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Uzeda #2

I Viceré

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Storia di tre generazioni della potente famiglia catanese degli Uzeda di Francalanza, di antica origine spagnola, pronta a tutto pur di conservare la supremazia anche nella nuova, contraddittoria Italia unita.

736 pages, Paperback

First published August 1, 1894

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Federico De Roberto

75 books23 followers

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Displaying 1 - 30 of 211 reviews
Profile Image for Malacorda.
598 reviews289 followers
August 9, 2017
Capolavoro, avrei voluto leggerlo tutto d'un fiato e invece per forze di causa maggiore mi è toccato sbocconcellarlo. La scrittura ottocentesca mi riconcilia con il mondo, e inoltre qui De Roberto sa usare di un'ironia eccezionale che rende la lettura a dir poco gustosa.

Un classico verista è un libro due volte classico: doppia garanzia, per il lettore, di potersi affidare alle pagine per sentirsi raccontare esattamente quello che cercava.

Nel momento in cui giunge la notizia della morte di Teresa Uzeda principessa di Francalanza, il lettore si trova nel cortile del palazzo e viene letteralmente investito da una ridda di nomi, don, marchesi, duchesse, contini, cugini, cognati, servitori, leccapiedi - altrimenti detti lavapiatti - e comparse di ogni genere. Partendo così dalle vicende della famiglia Uzeda negli anni '50 del XIX sec, si snodano tante storie siciliane, una dentro l'altra e una più antica dell'altra. Storie di nobili e di viceré, di liti tra rivali e liti tra fratelli, storie di eredità e di miseria, storie di antichi palazzi e conventi, storie di colera, di guerre e di amori. E ovviamente anche storie di opportunismi economici e politici che si inseriscono inesorabilmente nella storia dell'unità d'Italia. La linea temporale del racconto è discontinua, parte dalla metà degli anni '50 fino alle elezioni del 1882 con salti di un anno o due tra un episodio e l'altro.

Se la storia di Filumena Marturano, nella trasposizione cinematografica è diventata "Matrimonio all'italiana", "I Viceré" potrebbe benissimo diventare "Famiglia all'italiana": tutti uniti nei particolari momenti di difficoltà e quando devono confrontarsi con soggetti o fattori esterni al nucleo familiare, ma sempre pronti a scannarsi tra loro per ottenere un vantaggio personale, per primeggiare o per seguire una convenienza del momento, dividendosi in due o più fazioni o più spesso in un tutti contro tutti, specialmente nei casi che riguardano eredità e testamenti.

Senza una trama o un intreccio veri e propri, il racconto ruota infatti tutto intorno alle vicende relative al testamento della principessa defunta e alla divisione dei beni, e vi si fotografa la situazione e la evoluzione della famiglia e del contesto all'interno di cui essa si muove. L'unità d'Italia viene presentata dal punto di vista di una famiglia di nobili, quindi gente che si sa muovere bene per saltare sul carro del vincitore e raggiungere sempre i propri obiettivi, hanno in famiglia un deputato, un sindaco, un avvocato, una badessa e un priore, non restano esterrefatti di fronte alle novità introdotte con il nuovo regno, come invece accade ai poveracci, ad esempio come accade a Cecilia ne "Il mulino del Po" quando deve andare in comune per regolare gli affari relativi al matrimonio e al riconoscimento dei figli, una cosa che fino a pochi anni prima era esclusivo appannaggio della parrocchia.

Esemplificativi e significativi sono i finali di ciascuna delle tre parti che compongono "I Viceré".

Al termine della prima parte la famiglia ha finalmente un suo rappresentante al parlamento del nuovo regno: "E vedi lo zio come fa onore alla famiglia: quando c'erano i Viceré, i nostri erano Viceré; adesso che abbiamo il parlamento, lo zio è deputato!"

Al termine della seconda parte, pur senza una frase emblematica, si fa più evidente lo sfacelo morale, economico e fisico della famiglia - caratteristica comune non più solo la cocciutaggine ma anche una certa forma incipiente di follia - che in nessun modo è disposta a cedere dalla sua posizione preminente. Questo disfacimento fisico, oltre che morale ed economico, viene osservato anche da Tomasi di Lampedusa quando parla di ragazze imbruttite a furia di matrimoni tra consanguinei.

Al termine della terza e ultima parte, sono emblematici i due discorsi di Consalvo che si candida a deputato: uno con il quale egli si presenta al pubblico e agli elettori, e un altro, diametralmente opposto, con il quale egli si spiega e si giustifica delle proprie azioni, a sé stesso oltre che alla zia. E la conclusione da tutti già citata: "No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa".

L'economia, la politica, l'opportunismo: il contesto è ottocentesco ma il nocciolo della questione presentata è estremamente attuale. Si apprende come, dalla notte dei tempi, le tradizioni e i meccanismi del feudalesimo entrino direttamente nella seconda metà del diciannovesimo secolo praticamente senza colpo ferire, questo grazie al latifondismo ma anche grazie ai meccanismi della Storia in sé, che cambia nella forma ma non nella sostanza. Anzi, direi proprio che si dimostra con estrema chiarezza il feudalesimo che si trasporta materialmente, armi e bagagli, nel ventesimo secolo. La frase che rende celebre 'Il Gattopardo', ossia che occorre che tutto cambi affinché tutto resti com'è, è già qui ben presente laddove Consalvo spiega che il mutamento, da un regime all'altro, da un partito all'altro, è più apparente che reale: "La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano […] ma la differenza è tutta esteriore. […] Il prestigio della nobiltà non è e non può essere spento." E d'altro canto, non si può negare che le teorie del giovane principe, il quale intende candidarsi come deputato, siano perfettamente (e tristemente) aderenti ed applicabili alla realtà di oggigiorno: "Egli sapeva che le dichiarazioni di democrazia non gli potevano nuocere presso gli elettori della sua casta, poiché questi non lo credevano sincero ed erano sicuri di averlo, al momento buono, dalla loro; dall'altro canto sentiva che le accuse di aristocrazia non lo pregiudicavano molto presso la gran maggioranza di un popolo educato da secoli al rispetto ed all'ammirazione dei signori, quasi orgoglioso del loro fasto e della loro potenza."

C'è una critica feroce e pessimistica al risorgimento, così feroce come oggi nessuno credo si permetterebbe di scriverne. Io stessa se qualche volta mi azzardo ad esprimere la mia opinione sull'inno d'Italia che non mi piace affatto, trovo immediatamente qualcuno pronto a replicare in maniera aggressiva. Figuriamoci cosa si farebbe a uno scrittore che si permettesse di dimostrare in maniera alquanto concreta che coloro i quali guadagnavano dal regime precedente, si sono agilmente riciclati in quello successivo all'unità di Italia, e questo senza avere particolari abilità o scaltrezze, anzi spesso contraddicendosi e cacciandosi nei guai, e tirandosene fuori sempre e solo con la forza del "lei non sa chi sono io".

Il paragone con "Il Gattopardo" viene spontaneo in quanto le due storie sono ambientate nella stessa terra, negli stessi giorni, con protagonisti tra loro molto simili; ma qui per certi versi la storia viene raccontata al contrario: mentre il principe di Salina si riconosce stanco, ammette che la nobiltà di cui egli fa parte sta vivendo una decadenza sotto più punti di vista, e in un certo qual modo accetta di mandare avanti i personaggi come Sedara perché tutto possa cambiare affinché nulla cambi; invece qui gli Uzeda non sono affatto stanchi di trafficare e faticare per mantenersi sulla cresta dell'onda, non ammettono nessuna decadenza e non sono per nulla disposti a cedere un briciolo di quello che credono loro prerogativa a un Palmi o a un Giulente.

Una protagonista che non compare ne "Il gattopardo" è l'epidemia di colera che a più ondate sospinge le genti a riparare nelle campagne.

Apparentemente assenti in entrambi i romanzi le organizzazioni mafiose, che pure hanno radici lontane nei secoli e che a quell'epoca dovevano essere già organizzate parecchio bene.

Quanto amo il romanzo ottocentesco. Questo "I Viceré" me lo sono gustato, per certi versi, quanto "Il mulino del Po". I due libri hanno lo stesso senso di grande epopea, lo stesso punto di fusione tra la Storia e le singole piccole storie. Qui, nello specifico, c'è una epopea tutta di eroi in negativo, non ci sono personaggi di cui innamorarsi come Lazzaro Scacerni, cui affezionarsi o per cui provare anche solo empatia: ogni membro della famiglia ha i suoi peculiari difetti che lo rendono odioso, ma sono di quei personaggi divertenti che si lasciano odiare proprio con passione e con l'interesse per sapere di più delle loro vicende. Le cinque stelle le riservo per i 'pezzi grossi', e questo è uno di quelli.
Profile Image for Carlo Mascellani.
Author 15 books291 followers
April 8, 2021
Secondo volume della trilogia Uzeda. Sciorinando un buon numero di personaggi e situazioni, collocando le vicende principali nel contesto dell'Unità d'Italia che in quei decenni si andava compiendo, all'ombra di un '48 ancora be presente nella memoria, De Roberto traccia la lenta decadenza di una nobile famiglia di antico stampo, tra illusioni, tradimenti, fallimenti personali, ipocrisia (tanta), arrivismo e idealismo. Vecchio e nuovo che s'incontrano (e scontrano). Conservatorismo e progressismo che, giunti anch'essi a doversi incontrare, solo di rado trovano fecondi punti in comune e, ben più spesso, fomentano pretese legate unicamente al benessere economico o al successo personale.
Profile Image for Emilio Berra.
305 reviews284 followers
May 30, 2022
- La famiglia Uzeda -
Romanzo storico veramente notevole, molto bello e assai interessante, ben al di sopra delle aspettative. Un capolavoro della letteratura italiana; una lettura parecchio avvincente.

