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Strangers I Know

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Every family has its own mythology, but in this family none of the myths match up. Claudia's mother says she met her husband when she stopped him from jumping off a bridge. Her father says it happened when he saved her from an attempted robbery. Both parents are deaf but couldn't be more different; they can't even agree on how they met, much less who needed saving. Into this unlikely yet somehow inevitable union, our narrator is born. She comes of age with her brother in this strange, and increasingly estranged, household split between a small village in southern Italy and New York City. Without even sign language in common - their parents have not bothered to teach them - family communications are chaotic and rife with misinterpretations. An outsider in every way, she longs for a freedom she's not even sure exists. Only books and punk rock - and a tumultuous relationship - begin to show her the way to create her own mythology, to construct her own version of the story of her life. Kinetic, formally daring, and strikingly original, Strangers I Know is a funny and profound portrait of an unconventional family that makes us look anew at how language shapes our understanding of ourselves.

272 pages, Paperback

First published February 14, 2019

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13476 people want to read

About the author

Claudia Durastanti

73 books213 followers
Claudia Durastanti è una scrittrice e traduttrice italiana. Si laurea in antropologia culturale all'Università La Sapienza di Roma, per poi proseguire gli studi alla De Montfort University di Leicester e tornando a La Sapienza per un master in editoria e giornalismo.

Ha lavorato come consulente editoriale per il Salone del libro di Torino e ha cofondato il Festival Italian of Literature in London.

Ha esordito nel 2010 con il romanzo Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra vincendo il Premio Mondello Giovani, il Premio Castiglioncello Opera Prima ed arrivando in finale al Premio John Fante.

Traduttrice presso Marsilio e minimum fax, ha in seguito pubblicato i romanzi A Chloe, per le ragioni sbagliate nel 2013 e tre anni dopo Cleopatra va in prigione che sviluppa un suo racconto precedentemente contenuto nell'antologia L'età della febbre, dedicata ai migliori under-40 della scena letteraria italiana.

Nel 2019 ha dato alle stampe il memoir famigliare dedicato alla figura materna La straniera entrando nella cinquina finale del Premio Strega 2019 e vincendo il Premio Strega Off e il Premio Pozzale Luigi Russo. Sempre con
La straniera è finalista al Premio Alassio Centolibri, al Premio Viareggio e al Premio Stresa.

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Profile Image for Orsodimondo.
2,457 reviews2,429 followers
January 10, 2023
TERRITORIO SELVAGGIO


Fotografia di Diane Arbus.

La straniera del titolo è certamente la stessa Claudia, come lo è sua madre, e direi la sua famiglia intera.
Straniera rimanda a confini, e di confini si parla molto in questo romanzo (per me romanzo più che memoir, ma memoir va comunque bene): Italia, USA, Inghilterra, i viaggi della giovane Claudia…


La madre

Ma l’estraneità sembra piuttosto riferita all’esistenza in sé. Alla vita. E non certo perché respinta, incompresa, non accettata: tutto il contrario, qui la vita è aggredita, presa a morsi, affrontata corpo a corpo. Straniera, secondo me, perché non rispetta le regole, e neppure le convenzioni, si siede al tavolo e gioca a modo suo.
Il senso di lontananza è comune a entrambe le possibili interpretazioni.


Il padre

Diviso per capitoli il cui titolo ricorda la chiromanzia, argomento che sua madre ama particolarmente, il romanzo della Durastanti non rispetta la cronologia, racconta la vita di sua madre, di come ha incontrato suo padre, lei lo ha salvato dal suicidio a Ponte Sisto, lui l’ha salvata invece alla stazione di Trastevere, chissà qual è la verità, il loro amore, il matrimonio, il primo figlio maschio, la seconda figlia, Claudia, il divorzio, l’avanti e indietro migratorio tra un paesino della val d’Agri (Basilicata) e la costa est degli Stati Uniti (Brooklyn, New Jersey).


La madre di Claudia con i fratelli sulla spiaggia di Coney Island.

Genitori entrambi sordi, ma non muti, mai domi nella loro menomazione, hanno sempre rifiutato il linguaggio dei segni, hanno preferito urlare la loro disabilità e viverla con anarchia, con ribellione, senza disciplina e condizionamenti, proprio come il resto della vita.
Una traccia alla quale Claudia non può restare indifferente: non per niente la figlia sceglie come lavoro alimentare l’imperfezione del tradurre, l’approssimarsi dell’indicare parole corrispondenti tra lingue diverse:
Nessun significato assume una forma stabile in me, e tutto quello che penso, e poi dico, soffre nella trasmigrazione tra paesi diversi, sanguinando proprio come gli astronauti che hanno trascorso troppo tempo nello spazio e quando tornano a casa hanno epistassi continue sotto il sole.


Ancora la madre di Claudia.

La madre dipingeva quadri dai colori brillanti e violenti e a volte ricopriva poi tutto di nero.
Migrazione, sradicamento, disfunzione familiare (e non solo), eccesso.
La copertina è rossa come il sangue che scorre nelle vene della sua scrittura.


Copertina

Man mano, il racconto sembra farsi sempre più personale, più ci si avvicina alla fine e più si percepisce Claudia.
Un racconto fatto di eccessi, forse perfino esagerazioni, magari mitologia, probabilmente invenzioni, ma scritto con trasparenza: non è né una storia vera né una storia inventata, è una storia. È manipolazione della realtà. Quello che sembra vita vissuta è piuttosto scrittura, lavoro.
Un libro che comunica e trasmette curiosità ed empatia. Un racconto per certi versi sopra le righe, proprio come i film di David O. Russell (e Durastanti lo nomina), ma che soprattutto fa percepire il silenzio.
E fa sorgere la sensazione che sia nata una stella, le mie quattro forse non le rendono abbastanza merito.


Claudia bambina con la mamma e il fratello Valerio.
Profile Image for Tittirossa.
1,062 reviews333 followers
April 5, 2019
Sono in difficoltà a commentare un libro che non avrei letto (non è nelle mie corde, non mi aveva suscitato curiosità particolari, l’incipit mi sembrava acchiappone) se non fosse stato per alcuni (parecchi) commenti entusiastici letti anche qui, su GR.
E così l’ho iniziato (con un triplo pregiudizio: autore italiano, memoir da giovane, casa editrice). E ho proseguito con fatica, anzi con crescente disinteresse man mano che abbandonava il racconto della madre, per arrivare ai giorni nostri, anzi alle cronache proprie.

La scrittura è virtuosa, si avverte un lavoro preciso e costante di rifinitura e cesello, con alcune cadute, spie di una leziosaggine che fa capolino (attirava l’attenzione dei camerieri con frustate equestri, avevo leccato le mie ferite nettarine, lo sguardo vacuo rallentato dal diabete degli zombie), e che purtroppo si attacca alle mie vene di lettore come colesterolo cattivo, e mi impedisce di pompare il sangue della lettura …. (ecco, a leggere troppi birignao, poi i birignao si attaccano).

L’impressione finale è irritante. Per quel che avrebbe potuto essere se avesse avuto il coraggio di essere meno midcult*, meno costruito attorno al proprio ombelico (non basta scrivere dell’infanzia e delle vacanze a Bruclìn per essere cosmopoliti, se l’effetto è tra i Soprano e la Tata; è imbarazzante quella visione della se stessa a Londra), meno spasmodicamente alla ricerca della frase memorabile (quella che poi diventa un meme su Facebook). Forse sarebbe bastato un editore più attento alle spalle (questo non si perita di mandare i propri autori nel vasto mare ad accattare premi anche se le opere avrebbero bisogno di rifinitura, anzi proprio di maggiore riflessione).

In compenso ha avuto il merito di farmi risuonare un ricordo di wishlist, e quindi a un certo punto ho lasciato La straniera per dedicarmi a In che lingua sogno? di Lappin che ha una profondità qui mai sfiorata, una riflessione sulla/e lingua/e, sulla identità definita dal linguaggio, sul linguaggio come patria….. .

*di fronte a opere come questa è evidente da cosa/come nasce il midcult: avere tanto talento ma non (crederci) abbastanza. Cattura l’attenzione, è ben pensato (e la struttura è ben nascosta), e scritto in modo fluido (ma coi fili della leziosità troppo scoperti), è anche empatico. E allora perché mortificare così il talento? Lo avesse chiamato “Acidi fritti alla fermata Basilicata, sobborgo di Brooklin” e pubblicato con Bompiani o Rizzoli sarebbe stato perfetto (tagliando gli ultimi tre, imbarazzanti, capitoli).
Profile Image for Cristian Fassi.
108 reviews240 followers
January 24, 2023


Basta guardare il TG, leggere un libro o vedere un film e siamo tutti stranieri, ma una cosa è sapere di essere straniero di qualcun altro, l'altra è viverlo, spostare il corpo (non solo la mente), attraversare l'oceano, imparare una nuova lingua, è in questo momento che "vivi" il film che avevi visto a casa tua, che poi casa tua non lo è più, lo capisci andando via.

