Dal dirompente esordio nella Russia primonovecentesca e prerivoluzionaria di "Provincia" (1912), grottesco quadro del mondo rurale russo, cupo e bigotto, al teso e limpido "L'incontro" (1937), ambientato tra gli emigrati russi a Parigi dopo la rivoluzione d'ottobre: questo volume contiene tredici esempi di come si evolva nel tempo e di quanto sia ricco di sfaccettature l'universo letterario di Evgenij Zamjatin. Tra gli altri, "Isolani", basato sull'esperienza diretta dell'autore a Newcastle, dove nel 1916 e 1917 sovrintese alla costruzione di navi rompighiaccio: tra i testi più celebri dello scrittore, è una pungente satira della società britannica, e più in generale borghese. Ma soprattutto una denuncia delle conseguenze cui si giunge quando l'autorità, qualsivoglia autorità, tenta di disciplinare in modo dittatoriale la vita degli uomini: un tema che anticipa potentemente il capolavoro "Noi". I tredici esempi si aprono e si chiudono con due "pezzi" non propriamente narrativi, "Autobiografia" e "Dietro le quinte": quest'ultimo, in particolare, mostra come scrittura e riflessione sulla scrittura si siano sempre intrecciate nell'opera di Zamjatin con eccezionale coerenza e fa luce sulla sua feconda vocazione al narrare storie.
Yevgeny Zamyatin (Russian: Евгений Замятин, sometimes also seen spelled Eugene Zamiatin) Russian novelist, playwright, short story writer, and essayist, whose famous anti-utopia (1924, We) prefigured Aldous Huxley's Brave New World (1932), and inspired George Orwell's 1984 (1949). The book was considered a "malicious slander on socialism" in the Soviet Union, and it was not until 1988 when Zamyatin was rehabilitated. In the English-speaking world We has appeared in several translations.
"And then, just the way it was this morning in the hangar, I saw again, as though right then for the first time in my life, I saw everything: the unalterably straight streets, the sparkling glass of the sidewalks, the divine parallelepipeds of the transparent dwellings, the squared harmony of our gray-blue ranks. And so I felt that I - not generations of people, but I myself - I had conquered the old God and the old life, I myself had created all this, and I'm like a tower, I'm afraid to move my elbow for fear of shattering the walls, the cupolas, the machines..." (from We, trans. by Clarence Brown) Yevgeny Ivanovich Zamyatin was born in the provincial town of Lebedian, some two hundred miles south of Moscow. His father was an Orthodox priest and schoolmaster, and his mother a musician. He attended Progymnasium in Lebedian and gymnasium in Voronezh. From 1902 to 1908 he studied naval engineering at St. Petersburg Polytechnic Institute. While still a student, he joined the Bolshevik Party. In 1905 he made a study trip in the Near East. Due to his revolutionary activities Zamyatin was arrested in 1905 and exiled. His first short story, 'Odin' (1908), was drew on his experiences in prison. Zamyatin applied to Stalin for permission to emigrate in 1931 and lived in Paris until his death.