Benché inizialmente lo stile possa apparire un po' datato, già dopo le prime pagine mi è sembrato consono alla narrazione.
Ambientato in Sicilia nel periodo 1855-1882. Sullo sfondo gli avvenimenti nodali e i rilevanti cambiamenti della Storia siciliana e d'Italia.
Protagonisti i componenti della famiglia Uzeda, d'alta aristocrazia, "i Viceré", nelle loro vicende private e pubbliche.

De Roberto si rivela qui sicuramente un grande scrittore capace di cogliere i riflessi sociali e umani dei mutamenti storici tramite personaggi assai ben delineati con profondità psicologica, tali da risultare vivissimi e credibili nelle loro ambizioni, passioni, contraddizioni, secondo la miglior tradizione del Realismo europeo.
Un quadro impietoso della nobiltà siciliana dell'epoca e del clero conventuale aristocratico fra monacazioni forzate e privilegi di casta.

"Il lusso esteriore degli Uztega, che prima del sessanta pareva straordinario, adesso cominciava ad essere agguagliato se non superato dalla gente rifatta".
"Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dai Re; ora viene dal popolo ... La differenza è più di nome che di fatto".
"Il Gattopardo", nella propensione di Tancredi volta al 'cambiare perché nulla cambi' , sembra aver trovato qui un punto d'ispirazione.
Profile Image for Emmapeel.
131 reviews
August 22, 2017
Più barocco, più discontinuo, più isterico, più ampio, più selvaggio, più sanguigno del Gattopardo. Più dalle parti di Mastro Don Gesualdo che di Don Fabrizio. Mi è piaciuto di più. Oddìo, l'ho detto, lapidatemi.
Profile Image for Teresa.
178 reviews
November 27, 2017
Divini cocciuti.

Ho iniziato queste lettura senza grandi aspettative. Certo, ormai da anni De Roberto non viene più snobbato nel nostro panorama letterario, ma neanche poi tanto esaltato mi pare.
Ho trovato un romanzo bellissimo.
La numerosa famiglia degli Uzeda di Francalanza, di antiche origini spagnole, fornisce tanti personaggi diversi eppure simili, tante invidie e gelosie, tanto orgoglio e folli cambiamenti repentini, tanti racconti nel racconto.
Il periodo storico vede il decadere della vecchia nobiltà feudale per arrivare all’Unità d’Italia temuta e poi auspicata pur di poterne trarre vantaggio. Il debito del Gattopardo è evidente in quel concetto di servirsi delle nuove leggi invece di disprezzarle.
E la narrazione è fluida e coinvolgente. Di fatto non so come farò questa sera, sapendo che non ci sono quei pazzi dei Viceré ad aspettarmi sul comodino.
Profile Image for Dagio_maya .
1,107 reviews350 followers
September 13, 2021
"La storia è una monotona ripetizione"


Dalla Sicilia feudale a quella parlamentare il cambiamento è solo nella forma.
La storia dell'estesa famiglia Uzeda-nobile casata che discende dai Vicerè spagnoli- si dipana in tre generazioni.

Una splendida lettura dove tanti personaggi e caratteri fanno procedere il racconto passandosi il testimone e prima poi tutti confermando tanto l'orgoglio per i nobili natali quanto cupidigia e rapacità nell'accaparrarsi "la roba".
L'avvio è dato dalla morte della principessa Teresa Uzeda: il suo testamento darà la piega agli avvenimenti successivi.

Narrato con ironia e sarcasmo leggiamo della farsa risorgimentale che vede mascherare il vecchio potere nelle nuove forme della Repubblica; a ciò si mescolano le vicende di palazzo: matrimoni, nascite, litigi, morti...

Magistrale!


" «Le avranno forse detto che un’elezione adesso costa quattrini; ma si rammenti quel che dice il Mugnòs del Viceré Lopez Ximenes, che dovette offrire trentamila scudi al re Ferdinando per restare al proprio posto… e ci rimise i denari! In verità, aveva ragione Salomone quando diceva che non c’è niente di nuovo sotto il sole! Tutti si lagnano della corruzione presente e negano fiducia al sistema elettorale perché i voti si comprano. Ma sa Vostra Eccellenza che cosa narra Svetonio, celebre scrittore dell’antichità? Narra che Augusto, nei giorni dei comizi, distribuiva mille sesterzi a testa alle tribú di cui faceva parte, perché non prendessero nulla dai candidati!…»
Profile Image for Sergio.
1,345 reviews134 followers
June 8, 2025
Un romanzo perfetto! La saga dei Viceré Uzeda, siciliani di Francalanza, nei decenni a cavallo tra la caduta dei Borboni di Franceschiello ad opera dei “Mille” di Garibaldi e i primi sconvolgimenti politici dopo l'Unità d'Italia sotto il regno dei Savoia, offre a Federico De Roberto [1861-1927] l'opportunità di raccontare le vicende private e pubbliche di questa grande famiglia siciliana, capace di un abile camaleontismo che le permette di non disperdere le ricchezze e i diritti acquisiti nel passato, mantenendosi in perfetto, machiavellico equilibrio tra il vecchio regno borbonico in caduta libera e il nuovo regime savoiardo avido e sfacciato. Mi sono appassionato alla lettura di questo romanzo che getta, al pari del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, uno sguardo cinico e impietoso sulla mentalità italiana, sul nostro opportunismo genetico dimostrandosi un’opera letteraria indimenticabile.
Profile Image for Moloch.
507 reviews782 followers
March 7, 2018
Fino a un certo momento, sapevo solo che I Viceré era un romanzo italiano dell'Ottocento, e poco più. Maggiore interesse per l'argomento ho iniziato a nutrirlo quando uscì il film di Roberto Faenza, nel 2007. Non andai a vederlo (anche perché fu stroncato un po' da tutti), ma fra gli spezzoni che passavano in televisione ricordo scene che mi parvero visivamente molto eleganti: in particolare, la locandina e i costumi maschili, con gli uomini in nero, dalle squisite redingote e dagli alti cilindri (si trattava degli attori Alessandro Preziosi e Lando Buzzanca). Quindi l'opera ha iniziato a essere inserita fra quelle che avrei anche potuto leggere, cosa che si è avverata in questi giorni.

A conti fatti, credo di aver fatto bene a lasciar stare il film: dal cast di attori che si trova alla pagina su Wikipedia parrebbe che, su 650 pagine di romanzo, gli sceneggiatori si siano concentrati solo sull'ultima parte. Criminali! E, oltre tutto, i volti degli attori mi avrebbero inevitabilmente "influenzata" nell'immaginarmi i personaggi.

Invece, benissimo ho fatto a leggere il libro, bellissimo sin dal primo capitolo, che presenta subito la scena dello sfarzoso funerale dell'anziana principessa Teresa Uzeda, perfetto nel calarci immediatamente nell'atmosfera barocca, esagerata, falsa, untuosa, morbosa, carica di ostentazione e di sotterranee rivalità di questa nobilissima e potente famiglia siciliana (di Catania, per la precisione), discendente di vari viceré di epoca spagnola, da cui il soprannome dato ai suoi membri.

La trama, che si dipana attraverso le vicende di trent'anni, dal 1855 al 1882, passando attraverso gli ultimi anni del regime borbonico, la spedizione dei Mille e l'Unità d'Italia e la presa di Roma, è quasi impossibile da riassumere. Al centro della scena stanno i sette figli della defunta, divisi da un testamento che ha messo l'uno contro l'altro soprattutto Giacomo, il primogenito, e Raimondo, il preferito della madre. E da questa prima causa scatenante non si contano le allenze, le trame, i mormorii, le rivalità che scoppiano tra questo e quell'altro membro della famiglia allargata, tra mariti, mogli, cognati, cugini, figli, suoceri, amanti, in un clima da guerra "tutti contro tutti", di rissosità generale, di doppiezza, di violenza fisica e psicologica, di sopraffazione del forte sul debole.

In perfetto stile "parenti serpenti", tutti i rapporti familiari nascondono doppi fini volti a favorire il proprio tornaconto personale, preludono a clamorosi voltafaccia in favore di quello o quell'altro a seconda della convenienza. Si respira un'aria malsana, malata, soffocante, sgradevole, pesante, e la scrittura asseconda questa impressione, adottando un generale tono sprezzante o ironico, non rifuggendo da particolari bassi, grotteschi, corporali, quando non palesemente disgustosi (l'aborto di Chiara) e macabri (la cripta), come se in essi meglio che altrove si rispecchiassero i veri caratteri dei personaggi.

I personaggi: qui sta tutta la forza di questo grande romanzo e il colpo da maestro di De Roberto. Mi è venuto da pensare, per contrasto, mentre leggevo (e magari qui qualsiasi critico letterario si metterà le mani nei capelli al paragone), a un altro grande romanzo che amo dell'Ottocento italiano, I promessi sposi, e all'affetto, o quanto meno l'umana compassione, con cui Manzoni guarda un po' a tutte le sue creature (persino Don Rodrigo ha la sua occasione di redenzione quando, morente, viene perdonato da Renzo: forse solo individui irrimediabilmente malvagi come il Griso o il padre di Gertrude sfuggono a questa regola). Qui, invece, l'autore "odia", o comunque disprezza, tutti i suoi personaggi, non ce n'è neanche uno che si salvi, ai suoi occhi.

