All'era dei pirati della finanza e dell'industria, degli imperi economici costruiti sui campi di battaglia è succeduto lo scenario desolante degli anni Trenta: la borsa in caduta libera, la crisi, la disoccupazione, e "tutti quegli scandali ignobili, quei processi, quei tracolli privi di grandezza"... Come molti della sua generazione, Christophe Bohun non ha né ambizioni, né speranze, né desideri, né nostalgie. È un modesto impiegato nell'azienda che suo padre, il Bohun dell'acciaio, il Bohun del petrolio, è stato costretto, dopo un clamoroso fallimento, ad abbandonare nelle mani del socio. Si lascia svogliatamente amare da una moglie di irritante perfezione e da una cugina da sempre innamorata di lui. "È la pedina" annota la Némirovsky sulla minuta del romanzo "che viene manovrata sulla scacchiera, che per due o tremila franchi al mese sacrifica il suo tempo, la sua salute, la sua anima, la sua vita". Alla morte del padre, però, Christophe trova in un cassetto, bene in evidenza, una busta sigillata: dentro, un elenco di parlamentari, giornalisti, banchieri a cui, nel tentativo di evitare il crac, il vecchio Bohun aveva elargito somme ingenti affinché spingessero il governo ad accelerare i preparativi bellici. Riuscirà questo bruciante retaggio, questa potenziale arma di ricatto, e di riscatto, a scuotere Christophe dal suo "cupo torpore"? Difficile trovare un romanzo così puntualmente applicabile a temi e fatti di ottant'anni dopo.
Irène Némirovsky was born in Kyiv in 1903 into a successful banking family. Trapped in Moscow by the Russian Revolution, she and her family fled first to a village in Finland, and eventually to France, where she attended the Sorbonne.
Irène Némirovsky achieved early success as a writer: her first novel, David Golder, published when she was twenty-six, was a sensation. By 1937 she had published nine further books and David Golder had been made into a film; she and her husband Michel Epstein, a bank executive, moved in fashionable social circles.
When the Germans occupied France in 1940, she moved with her husband and two small daughters, aged 5 and 13, from Paris to the comparative safety of Issy-L’Evêque. It was there that she secretly began writing Suite Française. Though her family had converted to Catholicism, she was arrested on 13 July, 1942, and interned in the concentration camp at Pithiviers. She died in Auschwitz in August of that year. --Penguin Random House
C’è qualcosa negli uomini Bohun, una vena di tristezza e profonda insoddisfazione, che passa di generazione in generazione e che può essere annientata solo dalla morte. Questa strana sensazione di malessere, di frustrazione, si annida nei loro corpi come un animale in cattività, costretto a trattenersi, a sbattere costantemente contro le sbarre che lo separano dalla fuga, dalla libertà.
Nessun Bohun è in grado di descrivere quella graffiante infelicità che pervade ogni cosa e lascia tra le labbra un amaro sapore di fiele. Si esprimono attraverso frasi breve, smozzicate, quasi le parole si sforzassero di uscire da una gola serrata, da una mente volutamente annebbiata dall’alcool, dal fumo, dalla vita apatica dei bar a tarda sera. Parlare, aprirsi, esprimersi richiede un coraggio che nessuno di loro sembra possedere.
Non vogliono comprendere, non vogliono sapere cosa li sta distruggendo, cosa sta erodendo le loro forze dall’interno. Sanno solo che sono incapaci di amare la vita, che forse se avessero più soldi, se non dovessero lottare ogni giorno per guadagnarsi il pane, starebbero meglio, avrebbero tempo per la gioia e l’amore, per la compassione e la generosità. Troverebbero finalmente uno scopo nella vita e ne trarrebbero nuovamente piacere.
Costretti però alla catena dalla povertà, dalla necessità del denaro, non possono pensare a nient’altro, non possono permettersi nessun altro sentimento se non l’angoscia per quello che non possiedono, per quello che non provano più. Ma se i Bohun sono prigionieri volontari della vacuità, coloro che li circondano sono, invece, costretti a subire quella prigionia, a vedere la vita attraverso i loro occhi cupi e febbricitanti, affamati di libertà. Una piccola parte di loro spera ancora che l’impulso di un momento o il ricordo di un passato diverso, possano fare vibrare nuovamente i loro cuori, riportare in essi la gioia di vivere tanto agognata; sono solo illusioni di un attimo, però, date da una breve ubriachezza che fa ribollire il sangue e che, poi, lo lascia inerte a ristagnare nelle vene.
