Perché mai un uomo può “essere brutto” – magari calvo, con un naso prominente, occhi sporgenti… – mentre alle donne è richiesto di rispettare precisi canoni estetici e di apparire sempre giovani e attraenti?È una domanda per la quale non abbiamo una risposta soddisfacente. Una donna nasce, cresce e passa tutta la vita a tenersi alla larga dall’essere identificata come “brutta”: è la storia raccontata da Giulia Blasi in questo libro, una raccolta di saggi brevi che hanno l’esplosività di una serie di monologhi lucidi e affilati, a metà tra ferocia e risata. Dall’infanzia alla prima adolescenza, dai vent’anni all’età in cui comincia l’invecchiamento, la storia del suo corpo è la storia del corpo di ogni donna: un corpo che va nel mondo con la consapevolezza della quantità di spazio che può occupare e di attenzione che può pretendere in ragione di come viene etichettato. Una consapevolezza che cambia prospettiva se ci si pone la domanda iniziale e poi si prosegue secondo la stessa logica chiedendosi: chi ha detto che, per occupare uno spazio pubblico, per vivere appieno in società, si debba per forza essere belle?
Giulia Blasi è nata a Pordenone e risiede a Roma, sua città d'elezione. Autrice di saggi, romanzi e racconti, nel 2019 ha tenuto il suo primo TEDx Talk, dedicato alla leadership femminista. È l'ideatrice della campagna #quellavoltache, pensata per denunciare le molestie sessuali, lanciata nel 2017 pochi giorni prima di #metoo.
Ho deciso che smetto di dare a tutti i saggi femministi una stellina in più a prescindere, cosa che sì (mi scuso) ma fino a ora ho quasi sempre fatto. È vero che il femminismo, secondo me, ha bisogno a prescindere di visibilità e apprezzamento, ma è anche vero che, se do a tutti i saggi a tema femminista 4-5 stelle, poi le persone che si basano sulle mie recensioni non capiscono quale libro convenga leggere: tutti sembrano imperdibili, cosa che spesso non è. Io anche spesso vengo ingannata dalle recensioni entusiaste nella mia bolla. Una parte di me dice: okay, adesso basta, ho già letto troppo su questo tema. L'altra: okay, ma questo sembra un capolavoro! È il caso anche di questo libro qui, che è stato definito da molte persone che seguo come "il migliore di Giulia Blasi", o comunque meraviglioso uau. Secondo me, invece, è un saggio assolutamente perdibile. Offre delle riflessioni moolto mooolto banali, e universalizza l'esperienza di vita dell'autrice, a mio parere ben poco universalizzabile. Cioè: per me è okay raccontare la storia del rapporto con il proprio corpo se viene trattata come tale, ma non dire "noi" ci sentiamo così, per "noi" è cosà. Noi cosa? Donne? Io personalmente mi sono rivista molto poco in quel noi, e ho anche provato fastidio quando per esempio parla di mestruazioni come di una cosa di cui ci si abitua e che, tutto sommato, è sopportabile, non come la menopausa. Una donna su cinque soffre di endometriosi, molte altre hanno disturbi del ciclo mestruale minimizzati dai medici. Davvero avere le mestruazioni per "noi" è nulla rispetto alla menopausa? Penso che possiamo pure farcela, ormai, a questo punto del cammino femminista, a guardare la realtà scorgendo altri gradi di complessità.
...non ho bisogno di sentirmi bella, ho bisogno di poter vivere nello spazio pubblico senza che qualcuno pensi che insultarmi per il mio aspetto fisico sia un modo come un altro per dirmi che devo tacere. Una donna brutta non ha bisogno che la società le consenta di sentirsi bella, ha bisogno che la società le assicuri che sarà rispettata: la risposta all’insulto e all’aggressione non può essere «Sei tu che dovresti fare in modo di sentirti bella, povera cessa».
Dal mio essere bella o brutta secondo il resto del mondo si giudica il valore di quello che dico, si giudicano le mie motivazioni, la mia emotività, la mia soddisfazione nei confronti della vita.
Sono come tutte le altre, non lo so come si fa, ad amarsi sempre. Ed è pure un concetto vago, inafferrabile. Cosa vuol dire “amarsi”? E perché siamo sempre noi a doverlo fare
É sempre un piacere leggere (e ascoltare) Giulia Blasi.