Della vecchia principessa morta, Teresa, ci viene offerto un ritratto terrificante verso l'inizio: dispotica, spietata, inflessibile, implacabile, oppressiva, incapace di affetto verso tutti i suoi figli, trattati con una durezza incredibile, con l'unica eccezione del solo Raimondo, portato invece in palmo di mano.

E i sette figli? La maggiore, Angiolina, in religione suor Crocifissa, sepolta viva fin da bambina in monastero e praticamente dimenticata dal resto dei parenti, la rivediamo per pochissime righe verso la fine del romanzo, ormai adulta e mezzo rimbecillita, a ripetere come un automa le massime di supina obbedienza che le sono state inculcate fin dalla nascita. Il principe Giacomo, il primogenito maschio, il capo della casata, forse il vero protagonista dell'opera, avido, avaro, autoritario, superstizioso, non esita a ingannare in tutti i modi fratelli e zii per accaparrarsi quanto più possibile dei quattrini. Lodovico, anch'egli costretto dalla madre a entrare in religione, è ipocrita, falso, si è guadagnato un'aura di santità che stride invece violentemente con l'astio, il fiele, il rancore che prova verso tutti i parenti per l'ingiustizia subita, è ambizioso, calcolatore e opportunista, abile nel conquistarsi il favore di coloro che possono favorirlo nella sua ascesa, ma allo stesso tempo a non scontentare nessuno. Chiara è "monomaniaca" nel suo ossessivo desiderio di avere un figlio e instabile. Raimondo, l'unico favorito in tutto dalla madre, è proprio per questo egoista, prepotente, crudele, vanesio, donnaiolo, infantile, fatuo, viziato. Ferdinando è all'inizio semplicemente svagato e sulle nuvole, sembrerebbe, in confronto agli altri fratelli, quasi un buon diavolo, un po' bizzarro, ma almeno disinteressato (e infatti proprio per questo gli altri lo trattano con aperto disprezzo), e invece col tempo diventa un misantropo mezzo matto e ipocondriaco. Lucrezia è capricciosa e cocciuta, sciocca, volubile, frivola e ingrata.

E gli altri parenti? I cognati della principessa Teresa, cioè gli zii di Giacomo e degli altri fratelli Uzeda, sono fra i personaggi umanamente più disprezzabili, quando non sono proprio macchiette, della famiglia: Gaspare è pavido e irresoluto, ma, a dispetto della sua palese incompetenza e incapacità, riesce a farsi eleggere deputato, e dalla sua posizione pensa in pratica solo ad arricchirsi a forza di maneggi, Blasco, anch'egli divenuto monaco per forza, è rabbioso, violento, aggressivo, rozzo, lussurioso, volgare, irascibile, sempre intento a criticare tutto e tutti e ad aizzare un membro della famiglia contro l'altro, Eugenio è pomposo, morto di fame, patetico e ridicolo, Ferdinanda, "la zitellona", è severa, aspra, gretta, altezzosa, bigotta, divenuta ricca a forza di prestare soldi a usura. Consalvo, figlio di Giacomo, è la vera "anima nera" della famiglia, arrogante, scapestrato e selvaggio in gioventù, quindi, dopo la sua "discesa in campo", furbo, opportunista, assetato di potere, falso e cinico (sarà lui il protagonista del seguito de I Viceré, L'imperio, lasciato però incompiuto da De Roberto). Sua sorella Teresa cresce, miracolo, buona, dolce e gentile, ma viene progressivamente anestetizzata, piegata e prosciugata di tutte le sue aspirazioni e dei suoi sogni dall'ambiente in cui vive, e finisce per diventare una specie di esaltata.

E i parenti acquisiti? Le donne sono in genere figure deboli e calpestate, come Matilde, prima moglie di Raimondo, vittima sacrificale delle crudeltà di tutti gli altri e incapace di reagire, o Margherita, prima moglie di Giacomo, cagnolina sottomessa al marito e sempre silenziosa, senza volontà propria, alla fine persino patologica nella sua estrema paura di qualsiasi contatto fisico, mentre Graziella, che sarà poi la seconda moglie di Giacomo, è pettegola, impicciona e intrigante, e insensibile ai desideri degli altri tanto quanto il principe. Benedetto, marito di Lucrezia, forse, assieme al padre di Matilde, una delle poche figure tutto sommato "positive" del romanzo, è però debole, ingenuo, e senza accorgersene lascia che tutti lo trattino da zerbino per poi scaricarlo senza pietà.

Visto? Un vero e proprio campionario di "mostri", o "pazzi" scatenati, come si rinfacciano a più riprese l'un l'altro i membri della famigliola (e applausi per me che ho fatto sfoggio di un sacco di aggettivi diversi!). E l'unica ossessione per (quasi) tutti loro è questa: i soldi, i soldi, i soldi. Altro tema che spira sotterraneo è il forte anticlericalismo dell'autore, evidente nella viscida figura di Lodovico, più che dello zio Blasco (a tratti persino simpatico nel suo essere così improponibile, mentre Lodovico veramente viene descritto con una penna intinta nel veleno), e nei capitoli dedicati alla vita in monastero, covo della reazione, del pregiudizio di casta, dei partiti sempre in lotta fra loro, dei vizi più ostentati in barba alla Regola di s. Benedetto.

Da ultimo, De Roberto mostra una straordinaria lucidità nell'analizzare le tante contraddizioni della epopea risorgimentale e i mille problemi dello Stato unitario. La visione pessimistica dell'autore vuole che le linee di fondo della storia, pur negli sconvolgimenti di superficie, si ripetano sempre uguali a se stesse: il regno borbonico è caduto, l'Italia è una, il popolo è libero di votare, ma chi, alla fine, risulta il vincitore, il potente? Sempre loro, "i viceré", gli Uzeda, con Consalvo appena eletto al Parlamento che, lucidamente, sa adattare alle mutate condizioni politiche e sociali i propri mezzi, sa fingersi quel che non è mantenendosi sempre, invece, perfettamente coerente con la sua natura nel suo intimo più profondo.

Che dire? CAPOLAVORO! L'ho preso in biblioteca e man mano che me ne innamoravo sempre più ho deciso di acquistarlo, mi sarebbe piaciuta quest'edizione (dalla collana "La Biblioteca di Repubblica", così elegante, col cofanetto!), ma penso che invece la eviterò, è piena di errori di stampa!

5/5

http://moloch981.wordpress.com/2010/0...
Profile Image for Saturn.
625 reviews79 followers
February 14, 2022
Sessant'anni prima de Il Gattopardo, un altro romanzo siciliano ha avuto la capacità di analizzare l'Italia nascente con lucidità e precisione: secondo di una trilogia, I Viceré utilizza la decadenza di una stravagante famiglia nobiliare per descrivere un'Italia che cambia nella forma ma non nella sostanza; un'Italia in cui i nuovi politici di un sud che doveva rinascere sono la copia carbone degli affaroni e trasformisti di oggi. Con sprazzi storici che non sono mai invadenti, la narrazione si concentra sulla famiglia Uzeda in cui, morta la capofamiglia, tutti gli altri si ritroveranno a manovrare per ottenere l'eredità tanto agognata. De Roberto analizza i difetti che la razza degli Uzeda si porta dietro, come farebbe Zola. La vera e, a quanto pare, inevitabile eredità che si trascina di generazione in generazione è una megalomania che porta ogni membro della numerosa stirpe a fossilizzarsi su un obbiettivo e a inseguirlo a prescindere dalle conseguenze. La scrittura è fresca, leggera e anche divertente, tanto da non far pesare per nulla gli anni che si porta. Per me è uno dei migliori romanzi italiani dell'800, e non solo.
Profile Image for Post Scriptum.
422 reviews120 followers
April 1, 2015
Si apre il sipario sulla morte dell’abominevole vecchia principessa Teresa che - nominando eredi universali Giacomo, primogenito, e il terzogenito Raimondo suo prediletto - dà il via alla giostra dell’odio e dei contrasti. Stirpe dal sangue corrotto, capaci di tutto e del suo contrario. Personaggi brutti e brutali. E quando non lo sono si rivelano privi di qualsivoglia personalità. C’è chi calpesta e chi accetta per convenienza.
Cinici e crudeli gli Uzeda. Massima espressione della prevaricazione che il forte compie sul debole. All’interno del nucleo familiare, in ambito politico o clericale. Dominio e denaro. Essenza dell’avidità. Fallimento degli ideali risorgimentali. Trionfo della cupidigia già al primo vagito dell’Italia unita. Politica e società corrotte. Intrighi di potere messi in atto da una macchina che passa e schiaccia tutto e tutti. Tresche e passioni. Amori e convenzioni. Meschinità e ambizioni.

C’è una frase pronunciata da don Gaspare, terrificante nella sua lucida e sarcastica schiettezza. Racchiude l’anima degli Uzeda “Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri…”.
Sono gli Uzeda. Ma gli Uzeda siamo noi.
Una famiglia in disfacimento. Il disfacimento di una nazione.
L’Italia di ieri specchio di quella odierna. La politica di ieri come quella di oggi.

Magnifico il discorso elettorale di Consalvo: l’orgia del nulla.
Sempre sue le parole che c’illuminano amaramente: ”La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certo, […] ma la differenza è tutta esteriore”.