Una selezione di 13 racconti, in parte inediti, disposti in ordine cronologico. Il primo e l'ultimo sono entrambi autobiografici. L'ultimo, in particolare, ci porta "Dietro le quinte" dello scrittore Zamjatin e ci fa scoprire non solo il modo in cui si accende la sua vena creativa, ma anche la particolare cura per la forma dei testi che ha sempre cercato di perseguire. La scelta delle immagini, da associare a ciascun personaggio (ad esempio le labbra vermiformi di Mrs. Campbell, i denti d'oro di Mr. Dewley, la faccia tetragona di Balyba ecc.), come una sorta di refrain martellante, lo scarto di tutte le cose inutili e non essenziali (certe parti descrittive) e financo i suoni di vocali e consonanti, da associare ai momenti di pausa e alle accelerazioni. Nulla è lasciato al caso. L'edizione è curatissima e presenta una splendida nota introduttiva di Alessandro Niero, il traduttore (il più esperto conoscitore zamjatiniano in Italia, avendo anche tradotto il romanzo "Noi"), quasi una monografia, nonché un corposissimo apparato di note ad agevolare il lettore (ritengo anche chi legge per ragioni di non mera evasione) a cogliere tutti i riferimenti storici e linguistici. Ci sono addirittura una bibliografia dettagliatissima, un glossario per i termini russi più usati e financo una nota esplicativa per i nomi e patronimici utilizzati e relative forme diminutive, contratte e/o vezzeggiative che si trovano tra le righe. La selezione di racconti, lungi dall'essere completa, ci dà tuttavia uno spaccato abbastanza vario della produzione di Zamjatin. Sono compresi anche un paio di lavori del cosiddetto periodo inglese (la povest' "Isolani" e il racconto brevissimo "Australiano"). L'ambientazione, pure, è molto varia: si passa dalla Russia rurale di "Provincia" prerivoluzionaria, con i suoi personaggi quasi bestiali, al periodo immediatamente successivo ai moti rivoluzionari del '17 e agli anni della NEP (anni venti) e financo (come detto) all'Inghilterra degli anni '10, quando il nostro vi si stabilì per lavorare ai cantieri delle navi rompighiaccio. Insomma, un'edizione che è già diventata fondamentale.
"Racconti" è una raccolta di tredici storie scritte dallo scrittore russo Evgenij Zamjatin tra il 1912 e il 1937, un lasso di tempo che va dalla Russia primonovecentesca e prerivoluzionaria all'Unione Sovietica – o meglio, agli emigrati dell'URSS che, esiliati dalla loro terra, trovano rifugio a Parigi, in Inghilterra, in Norvegia…
Leggendo queste tredici novelle (povest’) si respira la rivoluzione pietroburghese, che porta con sé il profumo dei lillà e il rosso onnipresente delle bandiere. Sarebbe però davvero riduttivo definire queste storie come semplici testimonianze della rivoluzione. Al contrario, gli scritti di Zamjatin sono molto differenti gli uni dagli altri sia per forma che per contenuto, e questa diversità altro non è che una lampante dimostrazione di quanto l’autore sia cambiato nel corso dei decenni.
L’universo letterario di Zamjatin è estremamente ricco: i contesti variano dalla società pietroburghese – o meglio, “pietrogradese” – a quella inglese. Sarebbe errato, dunque, credere che l’autore offra solo una visione del suo Paese, in previsione della stesura di “Noi”, la sua opera più celebre.
Ciò che inevitabilmente colpisce di Zamjatin, però, è lo stile: picchi di lirismo e, allo stesso tempo, di un accentuato linguaggio popolare, descrizioni poetiche accostate a battute grezze… e non mancano, di certo, i tecnicismi, perché non dimentichiamoci che l’autore è ingegnere navale di professione! Come nota Alessandro Niero, che ha curato questa splendida edizione, il linguaggio di Zamjatin è privo di compartimenti stagni: tutto fluisce con un’eterogeneità che rispecchia accuratamente la realtà che lo circonda e che ci consente di immergerci del tutto nelle sue pagine.
Questa lettura mi ha sconvolta. I racconti di Zamjatin, autore noto per il bellissimo romanzo dispotico "Noi", sono crudeli e affilati come una lama. L'atmosfera è decisamente cupa e in ogni storia c'è una brutalità, una sofferenza e una crudeltà che colpiscono il lettore dritto al cuore. Lo stile passa dall'ironico al poetico, facendomi attraversare tutta una serie di emozioni sempre più intense e difficili da gestire. E' un libro complesso, uno di quelli che ti porta a riflettere anche a mesi di distanza. Ho amato il fil rouge di questi racconti: una sorta di retrogusto dolce/amaro che, metafora dopo metafora, mi ha spinta a divorare le pagine. L'atmosfera della vecchia Russia lascia talvolta il posto ad altre ambientazioni creando un continuo senso di movimento della narrazione. Proprio alla fine, Zamjatin ci consente di sbirciare dietro alle quinte del suo processo creativo: assolutamente affascinante e istruttivo. La mia storia favorita è "L'orologio". Un elogio va anche alla bella edizione e alla copertina decisamente azzeccata.