Siamo negli anni '30: gli anni della depressione, del crollo della Borsa, della crisi, della precarietà, insomma, situazioni che conosciamo bene e ci dicono molto dei tempi odierni. In questo guazzabuglio, in questa situazione ruota la vita o meglio la non vita di Christophe Bohun, un uomo senza ideali, senza passioni, senza sogni, un uomo che è l'emblema dei tempi in cui vive. Un uomo passivo, statico, che preferisce essere manovrato come fosse un burattino, come fosse una pedina sulla scacchiera, appunto. Una pedina che si fa manovrare prima dal padre che lo introduce nella sua azienda, poi la moglie troppo perfettina e puntigliosa per lui. Un uomo che deve cercare di dare una mossa alla sua vita prima di essere mangiato. Questo libro che segna il mio approccio con la Némirovsky non mi ha convinto molto, non mi ha regalato particolari emozioni, ho trovato tutto troppo freddo, compreso il protagonista. Non mi ha coinvolto. Mi è scivolato addosso senza lasciarmi nulla. Leggerò sicuramente altro della Némirovsky, ma per ora il mio giudizio rimane sospeso.
I pensieri di un uomo triste. Un uomo sensibile che si sente imprigionato in una vita grigia, la squallida esistenza di un impiegato povero, senza possibilità di riscatto. Questo romanzo non è altro. Lo definirei datato, ma solo nel senso che se qualcuno si azzardasse a pubblicare oggi qualcosa di simile, verrebbe investito da una furiosa valanga di ostilità: oggi, che pure la crisi economica è ancora più grave di quella descritta nella Pedina, vige l'Imperativo Assoluto del Pensa-Positivo, del Datti-da-Fare, del Non-si-sa-mai-nella-vita, del Chi-si-arrende-peggio-per-lui, del Pensa-a-chi-sta-peggio. Opporsi a questo torrente in piena è impossibile. Peggio stiamo, più dobbiamo essere ottimisti. Non so se la Pedina sulla scacchiera alla pubblicazione ebbe successo, ma, allora come oggi, qualcuno ci si riconoscerà.
Christophe Bohun lavora nell'azienda che fu del padre, quando questi era ancora il magnate dell'acciaio, relegato lontano dalla direzione e dai suoi intrallazzi a causa della paura che ancora incute il suo famoso genitore ormai ritiratosi a vita privata dopo il crac finanziario degli anni '30 e gravemente malato. Christophe è sposato con la buona, tranquilla e sottomessa Geneviève, ed è padre di Philippe, con loro abita anche la cugina Murielle con la quale il protagonista ebbe una relazione amorosa in gioventù; odia il suo lavoro, non si illude che la vita possa migliorare o cambiare, soffre di depressione e rassegnazione, è semplicemente una pedina sulla scacchiera. Ha una speranza appena accennata: che alla morte del padre l'eredità lo sollevi da un lavoro monotono e dall'assenza di sogni, ma quando il vecchio Bohun morirà il testamento non sarà quello sperato, ma conterrà documenti e lettere che costituiscono una possibile arma di ricatto e di riscatto che però Christophe non è in grado di sfruttare e gestire. L'epilogo sarà tragico. Un romanzo che descrive la società degli anni '30 dopo il crac finanziario, una società corrotta e disillusa che può essere tranquillamente paragonata a quella odierna. La forza, infatti, di questa opera è l'attualità dell'argomento insieme allo stile proprio della Némirovsky, crudo, duro, capace di ritrarre i lati più oscuri dell'umano.
Tracollo finanziario e vita appena sfiorata, che si trascina indifferente tra obblighi e convenzioni sociali. Una moglie perfetta e una cugina innamorata sottolineano e accentuano l'incapacità del protagonista di realizzarsi e di amare. Sentimenti intuiti ma mai afferrati, quasi appartengano a una dimensione fuori dalla portata degli uomini.