I libri, certo, ma anche la sua newsletter - una delle poche che non cestino subito, dai ditelo anche voi che le newsletter le pattumate al volo - o i suoi interventi sparsi per il mondo. Però, prima di tutto ci sono, appunto, i libri.
Brutta è certamente la storia di Giulia, del resto anche lei lo dice subito quando afferma che anche se sembra che si parli di altro o di altrə, in fondo si parla di lei: a me però piace ribaltare la frittata e dire che anche quando sembra che si parli di lei, in realtà si parla di altrə, e persino di me, uomo bianco etero. Sarà che siamo coetanei, ma io in molte delle storie raccontate da Giulia mi ci sono ritrovato: nato e cresciuto in un paese circondato dalla piattissima campagna ferrarese, mi sono sempre sentito un po' un pesce fuor d'acqua e spesso inadeguato alle situazioni che ho dovuto affrontare. E poi tutto il contorno pop, che è lo stesso che ha circondato me (con la differenza che io i Visitors li ho visti e amati). Con un linguaggio fresco e colloquiale, Giulia ci racconta del rapporto col suo corpo e della sua accettazione, ma soprattutto di come - viste le forti pressioni di un sistema patriarcale che volenti o nolenti ci circonda fin dalla nascita - per una donna tutto ciò sia decisamente più difficile. Io invito tuttə - ma soprattutto i maschi - a leggere Brutta: sì, anche se avete l'impressione di non essere il target principale di questo libro (e se volete fare il paio con un altra autobiografia dovreste leggere assolutamente il formidabile Eccentrico. Autismo e Asperger in un saggio autobiografico di Fabrizio Acanfora) il rischio è quello di arrivare alla fine e sentirsi persone migliori, come è successo a me.
♥︎Libro breve, ma molto interessante. Ho apprezzato che l'autrice si sia aperta e abbia raccontato la propria storia (dove però è facile identificarsi). Ho trovato questa storia molto più semplice rispetto ad altre dello stesso genere, non risultando banale. Si finisce in un paio d'ore senza problemi. Lo consiglio a chi sia interessato a letture femministe o chi vuole scoprire un nuovo genere, se già non avete letto niente di questa autrice.♥︎
Tanto mi era piaciuto "Manuale per ragazze rivoluzionarie", tanto mi ha deluso questo. Femminismo mainstream condito dai soliti luoghi comuni che sentiamo già a ripetizione su Instagram. Discretamente comprensibile l'intento, ma esecuzione piuttosto cringe.
Come chiacchierata al bar può anche intrattenere ma la sua esperienza è troppo banale e privilegiata per poterla trasformare in un libro che aggiunga qualcosa ad una lettrice abituata a leggere saggi femministi. Almeno Giulia Blasi è genuina e autoironica e ascoltarla in audiolibro è sempre un piacere.
3 stelline e mezza. Sagace, divertente, scorrevole. Nonostante la ritenga una lettura necessaria adatta a qualsiasi età, avrei avuto particolarmente bisogno di un libro del genere nella mia prima adolescenza.
Libro per adolescenti. Io non sono riuscita ad andare avante tanto era l'imbarazzo per le ovvietà femministe. al "siamo un buco di carne" sono impallidita. troppo cringe, freeda fa di meglio e tutto questo è assurdo. Probabilmente a 15 anni mi avrebbe anche fomentato. Non so alle 15enni di ora.
Premetto che è il primo libro che leggo di Giulia Blasi. Lo stile colloquiale non rientra tra i miei gusti, e quindi forse mi ha posta in un atteggiamento leggermente più critico.
Ho apprezzato il tentativo di rivendicare la bruttezza, in un mondo in cui veniamo costantemente monitorate e ci viene richiesto di essere belle, in un mondo in cui "brutta" è un insulto, ho trovato che fosse una buona idea scoperchiare il tabù della bruttezza.
A parer mio, però, usando la propria esperienza personale, l'autrice non ha rafforzato l'idea che sembra voler dare a partire dal titolo, anzi. Parlando delle sue debolezze presenti e passate ha mostrato quanto lei sia dentro a questo meccanismo di bellezza, quanto stia male per certe cose, quanto sia necessario per lei ricorrere al trucco per rimanere all'interno di questo meccanismo, e molto altro. Ho trovato diverse frasi e diversi dettagli irrilevanti ed inappropriati, come ad esempio l'insistenza su quanto fosse scheletrica da adolescente con tanto di specificazione sul peso e sull'altezza (che probabilmente, qualora l'avessi letto a tredici/quattordici anni, mi avrebbe buttata parecchio giù), il ricorrente negative body talk, o alcune frasi riferite alle persone "belle" che penso fossero evitabili perchè riconducono a stereotipi, a banalità e a tanti "sentito dire". Non lo so, forse avevo un'aspettativa troppo alta, mi è dispiaciuto rimanerne delusa.
