Si possono coltivare le passioni in un tempo ingeneroso? Qualcosa di torbido e inesprimibile affiora alla superficie di questo romanzo. Ed è indefinito, difficilmente afferrabile eppure persistente, come il profumo che porta addosso Lucilla Flores, protagonista di questa storia fosca e al tempo stesso delicata e malinconica. Francesca Diotallevi, con una capacità di raccontare fuori dal comune, ci porta in una piccola provincia del Piemonte della seconda metà dell’Ottocento, dentro la casa di un aristocratico dedito a vigneti e poco d’altro. Dove la servitù inganna il tempo di un lavoro sempre uguale con qualche ingenuo pettegolezzo, e dove arriva a servizio un maggiordomo che prende il posto del vecchio zio appena scomparso. Ma nessun dio oscuro e severo sarebbe stato capace di tanto dolore e di tanta ingiustizia: verso una bimba innocente, e verso la moglie del conte, Lucilla, una donna con il volto «velato di oscurità», smarrita dentro un segreto che non le si addice, che non dovrebbe appartenerle, lei, la creatura più lieve, sospesa e innocente che si possa immaginare. Le stanze buie è una dichiarazione d’amore alle passioni, alla poesia, alla bellezza della natura, a quel femminile che ci meraviglia ogni volta che si rivela a noi. La storia di un amore negato, la prepotenza di un mondo chiuso e meschino, capace soltanto di nascondere, di reprimere, di lasciare che esistenze intere si lascino coprire dalla polvere della storia senza riscatto e senza futuro. Tra queste stanze ferite dal pregiudizio e dall’indifferenza, Francesca Diotallevi trova, però, una luce e una delicatezza quasi preraffaelita e in questo contrasto affila una lama che taglia sempre perfettamente. E mostra che la felicità non è nelle cose del mondo, se il tempo è ostile.
Tutto inizia da un carillon venduto ad un'asta. No, mi sbaglio, tutto inizia 40 anni prima con un viaggio in treno verso le Langhe. No, sbaglio ancora, perché tutto ha avuto inizio molto tempo prima e tutto ha come punto di arrivo Vittorio. Vittorio che con quel treno è partito da Torino per adempiere al testamento dello zio appena morto e di cui sta andando a prendere il posto come maggiordomo nella villa di campagna dei conti Flores. Vittorio che quel viaggio non vorrebbe proprio farlo, gli pesa perdere la posizione prestigiosa che si è faticosamente guadagnato a Torino per... per cosa? Una villa in mezzo al nulla, con poco personale da gestire, polvere ovunque, un padrone ombroso che a casa sta poco. E poi le invidie del cameriere che si è visto soffiare il ruolo, quelle stanze che non si possono aprire, le ombre, gli episodi strani, e quella bambina, la figlia dei padroni, Nora. Tutto strano, tutto bizzarro, niente che rientri nelle precise regole che lui si è sempre dato e ha sempre seguito. Fino a quel momento, quando una dopo l'altra le sue barriere crollano e lui stesso quelle regole le infrangerà per arrivare ad una verità che sconvolgerà completamente la sua vita.
De Le stanze buie avevo sempre sentito parlare in modo eccellente e dopo aver letto Dai tuoi occhi solamente e aver conosciuto Francesca Diotallevi come scrittrice le mie aspettative erano molto alte. Forse troppo e infatti un filo di paura di rimanere delusa la avevo. Ora, dopo averlo letto, sono invece stupefatta da come questo possa essere solo un romanzo di esordio. Francesca Diotallevi qui ci dimostra già un metodo di scrittura pieno e maturo, ma anche la creatività e l'arguzia di creare un romanzo quasi gotico ma non scontato, lontano dagli archetipi che abbiamo tutti in testa e puramente personale. Lo stile di questo libro sembra abbracciare tanti tipi di romanzo, toccarli uno a uno e poi riuscire a fonderli in qualcosa di nuovo e unico, proprio della sua scrittrice.
Le atmosfere che ha saputo creare sono da un certo punto di vista iconiche, proprie del gotico, con la villa di campagna piena di ombre e scricchiolii, gli episodi inspiegabili, la paura che ha impregnato quelle pareti. Eppure c'è dell'altro, perchè non è la paura o la percezione di essa che la fa da padrona, è l'ansia della scoperta, la curiosità di sapere e la voglia di spingere Vittorio ad aprire quelle porte, a parlare con Nora, a cercare Lucilla.
