Caterina è al suo primo incarico importante: ingegnere responsabile dei lavori per la costruzione dell'argine di Spina, piccolo insediamento dell'alta pianura padana. Giovane, in un ambiente di soli uomini, si confronta con difficoltà di ogni sorta: ostacoli tecnici, proteste degli ambientalisti, responsabilità per la sicurezza degli operai. Giorno dopo giorno, tutto diventa cantiere: la sua vita sentimentale, il rapporto con la Sicilia terra d'origine, il suo ruolo all'interno dell'ufficio. A volte si sente svanire nella nebbia, come se anche il tempo diventasse scivoloso e non si potesse opporre nulla alla forza del fiume in piena. Alla ricerca di un posto dove stare, la prima ad avere bisogno di un argine è lei stessa. È tentata di abbandonare, dorme poco e male. Ma, piano piano, l'anonima umanità che la circonda - geometri, assessori, gruisti, vedove di operai - acquista un volto. Così l'argine viene realizzato, in un movimento continuo di stagioni e paesaggi, fino al giorno del collaudo, quando Caterina, dopo una notte in cui fa i conti con tutti i suoi fantasmi, si congeda da quel mondo. Con una lingua modellata sull'esperienza, Veronica Galletta ha scritto un apologo sulla vulnerabilità che si inserisce in un'ampia tradizione di letteratura sul lavoro, declinandola in maniera personale.
Illeggibile. Mi dispiace, ma non trovo un solo lato positivo in questo libro. Lo stile è pesante e forzatamente incomprensibile, come se fosse stato reso illeggibile apposta per farlo sembrare qualcosa di "potente". Virgole a caso, gettate in pasto alle galline. Se fossi stata l'editor mi sarei messa le mani fra i capelli, ma visti i refusi e le ripetizioni, questo romanzo non ha mai visto editing. I dialoghi non vengono segnalati come tali o distinti dai pensieri: si fa fatica a capire chi sta parlando, chi sta reagendo, se la protagonista sta solo pensando. I personaggi sono inconsistenti, la protagonista è insulsa e vittimista. Sembra lo stereotipo di una femminista acida vista da un misogino, pronta a indignarsi per offese che non ha ricevuto. Da una scrittrice di sesso femminile ci si aspetterebbe capacità di mostrare il sessismo, dato che fa certamente parte della sua esperienza; temo che qui si sia partite dal presupposto che "se Nina dice che è sessismo allora è sessismo", per giustificare la scarsa capacità di osservazione e descrizione della realtà della scrittrice. La trama è inesistente. Viene da domandarsi quale sia il criterio secondo il quale cose simili vengono non solo pubblicate, ma addirittura proposte ai Premi, passando la selezione per diventare finaliste. Molti italiani sono lettori da un solo libro l'anno e si orientano a seconda dei romanzi che si fanno notare, quelli che vincono premi importanti o diventano casi di discussione. Non dovremmo lamentarci che sempre meno italiani leggono, se si trovano fra le mani cose simili. Nel peggiore dei casi, si sentiranno presi in giro. Nel migliore dei casi, la cieca fiducia nell'auctoritas ("se è diventato finalista ci sarà una ragione") li convincerà di non essere, semplicemente, buoni a leggere. E allora apriranno Netflix. Buon fallimento, editoria italiana.
Una giovane ingegnere alle prese col suo primo cantiere importante, tra le difficoltà del lavoro e della sua vita personale. Su di me ha avuto un buon effetto calamita, ma alla fine non ci ho ricavato niente di speciale. La protagonista poi è proprio antipatica, egocentrica, solo "io, io, io", se ne frega praticamente di tutti, è sempre stanca e lagnosa, non vuole mai problemi, fa di tutto una tragedia ed è difficile scostarsene perché nel romanzo c'è solo lei, gli altri personaggi sono di contorno. Anche se alla fine migliora, perché l'autrice è in grado di farla evolvere, resta comunque antipatica. Poi c'è un pezzo di realismo magico che non si capisce a cosa serva, l'ho trovato totalmente inutile. Insomma, non è brutto, però gira in tondo e mi sembra che alla fine sia un romanzo che si scorda facilmente. Un po' come questo commento insomma.