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Brutta è un saggio semi-autobiografico pop. Parla di corpi, in particolare di corpi femminili, in particolare del corpo dell'autrice e lo fa in bilico tra il comizio di piazza e la chiacchierata onesta con un'amica che si apre per parlarti di se. Anche questo è un libro nel quale riconoscersi: i favolosi (?) anni 80' e 90', Giorgio Gaber, Candy Candy, i Visitors sono solo le paillettes sulla borsetta; quello in cui ci si riconosce è il contenuto della borsetta: la lotta quotidiana dell'accettazione del se. Qui è tutto un continuo di "Ma allora non sono solo io!", "Ah, come ti capisco!", "Eh, già". I concetti ci sono e sono anche spiegati bene, ma prima di essere una saggio, Brutta è un libro che fa sentire meno solǝ chiunque nella vita si sia sentito bruttǝ.
E no, la borsetta è virtuale. Mica l'hanno allegata al libro!
Divulgativo e divertente, una chiacchierata con una vecchia amica. Credo lo descriverei così, certo non è una lettura approfondita (se volete approfondire il tema consiglio "Beauty mania" di Renee Engeln), è un libro che non appesantisce ma comunque fa pensare proprio perché mostra una quotidianità come tante, anzi un problema che purtroppo affligge soprattutto le donne. Grazie società, ma soprattutto grazie patriarcato!
Giulia Blasi non fa libri complessi, non certo di studio approfondito, piuttosto è un "libro-sveglia" come lo chiamo io. Ovvero è un libro che fa prendere consapevolezza grazie a esempi della quotidianità, insegna a porti domande e sicuramente lo consiglierei a chi non ha mai affrontato questo tema. Come prima lettura non c'è male, per qualcosa di più approfondito però bisogna rivolgersi ad altre letture.
Mi sono incazzata molto leggendo questo libro perché mi ha messo di fronte ad un fatto che già sapevo ma che non avevo mai letto per iscritto: quanto tempo ho passato a creare un'immagine di me che fosse più vicina agli standard di bellezza imposti dalla società? Questo taglio di capelli mi piace davvero o mi fa ricevere solo più apprezzamenti maschili? Quella gonna mi piace davvero o mi fa sentire solo più desiderabile? Queste sono solo alcune delle domande che mi sono posta dopo questa lettura. Quanti uomini, secondo voi, impiegano ore e ore a scegliere cosa indossare per un evento importante? Quanti uomini impiegano almeno 2/3 ore a settimana per curare il proprio corpo (depilazione, maschere contro l'acne, prodotti per il corpo ecc)? E invece quante donne? Non che non sapessi già queste cose, ma c'è differenza tra leggerle su Instagram e su un libro che te le sbatte in faccia e ti descrive praticamente la tua vita finora.
Mi sono rivista molto in quasi ogni pagina. Anche io ho un corpo come tanti. Ma oltre a questo il libro non è granché né come scrittura né come argomenti, perché si tratta solo dell'esperienza dell'autrice (che è comunque molto diffusa tra le donne e le ragazze). È stata una lettura piacevole, il libro è molto breve quindi può essere un punto di inizio per chi si vuole avvicinare a questi temi, ma non è esaustivo né particolarmente edificante. Lo stile di Blasi è molto particolare! Sembra di leggere la sua newsletter o un post su Instagram, il che ha reso la lettura poco impegnativa (che non è necessariamente una cosa negativa). Lo consiglio per una lettura non impegnativa e veloce!
Sono sicura che lo scopo di quest'autrice fosse anche quello di far riflettere e pensare, sia come donna che come persona. Il fatto che potesse essere anche divertente, soprattutto perché siamo coetanee - e quindi non solo so esattamente di cosa stesse parlando, ma spesso e volentieri abbiamo avuto lo stesso identico tipo di esperienze e di ricordi - non l'avevo messo in conto e quindi mi sono spaccata dalle risate a volte, anche se mi sentivo leggerissimamente in colpa. Quindi, senza niente togliere all'intento pedagogico, lo suggerirei a tutt*
Ironica e a volte pungente, Giulia Blasi parla del rapporto con il suo corpo con aneddoti in cui molte di noi si possono identificare. Lettura godibile, ma forse libro troppo breve in cui a volte ho trovato luoghi comuni o generalizzazioni. Di fatto, comunque, invita alla riflessione sul corpo al femminile e sulle limitazioni che ci accompagnano sin dalla nostra nascita.