Perno centrale del racconto è il suo protagonista, non una donna tutta pizzi e merletti, ma un maggiordomo tutto di un pezzo, rigido e fermo nel suo ruolo. Vittorio solo questo sa: ognuno nel mondo ha il suo posto e il suo ruolo e a questo ci si deve attenere. Non sa, o meglio ancora non sa, che a volte però la vita improvvisamente vira, cambia il suo percorso e ti porta fuori dai binari segnati, i ruoli vanno gambe all'aria e l'uomo non può fare altro che lasciarsi travolgere. E questo lui farà, alla fine, si farà travolgere, brucerà quei guanti sporchi di sangue e poi cercherà di dimenticare, finché un carillon non lo riporterà 40 anni dopo di nuovo a casa Flores.
Come descrivere la scrittura di Francesca Diotallevi? Gli aggettivi magnetica, ipnotica, ammaliatrice, basterebbero solo per cominciare.
Quando si inizia un suo romanzo, difficilmente si riesce a posarlo. Con “Le stanze buie” vi risulterà quasi impossibile.
Perché i passi che compirete sin dalle prime pagine vi lasceranno intendere che c’è molto da scoprire, tanto da fraintendere, parecchio che vi lascerà di stucco.
Gli spettri vivono dentro di noi. Gli spettri, talvolta, siamo noi.
Seguirete Vittorio, uomo serio e onesto, che accetterà le ultime volontà di uno zio che non aveva mai nemmeno visto, finendo in una casa che nasconde tante verità.
Di quelle difficili da immaginare, figuriamoci da accettare.
Della trama del romanzo, in pratica non posso dirvi nulla. Gli eventi sono talmente intrecciati, mentre si fanno portatori di menzogne e verità taciute, che anche solo accennare qualcosa rischierebbe di darvi delle ancitipazioni. E io desidero lasciarvi il piacere di scoprire da soli ogni cosa.
In “Le stanze buie” lento e inesorabile è il cambiamento di Vittorio, tratteggiato con cura nel descrivere quel mutare di gesti quotidiani, oltre che scavando nelle pieghe di sentimenti che non credeva potessero appartenergli.
È un personaggio che mi ha colpita molto, per il travaglio interiore che si è ritrovato a gestire, per i suoi modi composti, per la capacità di trovare le parole giuste, di essere presenza silenziosa ma confortevole. Per aver sempre fatto i conti con se stesso. Per non aver indurito il cuore.
Sarebbe stato fin troppo semplice empatizzare con Lucilla, ma per me la vera rilevazione del romanzo rimane quel maggiordomo che, mosso da un impulso che comprenderà solo anni dopo, ha acquistato un carillon.
Francesca Diotallevi tesse una trama ricca di tensione emotiva, in un susseguirsi di confidenze ed eventi che vi terranno davvero con il fiato sospeso. Ogni piccolo tassello viene inserito con grazia e padronanza della storia, in modo che il lettore venga incuriosito e diventi smanioso di sapere.
Alla fine, la commozione arriva. Si fa ricarico di tutto quello che ha accumulato lungo la strada, rompendo gli argini davanti a una comprensione totale della storia. E, ancora una volta, Vittorio sorprende, stupisce e crea un legame profondo con il lettore.
Anche meno. Deludente lettura di cui mi è piaciuto solo l’inizio che sembrava vagamente promettere qualcosa non pervenuto: ambientazione storica a mio modesto parere scialba e imprecisa, più manichini che personaggi, nessun vero approfondimento, trama assurda (non che il realismo sia l’unica strada percorribile, però qui non c’è consistenza), non ho apprezzato molto nemmeno lo stile. Speravo di imbattermi in qualcosa di diverso e da qui le mie valutazioni.