Anch'io sono straniero come la Durastanti, anch'io ho spostato il mio corpo (senza dimenticare la mente), anche se non mi sono ritrovato nel racconto di questo libro mi sono reso conto che l'idea è proprio quella, rendere estraneo (e strano) il proprio percorso di vita per gli altri. Non si è straniero solo per se stessi, e magari per chi ti sta molto vicino, e non serve ritrovarsi nelle vite altrui.

"La straniera" è un esercizio di "auto/fiction", una autobiografia con molto di romanzato, sembra tutto un racconto di fantasia con salti temporanei senza controllo e piccoli trattati sulla società di ieri e oggi che sono delle vere perle:

"Siamo tutti di una classe che si traveste da qualcos'altro, la distribuzione della miseria e delle richezze resta la stessa."


Dopo una prima parte un po' debole, dove racconta vita e miracoli (il sordomutismo è un miracolo) di padri e nonni, poi c'è l'America, Brooklyn, il ritorno brusco alle rocce della Basilicata e per finire Londra, nella capitale britannica ci sono i passaggi migliori del libro.

In questo libro la trama non è importante, è molto frazionata e non si può seguire nel classico introduzione-sviluppo-conclusione, il punto di forza è il come l'autrice scrive la storia invece del che cosa scrive, e in questo particolare Claudia Durastanti è molto brava, il suo stile prevale.

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Profile Image for piperitapitta.
1,050 reviews464 followers
March 3, 2019
“Hey, stranger“

«Se non avessi trovato la storia della mia vita interessante in termini di forma, non credo che l’avrei raccontata. L’avrei camuffata nella fiction come ho sempre fatto. Mi sono divertita a scrivere questo libro (quasi sempre), perché ho provato euforia nel pensare a tutti i modi in cui possiamo tenere insieme i tasselli del sé, nel poter immaginare le metafore che stanno alla base di un’intera esistenza»
[Dalla bella intervista a Claudia Durastanti di Matilde Quarti su Il Libraio]



[Famiglia]
«Quando penso alle somiglianze tra i miei genitori nei pomeriggi malinconici e rabbiosi della loro adolescenza, entrambi isolati, valuto la possibilità che l’incontro tra due persone non abbia a che fare con la predestinazione quanto con una mappa biologica che si rivela mentre ci si innamora l’uno dell’altro […] i miei genitori si sono incontrati per i riverberi simili a quelli di una foresta prima di un incendio, non perché era scritto; il loro futuro non era impresso nella filigrana di una Bibbia o di un vecchio oroscopo, era solo una vibrazione particolare nell’aria, un allarme invisibile che invitava alla sopravvivenza.»

“Io non sono qui”, si potrebbe dire di Claudia Durastanti, classe 1984, nata a Brooklyn da genitori sordi (ma non muti, che per tutta la vita rifiutano di esprimersi con il linguaggio dei segni, La lingua dei segni è teatrale e visibile, ti espone in continuazione), provenienti l’una da uno sperduto paesino della Basilicata, San Martino d’Agri, l’altro da Monteleone di Spoleto, in Umbria, e incontratisi a Roma; tornata bambina, dopo la loro separazione, a crescere in Basilicata, e poi, dopo una vita familiare - Il legame viscerale con il fratello, l’accudimento e l’amore per la madre, la vita fuori dalle regole del padre, violento (ma non con i figli, che pure usa come arma di ricatto nei confronti della ex moglie), preda di istinti suicidi, piccolo truffatore, giocatore d’azzardo, ladro, sregolato nei modi e nelle abitudini, ma dotato di una grande capacità di persuasione, di cui si serve senza scrupoli - fatta di privazioni e indigenza mai percepita se non da giovane donna, quando il confronto con altre realtà diverse da quel sottoproletariato di paese cui apparteneva glielo rivelano mostrandole la sua inadeguatezza, via per il mondo - Roma, Londra e la ricerca del post punk, ma anche i viaggi, in India, e il ritorno (un mese all’anno finché è in famiglia, in estate a trovare i parenti) negli States - ma sono anche qui, sono ovunque abbia allungato lo sguardo, ovunque io abbia ascoltato, guardato, respirato.

[Viaggi]
«Nessuno mi ci portava, in città per la mia famiglia Manhattan era irrilevante. Io invece la desideravo come Dorothy del Mago di Oz desidera la Città di Smeraldo: tutti gli adulti che avevo attorno parlavano di come gli avesse sedotti e rovinati, e quanto si erano sentiti soli lì dentro, piccoli rispetto ai palazzi di vetro, il fumo tossico che usciva dai tombini, i carretti pesanti a un passo dall'investirli, la merce che non serviva, le ragazze con i capelli strani e cani che chiedevano l’elemosina, i venti contrari sul lungofiume, l’umidità stagnante della spazzatura; io invece non vedevo l'ora di perdermi lungo i marciapiedi che scintillavano sotto i lampioni.»

E mi piace moltissimo quel suo sguardo, uno sguardo e una mente acuti dai quali si comprende molto bene che la sua è un’identità data dalla cultura italiana unita a quella americana (quel ferro da stiro, che diventa nel linguaggio di famiglia lo stiro da ferro senza che naturalmente ci sia verso di invertire le due parole, ne è l’emblema), che il suo essere né l’una né l’altra cosa, ma entrambe le cose, le dà la possibilità di avere uno sguardo più profondo, un punto di vista più ampio, che riesce a spostare dalla musica alla famiglia, dalla Brexit alla Basilicata, dalla letteratura all’antropologia, dalla biologia al cinema, senza per questo sembrare né superficiale né pretenziosa, ma solo attenta, vigile, intenta a osservare e a rielaborare quanto accade intorno a lei e alla sua persona - la sua è una visione dei fatti e delle cose sempre originale, capace di un punto di vista e di un pensiero laterale che è proprio delle menti creative.

[Salute]
«Provate a prendere decisioni inaccorte e distratte sul vostro corpo quando siete adolescenti o ancora intatti. Reggiseni sbagliati che faranno castrare il seno, diete tempestive che vi lasceranno una ragnatela di smagliature come il craquelure su un quadro a olio, fori, tatuaggi, dilatazioni, provate a prendere scelte che vi sembreranno sbagli e a ottenere un corpo che non è una conquista ma la somma di tutte le sue incisioni, un braille di errori. E a pensare che sarà così per sempre.»

Così le tante citazioni di libri e scrittori, cantanti e album (non bisogna dimenticare che Claudia Durastante prima di essere traduttrice e scrittrice è stata giornalista musicale), fotografi e artisti (John Cage e i suoi studi del silenzio nella camera anecoica, Joan Didion e il marito John Gregory Dunne e la loro sceneggiatura di Panico a Needle Park, Camus, Pavese, i Rem di Automatic for the People, il Festival di Sanremo e River Phoenix in Stand By Me, la fotografa Nan Goldin e il suo studio The Ballad of Sexual Dependency, e molti altri, noti e meno noti, perlopiù meno noti a me) non appaiono sterili, non sono appiccicati lì come figurine di carta e come ultimamente capita di osservare altrove, ma sono punti di passaggio, o di svolta, segnali di un’esistenza che proprio in quei punti nodali, a quel suono o a quel colore o ha quella parola, ha segnato un cambiamento, un cambio di rotta. Così come le tante parole in inglese, l’altra lingua di Claudia, quando forse a essere “l’altra” è l’italiano, o nessuna delle due, o entrambe, insieme al broccolino dei parenti americani (Bruklì per Brooklyn, arenò per I don’t know, bega per bag, Niù-Iore per New York scritto sulla fotografia che la madre adolescente e il nonno hanno scattato insieme dopo una visita alla Statua della Libertà) non sono lì per una forma di intellettualismo, ma a significare e a mostrare una formazione umana e umanistica (Claudia Durastanti è laureata in Antropologia, e i molti riferimenti all’interno di questo memoir lo testimoniano) e professionale che è stata contaminata da molte più esperienze, e confusione, e più silenzi, di quanto la conoscenza di due lingue vorrebbe ammettere, a segnare che il suo essere “la straniera” è una condizione permanente, una ricerca costante di se stessa, un’omaggio alla madre che catalogata come “sorda” in Italia, negli USA diventava semplicemente “una straniera” come tante altre.



[Lavoro & Denaro]
«Per quel che mi riguardava, la povertà consisteva nell'impossibilità di condurre un'esistenza simile alla maggior parte delle persone che conoscevo, soprattutto i miei compagni di scuola. […] Più povera di loro, ma sicuramente meno povera di gente che non conoscevo. Questo definiva il grado di indigenza in cui eravamo: poveri da dove telefonare sempre qualcuno, ma non abbastanza da non avere nessuno da chiamare. Come si chiamava quella classe sociale, esattamente? Mio fratello avrebbe detto “ parassiti", tanto per fare una battuta, ma potevano pensarlo in molti.
[…]
«La cosa che temevo più di tutte era che qualcuno apprendesse della mia infanzia dickensiana per poi darmi una pacca sulla spalla e dirmi: “abbiamo molta ammirazione per quello che hai fatto a te stessa." Ero condannata a scoprire che alla borghesia illuminata interessava molto sapere da dove venivo, e perché. Quel che a me annoiava a morte, per loro era fonte di intrattenimento.»