Giulia Blasi, per me, resta sempre una garanzia. Mi sono ritrovata in molti passaggi. Il libro è semplice, ma non banale, scorrevole, divertente e piacevole.
“Ci sono tanti momenti in cui si diventa donne, ma nessuno conta come quello in cui capisci quale posto ti è stato assegnato in maniera più o meno esplicita nella grande graduatoria del gradimento maschile. Non la maternità, non il ciclo mestruale, niente di tutto questo: il momento in cui diventi donna davvero è il momento in cui capisci se sei figa, e se sì, quanto. Perché quel momento determina la quantità di capitale sessuale che puoi spendere nei rapporti sociali, il tuo posizionamento rispetto a chi detiene il capitale vero e proprio, il grano, il potere”.
Parto da una piccola premessa: io adoro leggere e ascoltare Giulia Blasi, mi fa scompisciare dal ridere mentre mi aiuta a riflettere. Anche in questo caso, tra una risatina e una risata molto rumorosa, mi ha smosso le viscere riportando alla luce piccoli traumi legati al tema della bruttezza e bellezza nell'adolescenza e poi nella vita adulta. Ricordo anche io di essermi considerata per anni una ragazzina brutta per poi ora rivedere le foto di allora e rendermi conto che tutte quelle critiche mi facevo e mi facevano oltre a non essere fondate erano figlie della società del 2000 che cercava in tutti i modi di farti sentire inadeguata (e inadeguatə). Quindi è una raccolta di racconti/riflessioni che secondo me vale la pena di leggere e potrebbero aiutare molte persone a pensare seriamente su quello che facciamo, diciamo e ascoltiamo.
Mi aspettavo molta più generalità, e meno dimensione soggettiva, e per quanto all'inizio mi sia sentita infastidita dalla cosa, non posso negare che già dopo il primo capitolo ero rapita dall'autrice. Non conoscevo la Blasi, e documentandomi ho anche compreso come questo non sia esattamente il libro migliore per cominciare a conoscerla, ma devo ammettere che, in ogni caso, non mi è dispiaciuto affatto.
Mi sono rispecchiata in molti degli avvenimenti della vita dell'autrice, che mi ha fatta sentire meno sola coi miei pensieri, oltre che compresa da un punto di vista fisico e di relazione con l'altro sesso. La sua ironia è invidiabile, in qualche passo ho proprio pensato "cavolo, come avrei voluto buttar giù io un pensiero del genere con queste parole". La vicinanza geografica dei posti descritti mi ha fatta sentire a casa, in quel Friuli che entrambe odiamo e dal quale siamo scappate il prima possibile, e non sarei oggettiva se non dicessi che forse è stato proprio questo ad aver aumentato il mio interesse verso questo libro, che alla fine di femminismo non offre molto, ma sicuramente intrattiene e scaturisce riflessioni interiori.
Schietto, divertente, stimolante. Incredibile come siamo tutti diversi, nel corpo e nelle esperienze, eppure ci riconosciamo negli stessi disagi riguardo il come appariamo. Niente di insuperabile eh, però bello e giusto parlarne senza remore.
Essere (non sentirmi, che è una cosa diversa) bella o brutta non è dirimente per la mia sopravvivenza, ma lo è per la mia esperienza di vita, perché dal mio essere bella o brutta secondo il resto del mondo si giudica il valore di quello che dico, si giudicano le mie motivazioni, la mia emotività, la mia soddisfazione nei confronti della vita. Una donna bella non può che essere appagata, perché non le mancherà mai l’unica cosa che conta: il desiderio degli uomini. Una donna brutta non può che essere triste e rabbiosa, perché quel desiderio non lo sa o non lo può suscitare. Una donna brutta partirà sempre da una posizione di rabbia e vendetta verso il mondo.