Benedetto Croce, perché diavolo hai voluto stroncare questo capolavoro? Posso dirti che hai toppato alla grande? Lo dico!
Profile Image for Riccardo Mazzocchio.
Author 3 books88 followers
March 31, 2025
Grandioso... pubblicato nel 1894 eppure moderno, intrigante, equilibrato nella descrizione capillare di tutti i personaggi presentati e della situazione storica in cui si muovono in Sicilia (tra la fine del periodo borbonico, Unità d'Italia, breccia di Porta Pia e il passaggio del nuovo Parlamento da Torino a Roma passando per Firenze). Sono certo che Tomasi di Lampedusa lo abbia letto perchè il suo Gattopardo condensa le stesse intuizioni e pensieri. Ma De Roberto dimostra una sensibilità speciale - ante litteram - nel trattare i personaggi femminili, nel delineare il loro carattere, le loro aspirazioni quasi sempre represse, le loro umiliazioni, i loro moti di orgoglio, la grande tenacia e forza d'animo. Benedetto Croce prese una cantonata, così come Elio Vittorini del resto. "Egli adesso non studiava più, giudicando sufficiente la sua preparazione, accorgendosi del resto che nella scienza principale, quella di gettare polvere agli occhi, era già maestro. Sapeva che la grande popolarità della sua casata dipendeva dal fasto esteriore, dalle livree fiammanti, dalle carrozze rilucenti, dal guardaportone maestoso; e quantunque dicessero che i tempi erano mutati, tutte queste cose, i segni visibili della ricchezza e della potenza, non avevano potuto, non potevano perdere mai, per mutar dei tempi, il loro valore."
Profile Image for Mariaelena Di Gennaro .
474 reviews140 followers
December 25, 2021
"Noi siamo troppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo. Guardiamo la zia Chiara, prima capace di morire piuttosto che di sposare il marchese, poi un'anima in due corpi con lui, poi in guerra ad oltranza. Guardiamo la zia Lucrezia che, viceversa, fece pazzi eper sposare Giulente, poi lo disprezzò come un servo e adesso è tutta una cosa con lui, fino al punto di far guerra a me e da spingerlo al ridicolo del fiasco elettorale! Guardiamo, in un altro senso, la stessa Teresa. Per obbedienza filiale, per farsi dar della santa, sposò chi non amava, affrettò la pazzia ed il suicidio del povero Giovannino; e adesso va ad inginocchiarsi tutti i giorni nella cappella della Beata Ximena, dove arde la lampada accesa per la salute del povero cugino! E la Beata Ximena che cosa fu, se non una divina cocciuta? Io stesso, il giorno che mi proposi di mutar vita, non vissi se non per prepararmi alla nuova. Ma la storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male... Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa."

4,5 stelline per una delle letture migliori dell'anno.

Come si scrive una saga familiare? Chiedere a Federico de Roberto!
Io ho amato questo romanzo, un perfetto intreccio di vicende private con la presentazione della pazza, formidabile, indimenticata famiglia Uzeda e storia d'Italia, personaggi iconici (e chi se li dimentica Don Blasco e la zitellona? :D), un'acutissima critica sociale e una lezione amara ma sempre vera: che tutto cambia per non cambiare mai.
A tutti gli amanti delle saghe familiari (e non): leggetelo!!!

"Ammessa pure la possibilità d'abolire con un tratto di penna tutte le disuguaglianze sociali, esse non si sarebbero di nuove formate il domani, essendo gli uomini naturalmente diversi, e il furbo dovendo sempre, in ogni tempo, sotto qualunque regime, mettere in mezzo il semplice, e l'audace prevenire il timido, e il forte soggiogare il debole!"
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January 11, 2021
C A P O L A V O R O
A S S O L U T O


Benedetto Croce ha scritto: Il libro di De Roberto è prova di laboriosità, di cultura e anche di abilità nel maneggio della penna, ma è un'opera pesante, che non illumina l'intelletto come non fa mai battere il cuore.

Ahahahahah!!!
Bullshit.

Questo libro ha avuto poca fortuna presso i contemporanei perché la corrente verista stava ormai tramontando e i nazionalisti iniziavano a prendere piede.
Mi spiace per lei, signor Benedetto Croce, e per i suoi seguaci, ma non tutti hanno il dono della lungimiranza. Non è che questo libro è indietro rispetto a Verga: è che è avanti di 130 anni. Sono sicura che non è piaciuto ai contemporanei perché non erano pronti a sentir parlare così dell'aristocrazia, del Risorgimento, dei politici, perfino della mafia. Oggi ci possiamo permettere uno sguardo lucido come quello di De Roberto sulla grettezza dei potenti e possiamo apprezzare un libro che sì, non mette di buonumore (in questo senso è pesante, non in altri) e non ha certo uno sguardo ottimista sul futuro dell'Italia unita, ma è gremito di personaggi meravigliosamente orribili e scritto in modo magistrale.
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December 17, 2022
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Ebbene sì, proprio come mi era già successo con Memorie d'Adriano mi ritrovo di nuovo a dispiacermi del fatto che goodreads permetta di dare solo cinque stelle a un libro. Dopo anni e anni in cui continuavo a ripetermi che dovevo assolutamente leggere I Viceré, finalmente è giunto il suo momento e la prima domanda che mi sono fatta una volta girata l'ultima pagina è stata: "perché ci ho messo così tanto a decidermi a leggerlo?" La domanda rimarrà probabilmente senza risposta ma intanto mi ritrovo con un altro romanzo da aggiungere allo scaffale dei super preferiti. Tuttavia data la completa assenza di questo romanzo dai radar scolastici, nonostante la storia si svolga in un periodo storico cruciale per il nostro paese (ma la cosa dovrebbe sorprendermi poco visto che per studiare semi-decentemente il Risorgimento ho dovuto aspettare di arrivare all'università!) non posso addossarmi tutte le colpe per questo ingiustificabile snobismo, infatti l'opera di De Roberto sembra essere stata relegata in un angolino, complice il giudizio negativo di Benedetto Croce, il giudice supremo degli affari della letteratura italiana. Eppure non ha assolutamente nulla da invidiare ai più titolati scrittori siciliani come Verga o Pirandello, come ebbe poi a sottolineare un altro conterraneo dello scrittore, Leonardo Sciascia, che si spinse oltre e sostenne che dopo i Promessi Sposi di Manzoni nell'empireo dei romanzi italiani I Viceré meritasse un posto di prim'ordine e maggiore considerazione.
Non posso fare a meno di accordarmi al parere di Sciascia, il solo aver pensato un romanzo di tale portata è ammirevole ma essere riusciti a portarlo su carta ha dello straordinario, la prosa fluida, che in un periodo che mi vede alle prese con un esame di letteratura latina e quindi con la scrittura ricca, chiara e non verbosa e tutta giocata su un bilanciarsi di giustapposizioni e punti di vista diversi di Sallustio e della sua "Congiura di Catilina" mi ha fatto apprezzare doppiamente la capacità di De Roberto di costruire grandi architetture sintattiche che però hanno la capacità di librarsi leggere e avviluppare il lettore e immergerlo nella storia. Non una parola di più né una di meno di quelle necessarie, fiorita di alcuni "sicilianismi" che da siciliana e apprendista linguista non ho potuto far altro che notare e gustare.
Le vicende della famiglia Uzeda, dei suoi fasti e della sua grettezza, non sono altro che il racconto di un’Italia che non sembra essere poi così lontana da quella attuale: le sue corse folli e cieche verso il progresso e il cambiamento che sembrano costantemente lasciare indietro chi dovrebbe esserne il fautore e allo stesso tempo colui che dovrebbe godere delle “novarum rerum” che questo cambiamento dovrebbe portare con se. Eppure come nota lo stesso Consalvo Uzeda, il personaggio più disincantato e per questo onesto fino alla disonestà e alla brutalità, ai Borboni possono essere succeduti i Savoia, all’ancien régime una monarchia costituzionale, ma le cose cambiano per non cambiare e coloro che erano al potere e godevano dei privilegi saranno sempre quelli al comando. Possono cambiare i nomi che si danno alle cose ma non coloro che ne muovono i fili. Una filosofia “gattopardiana”, quel cambiare tutto per non cambiare niente ormai passato alla storia e dovrebbe far riflettere come un’uguale filosofia si ritrovi in due romanzi di due scrittori siciliani, come se la Sicilia avesse potuto funzionare da cartina tornasole per la neonata nazione (ma forse anche per quella di 150 anni dopo) ma si è preferito ignorare, per nascondere le storture sotto un ricco tappeto, un po’ come si fa con la polvere quando si vuole far trovare agli ospiti (ospiti sabaudi in questo caso) tutto in perfetto ordine, però la polvere lì rimane e lì continua ad accumularsi…
I Viceré non è certo romanzo in cui spicchino figure in cui riconoscersi o a cui voler rassomigliare, tutto il contrario, non c’è nessuno che meriti di essere salvato e chi lo meriterebbe è il primo ad essere brutalmente schiacciato dall’accalcarsi sgomitante di chi pensa solo “alla roba”, ad una discendenza dal sangue marcio da continuare a portare avanti, a vecchi privilegi da difendere anche a discapito di ogni affetto e legame di sangue. Dalla vecchia principessa Teresa all’ultimo virgulto dei principi di Francalanza assistiamo ad una girandola di personaggi che begano e lottano per ottenere quello che vogliono, a qualunque costo, per poi, una volta ottenutolo, gettarlo via e continuare la lotta per riportare le cose allo stato precedente. I personaggi sono molti, ma alcuni vengono seguiti marginalmente e la lente di De Roberto si concentra, per blocchi, su delle figure tipo: il viziato Conte Raimondo, l’odiato e superstizioso Principe Giacomo, il furioso (ma simpaticissimo in una famiglia dove di simpatico non c’è praticamente nessuno) Don Blasco, la “Santa” Principessina Teresa costretta a dividersi tra l’obbedienza ad ogni costo insegnatele sin da bambina e la voglia di essere artefice del proprio destino, e infine e soprattutto Consalvo Uzeda, il più spietato di tutti, un diavolo a cui è impossibile affezionarsi ma anche l’unico capace di comprendere che se i tempi cambiano, anche se solo apparentemente, l’unica cosa possibile da fare è cambiare con loro senza star troppo a sottilizzare sulla morale e l’etica ma gettandosi a capofitto per costruirsi la maschera più adeguata per continuare ad andare avanti, certi che il sangue e il privilegio costituiscano sempre una via preferenziale e sicura per raggiungere il successo.
A fargli da contrappunto la figura malinconica e romantica del cugino Giovannino che come Consalvo non si adatta al modo di vivere e pensare della propria famiglia ma, a differenza del principino, non riesce a dissimulare il proprio malcontento, complice anche il fatto di essere semplicemente un secondogenito senza alcuna prospettiva, e a cui non resterà che pagare un prezzo altissimo per la propria libertà.
Lasciate da parte le follie e le monomanie dei parenti, Consalvo riuscirà ad imporsi e alla vecchia zia filoborbonica consegnerà a voce quello che può essere considerato il manifesto e punto focale di tutto il romanzo:
“Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa.”
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Read
July 14, 2024
Il mio obiettivo è di leggere, nel corso della mia vita, tutti quei classici considerati capolavori della letteratura italiana e mondiale, e dunque "I Viceré" di De Roberto non poteva assolutamente mancare nella mia lista.
Non amo moltissimo leggere in italiano, perché mi affascinano di più le lingue straniere, in particolare l'inglese, ma quando trovo un libro che "vale veramente la pena" sono ben contenta di ritornare alla mia lingua madre.
E' un libro piuttosto lungo, ma a me piacciono i romanzoni storici, e qui le pagine scorrono che è un piacere.
E' la saga di una famiglia nobile siciliana, gli Uzeda di Francalanza, al tempo dei Borboni e successivamente dell'Unità d'Italia sotto i Savoia, e per tematiche ed ambientazione ricorda molto "Il Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa, anche se io ho preferito "I Viceré" per la feroce ironia presente in tutta la narrazione.
Gli Uzeda, infatti, spadroneggiano sotto i borbonici come fautori della monarchia assoluta e dei privilegi di casta, ma, dopo l'arrivo di Garibaldi, non esitano a cambiare bandiera e a trovare posto nel nascente parlamento.
Tutti i personaggi, chi più chi meno, sono caratterizzati dal voltafaccia: prima sostengono un'idea e poi l'esatto opposto. Come Chiara, che, obbligata dalla matriarca Donna Teresa a sposare il marchese Federico, dapprincipio non ne vuole sapere, ma poi impazzisce d'amore per lui ed è ossessionata dall'idea di dargli un figlio.
O Lucrezia, che s'impunta a sposare l'avvocato Benedetto Giulente contro il volere di tutta la famiglia, salvo poi cambiare atteggiamento dopo le nozze.
La storia segue le vicissitudini di tre generazioni della famiglia, partendo dalla morte improvvisa di Donna Teresa, il cui testamento creerà non pochi dissapori fra gli eredi, fino all'età adulta del principino Consalvo, autentica incarnazione di questo "opportunismo" espresso dai membri della famiglia.
Mi dispiace molto che, all'epoca in cui DeRoberto diede il libro alle stampe, non ottenne il successo sperato dall'autore; ma oggi, per fortuna, questo romanzo è stato riconosciuto come un indiscusso capolavoro della nostra letteratura.
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March 1, 2022
Tutto cambia, ma non cambia mai niente