Bello, e bello quello che scrive del suo paese di origine, dei suoi sentimenti (spesso di inadeguatezza e incompletezza), della sua famiglia (il capitolo Come stai? Sei stanca love your papa sulla madre e del suo rapporto con una madre sorda - «Se mia madre smette di parlare costantemente con qualcuno se vive da sola tutto il giorno, perde interi territori di senso, ma è quello che sta succedendo, ritirata nella provincia della sua malattia, nel castello in cui neanche io riuscirò mai a entrare» su cosa significhi e quanta fatica provochi essere figlia di due genitori handicappati, disabili - «diventiamo tutti disabili, prima o poi», «parlare con mia madre per giorni di fila significa fare una transizione costante dal suo universo linguistico al mio», disadattati, «le dico che è spossante, lei mi dice che è normale», è struggente, «per forza sei stremata: è una settimana che parli cinese senza saperlo», «E non so se potrò tradurre le volte che mia madre resta distesa sul letto con gli occhi chiusi e bisbiglia “Non sento niente”, senza perdere tutto quello che vuole dirmi.»), della sua necessità (desiderio?) costante di essere salvata: “sono la figlia di un uomo che non si è mai buttato dal ponte: ogni volta che sento l’impatto con l’acqua, io torno. Quando tutto cade, indomito l’amore resta. Ma è una storia vera?”, e bello è il racconto delle sue esperienze di vita, quando di esperienze ne ha ancora moltissime da fare, divise in capitoli che seguono idealmente le sezioni di un oroscopo zodiacale - Famiglia, Viaggi, Salute, Lavoro & Denaro, Amore e, appunto, per finire, Di che segno sei? - che tutte insieme sono la storia di una famiglia che, come scrive la stessa Durastanti, “somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato”.

[Amore]
«Suggestionati, abbiamo cercato sul vocabolario cos'è la codipendenza, cos'è la simbiosi, come si affronta la necessaria ricerca dell'autonomia, abbiamo studiato tutta la tassonomia dell'amore secondo il DSN*, e la conclusione che abbiamo tratto dal DSN è che nessuno dovrebbe mai amarsi, perché non c'è un modo di farlo bene.
È come i licheni che vengono confusi con un organismo solo, ma in realtà sono due: un’alga è un fungo. La simbiosi vegetale viene accolta come un miracolo della natura, quella tra esseri umani come una colpa, o qualcosa di cui vergognarsi, che denuncia uno stato arretrato dell'essere. Abbiamo provato a separarci contempliamo sempre la fine, facciamo dal primo giorno. Da sempre, l'idea della fine aiuta a tenerci insieme, le dedichiamo conversazioni appassionate e di fantascienza, in cui immaginiamo la vita dell'uno senza l'altro.»


È stata una lettura per certi versi sorprendente, profonda, toccante, drammatica e a tratti persino divertente, che non è possibile né raccontare né riassumere - ho scritto veramente troppo e anche in maniera confusa, me ne rendo conto - tanto è ricca di argomenti e di racconto e di stati d’animo; non resta che leggerla, dunque, se tanta ricchezza attira, oroscopo (e cartina topografica) alla mano.
Profile Image for Paula Mota.
1,662 reviews563 followers
August 30, 2022
#WITMonth

A autobiografia, e a da minha mãe não é exceção, é a bastarda dos géneros literários, pois baixa a fasquia: está à mão de refugiados, mulheres, deficientes, sobreviventes do Holocausto, sobreviventes de qualquer coisa.

É refrescante pegar num livro de uma italiana e ler como frase promocional “Não, não é a nova Elena Ferrante”, que é a comparação fácil de que nenhuma escritora italiana alguma vez se livrará, mesmo que tenha nascido um século antes.
De início, temi que “Sempre Estrangeira” se colasse demasiado a livros sobre famílias disfuncionais que desisti de ler, como “Castelo de Vidro” e “Uma Educação”, porque para pais irresponsáveis que nunca deviam ter tido filhos já me bastam os noticiários. Felizmente, num livro habilmente dividido em rubricas como um horóscopo, – Família, Viagens, Saúde, Trabalho & Dinheiro, Amor e De que Signo És- Claudia Durastanti consegue afastar-se de um retrato potencialmente maniqueísta dos progenitores e dar uma perspectiva abrangente da sua vida de andarilha, com uma capacidade de processar os traumas de infância que admiro.

Não há um único ato de violência na minha vida que eu consiga recordar sem me rir.

Durastanti é produto de dois progenitores surdos que se revoltaram com a sua deficiência, não querendo que este handicap se tornasse um obstáculo nas suas vidas, tornando-se tanto marginais como marginalizados, que trouxeram sofrimento aos seus pais, que não os compreendiam nem sabiam conviver com eles...

Explico-lhe que eles nunca quiseram aceitar que eram surdos e render-se a essa limitação. Ela pergunta: “E porque haveriam de o fazer?” Não por serem surdos, mas por serem jovens: nenhuma pessoa deveria limitar o seu desejo de ser outra coisa.

...e posteriormente aos filhos, ambos ouvintes, que cresceram num caos emocional quase sem supervisão ou disciplina, a assistir a conflitos que nem depois do divórcio cessaram.

Qualquer coisa em que os meus pais toquem ajusta-se à sua decadência, são um rei e uma rainha taumaturgos que, em vez de curarem os doentes ou de fazerem milagres, convencem qualquer criatura na sua presença a desarticular-se e a deixar-se levar para a possibilidade da própria loucura.

Se por um lado a autora é estrangeira na dificuldade de comunicar com os pais, por outro, o facto de ser neta de imigrantes nos Estados Unidos, de ter regressado à aldeia italiana de que era originária a sua família e de, já em adulta, ter emigrado para Inglaterra, torna-a uma autêntica forasteira ao longo dos anos.

Estrangeiro é uma palavra lindíssima, se ninguém nos obrigar a sê-lo; no resto do tempo, é só o sinónimo de uma mutilação e um tiro de pistola que, sozinhos, demos a nós mesmos.

Os capítulos dos anos e, posteriormente, das férias passadas nos Estados Unidos com os avós e os tios são dramáticos mas também castiços.

É por isso que não me sinto culpada por estereotipar a minha família italo-americana através de apaixonadas referências criminosas; são as fantasias da grandeza à qual aspiravam. Eram os filmes que tinham visto, as canções que tinham ouvido.

São tempos de aprendizagem e de formação nos anos 90, em que apreciei referências culturais que me são caras, ainda que eu as tenha vivido já mais velha do que ela, quer na televisão, com séries com “Twin Peaks” e “Beverly Hills 90210”, quer no walkman.

Decidi passar os meses de julho e agosto estendida na cama a ouvir “Automatic for the People”, dos R.E.M. Por algum motivo, afundar-me naquela dimensão de respirações sustidas, prováveis eutanásias e homens na Lua parecia-me reconfortante. Posteriormente, viria a reconhecer o meu vício nesse disco por aquilo que era: não tanto uma espasmódica busca de consolo mas um ingénuo fascínio pela morte. Não estava completamente sozinha naquele quarto. Havia um miúdo, Chris Chambers, que de vez em quando regressava ao meu pensamento. Eu vira-o pela primeira vez num filme passado em finais dos anos 50 chamado “Stand by Me- Conta Comigo”. (...) Não tinha como saber então, mas haveria de o encontrar incessantemente, em centenas de filmes e livros por vir.

Uma pessoa não escolhe a família onde nasce, por mais que sonhe em “ser adotada por uma família judia do século XIX que espalhasse romances da Europa Central pelo tapete da sala de estar”, nem todos conseguem exorcizar os seus demónios e a muitos falta-lhes o talento para elaborar esse processo decentemente, mas Claudia Durastanti, apesar de nem sempre ser clara, é uma escritora com um enorme potencial, que consegue usar a sua terrível experiência de vida a seu favor, de forma criativa.