Questa è la logica. Lo so io e lo sa chi negli anni, con crudeltà più o meno casuale, mi ha insultata in pubblico o in privato per il mio aspetto. Ed è questo, il problema. Non la mia reazione, non quello che io faccio o non faccio per arrivare a una forma di tregua armata con il mio corpo – perché la pace, lo so, solo da morta –, ma il fatto che quell’occhio crudele sia dentro di me, che sia stato montato nel mio sistema per assicurarsi che continui a fare il suo lavoro, continui a tenermi in riga. Io devo essere critica con me stessa, io devo sentirmi inadatta. È stato scritto nel mio codice. È scritto nel codice di tutte. Non è un virus, non è un’anomalia, è programmazione. È uno script che si attiva in automatico in risposta a stimoli predefiniti: una valutazione positiva o negativa fatta a noi o a un’altra, un paragone, la descrizione di un corpo che ci somiglia o che è l’opposto di quello in cui abitiamo, il modo in cui una donna parla di sé stessa, o una donna che si presenta in maniera inadeguata alle aspettative sociali. Perché il corpo conta sopra ogni cosa, del corpo bisogna tenere conto. Dal nostro corpo non riusciamo a prescindere, non ci sappiamo liberare, e abbiamo rinunciato a chiederlo. Non pensiamo che sia possibile, perché questa possibilità non ci viene mai prospettata. È una trappola, e ci viviamo dentro. Sono come tutte le altre, non lo so come si fa, ad amarsi sempre. Ed è pure un concetto vago, inafferrabile. Cosa vuol dire “amarsi”? E perché siamo sempre noi a doverlo fare, a dover minare il nostro animo alla ricerca di sentimenti positivi verso il nostro corpo, quando intorno c’è tutto un mondo pensato apposta per farci fallire? È un altro carico di lavoro che ci tocca fare, altre energie mentali da impiegare, altra fatica. Certo che mi piacerebbe amarmi senza sforzo, ma ci manca solo che mi debba sentire in difetto se non ce la faccio. Mi ci manca solo di dover aggiungere anche questo alla lista delle cose che devo fare per essere all’altezza.
[Da "Bella"]
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Anche stamattina ho alzato la giacca del pigiama e mi sono guardata di profilo, è un gesto automatico. Anche stamattina mi sono vergognata: del mio corpo, del gesto, di quanto spazio ho dato a tutto questo nella mia vita.
[Da "Donne de panza"]
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Una donna brutta non ha bisogno che la società le consenta di sentirsi bella, ha bisogno che la società le assicuri che sarà rispettata: la risposta all’insulto e all’aggressione non può essere «Sei tu che dovresti fare in modo di sentirti bella, povera cessa».
[Da "Belle"]
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Faccia da Stronza non è sempre una faccia brutta: è semplicemente una faccia a cui manca l’espressione di simpatia che una donna impara a utilizzare per evitare il grosso dei guai derivanti dall’avere un atteggiamento giudicato “poco conciliante”. La gente la puoi pure spedire a pedate sulla Luna, basta che ti ricordi di sorridere prima, durante e dopo.
[Da "Faccia da Stronza"]
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I nostri corpi sono letti come messaggi che ognuno pretende di interpretare a suo insindacabile giudizio. Le nostre sorti dipendono da un complicato bilanciamento di fattori che sfugge, in tutto o in parte, al nostro controllo. Quello che so è questo: che una donna che vada nel mondo come bella donna fa una vita diversa dalla mia, che ho provato ad andare nel mondo come se un corpo non ce l’avessi, come se fossi puro spirito, e ho fallito, perché il mondo stesso mi ha inchiodata anche a quello, alla mia rinuncia.
[Da "Le donne belle fanno una vita diversa"]
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Lui mi scruta per una frazione di secondo, dalla testa ai piedi, poi scoppia a ridere. Ride forte, e non mi ricordo se dice qualcosa, ma capisco che gli hanno fatto sapere che mi piace. E mentre lui si allontana, sempre ridendo, le altre mi si avvicinano – io, pietrificata, sbigottita – e con tono di compatimento dicono: «Lo sai cosa guardano, nelle ragazze».