Dall'abbandono, dalla solitudine, dalla scarsa stima delle proprie capacità alla rinascita individuale, solitaria, non guidata da consulenti psicologici ma dalla forza stessa della terra, del lavoro, del dovere, del rispetto verso se stessi, dal coraggio di lasciar andare il passato quando è passato, dalla consapevolezza che non si può chiedere nulla a nessuno, tantomeno a "un santo che non suda". Linguaggio chiaro, semplice, tecnico al punto che mi piace per la sua non approssimazione. Il tema del lavoro femminile è sottolineato, ma la donna non appare essere qui una vittima, piuttosto risalta l'arroganza e l'ignoranza di certi uomini o del sistema. Mi è piaciuto. Aiutati che Dio ti aiuta.
Continua il calvario autoinflittomi tra i finalisti del Premio Strega. Procedo sempre con maggior scoramento. Il libro è quasi illeggibile, affogato di tecnicismi edilizi che non aggiungono alcunché alla narrazione. Il riscatto e la palingenesi della protagonista sono poco convincenti, così come la narrazione dei suoi stati d’animo manca del tutto di coinvolgimento emotivo. Boh?
Caterina, detta Nina, è un’ingegnera a cui viene affidata la direzione dei lavori di una diga a Spina, in alta Val Padana.
Tante difficoltà legate al fatto che sia donna in un ambiente prettamente maschile, che sia al suo primo lavoro importante, che debba far fronte a tante complicazioni.
E Caterina “E ora è giovane, precisa, puntigliosa.” E questo suo essere precisa e puntigliosa non le rende certo la vita facile.
“Nina. Ma che è successo? È che la vita è un casino, ecco quello che è successo, pensa Caterina, mentre avvita la caffettiera stringendo forte. Poi rimane là, davanti al cucinotto, ad aspettare che il caffè esca. ”
E Nina lo sa, nel cantiere, come nella vita, è sempre nella mancanza di comunicazione: “Se un giorno tutto questo crollerà, pensa Caterina, cosa dirò al processo? Sa, signor giudice, il problema era che non comunicavamo abbastanza. In fondo non è quello che si dice sempre? In cantiere come nella vita, alla base ci sono solo problemi di comunicazione. ”
Caterina non si lascia scoraggiare, anche quando il collaudo non si riesce a portare a termine perché i tempi non sono maturi e ripensa ai tempi dell'università a quando studiava scienze dei materiali e si comparava l'acciaio con la ghisa: “Per questo forse proprio oggi le viene in mente che ha sempre preferito la ghisa, con quel colore grigio opaco, dura ma fragile, inadatta alla trazione e alla flessione, ma resistente alla compressione e alla corrosione. Come in La cicala e la formica di Rodari, non ha alla corrosione. Come in La cicala e la formica di Rodari, non ha dubbi: sta dalla parte della ghisa, che la sua fragilità non vende, regala.”
Sul cantiere farà tesoro dell'esperienza dei suoi colleghi che hanno assolutizzato l'esperienza lavorativa: “Così il cantiere diventa tutto. Diventa casa, diventa famiglia, diventa consolazione.”
E lei sa che non può essere così. “Le poche case le scorrono accanto, nel suo tragitto. Adesso Caterina sa che per ognuna di loro c’è fuori un fantasma, una presenza che veglia e che protegge chi rimane. Una presenza che arriverà anche per lei, quando finalmente riuscirà a comprendere quale è il luogo che per lei si chiama casa.”
Una storia originale che si svolge per gran parte in un cantiere di costruzione di un argine, le tematiche sono importanti: il ruolo di una ingegnere donna in un mondo lavorativo prettamente maschile, la professionalità e l'onestà sul lavoro, le morti sul posto di lavoro, ma anche la crescita personale, la forza, il coraggio e la maturità di essere se stessi in toto e accettarsi per come si è. L'argine in costruzione diventa sia una protezione, una barriera, un'àncora che un muro da scavalcare o in cui far breccia per riappropriarsi del proprio Io. La scrittura è molto lineare e semplice e la storia e i protagonisti sono presentati con poca profondità, poco scavo.