Apesar das máquinas e das próteses que pretendem provar que a morte não existe, quase todos perderemos com o tempo um superpoder, seja a visão, um braço ou a memória. A incapacidade de fazer coisas que deveríamos saber fazer, a impossibilidade de ver, sentir, recordar ou andar não é uma exceção, antes um destino. Todos nos tornamos deficientes, mais tarde ou mais cedo.
Profile Image for Sandra.
963 reviews333 followers
September 16, 2019
A parte gli ultime due o tre capitoli finali, senza capo nè coda, per il resto un romanzo con alti e bassi, con pagine che hanno destato il mio interesse perchè capaci di far riflettere su, ad esempio, la forza e al contempo la debolezza del linguaggio che è un limite e non soltanto un vantaggio -riflessioni nascenti dalla sordità dei genitori della protagonista e scrittrice-. Come si dice a scuola da sempre "la ragazza si impegna ma potrebbe fare di più".
Profile Image for Paul Fulcher.
Author 2 books1,951 followers
April 1, 2025
Shortlisted for the Tadeusz Bradecki Prize

Genre, in the end, is just a game of possibilities and clues; it takes only a little misstep to slip out of a novel, to fall into an autobiography and resurface again as an essay, all in the short span of a sentence. (from the Afterword)

Strangers I Know is Elizabeth Harris's translation of Claudia Durastanti's La straniera, a finalist for the Premio Strega in 2019. Narrated by a woman resembling the author (a character or a person, depending on how you see me) it opens strikingly with two different 'origin' account - her father and mother's very different memories of their first meeting:

MYTHOLOGY

My mother and father met the day he tried to jump off the Sisto Bridge in Trastevere. It was a good place to jump – he was a fine swimmer, but once he hit the water, he’d be paralyzed, and the Tiber back then was already toxic and green.

My mother always walked liked it was raining, head down, shoulders hunched, especially when she was alone, but that day she stopped on the bridge, and saw a boy straddling the parapet wall. She came closer, laid her hand on his shoulder, to pull him back; maybe they scuffled. She persuaded him to calm down, breathe slowly, then they took a walk through the city, got drunk, and wound up at a hotel with stiff sheets that stank of ammonia. Before dawn, my mother put her clothes on and left. She had to get back to her boarding school and my father seemed so restless; she didn’t even shake his shoulder to let him know she was going.

The next day, she stepped outside the school with her girlfriends and saw him leaning against a car, his arms crossed, and right then, she knew she was doomed. I’ve always envied her mystical, woeful expression when she speaks of him at that moment; I’ve always been jealous of that apocalypse.
....
My father and mother met the day he tried to save her from an assault in front of the Trastevere station.

He’d stopped to buy cigarettes and was about to get back in his car when he noticed the sudden, erratic movements of two thieves; they were kicking a girl, trying to yank away her purse. After he threatened them and scared them off, he stopped to help my mother and persuaded her to go back home with him to wash up. He was still living with his parents: when they saw this girl – barely out of her teens, her dark skin, her hair wet from the shower – they thought she was an orphan.


This rang very true as my wife's and my accounts of our first meeting are also rather different (albeit less drastically so).

We learn quickly that both parents are deaf, one via a childhood illness, the other born that way, something which defines their lives and their relationship with their daughter, the narrator.

The novel is told in relatively brief chapters, which shift from family saga, to self-analysis through to essayistic. These are grouped into five headings: Family; Travels; Health; Work and Money; and Love, and tell the story of the narrator's life and her family in a relatively non-linear fashion. Indeed the author suggests in her Afterword that the novel could be read this way:

In my own primal dreams, La straniera — Strangers I Know —was meant to be read in nonlinear fashion. Ideally, every edition would present a different chapter sequence, as I believed this would affect the experience of the reader and make it clear that there is no obvious entrance into or exit from a life: in the end you would find many different books, susceptible to variations and second-guessing, as if you were reading a horoscope that's applicable to anyone and yet unique to every single person. While reading the horoscope that's so dear to my mother, you wouldn't always necessarily pick Love over Money over Health; you'd select what you wanted to read first, according to your own need or preoccupation at that moment. I wanted this preoccupation, this self-made experience of someone before the page, to be central to the story of my life. I wanted to expand the cells of the I and discover if they could be stretched to the point of shattering and not 'mattering', literally to the point of the self no longer consisting of matter, until the self dissolved into the memory of another, the life of another.

This is what I've always asked of fiction. To be personal and anonymous, situated and universal, mine and everyone else's


This is a fictional manifesto I would strongly endorse, and I admire what the author is attempting to achieve. However, I read the novel while very busy at work, snatching a few chapter in the early hours, and, I think as a result, it didn't really cohere for me into a whole (although from the Afterword perhaps that was intentional). I also found the more essayistic and personal parts rather more interesting that the family history which took up the bulk of the pages.

3 stars for me albeit a novel I could recommend to others.
Profile Image for Domenico Fina.
291 reviews89 followers
July 28, 2019
Le lettere di mia madre si sono ridotte a messaggi su WhatsApp fatti da acronimi: tvb - dal vivo domani mi dirai - luv - è una cosa astratta.
Quando vuole dire che una cosa è bellissima, dice che è una cosa astratta. È una frase per cui la prendiamo sempre in giro io e mio fratello. "È una cosa astratta" significa tutto: il finale di un film, un quadro, la nascita di sua nipote, o un vestito in vetrina.

Questo non è un memoir (non so bene cosa sia un memoir e se lo so mi annoia) ma non ho dubbi nell'affermare che è un libro magnifico, baciato dalla naturalezza, mai fermo nel trarre conclusioni, costituito da sentimenti indefiniti, perché è così che vanno le cose. Le cose sono indefinite. Comincia con una citazione di Emily Dickinson, "dopo un grande dolore, viene un sentimento formale".
Eppure il libro è essenzialmente venato di comicità. Claudia Durastanti è come se si sollevasse dai suoi genitori, ribelli, strambi, affetti da sordità, originali e convenzionali, come tutti, si sollevasse da sé, dalla ragazza nata a Brooklyn nel 1984, da emigranti in America negli anni sessanta, controemigrati - come sua madre - in Basilicata, qui vivrà, studierà, fino al momento in cui andrà a Roma per iscriversi ad antropologia, e dopo l'università di nuovo via verso Londra, la Londra della Brexit, che non può soddisfare del tutto, nessuno, si sollevasse appunto, per raccontare, perché se si vuole essere bravi bisogna essere fedeli alla parte più alta di noi stessi, e la parte più alta di Claudia Durastanti è in questo caso la scrittura, formidabile.

(Ecco alcuni passaggi significativi)

Mia nonna emigrata a Brooklyn negli anni sessanta si è adattata meglio di quanto abbia fatto io emigrata a Londra nei primi anni dieci, e lei non parlava neanche inglese.

Non ho ancora imparato come si vive in una città, non so ancora come attraversarla senza trasformare tutto in un testamento o in un colpo al cuore.

Possiamo fallire una storia d'amore, il rapporto con una madre. Ma quando una città ci respinge, quando non riusciamo a entrare nei suoi meccanismi più profondi, e siamo sempre dall'altra parte del vetro, subentra una sensazione frustrata di merito, che può farsi malattia. Straniero è una parola bellissima se nessuno ti costringe a esserlo.

Al Victoria & Albert Museum c'è un oggetto che mi riporta ai cimiteri indiani. È la Tipu's Tiger, un organetto a forma di soldato schiacciato tra le fauci di una tigre. Venne costruito per il sultano Tipu, che regnò su Mysore tra il 1782 e il 1799, e resistette con fierezza agli attacchi della British East India Company. Se si aziona l'organetto, si sente il suono di un soldato europeo che muore.

Pensavo ogni giorno di essere definita dalla mia famiglia, dalle mie circostanze economiche e geografiche, poi mi sono resa conto che l'impatto più profondo e determinante su di me lo ha avuto un'altra persona, a cui non ero affratellata o con cui non avevo legami di sangue. Non sono mai stata sulla luna, non ho imparato a nuotare, non ho ferito un'amica a duello, ma ho incontrato qualcuno.
Profile Image for Iris.
Author 19 books651 followers
January 15, 2021
Acho que encontrei um dos livros da minha vida.
Profile Image for Laura Gotti.
587 reviews611 followers
April 6, 2025
Ma proprio perché non amo gridare al capolavoro. Madonna mia come scrive la Durastanti!
Altro che Missiroli o l'eterno secondo Scurati, lo Strega di quest'anno dovrebbe essere una lotta ad armi pari tra la Durastanti e la Terranova. Parliamo di autoficiotn? Non lo so e mi frega poco quando i risultati sono questi.

Parliamo della riflessione di se, delle proprie origine e del guardarsi dentro senza guardarsi l'ombelico. Scrive bene, l'avevo già detto per il suo libro precedente che però era cupo e senza speranza. Qui scrive benissimo, ha anche un editor come si deve, sicuro. Non sbaglia una frase, un aggettivo, una metafora, un capitolo. Non sbaglia niente, non cede mai. Si legge bene come solo i romanzi ottimi si fanno leggere. Racconta, senza strafare, è lucida nell'analisi e nei sentimenti. Si può essere lucidi nei sentimenti? Si può.