Questa è la mia origin story. Questo è il momento in cui si decide il rapporto che avrò con il mio corpo per il resto della vita, si decide la mia collocazione, il ruolo che sono chiamata a interpretare, l’attenzione che ho diritto a chiedere. Lo stabiliscono per me un ragazzino di cui non sapevo quasi niente e quelle che avrei chiamato “amiche” anche per diversi anni a seguire. E io lo accetto, e ci soffro, poi imparo a sputarci sopra, ci soffro di nuovo e ci sputo di nuovo, ma non c’è mai un momento della mia esistenza, da quell’attimo in poi, in cui io abbia sentito di potermi dimenticare del mio corpo, della sua forma, e di quello che mi potevo permettere in relazione al suo posizionamento nella scala gerarchica dei corpi degni. E forse ci avrei sputato prima, di più e con più convinzione, se avessi avuto intorno un mondo che mi dicesse che il mio corpo non poteva essere separato dalla persona che ero, che la mia forma non aveva nulla di sbagliato, che di corpi ce ne sono tanti e tutti diversi e che nessuno ha il diritto di umiliare nessun altro, o di stabilire il suo grado di dignità in base alla distribuzione del grasso corporeo.
[Da "Cosa guardano nelle ragazze"]
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Qualcuna era femminista perché aveva la mamma femminista. O la zia. O la nonna. Qualcuna era femminista perché la mamma, la zia, la nonna o qualche altra parente femmina aveva fatto la serva gratis ai maschi tutta la vita, e lei non aveva intenzione di fare la stessa fine. Qualcuna era femminista perché da ragazzina aveva letto Dalla parte delle bambine. Qualcuna era femminista perché Candy Candy alla fine tornava alla Casa di Pony dopo aver fatto di tutto, nella vita, incluso l’infermiera in tempo di guerra, e non si capiva mica se si sposava o meno, e con chi. Qualcuna era femminista perché quale sarebbe l’alternativa, esattamente? Qualcuna era femminista per via delle Kim: Gordon, o Deal. La prima perché era femminista, la seconda perché in un gruppo con Black Francis non poteva durare, ed era femminista. Qualcuna era femminista perché Beyoncé, Emma Watson, Lady Gaga. Qualcuna era femminista perché l’amica l’aveva portata a un collettivo e si era sentita all’improvviso libera di respirare come una che aveva sempre vissuto sott’acqua, senza sapere di avere dei polmoni. Qualcuna era femminista perché dopo essere andata al collettivo si era spaventata moltissimo, e per anni non ne aveva voluto sapere – tutte quelle femmine incazzate! – ma un po’ di quell’esperienza le era rimasta dentro, e alla lunga le aveva fatto venire voglia di capire meglio cosa si stava perdendo. Qualcuna era femminista perché aveva fatto la volontaria in un Centro Antiviolenza. Qualcuna era femminista perché il fidanzato era uno stronzo. E infatti non erano più fidanzati. Qualcuna era femminista perché il fidanzato era femminista. Non erano tante. Ma qualcuna c’era. Qualcuna era femminista e aveva fatto diventare femminista pure il fidanzato. Qualcuna era femminista perché era lesbica, e non aveva il problema di dover piacere ai maschi. Qualcuna era femminista perché era trans. Qualcuno era femminista perché era trans. Qualcun* era femminista perché era trans, o non-binary, o entrambe le cose. Qualcuna era femminista, ecologista, antirazzista, antiabilista, antispecista e vegana, e aveva comunque un sacco di amici. Qualcuna era femminista perché se no stava sempre incazzata e non sapeva perché. Qualcuna era femminista perché da quando le erano spuntate le tette non era mai passato giorno senza che qualcuno si prendesse la libertà di dirle cosa le avrebbe fatto se solo avesse potuto. Qualcuna era femminista perché prima non era femminista, ma poi era stata discriminata sul lavoro e le uniche a venire in suo soccorso, invece di colpevolizzarla, erano state le femministe. Qualcuna era femminista ma si vergognava a dirlo. Qualcuna era femminista e non lo sapeva.
Nessuna, nessuna, nessuna era femminista perché era brutta e quindi i maschi la schifavano. Eppure è successo a tutte, o a quasi tutte, di sentirselo dire: sei femminista perché sei cessa, scopa di più che magari stai meglio.