Oggi parlerò di un piccolo grande romanzo della prodigiosa scrittrice francese Irène Némirovsky. L’edizione digitale è curata da Newton Compton mentre la traduzione è a cura di Fausta Cataldi Villari.
Lo so: dovrei essere più distaccato e non svelare la mia passione per gli autori o le autrici preferiti. Ma pazienza!
Questo romanzo ritorna ancora una volta a esplorare quel mondo, e i suoi meccanismi, che la Némirovsky padroneggiava alla grande. Siamo a Parigi, e subito conosciamo Christophe Bohun, figlio decaduto di James Bohun, il re dell’acciaio e del carbone, un tempo ricchissimo ma adesso malato, e rovinato. Che si è ridotto così proprio a causa della malattia, perché per accumulare milioni occorre una salute di ferro, e quando questa si perde, tutto finisce.
Il figlio, sposato e con un figlio, vive nella casa del vecchio genitore di cui si attende la morte. In questa casa c’è anche la cognata, un tempo amante di Christophe, che poi si era sposata con un brasiliano, per lasciarlo e tornare a vivere sotto lo stesso tetto del suo antico amante.
Esatto, è proprio così. I temi sono i soliti, quelli che troviamo in altre opere della Némirovsky. La ricchezza smisurata, poi la rovina, i genitori ingombranti; e poi l’amore che brucia come carta, dando passione e calore e poi lasciando il cuore di ghiaccio. Soprattutto la vita che si è costretti a portare avanti quando la rovina è arrivata e si è portata via ogni cosa o quasi; una povera vita, una parodia che disgusta e stanca, e che fa pensare con simpatia alla morte.
Eppure in questi romanzi della Némirovsky credo che ci sia anche la chirurgica volontà di questa scrittrice di portare a galla, alla vista di tutti, i meccanismi che rendono l’esistenza qualcosa di ripetitivo e orribile, mentre dovrebbe essere meravigliosa.
Questo suo puntuale tornare a narrare l’amore che si spegne, sommerso e soffocato dal denaro o dalla sua mancanza, non è forse il suo modo per mostrarci la follia del nostro vivere? Quando lei mette in scena l’ipocrisia e la cattiveria di certi comportamenti, il cinismo e la spregiudicatezza degli individui, non lo fa solo per ottenere il nostro plauso.
Bensì per indicarci quanto siamo andati lontani dai nostri sogni, dalle nostre utopie che in un pomeriggio di un giorno lontano, tanto lontano da dimenticarcelo, avevamo solennemente proclamato, giurando che mai e poi mai ce ne saremmo distaccati.
Lei invece ci indica come ci siamo ridotti, quanto grande è stato il nostro tradimento. E spesso il riscatto che si sogna non è mai tornare a quel tempo, a quella follia. Bensì perseverare ancora e ancora nell’errore, nel cinismo, nella spregiudicatezza.
Si odia questa vita da carcerati, ma non riusciamo a immaginarci davvero fuori dal carcere. E allora ci danniamo, questa volta definitivamente.
Come Dostoevskij scriveva che l’essere umano teme la libertà, la desidera a chiacchiere mentre sogna solo la catena, Irène Némirovsky con le sue storie ci illustra con rara forza a quale livello di pazzia l’essere umano può arrivare, pur di restare fedele alla catena che lo lega. E alla quale la morte lo coglierà senza dubbio alcuno.
I suoi libri mostrano che pur di non essere liberi, scegliamo una vita da schiavi che odiamo ogni giorno. Ma la libertà è qualcosa di spaventoso.