I Vicerè è un grandissimo romanzo, monumentale in tanti sensi, e proprio non mi capacito di come sia possibile che sia così poco noto, che a scuola si ignori, che non venga citato negli elenchi dei migliori romanzi italiani dell'ottocento, che non si accosti a romanzi analoghi di altre nazioni.

E' un romanzo che mi è piaciuto moltissimo... ma che al tempo stesso mi ha lasciato addosso un profondissimo scoramento.
Il pensiero che più di tutti mi ronza in testa al termine della lettura è: "quanto poco è cambiato, in Italia, negli ultimi 160 anni? Malcostume politico, corruzione, ipocrisia... c'erano allora e ci sono, praticamente identici, ancora oggi, con meccanismi spaventosamente simili.
Leggere questo romanzo ci mette di fronte a questa verità in modo dolorosamente diretto.

L'ultimo, magistrale capitolo, riassunto e chiave di lettura dell'intero romanzo, ci dice infatti che:
«La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certo, tra la Sicilia di prima del Sessanta, ancora quasi feudale, e questa d'oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tutta esteriore».
Nel romanzo questa frase si applica ai circa 40 anni che passano tra l'inizio e la fine della storia narrata, in cui seguiamo le vicende della famiglia Uzeda mentre si realizza l'unità d'Italia e la Sicilia attraversa numerosi cambiamenti... ma esteriori. E se quest'idea già fa riflettere e mette tristezza se applicata solo a quei 40 anni... quanto è più impressionante se ne aggiungiamo altri 100 e passa?

Ma lo scoramento non viene solo da questo. Viene anche dal fatto che, dal punto di vista morale e caratteriale, della famiglia Uzeda non si salva nessuno. Ogni pagina è una dimostrazione delle brutture di cui i singoli personaggi sono capaci.
<«Al morale, essi sono spesso cocciuti, stravaganti, bislacchi, talvolta...» voleva aggiungere "pazzi" ma passò oltre. «Non stanno in pace tra loro, si dilaniano continuamente. [...] Noi siamo troppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo».
Né si salvano i rapporti che intercorrono tra loro: disfunzionali al massimo, pregni di ipocrisia, egoismo e continui voltafaccia (dettati da opportunismo o dal puro desiderio di essere bastian contrario). Insomma, il modello indiscusso dei "parenti serpenti".

Eppure...
Eppure De Roberto riesce nell'impresa di farci immergere nella storia di questa famiglia, di farci entrare nella loro vita, nella loro casa, di renderceli intimi quasi fossero i nostri familiari; arriva, nel corso delle loro assurde liti, a farci parteggiare per l'uno o per l'altro, a schierarci, a empatizzare con loro.
Stravaganti, duri, prepotenti, maniaci: erano forse responsabili delle loro brutte qualità?
Insopportabili, sì; ma che ci possiamo fare? Son fatti così...
Poi chiudi il libro e ti rendi conto di come no, nessuno di loro abbia ragione; no, quelle liti non dovrebbero neppure esistere, non hanno senso, non è così che dovrebbe comportarsi una famiglia... Ma mentre leggi ci sei dentro, in tutto e per tutto.

In parte il merito sta anche nella scrittura di De Roberto: così limpida, scorrevole, fluida; lontana dai preziosismi di altre prose italiane del tempo, poco levigata, a tratti quasi grezza... ma incredibile nella sua naturalezza. E' una scrittura che è bella pur non essendo (e forse proprio per questo) per nulla artefatta; e c'è della maestria in questo. Possono passare anche più di dieci pagine senza accorgersi che chi scrive lo sta facendo nel 1890, e questo è un altro degli elementi che rende questo romanzo incredibilmente attuale e più che meritevole di essere letto, riletto, riscoperto, rivalutato.
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July 25, 2014
“No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa” (Consalvo Uzeda)

Il romanzo è uno spaccato, molto articolato e solido, di storia siciliana del secondo ottocento filtrata attraverso le vicende di una famiglia dell’alta nobiltà borbonica.
Dal punto di vista letterario si rivela un romanzo di puro impianto naturalistico che non sfigura nei confronti delle opere delle più celebrate letterature europee, per l’ampiezza della concezione corale e per il respiro storico in grado di evocare con efficacia, anche oggi dopo 150 anni, lo spessore sociale e civile di una società alle prese con i rivolgimenti politici e militari del Risorgimento italiano.

Su questo sfondo storico, l’autore pone in primo piano la stirpe degli Uzeda che sembra condannata dalla stessa sua natura di casta avida, arrogante, corrotta (nel corpo da legami consanguinei e nell’anima da una secolare abitudine all’abuso del potere), lacerata da infiniti e interminabili conflitti interni immancabilmente mirati all’appropriazione e all’accumulo di ricchezza e potere.

Ma il percorso narrativo iniziato con la morte della vecchia onnipotente duchessa, la cui fine sembrava prefigurare la decadenza definitiva della famiglia, si conclude col trionfale comizio di Consalvo, ultimo discendente del casato, che, malgrado la sua storia e le sue idee, verrà eletto deputato (di sinistra…) dalla folla acclamante dimostrando di avere brillantemente appreso la sottile arte del trasformismo e, tanto per parafrasare l’opera che mostra i legami più evidenti con questo romanzo, del “gattopardismo”.

E a sottolinearne l’abilità nell’assimilare le lezioni della storia (e della vita) De Roberto sembra giustapporre al trascinante discorso pubblico il monologo privato del “vero” Consalvo all’attonita zia dove, con perfetta lucidità e calcolato cinismo, egli sembra enucleare dall’analisi delle singole vicende la filosofia del potere degli Uzeda, o del potere tout court.
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July 4, 2017
Il male siamo noi


Ho sfogliato un po’ l’internet per trovare qualche punto di vista sul romanzo di Federico de Roberto. L’opinione generale è che I viceré, nella discendenza dei Promessi sposi e del Gattopardo, può essere considerato un vero specchio della nazione italiana.