Lo confesso: se non fosse stato perché mi è stato consigliato, probabilmente non avrei mai scelto di leggere “LE STANZE BUIE”, e sarebbe stato un gran peccato! La trama abbraccia un periodo di circa quarant’anni, tra il 1864 e il 1904, ambientata tra Torino e le Langhe, dove Vittorio Fubini si trasferisce per ereditare il ruolo che suo zio e benefattore Alfredo, recentemente mancato, gli ha lasciato nella tenuta di Villa Flores, a Neive. Vittorio è infatti un maggiordomo istruito e molto preparato che, trovandosi ora ad esercitare il mestiere in campagna, si sente svilito e rimpiange le occasioni offerte dalla grande città. Ma la sua deontologia professionale gli impedisce di svolgere le sue mansioni con superficialità, pertanto, decide di dimostrare da subito il proprio valore manifestando assoluta fedeltà e dedizione al nuovo padrone. Peccato che gli strani avvenimenti che accadono nei mesi a seguire la sua assunzione iniziano a minare le sue certezze fino a sconvolgere la sua intera esistenza e il suo futuro. Per quanto io abbia detestato l’incipit, riconoscendo in esso una copia spudorata di “Il fantasma dell’Opera” di Leroux, ho adorato l’intero romanzo. In particolare, ho apprezzato lo stile elegante di Francesca Diotallevi, scorrevole ma evocativo, coinvolgente ed intrigante grazie a flashback e anticipazioni, commovente e drammaticamente ricco di sentimenti, emozioni, ma soprattutto di mistero. Fatti apparentemente inspiegabili, che conferiscono una connotazione gotica all’intera vicenda, oltre a dare l’opportunità di scandagliare i recessi più profondi dell’animo umano e di analizzare le modalità con cui vari tipi di amore possono influenzare in altrettanti modi (estremamente diversi) le azioni delle persone, nella fattispecie dei protagonisti.
Era da tempo che desideravo un libro che mi prendesse così... un libro che mi facesse immergere nella lettura a tal punto da fare fatica a staccarmici, a che, anche dopo averlo momentaneamente riposto, la storia al suo interno mi tormentasse e mi richiamasse a sé con la supplica di proseguirlo! Era da tempo che non mi capitava e sono contenta che questa volta sia successo con un libro di una scrittrice esordiente italiana, che con la sua abile scrittura è stata capace a dare vita ad una storia, a darle vita come se fosse realmente VIVA. Ho acquistato questo libro per via delle opinioni positive sopra la media lette in rete, che auspicavo fossero recensioni autentiche e non complimenti da parte di amici e parenti come spesso accade, dove gli elogi vengono distribuiti fin troppo generosamente. Questa volta l'istinto mi ha detto di fidarmi e se non lo avessi fatto questo libro mi sarebbe capitato difficilmente fra le mani (forse non lo avrei mai letto), in quanto mi rendo conto che con il tempo sto diventando una lettrice sempre più esigente e il mio approccio verso le novità editoriali è sempre più cauto e sospettoso a causa delle troppe fregature, dei troppi libri mediocri spacciati per capolavori. Questo, sono lieta di poterlo affermare, non è un libro mediocre, ma è davvero un piccolo capolavoro! Un romanzo seducente, ipnotico, scritto con magistrale abilità, sembra uscito dalla penna di un'autrice classica, se mi avessero detto che questo libro era stato scritto da qualche famosissimo autore del diciannovesimo secolo ci avrei creduto, perché tutto in questo libro risplende di fascino antico, gotico, ottocentesco. A partire dalla quantità infinita di dettagli dell'epoca, alla scrittura, cadenzata e d'altri tempi, tutto fa presupporre di essere frutto di un professionista, sembra anzi, che questa non sia una semplice storia di fantasia, ma che sia tutto vero, i particolari di ogni scena, di ogni personaggio, sono talmente vividi da risultare impossibile si tratti solo di un romanzo. La trama è riuscita davvero a catturarmi dalle prime righe, fin dal prologo, dove tutto appare ancora nebuloso e riempie la testa di interrogativi. Ogni capitolo, inizialmente, è denso di mistero e fa provare nel