Conosco Giulia ormai da anni più virtualmente che di persona e quando posso leggo tutto quello che scrive. Dalla narrativa ai saggi sul femminismo. Perché parlano di cose che mi riguardano da vicino. Anche Brutta mi riguarda da vicino pure essendo un saggio che parla tanto di lei. Mi riguarda per generazione, per età e per sorellanza. Mi riguarda anche perché sono sempre stata brutta anche io davanti allo specchio. Mi accorgo leggendo Giulia, però, che tante cose del mio sentirmi brutta mi hanno fatta soffrire meno da una certa età in poi. Ma queste cose che mi facevano soffrire prima e poi hanno smesso in un certo senso hanno trovato un nome nella lettura. Alcune sotto forma di concetti che non ho mai elaborato prima. Altre sotto forma di definizione. Una, piuttosto ironica, è il paragone del cazzo alla bacchetta di Harry Potter (per cui non so se la perdonerò). L'altra la cercavo da anni. I paninari erano i fascisti di sempre, solo in technicolor. Ecco cos'erano ed ecco perché sono ancora oggi il peggior incubo della mia preadolescenza. Mi serviva,Brutta, per definire molto di me. Lo consiglio a tutte le ex bambine e adolescenti che sono cresciute sentendosi brutte
[parlando di catcalling] "La leggenda narra di un essere mitico, la Complessata, che vaga per le strade delle città alla ricerca dell'attenzione maschile. [...] Ma gli uomini sono all'oscuro di una leggenda ben più temibile, che le donne si tramandano a loro volta nel segreto delle loro stanze: è la leggenda della donna che non ti ha chiesto niente, Giancoso."
La lettura è veloce e scorrevole. Ma un femminismo superficiale che dilaga in tutte le pagine, poco profondo e molto banale, mi ha fatto spesso storcere il naso. Carina la riflessione finale sul proprio corpo, ma oltre a quello ho assorbito gran poco: tutte troppo semplificato.
Che bel libro! Giulia Blasi non delude mai, e con quest'ultimo suo onesto racconto del corpo femminile, credo abbia superato se stessa. Blasi è riuscita, attraverso la sua esperienza di "corpo normale", non brutto, non bello, non disabile, non appartenente a nessuna minuranza specifica, a descriverci il dramma dell'abitare un corpo femminile, qualunque esso sia. Ce lo racconta attraverso la sua esperienza personalissima, attraverso i suoi aneddotti dell'infanzia, in cui scopriamo di riuscire a identificarci perfettamente, anche se credevamo che quelle prese in giro, quel disagio nell'abitare il nostro corpo, fosse completamente normale. E così apprendiamo dell'esperienza umana di Giulia Blasi, del momento in cui ha indossato gli occhiali, del suo corpo filiforme, del suo costante sentirsi inadeguata, delle prime cotte, del suo amore-odio verso il suo viso, verso il make up, verso il suo naso rotto. Un turbinio di aneddoti così rappresentativi, che è impossibile non identificarsi, non pensare "quella potrei essere io". Credo che questo libro contribuisca a creare una specie di solidarietà femminile, sdogana tanti stereotipi, ci fa capire che non siamo sole (nemmeno nella menopausa, di cui non si parla praticamente mai), ci fa capire che quel dramma, prima o poi, lo viviamo tutte, e tutte abbiamo il diritto di usare il meccanismo di coping che riteniamo più opportuno; perchè alla fine, ciò che conta è anche sentirsi belle. E' inutile dire che l'accettazione di sè prescinda da questo, ogni donna sente il bisogno di sentirsi bella, e soprattutto di spogliarsi del senso di colpa nel momento in cui pensa di esserlo.
Un libro intenso e personale, in cui Giulia Blasi affronta senza filtri il tema del rapporto conflittuale con il proprio corpo. La narrazione è schietta e toccante, raccontando una storia che molte persone possono sentire propria. Blasi mette a nudo le sue insicurezze e lotte con una sincerità che colpisce, e riesce a trattare temi come il body shaming e la pressione sociale con lucidità e ironia. È un libro che fa riflettere, che ti spinge a rivedere il tuo modo di percepire il corpo e la bellezza. Come sempre, apprezzabilissimo lo stile dell'autrice, per me davvero scorrevole e piacevole.
È un libro molto personalistico, che racconta una storia soggettiva, ma con gli strumenti di analisi di una femminista di lungo corso e che penso risuoni a molte di noi. È la storia di un corpo banale e per questo è facile identificarsi: io, almeno, mi sono molto identificata. Forse era anche il momento giusto in cui leggerlo, perché avere vent'anni è divertente finché non sei tu ad avere vent'anni. Non è la prima volta che mi sento più compresa leggendo Giulia Blasi, quindi, intanto, grazie. In attesa di un mondo in cui il mio corpo non sarà più oggetto di discussione, in cui potrò andare a lavoro senza preoccuparmi di come appaio, ma solo della mia preparazione e competenza, grazie.