Infatti, l’opera combina molto abilmente i due livelli: quello storico e quello famigliare e devo riconoscere che ho imparato qualcosa su Garibaldi, di cui sapevo soltanto che era stato un grande rivoluzionario (spero che i miei amici italiani non mi rinegheranno!).

In ogni caso, anche se molto interessante, il livello storico è stato di un’importanza secondaria per me, poiché io ho letto il romanzo pensando spesso a Huis clos e alla famosa affermazione di Sartre, “L’enfer c’est les autres.” E non solo a Sartre, o a Dante (ovviamente), ma anche a Dostoevskij e alla sua preoccupazione per il male. Tuttavia, nelle opere dell’ultimo la malvagità ha una strana grandezza, suggerisce una possibilità di redenzione, oppure ha l’aura degli angeli caduti. De Roberto, benché condivida lo stesso fascino, nega ai suoi eroi ogni prestanza, presentandoci un mondo meschino, sempre alla caccia del derisorio, un mondo invidioso, corrotto e ammalato.

Tardo naturalista, forse tra gli ultimi importanti di questa corrente, l’autore ha organizzato la sua narrazione intorno al principio dell’ereditarietà, seguendo con crudeltà quasi scientifica la degenerazione di una famiglia illustra, i membri di cui sono variazioni del vizio senza nessun tratto riscattabile.

… fisicamente, gli Uzeda si dividevano in due grandi categorie di belli e di brutti, …al morale essi erano o sfrenatamente amanti dei piaceri e dissipatori come il principe Giacomo XIII e il contino Raimondo; o interessati, avari, spilorci, capaci di vender l'anima per un baiocco, come il principe Giacomo XIV e donna Ferdinanda.


Inoltre, i personaggi sono raggruppati in coppie complementare, secondo il loro tratto dominante: Giacomo e Fernanda, per esempio, sono variazioni dell’avaro, uno nella discendenza di Grandet, l’altra dell’Harpagon. Raimondo e Lucrezia distruggono la loro vita e quella degli altri spinti da un esacerbato spirito di contraddizione, facendo allargare così il campo semantico della testardaggine. Ferdinando e Chiara sono guidati nelle loro azioni assurde e grottesche dall’ossessione, mentre don Blasco e il duca incarnano la corruzione che erode sia la chiesa e la politica. I deboli della famiglia sono naturalmente Eugenio e Lorenzo. Questi ritratti allo specchio sono completati con le immagini della terza generazione, in cui Teresa torna il bene in ossessione bigotta e Consalvo il patriottismo in demagogia politica.

Come dicevo, un mondo per nulla bello, in cui predomina una certa voluttà del male, perché spesso gli eroi sono maligni per perversità, non necessariamente perché hanno da guadagnare. Oppure forse perché sono piuttosto amorali che immorali quello che potrebbe spiegare perché neanche le vittime sono vittime nel vero senso della parola.

L’autore non pare mica interessato nell’incidenza del bene – il bene è accidentale, o dipinto maldestramente, o rovesciato (Teresa è un buon esempio, ma non il solo). Oltre la decadenza di una famiglia, de Roberto ha creato un ritratto gigantesco e spaventoso del male, il vero personaggio dei Viceré. Ed è proprio questo che conferisce al romanzo la sua originalità, anzi, la sua modernità.

È probabilmente per questo che Benedetto Croce non abbia trovato niente da "illuminare l’intelletto" né da "far battere il cuore" in questo libro però così grande e sconcertante. Come a qualsiasi lettore edonista, amante delle simmetrie e dell’equilibrio, il mondo di De Roberto gli ha inoculato una certa paura disgustata.

Effetivamente, non è una sensazione troppo rassicurante, chiudere il libro e chiedersi se le parole di Ferdinanda «Tempi obbrobriosi!... Razza degenere!» non servano a definire tutta nostra umanità...
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June 12, 2016
Per secoli i sovrani di mezzo mondo si sono alzati al mattino, si sono dati una bella stiratina, si sono sparagozzati giù una bella (o brutta) colazione e poi si sono chiesti: “Che cazzo faccio oggi, che già mi sto annoiando una cifra? Ah, sì … vado a conquistare qualche fetta di quel paese là … come si chiama … Italia, mi pare … boh, insomma quel posto lì a forma di stivale nel bel mezzo del Mar Mediterraneo, dove ci sono gli hobbit. Come sarebbe a dire che non ci sono gli hobbit? Ma sei sicuro? Ah, quelli stanno nella Terra di Mezzo, che non è stata ancora inventata, dici. Vabbé, in mezzo alle terre o nella terra di mezzo fa lo stesso. Ci vado comunque, perché mi rompo e sta per venirmi un’emicrania.”.

E così, sono arrivati qui praticamente tutti, da destra e da manca. Vicerè compresi.

Poi, il Metternich ebbe, ahinoi, un’infelice uscita verbale, ovvero disse che l’Italia era “una espressione geografica”. Se avesse saputo il casino che l’interpretazione della sua frase stava per mettere in piedi, si sarebbe tappato non solo la bocca, ma qualsiasi altro orifizio corporale, a costo di scoppiare. Ma tant’è, la disse.

“Noi saremmo un’espressione geografica?” pensarono, ovviamente, tutte le belle menti idealiste, che erano già da un po’ in effervescenza, assieme agli inevitabili bei paraculi che vanno loro costantemente al seguito, come le remore ad una barca, e che vivevano, appunto, nella cosiddetta “espressione geografica”.
“Giammai!! ‘Mo te la facciamo vedere noi se siamo un’espressione geografica”.

E fu così che il principe di Metternich, che avrebbe ben potuto insegnarci che per noi l’organizzazione migliore sarebbe stata una confederazione di stati indipendenti, portò invece, alcuni anni più tardi, un molto rammaricato Federico De Roberto a scrivere in questo romanzo:

Quando c'erano i Viceré, i nostri erano Viceré; adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato!

Chi ha orecchie per intendere, intenda. Gli altri, in camper. :-D

PS: A parte gli scherzi, questo è un libro che merita di essere letto, non foss’altro che per la vividezza con cui i personaggi vengono proposti, l’immediatezza espressiva, il sarcasmo e l’ironia che lo pervadono, benché, a tratti, sia un po’ eccessivo e logorroico. Ma è un difetto di poco conto, perché, davvero non sembra siano passati tanti anni dalla sua prima pubblicazione. Capisco e condivido l’amarezza dell’autore di fronte alla freddezza con cui fu accolto ai suoi tempi.

Uno dei miei professori di filosofia del liceo diceva spesso che “le zucche vuote vengono sempre a galla” (di solito, lo diceva quando “sparavamo qualche cazzata” a proposito di questo o quell’argomento: allora il politically correct non esisteva e se i professori ti volevano dare del “cretino” lo facevano senza tanti problemi). Ma non vengono a galla mica solo quelle, aggiungerei io. Col tempo, vengono a galla anche le zucche piene, quelle rimaste sommerse perché il peso di certe verità è difficile da mandare giù e si preferisce non vederle.

In effetti, essere nel 2014 e trovarsi ancora a dover fronteggiare, in molti casi, problemi analoghi a quelli posti da De Roberto non depone a favore della nostra intelligenza.