lettore una piccola inquietudine, ci si domanda cosa succederà, quale sarà il mistero nascosto che sembra non volere emergere, e piano piano, capitolo dopo capitolo, il mistero finalmente fa il suo capolino, ma ci si fa un'idea completamente sbagliata di esso, perché non vi è nulla di semplice e scontato e solo sul finale tutto viene chiarito. Ma non solo la trama è ricca di colpi di scena e ben congegnata, la completezza e la bellezza di questo libro sta soprattutto nel fatto che è L'INSIEME del romanzo ad affascinare, inclusa l'ambientazione (un po' tenebrosa e assolutamente affascinante che riporta alla mente il fascino delle ghost story) i personaggi (talmente ben caratterizzati che sembra di conoscerli da sempre) i dialoghi (vividi e squisiti) le descrizioni di ogni oggetto, di ogni azione, risulta semplicemente perfetta. Perdersi all'interno delle pagine risulta piacevole a prescindere addirittura dalla trama stessa, anche se la storia a volte presenta qualche digressione è talmente ben scritta da far quasi auspicare che continui così all'infinito, senza trovare mai la parola fine. Eppure la fine arriva, con dei colpi di scena talmente forti da lasciare praticamente senza fiato. Un romanzo che oltre a i mille pregi riesce anche a stupire fino in fondo, inoltre la storia d'amore che si sviluppa al suo interno non lascerà indifferenti neanche gli animi più insensibili (e per dirlo io che solitamente per alcune questioni sono l'insensibilità in persona vuol dire tanto!). Una lettura caldamente raccomandata a chiunque voglia leggere un romanzo degno di questo nome.
Questo è il secondo libro che leggo di Diotallevi, e per la seconda volta mi ritrovo senza parole, stordita da una storia che resta addosso come la più insistente delle fragranze. Diotallevi mette in scena il passato, con personaggi perfettamente abbinati alla loro epoca, e che tuttavia risultano in qualche modo senza tempo, proprio come un'essenza imbottigliata nel suo flacone. Personaggi che, sebbene confinati nello spazio angusto e asfissiante di una villa dai molti segreti, non perdono il desiderio di lottare per guadagnarsi il proprio posto, la propria libertà tra le pagine. A tutto questo si aggiunge uno stile delicato, pulito, che accompagna il lettore per mano dalla prima all'ultima pagina. Ho inoltre apprezzato moltissimo come Diotallevi abbia voluto fondere più generi insieme, creando un meccanismo narrativo perfetto, simile a un carillon con un fondo segreto. E alla fine l'effetto della lettura è come l'eco di un'antica ninnananna: struggente e incantevole.
Le stanze buie di Francesca Diotallevi è stata un’inattesa sorpresa, anche se praticamente tuttə mi dicevano: “è stupendo, fidati”. Non mi sono fidato subito, a dire la verità, perché l’ho lasciato quasi un anno sulla libreria ad attendere il suo momento. Sono ovviamente pentito di questo però, a mia discolpa, è un perfetto libro per l’atmosfera autunnale. Alla morte dello sconosciuto zio il maggiordomo Vittorio Fubini viene chiamato a sostituirlo in una casa aristocratica nella provincia piemontese, lontano dalla vita cittadina. Qui dovrà ascoltare oltre ai soliti pettegolezzi della servitù anche delle vere richieste di aiuto provenienti dal passato. Questo romanzo è un piccolo gioiello gotico, con un alone di mistero e un gioco di luci e ombre che caratterizzano la narrazione. I personaggi hanno dei tratti definiti e reali che rendono piacevole la lettura e che invitano il lettore a proseguire con essa, cercando di scoprire cosa si nasconde in quel buio magistralmente dipinto. Accompagnato dalle note di un carillon, in un contesto nebbioso, uggioso, a fine Ottocento, Le stanze buie è il classico libro da gustare lentamente ma che io ho letteralmente divorato in pochissimi giorni. Preparatevi un bel tè per gustarvi la lettura.
Gli spettri non esisterebbero se non fossimo noi, con i nostri desideri, col nostro amore, col nostro dolore, a trattenerli qua. Gli spettri vivono dentro di noi. Gli spettri, talvolta, siamo noi.