Il Troppo stroppia diceva mia nonna, e, considerando l'overdose di questi ultimi mesi, complice la liberalizzazione dei diritti sui suoi scritti, si è ormai ottenuto un effetto opposto e contrario. Non diomentichiamoci, vedi biografia, che Irene scriveva anche per mantenere la famiglia, pertanto articoli, racconti, ed anche alcuni romanzi sarebbe stato meglio lasciarli dove erano... tuttalpiù potrebbero avere un valore cronachistico o di critica letteraria
“Va tutto bene; il mondo è buono, e anche se non lo fosse a cosa servirebbe recriminare? Bisogna rassegnarsi, chiudere gli occhi e non pensare, ecco, soprattutto non pensare…”
Ancora una volta ho avuto ragione. Una manciata di ore in compagnia di una delle mie tante autrici preferite, dopo essermi accaparrata con una certa fatica questo romanzo, avendo oramai stipulato un patto di sangue che la mia anima è completamente assuefatta alla sua, avendo vissuto una calda e rasserenante manciata di storie con amici vari, anime dannate che vagano lungo la riva dell’assurdo, mi sono convinta di essere davvero completamente affine allo spirito nèmirovskiano. L’autrice riposa silenziosamente dentro di me, così come Zafon, Murakami, Paul Auster, Philip Roth e che a dispetto della mia, la sua vita fu più complicata, sacrificata, sacrificabile rispetto a quella di tanti altri autori ottocenteschi, ma forse anche più ricca e stimolante, avendo oramai letto tutto di lei, avendo raggiunto il mio cuore, stretto fra le sue mani e non mollato mai più. Ed essendo tornata da lei, sul finire di questo secondo mese dell’anno, essendo tornata a leggere di figure che alenano a scovare una via di fuga, una via di salvezza che ci renda completi nonostante l’amore sia una costante. L’amore corrisposto per la persona amata non basta, dunque ci sia aggrappa a inutili fantasticherie che avrebbero rimpiazzato il denaro, l’assenza, l’incertezza, qualunque elemento che avrebbe indotto all’insuccesso, alla povertà, pur di ottenere una vita semplice, appassionante, placida, senza rimpianti e insoddisfazioni, liberi da qualunque forma di tirannia. Avendo oramai una certa esperienza, avevo compreso che quella di Christophe è una punizione << divina >> che è stato beccato in un momento particolare e insoddisfacente della sua vita, non rubando niente e nessuno ma sottratto dalla stessa felicità. Nel periodo di assimilazione alle opere nèmirovskiane, nei sobborghi logori e puzzolenti di qualche strada parigina o ucraina, ogni romanzo dell’autrice si diradò dinanzi ai miei occhi come un nastro colorato in cui la drammaticità di certi episodi, proiettati su uno spazio temporale remoto molto simile al nostro, avrebbe riempito lo spazio circostante di elementi estremi d’identità e sopravvivenza. Se all’uomo fu sottratto del denaro non restava nient’altro che niente, poiché è un essere perduto che trova sfogo nel maneggiare un qualcosa che lo rende un essere supremo ma che senza sarebbe un essere nullo. Avvelenando comunque la sua anima semplice, qualunque forma di vita, sia essa buona che cattiva. Descrivendo il paesaggio circostante analizzandolo come osservandolo da una lente d’ingrandimento, paesaggi, cieli grigiastri che trasmettono la sensazione di camminare fra la nebbia o ascoltare il soffio del vento fra i rami, mediante monologhi provenienti dalla soglia morale di ognuno per diventare persone o almeno provare a capirle. Persone conosciute e non che, in una manciata di pagine, compongono modelli sintattici di vita, usano verbi intransitivi per sentiri i ritmi cruciali nelle ossa da dove nasce la vita con la v maiuscola. Una curiosa sequenza di scenette nate da figure che sono mosse da ideali romantici e persecutori di cui l’ottenere una certa gloria per la Francia con mezzi pacifici è un buon antidoto contro qualunque forma maligna. Con i loro occhi stanchi sembravano aver guadagnato qualcosa che scruti l’anima di chiunque, come se contemplassero dal profondo del loro cuore grandi tribolazioni, osservanze cui è impossibile non asservire. Vagheggiando in questa landa deserta non potendo sfuggire alla vecchiaia, alla malattia, ma desideroso anche di vincere per non rinunciare ad una vita piena di fatiche pur di ottenere qualcosa. La malinconia, il rimpianto di non aver potuto vivere come si deve, raffinato ma intimistico, drammatico e crudele tiene insieme un complesso perfetto gioco di richiami