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Diciannovesimo GdL della Stamberga dei lettori
Martedì 1 Luglio 2014 - Lunedì 7 Luglio 2014: Parte I, Capitoli 1-5
Martedì 8 Luglio 2014 - Lunedì 14 Luglio 2014: Parte I, Capitoli 6-9; Parte II, Capitoli 1-3
Martedì 15 Luglio 2014 - Lunedì 21 Luglio 2014: Parte II, Capitoli 4-9; Parte III, Capitoli 1-2
Martedì 22 Luglio 2014 - Lunedì 28 Luglio 2014: Parte III, Capitoli 3-9
Profile Image for Simona.
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October 14, 2013
Lessi questo libro per un esame universitario e non l'apprezzai quanto avrebbe meritato o quanto avrei dovuto. A distanza di parecchi anni, posso affermare di adorarlo e amarlo. Questo romanzo è un pezzo di vita e storia italiana.
E' un romanzo storico che affronta uno spaccato di vita, uno spaccato di storia che non è solo la storia della famiglia Uzeda, la protagonista, ma è anche uno spaccato di storia italiana, uno spaccato della storia del Risorgimento Italiano.
Non è un romanzo di facile lettura, in quanto ricordare i nomi dei personaggi è difficile, anche perché alcuni sono definiti con termini quali "la principessa, il principe", ecc. e districarsi non è così semplice.
Leggere la storia di Italia, di una bella fetta di Italia che nasce, che cresce e si evolve è un regalo, un omaggio alla nostra nazione e al nostro orgoglio di essere Italiani.
Profile Image for Acrasia.
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July 18, 2018
Che bel mattoncino, me lo sono proprio goduta e mi sono anche divertita con l'ironia che l'autore ci mette nel descrivere i rapporti di amore-odio tra i parenti Uzeda di Francalanza che si accoltellano alle spalle e fanno buon viso a cattivo gioco pur di accaparrarsi un po' di eredità. Nessuna remora nel cambiare bandiera, nell'appoggiare prima un parente e poi dirne peste e corna. :)
Sullo sfondo la questione risorgimentale con lo sbarco dei Mille a Marsala e l'Italia che si sta formando, con il capovolgimento della dinastia dei Borbone, gettando le basi di ciò che diventerà, tra nepotismi e favoritismi.
Leggendo questo libro si ha ben coscienza che la mentalità italiana del pensare per se stessi e nel guadagnarci sempre o farla sempre franca ha origini antiche.
Profile Image for Evi *.
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September 17, 2017
Su questo romanzo grava la critica espressa per voce di Benedetto Croce invece è un grande romanzo: notevole in quanto a dimensioni, collocato in un periodo storico cruciale, dal regno borbonico all’Unità d’Italia, e con una moltitudine di personaggi che compongono la dinastia degli Uzeda, nobile famiglia catanese (a Catania esiste proprio la Porta Uzeda, uno degli accessi alla piazza del Duomo che poi prosegue in su verso la via Etnea), una galleria di tipi umani, peraltro quasi tutti detestabili per le loro avidità, meschinità, corruzioni e grandi furbizie.
Molto siciliano e italiano.
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October 21, 2017
Erano davvero molti anni che covavo questo libro aspettandomene meraviglie. Devo dire che, in parte, le aspettative sono state disattese.
Per carità si tratta di un libro fantastico: scritto magnificamente con giri di prosa straordinari, personaggi che parlano ostentando la loro nequizia spirituale con elegante precisione millimetrica. Anche i teatri in cui questi personaggi agiscono sono perfetti: le case nobiliari, le tenute di campagna, i monasteri (stupendi e senza redenzione i quadri della vita monacale...)
De Roberto ha costruito un monumento di feroce e spietata critica sociale nel quale ciascun personaggio importante (e sono decine) ci mostra il volto della sua particolare corruzione morale ( e spesso anche di quella fisica) in un avvincente catalogo sempre vario e dalle sfaccettature cangianti.
Ma, almeno la prima metà del libro mi ha innervosito.
Ok, sono tutti (TUTTI; grandi e piccoli, servi e padroni) dei pezzi di...e la struttura narrativa della prima parte è un po' così: a) c'è un problema b) tutti i personaggi coinvolti esercitano a gara la loro str...nella sua soluzione. Poi si ricomincia. E questo va avanti per circa la metà del libro.
Poi, non so se è stata assuefazione allo schema o se (in cosa ) questo schema si sia modificato. Ma la seconda parte del romanzo (diciamo dal viaggio all'estero dell'ultimo principino) è impeccabile e travolgente.
Dunque un libro da leggere anche perchè la sua lingua italiana non risente degli anni che il libro si porta sulle spalle (forse anche grazie al fatto che un libro sui 'cattivi' è, aihmé, spesso più affascinante che uno sui buoni).
Un libro, mi permetto di aggiungere, (scritto da un siciliano) che potrebbe avere molto da dire (ammesso che vogliano ascoltare) a tutti coloro che, pretestuosamente rimpiangono un'età dell'oro 'borbonica' che non è mai esistita.
Profile Image for Ellinor.
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January 26, 2016
The Viceroys follows the story of a Sicilian noble family, starting with the death of the princess in 1855, moving on to her eldest son Giacomo's reign until his death, and concluding with the rise of Consalvo (Giacomo's son) as a politician in 1882. The story is set during a time of great change: the kingdom of the Two Sicilies is at its end and Garibaldi is about to build the Italy we know today.

I really enjoyed de Roberto's style. Each member of the family is described very vividely. They all have some good characteristics but always the bad ones prevail. This way you never have a real hero but also no character you completely despise. The tone is often satirical, especially when it comes to certain characters such as Don Eugenio: he is always short of money but has the most absurd ideas on how to gain some anyway.

I just have one major criticism with this book: De Roberto tells the story of each family member. There are ca. 20 characters and that's often too many, especially at the beginning. The book comes with a list of all the characters which helps but I was still often confused who was who. This gets better towards the end (as nature takes its natural course) and the book concentrates on the remaining members.

All in all this is a great novel which deserves to be better known than it currently is. It was my first Italian classic but surely not my last one.

(I received a free digital copy via Netgalley/ the publisher. Thanks for the opportunity!)
Profile Image for Francesca Corsetti.
134 reviews5 followers
April 9, 2021
I viceré’ delinea la storia di una famiglia siciliana, discendente dai Viceré spagnoli.
Il periodo storico è di fine 800 nel pieno risorgimento meridionale. La grande famiglia Uzeda si trova a dover giungere a compromessi con i grandi cambiamenti di quei tempi, abbassando l’asticella della presunzione ma covando comunque i soliti pregiudizi sociali come la presunzione, l’odio, l’invidia e l’arroganza di ritenersi superiori a tutti i costi.
Molte vite si intersecano tra manipolazioni e ossessioni tanto da esser diventato un simbolo del Verismo italiano.
Profile Image for Simone Invernizzi.
257 reviews26 followers
September 14, 2023
"I Viceré" narra la storia del declino di una delle più importanti famiglie del Regno delle Due Sicilie, gli Uzeda, mentre lo stesso regno borbonico viene travolto dagli eventi del Risorgimento italiano. Gli Uzeda in realtà sono frutto della fantasia dello scrittore, che si rifà a diversi personaggi realmente esistiti per mettere insieme i protagonisti del suo romanzo.

Tutto ha inizio con la morte di Teresa Uzeda, donna dal pugno di ferro che, rimasta vedova del Viceré Consalvo VII, era stata in grado di mandare avanti per anni questa grande famiglia nobile nonostante mille vicissitudini e problemi. A causa del testamento di Teresa però, la nobile famiglia siciliana degli Uzeda esplode, e viene dilaniata da accaniti contrasti d'interesse che oppongono il primogenito principe Giacomo, duro e avido, al dissoluto conte Raimondo, il cinico e corrotto don Blasco al nipote Ludovico, monaco libertino, e alla sorella, donna Ferdinanda. Alle beghe di fratelli e parenti, sullo sfondo degli avvenimenti che segnano l'unità d'Italia, si aggiunge la lotta che tutti insieme sostengono per conservare gli antichi privilegi e la posizione di dominatori, nonostante il naufragio di alcuni singoli, come don Eugenio, finito in miseria.

Si tratta di un romanzo storico davvero molto bello, con una trama fittissima di eventi e particolarmente coinvolgente. Ogni personaggio viene ben descritto e delineato dallo scrittore napoletano De Roberto, che con grande maestria ci raffigura il perfetto affresco di un mondo in totale decadenza, e di una famiglia nobile sull'orlo del precipizio che cerca di sopravvivere a questi radicali cambiamenti. I riflessi sociali e politici dell'epoca vengono abilmente raccontati dall'autore, permettendo così al lettore di immergersi completamente nella Sicilia di metà e fine ottocento.

Gli Uzeda sono egoisti, arroganti, inclini alla violenza o alla pazzia, maniaci nel perseguire i propri obiettivi a qualunque costo. Sono ciechi e irrispettosi verso tutti coloro che vengono considerati come esseri inferiori. Tutti sono vittime di una vanità e di un orgoglio che sconfinano nella patologia, e persino la dolce, buona e obbediente Teresina, pur di continuare a essere lodata, apprezzata e amata da tutti i famigliari, quasi come la santa di famiglia di cui porta il nome, sacrifica la sua intera esistenza per seguire il volere del padre. In ciascun membro della famiglia Uzeda c’è un pensiero dominante; un pensiero che li avvince completamente e finisce con il rovinare loro la vita.

La famiglia Uzeda inoltre è preda di malattie e deformità non solo mentali, ma anche fisiche. Da molte generazioni infatti, dominano tra i personaggi i matrimoni tra consanguinei, che portano quindi l'intera famiglia ad essere drammaticamente corrotta nel sangue e nel corpo, oltre che nella mente, secondo i principi naturalistici seguiti dall’autore. Non vi è soltanto una spiegazione simbolica dietro a questa decadenza fisica che De Roberto racconta in maniera eccelsa, ma anche una ragione biologica e di impoverimento del patrimonio genetico degli Uzeda dovuta appunto a queste unioni consanguinee. La bellezza dei personaggi è come se scemasse da una generazione all'altra; e la scena macabra del feto partorito da Chiara rende benissimo questa idea di decadenza: la mostruosa creatura nata morta non è altro che l'esemplificazione di tutto ciò che la famiglia Uzeda, ormai giunta al capolinea, è in grado di produrre. De Roberto resta sempre ai margini del racconto e non interviene mai con giudizi diretti sui personaggi, tuttavia la descrizione della nobiltà dell'epoca è davvero senza pietà e non lascia spazio ad alcun dubbio.

Nella seconda e terza parte del romanzo, quando parallelamente alla storia degli Uzeda cresce prepotentemente la narrazione del quadro politico risorgimentale, si assiste lentamente alla crescita di colui che è il vero protagonista del romanzo: Consalvo, nipote della defunta principessa e figlio del primogenito Giacomo, destinato al sacerdozio, che si rivela, nel bene e nel male, come l'unica persona con la testa sulle spalle. Abbandonati rapidamente i panni del clero e successivamente quelli della nobiltà ormai allo sfacelo, Consalvo si ricicla abilmente in politica come uomo di sinistra e viene trionfalmente eletto alle elezioni del 1882. Esempio perfetto del migliore trasformismo di chi non è in grado di arrendersi all'evidenza dei fatti e cerca una qualche forma di salvezza sociale per il proprio, esclusivo tornaconto.