Caterina è un ingegnere al suo primo cantiere importante. La piena del fiume da arginare diventa metafora dell'onda che la investe nella vita privata. Il corpo è, anch'esso, una struttura progettata per resistere, in qualche modo. Limitare i danni. Pietro, il suo compagno è andato via. Lo ha sempre fatto, si è sempre comportato come l'acqua, ritraendosi e tornando al punto di partenza. Nel mentre ha scavato e riempito vuoti. Ma adesso è diverso, e Caterina deve riuscire a fare su di sé quello per cui ha studiato: costruire e ricostruire. Sulla scia del suo romanzo d'esordio, Veronica Galletta continua a indagare lo spazio strettissimo degli spiragli psicologici che riescono a essere al contempo irreali e solidi, come i ricordi, come le ossessioni e la forza dell'acqua. E lo fa in un romanzo che ribalta gli stereotipi di genere, ma anche quelli base. Per cui arriviamo a fidarci di un fantasma e un cantiere diventa casa.
Nina è una giovane ingegnera, che dopo anni trascorsi sui libri e in ufficio, si ritrova a guidare i lavori della costruzione dell'argine di Spina, frazione di Fulchré, con tre certezze: è una donna, è emigrata e lavora in un ambiente totalmente maschile.
Mentre i lavori al cantiere proseguono tra problemi burocratici e incomprensioni, anche Nina azzera e ricostruisce la sua vita, ponendo fine a una relazione dolorosa e imparando ad accettarsi per quella che è.
Il cantiere diventerà la sua casa, il geometra Bernini e l'assessore due volti amici e l'argine assumerà il valore di un limite da valicare, ma anche di una porta aperta da cui entra il passato, quello di Antonio, un operaio morto sul lavoro che avrà il ruolo di guida della stessa Nina.
Nina riuscirà a sfondare l'argine delle sue fragilità e incertezze? Per scoprirlo leggete "Nina sull'argine"
Perché certi pensieri, anche a non volerli pensare, rimangono annidati in aree del nostro cervello, e finiscono per spingere, per cercare di uscire, anche quando non vorresti.
Pianura Padana. Caterina è un ingegnere responsabile dei lavori per la costruzione dell'argine di Spina. L'ambiente lavorativo presenta diverse avversità: in primis il suo ruolo, abitualmente e pregiudizievolmente maschile e poi, nemmeno la sua situazione sentimentale va a gonfie vele….. Pietro, che è pure un collega, se ne andato di casa... per un'altra donna. Un viaggio che l'autrice declina sulla protagonista, divenendo metafora di vita per se e per tutti noi. Si può provare stima o antipatia per Caterina e quindi si è in grado di scegliere se far parte o meno di quella "squadra" che in un modo o nell'altro dovrà arginare la forza del fiume in piena e la vita di Nina. La protagonista sicuramente può risultare fastidiosa, è anche una meridionale "anomala", decisamente fuori dai soliti schemi; ma soprattutto è accorta, prevenuta e corazzata fino al collo. Sfodera freddezza per celare la sua profonda insicurezza. Intimamente ha perso ogni riferimento, non può permettersi di smarrirsi soprattutto al cantiere.. e nel mentre, l'altra Caterina non la lascia mai. "una fugge e l'altra la insegue." Quando torna a casa c'è soltanto Nerina, la gatta, e giorno dopo giorno la sua vera casa diventa il cantiere stesso.
Li incontrerà anche Antonio, il personaggio che dona quel piacevole tocco misterioso; un fantasma? un illusione derivata dalla sua ansia costante per gli infortuni sul lavoro? Sicuramente prenderà un proprio ruolo sotto forma di guida, una specie di consigliere durante le scelte più importanti. Gli incontri con Antonio sembreranno scanditi e scelti dalla Natura, che in un modo o nell'altro, crea dei processi mutualistici dappertutto, anche in un mondo fatto di calcoli matematici e ingenieristici. "È che la vita è un casino. E io comunque mi chiamo Caterina.”
«Costruire un argine è una cosa complessa. Bisogna calibrare bene la quantità di terra fin dall’inizio, evitare le corde molli, prevenire i dilavamenti. Perché se si forma una breccia, puoi anche riparare, ma qualcosa rimane. Perché non basta ridipingere la casa e spostare tutti i mobili. Chiudere le fotografie di prima in un cassetto. Anche con la casa tinta e bianca come la sua vita adesso. Pulita, ordinata, lineare. Una traccia rimane. L’argine lo sa. La memoria rimane.»
Romanzo intenso e complesso questo. A suo modo ellittico. Sobrio nello stile, asciutto e tagliente nel contenuto. Preciso, e forse anche un po’ troppo minuzioso, nelle descrizioni tecniche.