stilistici.. una curiosa sequenza di scenette nate da giochi di perversione, spostamenti da un luogho ad un altro, cambi di prospettiva, tradimenti, legami recisi e non, ore selvagge di vera e propria solitudine, si legge schiarendosi le idee ogni volta che Christophe era bloccato. Provocante ma scombussolante, come del resto ogni romanzo nèmirovskiano, che vuota l’anima. La riempie, per meglio dire, di una tristezza indicibile, sentimenti contrastanti che bruciano disgustati qualunque forma di bontà, comprensione. Come la maggior parte dei personaggi, non demordendo, ma sforzandosi di combattere malgrado i risultati alquanto deludenti, perché consapevoli che la loro unica speranza sta nel riporre forza, speranza che in un modo o nell’altro li avrebbero resi uomini migliori. Il destino dei figli nèmirovksiani è quasi sempre lo stesso. Vivono, parlano e poi muiono, perché nonostante le fatiche e l’insoddisfazione per le pagine inerti che spesso trapelano, vivere gli procura una gioia indescrivibile, lo fanno sentire vivo come non mai, niente che eguagli la sensazione di annullarsi ed entrare nel grande mondo che fervono dentro parole che gli ronzano in testa. Un’inaspettato male, nonché sconvolgente forma di malvagità e crudeltà che con scoppio inconteninili di anime recise, si presta ad altri romanzi dell’autrice. Nonché piccoli squarci di anima che tendono la mano a chiunque, senza però comprendere appieno il vero significato di questo racconto che ha abbracciato me e la mia anima con il cuore colmo di amore, affetto, inevitabilmente. Quello ritratto in Una pedina sulla scacchiera è una situazine analoga a quella ritratta in David Golder, lontana da concetti o prototipi imposti dall’amore o dall’amicizia, proiettata su uno spazio crudele, egoista, terrificante che appesantiscono il tono serioso, scrupoloso, algido in cui si esige un’attenzione in più di un semplice atto di comprensione, qualcosa di più di un semplice rapporto abituale in cui ci si veste di mali che attanagliano l’anima fragile e devole. Si alena ad ottenere qualcosa che in un primo momento fortifica, ma poi distrugge.
Culla di un ritratto estremamente fedele e appassionante in cui ci si impegna di cancellare quei momenti di astio, povertà che attanagliano forme inespugnabili e che lentamente trascina sempre più nel basso, è un opera che mi ha lasciata con un forte senso di sconforto specie nel momento in cui Christopher otterrà la sua pace dei sensi. Nonostante gli innumerevoli tentativi di nascondersi dietro una corazza di freddezza e finto perbenismo, nonostante la volontà di dissipare qualunque forma di cattiveria; un acuta riflessione da cui si trae ispirazione dalla stessa vita, senza contare le innumerevoli esperienze che bisogna ancora vivere.
<< Vale proprio la pena di nascere, se nei brevi e pochi anni che ci è concesso di vivere ci auguriamo soltanto il sonno, l’oblio, la morte. >>
Ogni volta che leggo un libro di questa scrittrice resto sempre sorpresa per la modernità delle sue storie, dei temi che tocca. Purtroppo la sua arte si è fermata troppo presto a 39 anni, in un luogo di cui tutti conosciamo il nome, lei ebrea russa, non aveva possibilità di salvezza e il campo di concentramento è stata la sua ultima dimora. Christophe Bohum lavora come impiegato nella ditta che una volta era di suo padre, è sposato, ha un figlio, ma è infelice. Christophe e suo padre due uomini completamente opposti, il figlio una semplice pedina nelle mani sapienti del vecchi capofamiglia, uomo spregiudicato che non si è mai tirato indietro da un mondo politico e industriale corrotto. Il figlio uomo che non trova niente per cui vivere, ma che continua a farsi un esame di coscienza e non sapersi muovere, non riesce a prendere una decisione che gli potrebbe cambiare la vita. Anche in questo piccolo libro, troviamo le tematiche che caratterizzano l’autrice, la tirannia del denaro, il bisogno di amore ma non saperlo donare, né riconoscere la noia della vita, ma il bisogno di vivere, malgrado tutto. Tutti i personaggi sono ben descritti sia fisicamente che psicologicamente, tanto che riusciamo a conoscere i personaggi, forse li potremmo comprendere, ma difficilmente li possiamo amare, sono personaggi indimenticabili, che hanno cercato il loro riscatto nel denaro e nel potere, tematiche così attuali anche ora nel 2021. Da leggere assolutamente, ma io sono di parte.