Ho trovato questo romanzo persino più bello ed entusiasmante de "Il Gattopardo", e oggettivamente non capisco come questo libro possa essere così in secondo piano rispetto all'opera di Tomasi di Lampedusa. Ne consiglio vivamente la lettura, soprattutto agli amanti del romanzo storico.
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February 19, 2018
[anobii Jul, 2013]
Vostra Eccellenza …
«Alla fine, don Cono si decise anch’egli ad entrare; ma, separato dal compagno, fu travolto, come un chicco di caffè nel macinino, dal turbine umano che per il troppo angusto passaggio s’ingolfava nella chiesa.».
Impegnativo. Ma man mano che la storia si sviluppa, la complessità delle relazioni e delle psicologie diventa più chiara e gli avvenimenti si susseguono coinvolgendo il lettore nelle trame e gli intrighi di una società non molto dissimile … dall’attuale …
Un trattato, forse, su un’epoca, più che un romanzo. Ma che meraviglia, quella lingua.
«Il paese ben conosce di chiederle un sacrifizio, e un sacrifizio non lieve; ma il patriottismo di cui ella ha dato tante e sì splendide prove, ci dà guanto che anche una volta vorrà rispondere all’appello del paese …». .
Meraviglioso.
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July 23, 2018
i vicerè sono ricchissimi, ma brigano incessantemente per diventare più ricchi
i vicerè sono una grande famiglia, ma nessuno ama nessuno: al massimo si alleano gli uni contro gli altri
i vicerè assistono con sdegno alla caduta del regno delle due sicilie, ma piazzano immediatamente uno dei loro nel nuovo parlamento democratico.
Pubblicato nel 1894 (l'autore aveva poco più di trent'anni!) ci racconta praticamente in diretta la nascita del clientelarismo nello stato apparentemente moderno, mentre segue le vicende di una famiglia divorata dall'ambizione - diretta o per l'interposta persona dei mariti o dei figli - e dal desiderio di denaro, e perseguitata dalla follia.
Probabilmente è il capolavoro più sottovalutato della letteratura italiana
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July 13, 2012
Del potere e delle pene: l'apocalisse di una dinastia

Circa un secolo fa l’autore italiano più incompreso di tutti i tempi, Federico de Roberto, iniziò la stesura di uno dei più straordinari esempi di letteratura italiana nel senso più alto del termine, I Viceré, secondo volume di una trilogia incentrata sulla storia e sugli intrighi passati e futuri della dinastia Uzeda di Francalanza. L’autore, intenzionato a metterne in risalto crepe e vizi, in poco più di 500 pagine dipinge un quadro lucido e dettagliato esplicante i tre aspetti fondamentali della società dell’epoca -la famiglia, lo Stato e la Chiesa- riuscendo a dar vita ad un romanzo caratterizzato da una profondità e da un’attualità ancora oggi sorprendente.

Tutto ha inizio durante gli ultimi anni di dominazione borbonica in Sicilia; protagonisti di quest’epoca sono gli Uzeda di Francalanza, discendenti dei Viceré di Spagna, nati e vissuti in un mondo di fasti e splendore, ma di altrettanta prepotenza e povertà morale; un’epoca di cambiamento, di crisi, di rinnovamento in cui sembra impossibile sopravvivere se non restando schiavi di regole e tradizioni. I Viceré si fanno portavoci della loro realtà, terribili e feroci sebbene lucidi testimoni dal sangue vecchio e corrotto, che attribuiscono al proprio storico nome, ai propri titoli ridondanti il loro doveroso posto nella società italica e la facilità con cui le vie maestre si aprono innanzi a loro.

Uno fra tutti il Principe Giacomo Uzeda, quello che più di chiunque altro nel romanzo porta alta l’essenza della propria dinastia, l’imperioso desiderio di comandare, di veder tutti piegati innanzi alla propria volontà di pater familias, di arbitro assoluto dei destini di coloro che gli stanno vicino; per questo, fin dall’età della ragione, egli impiegò la sua vita martoriando chiunque potesse giocare a favore della propria possente ricchezza, fatto di loro ciò che gli era piaciuto per accumulare nelle sue mani quanto più denaro gli era stato possibile diventando, più di tutti gli altri Uzeda, il rappresentante principale della propria ingorda famiglia unicamente intenta ad arricchirsi, cieca ad ogni altra virtù e potenza se non quella derivante dai soldi. Ci ricorda qualcuno?

Dall’altra parte troviamo il suo più diretto discendente, il figlio Consalvo Uzeda, sposo della neonata democrazia e genero del rinnovamento, l’unico che riconosce e ammette la parte oscura della propria discendenza, l’unico in grado di sopravvivere e di farsi strada nell’Italia bambina. La lotta con il padre dall’autorità innegabile lo aveva portato ad aborrire non solo la propria famiglia, ma anche il proprio paese. Nella sua testa avveniva una rivoluzione, come quella che era stata portata dalle truppe garibaldine nella sua Sicilia natale. Di un’intelligenza straordinaria, Consalvo aveva toccato con mano le mille contraddizioni della sua epoca e da questo tratto la conclusione che non c’era nient’altro di più importante che la realizzazione dell’interesse individuale: al Noviziato egli aveva constatato l’ipocrisia dei monaci, quelli che più di tutti dovevano essere portatori di una condotta imprescindibile, coloro che avevano fatto voto di povertà davanti a Dio, ma che protetti dai muri del monastero costituivano la razza più ingorda e lussuriosa; in casa aveva visto che ciascun membro della propria famiglia tirava a fare i propri comodi, calpestando affetti e principi. Quindi, agli esordi di una carriera politica senza scrupoli, il proprio sentimento di superiorità, la propria natura di Viceré gli avevano impedito di riconoscere il male nelle sue azioni contraddittorie e anche se ne prendeva coscienza pensava di certo di non far più male del padre che aveva spogliato e ingannato i familiari o dello zio duca che si era arricchito a spese del popolo.

Consalvo, al capezzale del padre morente, prova pietà per sé stesso, per le donne della sua famiglia protagoniste di stravaganze ai confini della pazzia, per tutti gli Uzeda, duri, maniaci, prepotenti, folli; ma erano forse responsabili della loro corrotta natura? “Tutto si paga!”, pensa Consalvo, e i Viceré pagavano le più invidiate fortune e il gran nome con un’impietosa deformazione morale ed anche fisica, condensata nel mostruoso aborto partorito dalla marchesa Chiara Uzeda.

I Viceré costituiscono una delle opere portanti della letteratura verista Italiana, ispirati alla corrente positivistica e naturalistica. De Roberto, grande amico di Verga e Capuana, non gode della stessa fortuna, infatti il suo capolavoro è segnato da un’iniziale insuccesso editoriale; non solo: molte personalità di rilievo dell’epoca non amarono né De Roberto né la sua Opera, giudicando fallimentare la fatica dell’autore. Fra tutti Benedetto Croce sentenziava: «E’un’opera pesante, che non illumina l’intelletto come non fa mai battere il cuore(…)».

In un epoca più recente I Viceré verranno invece accolti e letti con maggiore interesse e, a discapito dei pregiudizi, verranno annoverati fra i capisaldi del romanzo storico italico, apprezzati da personalità di rilievo del calibro di Giancarlo Menotti, Indro Montanelli e Roberto Rossellini, citando anche la recente, e sotto certi aspetti deludente, trasposizione cinematografica di Faenza.

La storia dei Viceré, sosteneva De Roberto, è la metafora di una certa Italia venutasi a creare dopo l’unità del paese. Un libro che parla di odio, di rancori e di ripicche senza fine, dove la lotta all’interno della famiglia si estende oltre, fino a toccare la realtà politica e la Chiesa.
Ed ecco il decesso, l’impoverimento dei valori; monarchia e repubblica, religione e ateismo, destra e sinistra scompaiono, non significano più niente, di fronte al desiderio di tornaconto personale, materiale, sia esso presente o per l’avvenire. Di proverbiale attualità è l’agghiacciante frase finale dove Consalvo asserisce che la propria razza di Viceré, nel corso degli avvenimenti storici fondamentali che hanno portato alla nascita di un’Italia unita e rinnovata, non è cambiata, anzi è sempre la stessa. L’impero fondato sulla potenza, sulla corruzione, sulla ferocia, sulla disuguaglianza non è scomparso, si è solo adattato adagiandosi e prendendo la forma di una nuova configurazione storica.

I Viceré non sono solo una tremenda e, come potete constatare, attualissima critica alla politica e alla Chiesa, ma costituiscono anche un viaggio spietato nell’animo umano, nelle sue mille paure e incoerenze; un libro sul male, sull’odio, l’unica cosa che, secondo i protagonisti, fortifica e rende grande un individuo.

I fatti raccontati non hanno solo a che fare con l’Italia, con il 1850 o il 1862, ma parlano soprattutto dell’uomo in quanto tale. La sottile colpa che De Roberto attribuisce a tutti noi, agli Italiani, è il fatto di non aver mai contribuito alla grandezza della nostra nazione se non appannaggio di noi stessi, la colpa di non aver mai compreso fin in fondo l’esistenza di un’identità nazionale, sia essa collettiva e comune, ma che tuttavia rende molto più forte anche il singolo individuo.

Un capolavoro.
Profile Image for Georgiana 1792.
2,402 reviews161 followers
March 10, 2022
Rilettura di questa meravigliosa saga familiare degli Uzeda di Francalanza, degli autentici parenti serpenti, in cui assolutamente nessuno riesce a essere vincitore ma, soprattutto, nessuno riesce a essere felice. E se anche ne avesse la possibilità, arrivano subito le rivalità familiari, i veleni e gli intrighi a rovinare tutto. Persino le persone più belle vengono abbrutite dal clima di cupidigia e di cattiveria tra fratello e fratello (o sorella) e, quel che è peggio, tra padre e figli.
Il tempo passa, la Sicilia cambia, i titoli nobiliari perdono di importanza, ma gli Uzeda sono sempre lì, sempre con gli stessi mezzucci, via via più meschini attraverso le generazioni, a cercare di tirare un colpo al cerchio e uno alla botte.
Un capolavoro, la saga familiare per antonomasia.
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