Un Riesling ghiacciato, bevuto in solitaria e non mollando mai il Kobo. Venerdì avevo deciso quasi d'impulso che volevo leggere questo libro. Lo scarico senza pensarci e lo metto in borsa. Venerdì sera torno presto, leggo fino a tardi e fino a stanotte non l'ho mai mollato. Non badate allo Strega, se ne dovete scegliere uno leggete questo. O forse quello della Terranova. Facciamo così, leggete solo questi due.
Profile Image for Teodora Totolici.
88 reviews34 followers
May 21, 2024
Che scrittura potente è quella di Claudia Durastanti? Non mi sento di attribuire meno di 5 stelline a questo libro, che fino all’undici maggio di quest’anno non avrei mai pensato di leggere. Ma poi c’è stato un fortuito incontro al salone del libro, astri che si sono allineati perchè io avessi l’occasione di incontrare dal vivo quest’autrice. Non solo la scrittura, ma anche l’eloquio di Durastanti è encomiabile, indice di una mente brillante e di un’acutezza che pochi hanno, a mio avviso.
Ciò che racconta ne La straniera è un pezzo della sua storia di vita. Mi ha fatta ridere più volte, tanto che mi sono chiesta se gli eventi che hanno costellato la sua infanzia e adolescenza sono stati davvero così divertenti oppure è stata molto brava a renderli al lettore in chiave ironica. Questo libro, inoltre, mi ha anche fatta riflettere sul rapporto genitori/figli, mi ha spinta a guardare nel profondo di quella che è la mia relazione con i miei genitori, una relazione che non ho mai sentito l’esigenza di mettere in dubbio o sotto analisi, perchè li sento come i miei due migliori amici fin da sempre. Ma dopo la lettura del libro di Durastanti sento il desiderio di approfondire questo rapporto, di capirli ancora meglio, di esplorare la loro soggettività e di aprimi a certi tipi di dialoghi che insieme non abbiamo mai avuto.

Nei capitoli finali ci sono alcune personali riflessioni dell’autrice, elucubrazioni che secondo me non hanno necessariamente un significato ai fini della storia, ma sono comunque magistralmente scritte e rivelano parti dell’interiorità di Claudia Durastanti.

Stupendo!
Profile Image for SCARABOOKS.
292 reviews264 followers
March 23, 2019
Racconta infanzia, adolescenza e prima maturità tra Basilicata, Brooklyn, India, Londra e Roma (più vacanze) di figlia colta di genitori sordi e rumorosamente separati.
Autobiografia romanzata dichiarata, con il senso di estraneità come filo rosso. Resa con una scrittura agile, molto disinvolta. Pregio maggiore, la freschezza. Il ritmo è veloce nel periodare e anche nel succedersi di scenari, fatti, personaggi e sensazioni. Ha il sapore un po’ da reportage giornalistico; il tono del narratore nonostante sia in prima persona sembra da testo di un documentario letto bene da una bella voce mentre scorre il filmato. Anche nell’obiettivo di creare e rinforzare suggestioni più che di spiegare (in un documentario ben fatto distrarrebbe troppo dalle immagini). E’ un giochino che piace molto a questa scrittrice quello di creare “effetti”. Ed è brava anche in questo. Possono non dispiacere neppure al lettore; a condizione che dietro ci sia poi sostanza (qui non c’è il filmato da guardare). E non sempre è così in questo libro. A volte le frasi a effetto nascondono solo cortocircuiti di senso, imprecisione e confusione. Le pagine migliori sono quelle americane. Anche quelle sul rapporto tra lei, la madre sorda e la musica sono belle.

Capisco che possa essere una buona lettura, per chi è appassionato o anche solo ben disposto verso i romanzi autobiografici. Ha una sua originalità, che non è solo stilistica. Il soggetto è di per sé piuttosto inconsueto: la disabilità (molto ben giocata nel racconto), una famiglia, una vita ed una testa parecchio movimentate, in tutti i sensi. Per quanto mi riguarda però sono abbastanza refrattario al genere. Lei scrive che l’autobiografia è “la bastarda dei generi letterari”. È vero che “abbassa la soglia...a rifugiati, donne, disabili, sopravvissuti all’Olocausto, sopravvissuti a qualsiasi cosa”, ma solo perché è il ground zero del romanzo. E a risalire da lì, bisogna essere molto più che solo bravi, per costruirci sopra un buon romanzo.

Fatto sta che anche in questo caso lo sdipanarsi delle piccole cronache famigliari, dei fatterelli di vita vissuta mi ha fatto spesso sbadigliare. L’autoreferenzialità narcisa senza veli che è implicita qui come in ogni scrittura di questo genere, ma che si finge di dissimulare (concettualizzando e sminuendosi, autodenunciando i propri limiti e intellettualizzando, esponendo sofferenze in chiave antropologica ecc.) mi innervosisce. Gli “i remember”, per quanto sofferti e raccontati con la disincantata ironia e il malinconico sorriso di chi un po’ si è scafata e nella scrittura ha trovato la misura giusta del distacco, mi rendono insofferente. Persino più di quelli più o meno falsamente nostalgici, scritti con soave candore da chi finge di essere rimasto attaccato al ricordo del ciuccio, come un inconsapevole angioletto. Quindi, pur riconoscendone i pregi, devo confessare che gli scavallamenti e i riaccavallamenti di gambe in corso di lettura sono stati a tratti vorticosi.
Però, l’ho finito. E, onore al merito (di lei, ma anche mio), è già abbastanza.

Ps) dimenticavo. I capitoli finali, quelli dello sposo perduto, se me li avesse risparmiati sarei stato grato. Un inutile, crudele, reciproco infierire.
Profile Image for Cláudia Azevedo.
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January 16, 2023
Acabei ontem de ler este livro autobiográfico da italiana Cláudia Durastanti e ainda não o absorvi na totalidade, se é que alguma vez o farei. Curiosamente, fiz o mesmo que a minha homónima quanto ao nosso nome e partilhei da sua frustração ao perceber que provém de claudicante, coxo. Determinismo ou coincidência?
Mas esta não é a história de um nome. É a história do impacto de uma família (no caso, pais surdos desintegrados, pobres e negligentes) na construção da personalidade de um ser humano exposto e vulnerável. Não o seremos todos no que toca aos nossos pais? Genética e ambiente determinam o quê, quando e como?
Gostei dos temas abordados, das reflexões existenciais soltas, mas profundas, sobre a deficiência, a família, a violência, a precariedade das relações, os abismos entre classes sociais, a importância da educação. Não me dei tão bem com a arquitetura do texto, bastante fragmentário e disperso. Esse não é um problema do livro, mas um problema meu, que preciso de alguma linearidade para me orientar na ficção e na vida real.
Espero que a minha filha nunca escreva sobre mim!
Profile Image for Come Musica.
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September 14, 2019
Tra 3 e 4 stelle. Per adesso assegno 4, poi si vedrà.
È già più maturo come romanzo, rispetto Cleopatra va in prigione. Eppure mi sembra che manchi qualcosa. Lei è brava, ma ancora non ho capito cos’è che non gira!
Non ha avuto una vita facile, ci sono dei capitoli che avrei eliminato, come quelli sulle dipendenze; ci sono altri capitoli molto intensi, eppure nel complesso, c’è qualcosa che non quadra, come se mancasse qualcosa.

E infatti poi, a distanza di tempo, dopo averlo fatto sedimentare, mi sento di dare 3.
Profile Image for Matthew Ted.
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February 6, 2022
14th book of 2022

This is Fitzcarraldo’s latest publication, a translation of Claudia Durastanti’s 2019 novel, La straniera, in English as Strangers I Know. It’s a real smorgasbord of a book, a portrait of a family, reflections on emigration and language, on self, and in the end, on love through the lens of the narrator (Claudia) and her boyfriend. Throughout the novel the idea of fact and reality comes up time and again, something that is becoming evidently more and more popular in today’s world, it seems, to me, starting from W.G. Sebald reinventing what the novel could be in the 90s. This is like a Cusk or Laing book in many ways.

In the beginning (‘I. Family’) it is mostly the family portrait. Claudia’s parents are both deaf and they both tell different stories about how they met one another. This starts the idea of a family mythology, a key theme throughout. Part II is called ‘Travels’, and Claudia then begins to explore the move to New York and the portrait becomes about emigration, the Italian American experience and her own experience more than in the first part, which excluded her mostly in a David Copperfield way, as Holden Caulfield would say. Part II goes through ‘America’, back to ‘Italy’ and finally to ‘England’. The third part is ‘Health’; the fourth is ‘Work and Money’; the fifth is ‘Love’ and the last is ‘What’s Your Sign’.

Though it’s an interesting look into a fictional/partly fictional contemporary Italian family, I found the prose fairly bland. There were many paragraphs I underlined or single lines I liked but the general feel of the novel was one long flat unwavering pitch. I don’t know whether that is Elizabeth Harris’ translation or Durastanti’s prose. The whole thing felt a little too detached for my liking: there are never many true ‘scenes’ in the novel, it’s mostly our narrator telling us about members of her family, what America was like at the time, TV shows she liked or somehow reflected her life, books that changed her world view; these things all made the novel feel like a memoir. There are countless reflections on the idea of memoir/autobiography as I said, coming up infrequently so it’s evident that Durastanti is toying with the line between fact and fiction.
Autobiography—and my mother’s is no exception—is the bastard genre of literature, at least according to the old cliché of the literary elite: to these readers, it lowers the threshold, is fodder for anyone, refugees, women, people with disabilities, Holocaust survivors, survivors of all kinds.

