amarezza e ironia, una scrittura perfetta, magistrale. Dopo un inizio faticoso l'ho amato. Le parti in cui la Ranieri crea immagini associate ai profumi (la protagonista ci spiega la sua iperosmia) sono a dir poco meravigliose.
raccontarsi come epopea, invocando in soccorso avi e poeti, a partire da una ferita impressasi all'altezza della scatola cranica. per quella frattura poi passa ogni corrente, aderendo al primo principio della termodinamica: amori - sbiechi, scarni, difficili - amorazzi, disamori, letteratura, profumi del mondo che dal naso ascendono alle vie cerebrali, tutte le insofferenze per la professione medica, nevrastenie, una Roma pure sclerotizzata. e a rileggere tutto c'è l'ultimo amore grande, lente sul passato presente futuro, che planando sul resto oscura gli amori del prima; fino all'ultimo amore grande, dicevo, che in realtà è solo il principio del successivo, perché legge di ogni amore è saper morirsi come materia che si trasforma: "l'alfabeto della vita è una lingua morta".
un io che racconta sé e il suo tempo (che è pure il mio, ma non saprei raccontarlo), e li trasfigura in letteratura.
Una delle migliori prose contemporanee si dischiude in quest’opera mastodontica, gaddiana, nicciana, barocca. È un viaggio lisergico, che ci riempie i sensi di profumi, sensazioni, affreschi e ci accultura febbrilmente, in un vortice di richiami aulici, passi biblici, idiosincrasie manifeste o ctonie. Come la scrittrice si “inlua” nell’amato, così noi lo facciamo in queste pagine che assorbono, avviluppano in un’esperienza stravolgente.
Non serve una trama, tutto diventa argomento, sebbene alla base ci sia l’amore di coppia, in tutte le sue sfaccettature, borgatare o professorali, accompagnate dall’immancabile ambientazione, spesso olfattiva più che visiva, a dimostrare che ogni dettaglio può diventare enciclopedico e totalizzante.
La forma e lo stile sono da manuale di scrittura, ma emergono eccezioni, tratti peculiari a volte ridondanti (come l’uso eccessivo di “:”), a volte disregolati (troppe digressioni, spesso senza riferimenti coerenti) che confermano la regola, non scritta, riservata ai grandi autori, a cui si concede tutto purché perpetuino la loro arte, ispirati dalle Muse.
N.B: questo originale “stradario” ha gareggiato al Premio Strega 2022 piazzandosi in dozzina per poi essere scalzato da opere nettamente minori, mediocri; una fra tutte “Spatriati” il romanzo vincitore di Desiati. Leggete entrambi e poi traete le vostre conclusioni sulla deriva che sta prendendo la cultura letteraria oggi.
Mi spiace: la scrittura e la lingua di Ranieri mi sono piaciute, e ha fatto anche delle riflessioni molto interessanti. La storia, invece, credo di non averla capita: troppe cose, troppe persone e troppe situazioni nello stesso libro che ho trovato molto scollegate fra loro. Banalmente bastava che teneva soltanto la storia d’amore con A., la sua ansia e il lavoro sulla stessa e il periodo Covid accorciando il libro e rendendolo più coeso tematicamente. Il resto non mi è entrato proprio. Mi spiace, perché sulla carta poteva essere un romanzo da cinquina se non da vittoria dello Strega, però, scrittura e lingua a parte, non mi ha convinto. Forse è un problema mio, visto che a tanti è piaciuto, chi lo sa.
Faticoso ma meraviglioso. Odi et Amo della letteratura contemporanea. Ogni pagina, coltissima, mi stupiva con parole erudite. Ogni storia mi colpiva per la sua intelligenza senza pari. Un libro per chi ha voglia di leggere pensando, per chi non si lascia scoraggiare da 700 pagine di racconti/ saggi sull'essere umano di oggi. Il titolo c'entra poco o niente con il contenuto.