El libro esta ambientado en los años 30. La trama da mucha angustia, un hombre cansado de vivir, se deja llevar por la monotonía y la burguesía en la que esta acostumbrado, se avergüenza de su propia vida pero no es capaz de cambiarla.
Amo l'autrice poiché grazie all'analisi psicologica e sociale è riuscita a rendere romantica anche la guerra. Anche in questo caso l'apatia e la rassegnazione dei protagonisti si ripercuote nell'ambiente circostante, a mio avviso, un po' troppo. È tutto forzatamente esagerato ed esasperato. Il risultato finale purtroppo è poco credibile. I personaggi finiscono per sembrare delle patetiche caricature.
Book about the 1930s depression era is very depressing indeed. The structure does not work and the characters do not develop. Interesting document about how some people felt during this time. Némirovsky has many better novels than this.
Romanzo molto amaro, ambientato nella Francia degli anni trenta, in piena crisi economica. Christophe, il protagonista si sente una pedina sulla scacchiera della vita, senza potere e prospettive future, condannato a un’esistenza vuota, monotona, fiaccata dalla mancanza dei soldi e priva di ogni sentimento. In realtà potrebbe considerarsi una sorta di “privilegiato”: figlio di uno squalo dell’industria caduto in rovina, lavora come impiegato nell’ex azienda di famiglia e a differenza di altri non rischia il licenziamento, eppure la sua insofferenza è palese (e talvolta indisponente).Il primo ad uscire dall’ufficio per fiondarsi a bere in qualche bar per arrivare a casa dove lo attende la famiglia ormai ridotta a un “fascio di esistenze diverse legate dalla necessità”: una moglie perfettina a cui si rivolge con il lei, un figlio indolente, una cugina malinconica e precocemente invecchiata. E poi il padre, vecchio, scosso dalla tosse, ma ancora un “leone”, anche se ormai confinato in due stanze: si aspetta la sua morte senza troppo nasconderlo per ereditare speranzosi qualche milione sicuramente sottratto al fallimento. I giorni si trascinano uno dopo l’altro: Christophe si lamenta, la vita fa schifo, la morte sarebbe quasi una liberazione; troppo pigro per qualunque azione, anche per l’amore, ridotto al minimo con la moglie e neanche un ritorno con la cugina, amante di gioventù; lunghe peregrinazioni per Parigi e dintorni senza meta a piedi o in auto (l’unica sua passione) per ritornare a quella casa in fondo tanto comoda. Il classico tipo che fuggirebbe a Tahiti ma poi senza il suo bagno piastrellato…La parabola discendente sarà inevitabile e rapida, coronata da una fine stupida degna di tal personaggio. Se però non ho avuto molta simpatia per Christophe e la sua famiglia, non così per il romanzo: una analisi cinica, cruda e senza scusanti di un’epoca in crisi di valori, condotta attraverso la narrazione di semplici episodi quotidiani dove una patina di indifferenza copre anche i pochi momenti tragici, narrazione che però riesce a intrappolare il lettore fino alla fine. Ho già letto diversi libri di questa scrittrice e in molti ho apprezzato la sua capacità di descrivere situazioni e personaggi con poche frasi per lasciare spazio al non detto, all’immaginazione. Quattro stelle meritate
La triste vida del inestable Christophe Bohun, padre del inestable Philippe e hijo de James, un frío y corrupto empresario arruinado y apátrida. Una vez más Nemirovsky retratando las nefastas consecuencias de una vida desnortada, o dónde la única meta es la búsqueda del placer o del poder. Sin embargo en esta viscosa novela hay un punto de luz en la página 82,"la vida hasta la más magnífica solo vale para el amor" y más adelante en la página 163 "solo un exceso de amor puede ayudar a soportar esta vida" piensa Christophe al ver el buen ejemplo de la mujer de la limpieza que se sacrifica para que a costa de su trabajo sus hijos puedan disfrutar del aire libre. Pero "el amor no es dado a todo el mundo" sigue pensando sin ver el ofrecido por su apacible esposa debido a la ceguera que le provoca la continua búsqueda del placer. Intenta compensar su vida con sucedáneos del amor: su automóvil, las borracheras, el sexo fugaz y la idealización del pasado. No se enfrenta a la adversidad porque no tiene un motivo para vivir. "Uno muere a los 20 años, uno muere cuando la alegría se ha ido". "La alegría se va como la sangre corre de las venas abiertas en una bañera de agua caliente", esta imagen se repite tres veces. "Todo me aburre a muerte, en cuanto uno estira el cuello siente la cadena", como el águila enjaulada que no quiere volver a intentar desprenderse de la cadena que en su último intento de escapar había ya roto sin advertirlo y murió desplumada, triste y sin el vuelo majestuoso a que estaba llamada.