Years ago, on Facebook, we spoke of ourselves in third person and this felt right, like narrative; we became characters and no was bothered by this; then we went back to I, to publishing in first person, abut the idea of making ourselves important through autobiography seems dirty, and we’re back to harbouring suspicions about the genre, though every day we reinforce it with our contributions, rendering it a collective autobiography.

The most interesting parts to me were the ideas about her parents’ deafness and the language we speak as a family. It reminds me of something from Irving’s The World According to Garp, basically the first adult novel I read. The son in the book calls the undertow, ‘The Under Toad’, as if it’s some giant amphibian underwater. It has always reminded me of the private in-jokes in our family, ones that survived just the duration of a single holiday abroad before being obliterated again by reality back in England. And others that have survived longer, too. And interestingly, last night we had family down for the first time in about 2 years thanks to Covid and life getting in the way in general, my dad’s brother and his Cypriote (not Greek) wife and their kids, my cousins. The eldest, A., was telling me how he recently wrote on a napkin in a restaurant in London about his younger brother, ‘Thomas has a little willy’, in Greek. Somehow, the waiter was Greek, or else knew Greek, and burst out laughing at seeing it scrawled there beside his plate. It also reminded me of times we went to their giant parties with countless Cypriote relatives and how my parents, brother and I would stand in the corner with everyone talking Greek around us, wondering what everyone was saying all the time, and if they were talking about us. My dad’s mother, our grandmother, is now, with her dementia, regressing so much into her past that she is beginning to answer questions in German, something we always joked about, as she no longer knows her mother tongue and none of us were ever taught it. So despite Durastanti’s book being dull at times, it has caused me to reflect on language and communication through families, which is of course, one testament to its reflective nature. In the final line of the novel Durastanti, again, almost mockingly, plays with the idea of the real and the not. It also triggers me to ask, Does it matter? And why does it matter? Is something sadder when it’s true? Do reflections seem more profound when they come from the context of reality and not fiction?
Profile Image for Vaso.
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December 3, 2024
Διαβάζοντας κανείς το οπισθόφυλλο, προετοιμάζεται να διαβάσει ένα βιβλίο λίγο σκληρό, σωστά; Δύο γονείς κωφοί, που δεν μαθαίνουν τη νοηματική και δυσκολεύονται να επικοινωνήσουν.
Όμως, θα έλεγα ότι η Durastanti με την πένα και την πρόζα της δεν σε θλίβει όσο θα περίμενες. Μας αφηγείται λοιπόν κομμάτια της ιστορίας της οικογένειας της, πως γνωρίστηκαν οι γονείς της, τη ζωή στην Αμερική, την επιστροφή στην Ιταλία, τον τρόπο επικοινωνίας μεταξύ τους και το πώς εκείνη αντιμετωπίζει όλο αυτό.

Και το κάνει με μια γλώσσα που έχει και στοιχεία σαρκασμού απέναντι σε όλο αυτό που ζει. Άλλωστε κι η ίδια συνέχισε να ταξιδεύει, σαν να ψάχνει να βρει που ανήκει. Σαν μια νομάδα της σύγχρονης κοινωνίας. Δεν αναθεματίζει την αναπηρία των γονιών της, δεν μεμψιμοιρεί - περισσότερο απορεί και συμβιβάζεται.

Με παρέσυρε με τη γλώσσα και την αλήθεια της.




«Ξένος είναι μια όμορφη λέξη, αν κανείς δεν σε αναγκάζει να γίνεις. Κατά τα άλλα, είναι αλά το συνώνυμο ενός ακρωτηριασμού, είναι ένας πυροβολισμός προς τον εαυτό μας.»
Profile Image for Gabril.
1,041 reviews254 followers
January 8, 2020
“Straniero è una parola bellissima se nessuno ti costringe a esserlo.”

In qualche modo però, la scrittrice/narratrice/protagonista è straniera per nascita, per genealogia, forse anche un po’ per vocazione.
Nata da genitori sordi e particolarmente scapestrati, di origine lucana e di migrazione americana, difficilmente possiamo immaginare che la Nostra non cammini sul pericoloso bordo della vita, sia pur cercando attraverso la scrittura la sua strada e il suo posto nel mondo.

Sicuramente la parte più interessante e coinvolgente è la prima, la storia dei genitori e della loro anomalia (soprattutto caratteriale) e tutte le percezioni stranianti o esasperate dell’infanzia. Storia di una formazione, insomma. Poi il racconto si sfrangia, si diluisce e un po’ si perde.

Quello che non riesce alla Durastanti, scrivendo, è precisamente ciò che alla Ernaux riesce invece benissimo: fare in modo che il lettore si identifichi, si immerga, partecipi completamente al significato e all’essenza dell’esperienza raccontata, nonostante quella stessa esperienza non lo riguardi in prima persona.
Ma la penna di Annie attinge direttamente alla sostanza umana, aldilà degli accidenti.
Claudia invece rimane sempre un po’ discosta, separata da un velo di pudore e da una sorta di sentimento dell’enigma che l’intelletto rielabora in forma di riflessione, ma che non colpisce al cuore.

Straniera anche a noi, insomma, liquida e sfuggente .
Profile Image for Fede La Lettrice.
833 reviews86 followers
May 16, 2019
Questo libro proprio non mi ha preso, l'ho trovato noioso, le vicenda mi hanno lasciata del tutto indifferente, i personaggi non mi hanno emozionata né hanno suscitato la mia empatia, non mi hanno irritata, non mi sono rimasti antipatici, insomma mi hanno lasciata neutra. La scrittura buona, sì, per un racconto breve, ma alla lunga è risultata talmente artefatta e costruita da appesantire la lettura. Ultimi capitoli superflui. Una faticata assurda terminarlo.
Eppure avevo letto tante recensioni assolutamente positive, che cosa strana il gusto personale.
Profile Image for Frabe.
1,196 reviews56 followers
April 2, 2019
Questa, sia vera o romanzata, è per me un'autobiografia troppo fitta e troppo colta – o, meglio, di cultura troppo esibita: il lettore inizialmente apprezza, poi sbuffa un po', infine schianta. Mi pare che la giovane autrice abbia grandi potenzialità: spero riesca ad esprimerle con più misura.
Profile Image for Pavel Nedelcu.
484 reviews117 followers
February 20, 2024
L’EMIGRAZIONE DENTRO SÉ STESSI

La storia poteva essere molto molto toccante, e in certi punti riesce ad esserlo, se non fosse per la volontà di fare poesia e di spiegare laddove servirebbe la più netta e diretta prosa, cioè nel raccontare i fatti per come sono, prima di misurarsi con la loro percezione e il loro significato metafisico.

Invece, sono molto interessanti le premesse: due genitori sordi si salvano reciprocamente dalla morte quasi sicura e decidono di mettersi insieme. Poi decidono di emigrare a New York, poi si separano e la madre torna con i due figli in Italia, in un villaggio della Basilicata. Più tardi, la voce narrante, figlia dei genitori sordi, decide di emigrare a sua volta in Inghilterra.

Ora, la forza di questa storia sta proprio nella sua specificità: si parla di handicap, di emigrazione, del sentirsi stranieri, sia tra la gente con/senza handicap che all’estero. È a questo che probabilmente allude anche il titolo. Si parla dell’assunzione di droghe, della pazzia, di un disagio interiore la cui narrazione è spesso toccante, lucida, chiara.

Altre volte invece è semplicemente troppo esplicativo, e questo è forse dovuto alla scelta di raccontare del passato come di un’epoca finita, da cui si prendono le distanze nel momento del racconto, e che si cerca di razionalizzare e sintetizzare, cogliere nella sua universalità senza però dare tempo al fatto raccontato di depositarsi nella mente del lettore. Quasi si avesse paura di lasciare che i fatti venissero interpretati autonomamente, magari in una luce diversa da quella suggerita.
Profile Image for Marcello S.
647 reviews292 followers
March 1, 2019
Passeggi sulle rovine della tua famiglia e ti accorgi che alcune parole sono state cancellate ma altre sono state salvate, alcune sono sparite mentre altre faranno sempre parte del tuo riverbero, e poi finalmente arrivi al margine di tuo padre e di tua madre, dopo anni in cui hai creduto che morire o impazzire fosse l’unico modo per essere alla loro altezza. E lì capisci che tutto nel tuo sangue è un richiamo, e tu sei solo l’eco di una mitologia anteriore.