In breve: a Caterina, ingegnera antelitteram (quando la parola suonava ancora troppo strana) viene affidato un cantiere situato in un oscuro paesello padano, dove afa e nebbia si contendono il primato. Si tratta di mettere in sicurezza l’argine di un fiume la cui piena ha provocato, nel tempo, più di un’alluvione.
Caterina è giovane, preparata ma poco esperta, unica donna in un mondo maschile: geometra, assessore, architetto, operai. Deve farsi valere, deve mettere in chiaro fin da subito il suo ruolo, trasmettere la sua autorevolezza. E perciò fin dall’inizio si attrezza a tener testa a chiunque, ma soprattutto, oltre a pianificare la ricostruzione dell’argine, Caterina deve provvedere a tenersi in piedi, a ricostruire sé stessa da dentro, perché non le dà tregua il fantasma di Pietro, il compagno di una vita che da un giorno all’altro l’ha lasciata.
Mentre combatte con il clima infelice della pianura (ad agosto, poi), e cerca di non soccombere al proprio dolore, un altro fantasma le appare: quello di Antonio, un operaio, meridionale come lei, con una storia di sfruttamento che comincia- o forse finisce- a novembre (e così si intitolano i capitoli che interrompono la narrazione principale).
La storia della costruzione dell’argine è la storia di una eterna battaglia, non solo di Caterina (intimamente Nina), ma anche di altri personaggi che incontriamo tra le pagine; è una battaglia di esseri umani alle prese con la durezza e la resistenza della natura, con la solitudine e la complessità delle relazioni reciproche, ma soprattutto con la densità fantasmatica delle proprie ombre.
(“ehi Siri, ricordami ogni giorno che i gusti son gusti. La Lettura ha dato 2 stelle su 5 alla copertina di Nina sull’argine, a me è sembrata magnifica”).
Nina sull’argine è la storia di Caterina, nominata – anche a seguito di un repulisti dell’ufficio da parte della Magistratura – ingegnere responsabile della costruzione di un sistema di protezione contro gli straripamenti di un fiume. Il contesto – e anche un certo occhieggiare della quarta di copertina – potrebbero indurre a ricercare nel romanzo una vena di confronto uomini da cantiere vs. donna capo che ho trovato solo in leggerissimo sottofondo; decisamente più presenti tutti gli aspetti psicologici di una giovane donna a confronto con la costruzione di un’opera ingegneristica e, più evidentemente ancora, di se stessa. Caterina combatte, molto evidentemente, più con i suoi limiti – veri o presunti tali – che con l’ambiente che la circonda, vive il contrasto fra un rapporto sentimentale in disfacimento e la nascita di nuovi rapporti umani. Poco a poco, in un racconto che intreccia narrato e ricordato, dialogo e soliloquio, si sorprende ad affrontare sfide che non immaginava e a superare la distanza fra ciò che è scritto nei manuali e ciò che costituisce realtà. Il racconto si fa anche para-fantastico, nel rapporto con un uomo (o un fantasma?) di cui non dirò altro ma che regala al volume un pizzico di realismo magico.
Confesso però di essermi perso più volte: a volte negli esasperati tecnicismi del testo (un paio li ho approfonditi, ma poi ho gettato la spugna), in altri momenti nel tentativo di inquadrare la protagonista, che mi sfuggiva per forza e debolezza radicalmente alternate anche dopo poche pagine. Ma, in fondo, non è stata una lettura spiacevole, più simile – nella mia lettura – ad una passeggiata nella nebbia avvolgente dell’ambientazione che alla forza dirompente di un fiume che spacca gli argini.
Mi piace lo stile della Galletta, asciutto, lucido, freddo a tratti. Questo romanzo forse mi è piaciuto meno del precedente, perché gli argini, e i ponti e le opere idrauliche non sono decisamente il mio forte ma mi piace la voce di questa autrice che, forse, non ha ancora scritto il 'suo' libro ma io la tengo d'occhio perché sono certa arriverà.
Devo ammettere che non sapevo bene cosa mi sarei trovata davanti: una storia di femminismo? Una denuncia della situazione dei lavori cantieristici? Quando mi sono trovata davanti una storia che indaga soprattutto sul senso di inadeguatezza e sui fantasmi che tutti ci portiamo dietro, e che spesso abbiamo paura di affrontare, sono rimasta spiazzata.
La lettura, nonostante la difficoltà a individuare cosa è dialogo e cosa è pensiero, travolge proprio come un fiume in piena, lasciando che sia Nina a cercare di guidarci tra la nebbia della pianura, affidandoci e perdendoci insieme a lei.