Un uomo stanco della vita, figlio di un riccone caduto in disgrazia e costretto a guadagnarsi da vivere con un monotono lavoro d'ufficio, cerca di raccattare qualche briciola di gioia fra scappatelle extraconiugali e alcool. Più che la storia è il come è raccontata, che mi è piaciuto di questo libro, che parla molto tramite i pensieri dei personaggi, cosa che porta ad immedesimarsi molto nei loro stati d'animo.Il che forse, visto il mood del protagonista, non è magari il massimo 🤣🤣😉
Me esperaba otra cosa. Esta bien la intención pero me aburrió bastante, onda sí, ya sé, escenario de postguerra todo lúgubre y chabón traumadito pero estaba esperando mas profundización con el tema social ooo alguna sorpresa que haga que esa planicie de monotonía tenga matices, sierras, lomaditas, algo.
Un libro che trasmette con tutte le sue pagine l’indifferenza del protagonista nei confronti della sua vita e di quanto pensi sia inutile la sua esistenza Trasmette malinconia ma descrive una vita di inerzia senza stimoli e senza felicità di essere vissuta Descrivere tutto questo credo sia un dono che accumuna ben pochi scrittori
Lo malo de ser una buena escritora, y Némirovsky lo es, es que los lectores nos volvemos exigentes. Este peón nunca llegará a promocionar a dama -de hecho, no es siquiera seguro que se mueva en toda la partida.
Le descrizioni di Parigi, la cura nei dettagli, la bravura nell'ispirare tristezza bilanciano abbastanza la mancanza di evoluzione in diversi personaggi. Ho amato entrare nella testa di Cristophe, un uomo indeciso con una sola certezza, la depressione.
I actually liked the attempt to grasp the protagonist’s existential gloom, but I perceived a lack of psychological plausibility: a sense of loss, a loss of sense and motivation were often just stated, and stated too often.
UN LIBRO BELLO MA ANCHE MOLTO TRISTE, INCENTRATO SULLA VITA DI UN UOMO FRUSTRATO, CHE NON RIESCE A DARE UN SENSO ALLA PROPRIA VITA. SI FA LEGGERE TUTTO D'UN FIATO. QUESTA AUTRICE NON DELUDE MAI. BUONA LETTURA!
E' stato definito una delusione o un romanzo minore della sfortunata scrittrice Irene Nemirovsky e in effetti è vero. Per tre quarti il livello narrativo è stato eccellente, sicuramente un gradino inferiore a David Golder o a Due. Tutto sommato la lettura è gradevole, le introspezioni acute. Le vicende e le analisi sono di buon livello, anticipando il grande capolavoro dell'autrice, Suite francese, dove saranno riprese e rese mature dalla sensazione di una catastrofe imminente, come poi accadrà. Poi dalla morte del vecchio Bohum è scaduto tutto a livello narrativo e tono, come se avesse fretta di chiudere il romanzo e consegnarlo alle stampe o forse, più verosimilimente, per mancanza di ispirazione creativa. Un vero peccato, perché avrebbe potuto uscire un ottimo romanzo.