Una sorpresa. Il nome di Claudia Durastanti mi girava in testa da un po’. Sapevo che era relativamente giovane, che era nata a Brooklyn (notizia che non passa inosservata quando leggo una bio), che era traduttrice, scriveva di libri e musica, e aveva pubblicato qualcosa. Di suo però non avevo ancora letto nulla.

Qui, al quarto libro, accantona la forma del romanzo puro per un memoir famigliare (con una dose variabile di fiction) scritto in prima persona e dominato dal rapporto madre-figlia.
Il tentativo di costruire una storia e un’identità prende il via dalle versioni discordanti raccontate dai genitori - entrambi sordi, personaggi assurdi e rocamboleschi - su come si sono conosciuti, in cui c’è sempre uno dei due che salva l’altro.
Per buona parte si segue la cronologia degli eventi (nonni, genitori, infanzia, adolescenza) per poi virare verso spot e micro-storie (Malinda, la rivista di filosofia, Nikolai) nelle quali la narrazione sembra avere un ruolo maggiore.

La Straniera è un prisma, un territorio emotivo in cui si intrecciano riflessioni personali su Brexit, disabilità, malattia, dipendenze, linguaggio, antropologia, lavoro, classe sociale, musica, film, New York e la Basilicata, il sentirsi stranieri.

C’è il problema della lingua - italiano, dialetto lucano, inglese - amplificato dalla difficoltà di comunicare, le visioni casalinghe del Festival di Sanremo con i sottotitoli, l’imponente immaginario cinematografico, la rinuncia da parte della madre, e il successivo divieto nei confronti dei figli, di parlare con la lingua dei segni perché è teatrale e visibile, ti espone in continuazione. Ti rende subito disabile. In assenza di gesti, puoi sembrare solo una ragazza un po’ timida e distratta. Leggendo le labbra degli altri per decifrare cosa stavano dicendo fino a consumarsi gli occhi e i nervi, parlando con la sua voce alta e forte e dagli accenti irregolari, sembrava solo un’immigrata sgrammaticata, una straniera.

C’è una passione irrequieta, violenta e visionaria per la letteratura, soprattutto per libri inadatti alla sua età.
La mattina prendevo lo zaino, scendevo di sotto giusto per sbattere il portone anche se mia madre non poteva sentirlo e poi me ne andavo in soffitta con la chiave che avevo trafugato. Portavo sempre un orologio, in modo da poter rientrare in casa per le due meno un quarto, l’orario ufficiale del rientro. (…) È in quegli anni in soffitta che Fernanda Pivano è diventata la mia migliore amica. Mia madre aveva le sue traduzioni di Kerouac e Fitzgerald, traduzioni che avrei scoperto essere piene di errori e di incuria solo all’università, quando tutti la prendevano in giro, ma non mi sarebbe importato: io di errori nella traduzione ne facevo sempre e continuo a farli, perché nessun significato assume una forma stabile in me, e tutto quello che penso, e quello che poi dico, soffre nella trasmigrazione tra paesi diversi, sanguinando proprio come gli astronauti che hanno trascorso troppo tempo nello spazio e quando tornano a casa hanno epistassi continue sotto il sole.

Ci sono le difficoltà della protagonista ad ambientarsi in una Londra umida, respingente e malinconica e poi, nel finale, qualche apertura all’interno della sua sfera privata, di coppia.
Sono cresciuta credendo mio malgrado che affidandomi a un altro essere umano sarei stata salva per sempre. È un’idea retrograda, smentita dalla società occidentale, dalla psicoterapia ma una parte di me continua a credere che ci sia qualcosa di importante in questo abbandono, in questo lucido affidarsi.

Mancano i nomi propri, mancano quasi del tutto i dialoghi.
Durastanti lavora su una lingua elegante, nitida, essenziale, non-appariscente, e il risultato è davvero efficace.
Se vi è piaciuto La più amata è abbastanza imperdibile.
Già una delle cose migliori con cui avere a che fare quest’anno.
Stato di grazia distillato. [77/100]

La prima volta che avevo visto la sua ragazza eravamo seduti nell’atrio di una moschea a prendere un tè e lui non aveva fatto che indicarle i piedi e chiedermi se non pensavo che avesse dei bellissimi sandali. Lo pensavo. Erano scarpe molto belle, come lo era lei, ma dentro provavo una pena profonda per entrambi. Era rimasta silenziosa per gran parte del tempo così come la seconda volta che l’avevo incontrata.
Eravamo in un bar, seduti al bancone. Il mio ragazzo aveva bevuto più di tutti senza cambiare espressione, continuava a studiare il barista che ci metteva mezz’ora per preparare un cocktail come se fosse una funzione religiosa, con la clientela delle tre del mattino assonnata in un angolo. Era un locale dalle pareti rosso sangue di drago e la polvere sugli specchi, quando siamo usciti per tornare nelle nostre case e i nostri ostelli non c’era già più.
Io e Nikolai non avevamo fatto che discutere animatamente ubriacandoci per tutta la sera, e quando avevo abbracciato lui e la sua ragazza sul marciapiede mi era venuto in mente che non li avrei rincontrati, non insieme. Avevo invidiato un po’ il loro aspetto crepuscolare e infelice, ma non erano persone di cui si potesse sentire la mancanza.
La notte l’avevo passata a vomitare in bagno mentre il mio ragazzo mi reggeva la testa e asciugava il sudore e poi mi ero addormentata di schianto, felice di avere qualcuno che mi volesse bene e a cui importasse se mi svegliavo al mattino.
Mesi dopo, in un altro locale, in un’altra città, il mio amico si era chinato ancora di più in avanti, con gli occhi arrossati da faina, e aveva detto che l’aveva amata fino a impazzire. Gli psichiatri gli avevano imposto di mollare, di smettere di perseguitarla; lei aveva minacciato di denunciarlo.
Nikolai mi aveva fissato a lungo prima di dichiarare: “Non c’è cura per l’amore.” Lui e la sua goffa isteria. Io gli avevo risposto: “Oh, per favore, dimmene un’altra.”
E io, io avevo mai amato fino a impazzire?
Profile Image for Alessia Claire.
153 reviews
April 16, 2019
Un libro talmente visionario e delicato da turbare in profondità: un libro sul coraggio, sull'amore (e sull'amore per la lingua). Una scrittura ardente, sfacciata, tenera, ispirata e malinconica, lieve ma mai pacificante. Lo consiglio.




Una mattina mi girai per sdraiarmi sullo stomaco e vidi un bambino magrissimo che stava leggendo I ragazzi della via Pal. Con l'ottimismo disperato di chi intravedeva una via di fuga gli dissi che anche a me piaceva leggere - Stephen King, i fumetti, il libro Cuore -, lui si sedette di scatto a gambe incrociate e mi parlò della triste morte del soldato semplice Nemecsek con l'acqua nei polmoni, una morte da Alien. Nonostante lo spoiler, chiesi in prestito quel libro e per la prima volta commisi un'azione che sarebbe divenuta sempre più familiare in futuro: mentii sull'averlo letto tutto. Volevo restituirglielo il giorno dopo per dimostrargli che ero rimasta sveglia la notte, così avevo letto solo le pagine essenziali, andando avanti a scatti, e fu abbastanza tacito il mattino dopo, a fronte di una lettura così veloce, decidere di fidanzarci. Era campano, secco e con il naso adunco; da bambina avevo già le mie prerogative. Poi arrivò una ragazzina magra e con il costume a due pezzi a turbare quella quiete, quella relazione fatta di libri e gelati e assenza di baci. Si erano incontrati una volta che ero rimasta impegnata con le attività di gruppo, era appena arrivata. Era efebica, scostumata, aveva i capelli color cenere e la coda lunga fatta solo di doppie punte. E aveva i tormenti: veniva da una famiglia in cui c'erano risse e tossicodipendenze, rischiava di essere data in affido insieme alla sorella piccola, tutti i suoi racconti erano una Via Crucis di scene magistrali - la prigione, gli zii molesti e le famiglie affidatarie - e io sentii un mal di stomaco atroce, ero livida, lì sul bagnasciuga a pensare che mi avevano tolto anche quello: il privilegio di una sofferenza imparagonabile. A cosa serviva la storia della mia famiglia se non potevo ricattare tutti con la sua tragicità?
La ragazzina aveva sofferto più di me; non potevo competere con i suoi stati di abbandono. Persino la disabilità dei miei genitori sembrava mediocre davanti all'epica delle pistole e del carcere; il mio era un trauma da perdenti, la disabilità stronca qualsiasi desiderio, è una cosa che si capisce anche da piccola. E il bambino campano me lo disse, una sera alle giostre: che non sapeva scegliere. Che l'altra aveva più bisogno di un fidanzato, che era più fragile e io più forte. Non disse che era magra e io no, che era bionda e io no, non disse che io volevo parlare di libri e lei farsi toccare le cosce: disse che lei aveva più bisogno di essere amata e io rimasi stordita a fissarlo sotto le luci delle macchine da scontro prima che si allontanasse per comprarsi un ghiacciolo.
Profile Image for Ilaria Quercia.
408 reviews113 followers
September 7, 2021
A malincuore, non l'ho trovato una lettura imperdibile, come le brillanti recensioni acclamano.
Indubbiamente, riconosco una scrittura perfetta, che trasuda cultura letteraria, geografica e cinematografica senza ostentare, ho trovato una sensibilità fuori dal comune in molti passaggi, ma mai un filo conduttore.
Forse, la metafora dell'autrice di un gomitolo sciolto che l'entropia non ricompone più è calzante proprio per la sua stessa scrittura, per il suo modo di raccontarsi e fare autofiction.
Io immaginavo una saga familiare di emigrati italoamericani di ritorno in Basilicata, il disagio di sentirsi sempre straniera, marginale emarginata, la difficoltà di comunicazione con genitori sordomuti, il linguaggio che si perde, si evolve e cambia come un flusso temporale esistenziale.
Invece, mi sono ritrovata un po' di tutto: le rune e i tarocchi, le Nike con le lucette, i romanzi polacchi e perfino gli autoritratti di Nan Goldin e i "Ciao, straniera" di Dylan McKay di Beverly Hills, ma tutto slegato e sconnesso.
Eppure qualcosa ha ugualmente toccato la mia emotività nel profondo, forse quando la narrazione diventa meno "pulita" e più viscerale emoziona di più e trasforma una "bella scrittura" in una "scrittura bella".
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March 1, 2025
Πάσχεις από κατάθλιψη; Είσαι απογοητευμένος από τη ζωή κι από τους ανθρώπους; Υποφέρεις από αυτοκτονικο ιδεασμό; Να ένα βιβλίο που μπορεί να τα ανατρέψει όλα αυτά και να τοποθετήσει τα χαλασμένα τουβλάκια του ψυχισμού σου στη σωστη τους θέση.