A volte un libro non deve avere una conclusione. Questo libro racconta una storia, è quasi un flusso di pensieri. Parla di vita, parla di amore, parla di dolore ma lo fa in maniere lieve, sfiorando appena gli argomenti e lasciandoci sentire giusto il sapore sulla punta della lingua. Ho letto tanti commenti negativi, ma mi sento di dire di aver apprezzato molto il libro, forse perché ha toccato delle mie corde interiori che già stavano risuonando.
Il testo pieno di tecnicismi lo rende davvero pesante e pure nei dialoghi si fa fatica a capire chi dice cosa (cari scrittori, visto che hanno inventato le virgolette, usatele!).
La protagonista ("io sono io e voi non siete un cazzo") è una ingegnere che non vuole essere chiamata signora, acida e vittimista e piagnona e chi più ne metta. Siamo sicuri che questo romanzo sia stato scritto da una donna? Non fa certo onore al genere. E poi, davvero è entrato nella cinquina-settina dello Strega? Allora sono io che di letteratura non capisco niente.
Buona parte del romanzo è incentrata sul cantiere all'argine e i tecnicismi dei lavori. Il fattore umano, il mostrarsi e relazionarsi, risulta ovattato, rigido come la galaverna padana. Il romanzo pare voler essere imbrigliato dentro argini emotivi e, analogamente a Caterina, il ritmo è in levare. Ritmo che incespica nell'omogeneità tra narrato e dialogato, ma non discuto la scelta, forse dettata dall'arginare stilisticamente in un flusso unico.
Questo libro è candidato per essere il peggiore dell’anno. È illeggibile. Trama inesistente, personaggi inconsistenti, noioso, senza capo né coda. Mi spiace, proprio no!
Quando ordini sulla carta Nina sull’argine di Veronica Galletta ti aspetti di leggere dinamiche fin troppo note sull’attualità italiana e invece ti ritrovi sulla tavola un pizzico di romanzo di formazione che dà a questo finalista del Premio Strega un sapore inatteso. Le sensazioni lasciate da una relazione terminata si intrecciano con i timori e l’entusiasmo di un’evoluzione lavorativa, una posizione più interessante ricevuta grazie a quello che può accadere in un ufficio di ingegneri civili in Italia: l’arresto, per corruzione, del proprio capo. In questi capitoli Nina imparerà a entrare in punta di piedi in una comunità che poco comprende la necessità di erigere quel nuovo ponte, scoprendo che per esserne ufficialmente parte dovrà provare quel piatto tipico che proprio non l’attira. Scoprirà come dare il giusto peso alle cose, a mettere argini a fiumi in piena: quelli reali, quando l’acqua irrompe senza chiedere, e quelli della mente, quando i pensieri si arrovellano.
È un romanzo di cose piccole e grandi, come un film di Mazzacurati, come una canzone di Nick Drake. Come un crepuscolo di sogno e di carne, di freddo e mancanza, di terra e sguardi. Un romanzo che ricorderò a lungo.
3.5 Libro carino. Non sapevo bene cosa aspettarmi (come sempre quando leggo letteratura contemporanea) e ho provato sentimenti contrastanti. Sono rimasta un po' delusa dal background della protagonista che soffre per la separazione dal compagno, ma allo stesso tempo ho apprezzato profondamente le descrizioni tecniche e ingegneristiche del progetto di Caterina, che sono sicuramente state le mie parti preferite. Ad ogni modo non credo sia un libro per tutti, perché se non si è del settore si possono trovare noiosi quegli aspetti tecnici che invece fanno sorridere gli addetti ai lavori.
Caterina (Nina) è un ingegnere al suo primo incarico importante: costruire l'argine a un fiume per evitare futuri straripamenti. Deve affrontare le difficoltà di farsi accettare dai colleghi (tutti uomini) come ingegnere donna, deve affrontare luoghi comuni sui meridionali trasferitisi al Nord per lavoro (lei è una siciliana che vive nella pianura padana), se la deve vedere con il lavoro in nero e lo sfruttamento di manodopera, e deve affrontare anche una crisi sentimentale perché è stata lasciata dal compagno dopo una relazione durata 15 anni.