Μιλάμε για ένα όνειρο
, και μια Ιταλίδα βουτηγμένη από την κυψέλη των πιο ταλαντούχων θεών. Γειά σου Κλαουντιαρα μου.
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dnf
December 18, 2023
Vamos dizer que este DNF é culpa do timing de leitura e passar à frente. A realidade é que a primeira metade do livro me interessou deveras, a abordagem de sentido metafórico é inteligente, mas a segunda metade é repetitiva (as referências pop sucedem-se página sim página sim) e enfadonha, com uma narradora/autora com demasiada pena de si própria para conseguir uma narrativa original que me agarre ao fim de 9 horas de nariz enfiado no PC.
Profile Image for Neil.
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January 17, 2022
From the Afterword:
“Genre, in the end, is just a game of possibilities and clues; it takes only a little misstep to slip out of a novel, to fall into an autobiography and resurface again as an essay, all in the short span of a sentence.”

And from the Acknowledgements:
“I believe in open and shapeshifting texts that truly become themselves only through another voice and gaze.”

These two quotes that you get to on completing this book summarise what it feels like when reading the actual narrative. It is interesting that the Afterword quote goes on to say, ”In my own primal dreams, La straniera - Strangers I Know - was meant to be read in nonlinear fashion. Ideally, every edition would present a different chapter sequence, as I believed this would affect the experience of the reader…”

So, you can see that any sense of randomness that you might pick up on reading this book is entirely deliberate on the part of the author. What begins as a family history of the daughter of two deaf parents then goes on to shape-shift through philosophical notes, social commentary, autobiography and probably a few other things along the way. The chapter are organised into sections (Family, Travels, Health, Work & Money, Love and What’s Your Sign), but within each of those sections there’s a sense of arbitrariness about the way the vignettes flow and I imagine it would easily be possible to read the chapters in a different order.

I think this sense of randomness is both the book’s strength and its weakness. It is a strength because brings a freshness to the reading experience, a sense of unpredictability. I enjoyed the writing style here and this morphing from one genre to another was something I appreciated as I read. But it is the book’s weakness because it means that it’s difficult, at least for me, to see the book come together. It may well be that this is exactly the author’s intention (I imagine it is, given the quotes at the start), but it means the book didn’t leave that much of an impression on me.

There have been several books recently that I have struggled to read but then enjoyed a lot more when I looked back on them. For me, this one worked the other way: I enjoyed the reading of it but struggle to engage with it in my memory. I’m happy to believe the fault is mine and not the book’s.
Profile Image for lise.charmel.
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September 27, 2019
COMMENTO ALL'AUDIOLIBRO
Ebbene sì, ho ascoltato un audiolibro che parla di persone sorde. Mi sono accorta del paradosso solo molto avanti, quando ho interrotto l'ascolto per passare alla versione digitale, ma ho quasi subito ripreso l'ascolto.
Il romanzo, che poi in realtà è un'opera di auto-fiction, racconta la vita dell'autrice e della sua famiglia disfunzionale, composta da due genitori sordi e dispersa tra gli Stati Uniti e un paesino sperduto della Basilicata. A queste distanze la Durastanti ne aggiunge altre: l'incomunicabilità (fisica e psicologica), la differenza culturale, le differenze economiche. Il libro procede in maniera apparentemente lineare, ma è in realtà composto da episodi che vanno avanti e indietro nel tempo e da osservazioni dell'autrice mutuate da mostre, libri, musica e programmi televisivi.
La scrittura della Durastanti è ricca di metafore astratte, che funzionano bene perché intendono riprodurre sensazioni più che descrizioni e allargano al lettore ciò che potrebbe essere un'esperienza prettamente personale.
Via via che il romanzo procede si fa sempre più sfilacciato e costituito da riflessioni più che da narrazione eppure mi è piaciuto anche e proprio per questo, come se si trattasse di una sequenza visiva che inquadra un panorama dall'alto e scende via via verso il dettaglio ad altezza occhi.
Venendo all'audiolibro in sé: è ben fatto, l'attrice è brava e i capitoli sono inframezzati da brevi intervalli musicali gradevoli. Tuttavia secondo me questo testo funziona meglio in lettura, tornando indietro sceglierei la versione cartacea o digitale.
Profile Image for Ellen.
1,588 reviews456 followers
March 12, 2023
“Love, for me, was always a matter of recognition” (p. 256)

And for this narrator, that's bad news. Raised by a mother who is, to say the very least, eccentric, the narrator's experience of love is sporadic filled with disappearance, emotional distance alternating with overly intrusive behavior. And her parents' love for each other, the model she grew up with, is disconcerting to say the least. Each has their own, conflicting, story of how they met, in which each in some way, saved the life of the other. Violent, intense, the couple are drawn together even in separation and divorce.

Miscommunications, lack of effective communication. Both of the narrators' parents are deaf--and refuse to learn sign language. Each works out their own system of communication but not ones that allow them to really be able to communicate even with each other so they are locked in a world of isolation which they try to break out of with often self-destructive behaviors (for example, the mother has many brief sexual affairs to connect but don't bring any lasting connection).

Although described as fiction, Strangers I Know is clearly autobiographical--many of the facts of the novel match facts of the author's life. But as interesting as the life may be, it's the writing that makes this work stand out. I copied line after line--breathtaking and a privilege to read.
Profile Image for ☽ Sono sempre vissuta nel castello Chiara.
185 reviews297 followers
September 5, 2019
“Una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato”, ogni persona nasconde un mondo, tante volte lo dimentichiamo o non ci pensiamo, giovane/vecchio, ricco/povero, etero/gay, grasso/magro, ed ecco qua: abbiamo definito qualcuno, le categorie sono utili per velocizzare il pensiero, ma non sono realistiche, non dicono nulla di una persona, e spesso una persona non è ragionevole, non è fatta di catene di cause ed effetti, è composta da sbagli, casualità, ripensamenti, parti nascoste che a volte nemmeno lei sa di avere. Non è semplice scrivere di se stessi, eppure questo libro ci riesce, e lo fa anche bene. Leggendo La straniera ho scoperto una grande scrittrice, che guarda le cose da inconsueti punti di vista, non si ferma mai alla superficie ed esplora sempre più a fondo. La straniera è una biografia-memoir -poco importa quanto ci sia di vero o quanto no nel racconto- di una bambina diversa in una famiglia diversa, che vive in America e poi in Italia, e poi a Londra, e nel ripercorrere la sua storia abbraccia riflessioni argomentando sempre con una capacità linguistica e di pensiero eccellenti attraverso una voce unica, alla quale non vorresti mai smettere di prestare ascolto.
Profile Image for Greta Ardito.
9 reviews5 followers
June 20, 2024
Emergo da questa lettura frastornata e nuda. La straniera mi ha sconquassato l’anima. Ho dosato ogni pagina, ogni parola, con la pazienza di chi risolve un enigma. Durastanti usa una prosa elettrica e raffinatissima per esplorare la galassia dei legami che ci sorreggono e annientano. Il racconto non è lineare, ma arriva dritto al cuore di tutto.

“Quando tutto cade, indomito l’amore resta”
Displaying 1 - 30 of 730 reviews

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