Leggendo alcune recensioni mi aspettavo forse troppo da questo libro. Le premesse erano tutte interessanti, ma alla fine il libro parla (troppo dettagliatamente per i miei gusti) della costruzione di questo argine e solo occasionalmente di Nina e delle difficoltà che deve affrontare sia sul lavoro che nella vita privata. Anche l'introspezione di Nina lascia a desiderare. Qua e là ci sono alcune citazioni interessanti, ma alla fine nessuno degli argomenti, tranne la costruzione dell'argine, viene approfondito. Purtroppo il libro si conclude con un bel "trovare il proprio posto nel mondo" che mi ricorda troppo Fabio Volo.
Ho anche riflettuto sulla costruzione dell'argine come metafora delle varie difficoltà della vita che ci travolgono come un fiume in piena e della costruzione di un argine personale come protezione, ma anche in questo caso l'autrice non è riuscita a colpirmi.
Inoltre, per essere un libro pubblicato da una casa editrice, contiene refusi.
Purtroppo,non essendo io una geometra,un architetto o un ingegnere,non ho capito assolutamente nulla! I termini troppo tecnici e specifici del settore,mi hanno reso ostica la lettura di questo libro. Ciò che ho colto è la tenacia della protagonista nel suo farsi valere come donna e come professionista; la tormentata fine della sua storia d'amore e la presenza di un istrice sulla strada. Non ho compreso nient'altro sicuramente per miei limiti di conoscenza specifica che hanno fatto sì che questo romanzo mi risultasse estremamente noioso e piuttosto incomprensibile. Purtroppo,dunque,non ne consiglio la lettura a chi,come me,non fa parte del mondo dell'ingegneria, dell'architettura o di ambienti simili.
La bellezza di questo libro sta nella sua unicità, personalmente non ho mai letto altro di neanche vagamente simile. All'inizio ero scettico a causa della materia trattata, non sono un grande appassionato di letturatura del lavoro e in particolare l'ingegneria è quanto di più lontano dal mio ambito di studi, eppure l'autrice è riuscita a farmi appassionare e, perché no, ad insegnarmi qualcosa su un argomento per me nuovo. Ho trovato davvero interessante potermi calare nei panni di un ingegnere, poter comprendere le mille difficoltà di un cantiere e capire quanto di umano ci sia in un lavoro che sembrerebbe così scientifico. Degno di nota è anche il rilievo dato alla figura femminile e alle mille difficoltà nel lavorare in un mondo tipicamente fatto di uomini e maschilista.
Lettura che mi ha fatto provare pochissime emozioni - se non un bel po' di noia e confusione -, ma almeno adesso so TUTTO quello che mi serve per costruire un argine. A saperlo prima, però, avrei comprato direttamente un libro di ingegneria...
Personaggi bidimensionali (giusto Bernini si salva un po'), protagonista scostante e rarefatta, contesto fin troppo calcato e ridondante. Lettura, a mio modestissimo parere, sconsigliata.
3,5 stelle. Siamo all’inizio degli anni Duemila, e Caterina ha da poco iniziato a lavorare in uno studio di ingegneri quando uno scandalo travolge gran parte dei suoi colleghi e a lei viene assegnata la costruzione dell’argine su un tratto di fiume a Spina, frazione di un piccolo paese immaginario dell’alta pianura padana. Il progetto ha mille difetti e problemi da risolvere: calcoli da rifare, espropri, contestazioni da parte della popolazione locale…si prospetta una vera sfida per lei che non ha mai diretto un cantiere importante finora, e che dubita delle proprie capacità come chiunque entri nel mondo del lavoro per la prima volta dopo tanti anni di studio universitario. Ma il cantiere sarà la sua palestra di vita, per imparare a farsi rispettare dai colleghi maschi e per cercare di ridare un senso alla sua vita dopo che il fidanzato storico l’ha lasciata per un’altra ragazza più giovane. Ho trovato questa lettura molto piacevole, originale per quel che riguarda l’ambientazione, molto introspettiva e legata allo scorrere del tempo. Le lunghe parti di descrizione del cantiere e dei vari lavori svolti dagli operai sono e resteranno per me un grande mistero, perché i termini usati sono molto tecnici e chi non è del settore farà fatica a seguirli; mi è piaciuto però immaginare. Il ritmo della narrazione è molto lento, non accade quasi nulla di eclatante e il finale avrebbe potuto suggerire qualche prospettiva in più, ma nel complesso sono contenta di aver letto questo romanzo.