E' raro al giorno d'oggi trovare un'esordiente con la cura del dettaglio e la proprietà di linguaggio di Francesca Diotallevi. Le stanze buie è sì un thriller, ma anche un buon romanzo storico che con cura meticolosa ricostruisce un Ottocento tutto italiano. L'ambientazione è quella dei palazzi signorili - a cui serie tv come Downton Abbey e romanzi come Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro hanno abituato il pubblico italiano -, senonché le lande inglesi devono lasciare il posto alle più nostrane nebbie piemontesi: Le stanze buie si svolge tra Torino e le Langhe, in due piani temporali distinti in cui a raccontare in prima persona è il protagonista Vittorio Fubini, severo maggiordomo spinto dai cimeli di un'asta a rievocare l'anno saliente della sua lunga esistenza. Convocato a Villa Flores dalle ultime volontà del defunto zio, colui che lo ha mantenuto e gli ha concesso di diventare l'impeccabile maggiordomo qual è, Vittorio si ritrova quarantenne a dirigere una magione che è quanto di più lontano dalle ville in cui ha lavorato: la casa e la servitù sono trasandate, mentre il burbero padrone, produttore di vini, è in perenne conflitto con la giovane moglie che, dal canto suo, piuttosto che occuparsi della gestione della casa preferisce chiudersi in un capanno a produrre profumi e viziare la figlioletta Nora; la quale - per di più - è preda di inquietanti visioni di donne in veste bianca che si aggirano per la magione nel cuore della notte... Ma Le stanze buie è ben più che una storia di fantasmi: vi sono a Villa Flores stanze chiuse da anni che nascondono segreti pericolosi e inconfessabili, segreti che riguardano la stessa famiglia Fubini. La giovane autrice del romanzo dimostra già un'ottima capacità nel delineare una trama per nulla banale e in grado di regalare continue sorprese al lettore, nel caratterizzare i molti personaggi che agiscono tra le pagine, nella documentazione del periodo storico scelto e nella conseguente cura posta nell'ambientazione. Anche la sua prosa è affatto immatura: mai troppo particolareggiato né asettico, lo stile di Francesca Diotallevi è di una sensibilità squisita; gestire una narrazione in prima persona che non scada nel diario scolastico è impresa difficile, ma seppur esordiente la Diotallevi è riuscita a farlo meglio di molte altre scrittrici italiane che pure pubblicano con editori ben più famosi. Riuscito molto bene anche il protagonista maschile, sempre facile preda - quando si tratta di scrittrici donne - di pietose caratterizzazioni che vacillano tra il maschio rude e la donnicciola: la figura del maggiordomo, in particolare, professione che sacrifica quasi interamente la vita privata e intimistica per votarsi alla cura della casa e della famiglia altrui, affascina tanto quanto è difficile da restituire in modo vivido. Se proprio c'è da trovare un difetto in questo romanzo, è il restare in ombra delle figure minori della servitù. Ma, per il resto, Le stanze buie è qualcosa di realmente valido nel desolante panorama italiano - professionistico e non.
Vi capita mai di avere paura di un libro? E non per il suo contenuto, ma perché avete proprio paura che possa non piacervi e sapete già che ci rimarreste male. A me questa cosa è successa con il romanzo d’esordio di Francesca Diotallevi, che, a 7 anni dalla sua prima pubblicazione, torna in libreria in una nuova veste grazie a Neri Pozza. Di Francesca avevo già letto gli altri due romanzi pubblicati dalla stessa Casa Editrice, con esiti direi totalmente opposti. “Le stanze buie” lo temevo, perché tutti mi avevano accennato alla parte soprannaturale presente in questo romanzo e io un po’ fatico con queste trame. Poi, però, il libro è arrivato a sorpresa tra le mie mani e, insomma, come si fa a dire no a quella copertina? Così mi sono buttata e devo dire che l’atterraggio è stato più che morbido!
Alla fine del 1800, nelle Langhe, da un treno vedremo scendere Vittorio Fubini, impeccabile quanto rigido maggiordomo che, alla morte dello zio, ne eredita il posto di lavoro in quel di Villa Flores. Le stanze buie sono quelle che rimangono chiuse nella grande casa, ma sono anche quelle del cuore di Vittorio, cresciuto con la madre ai limiti della povertà e che ha fatto del suo lavoro la sua stessa vita. Sarà proprio tra quelle stanze e tra quei corridoio che paiono sempre popolati di ombre oscure, che Vittorio imparerà ad aprire le porte del suo cuore, a farvi entrare sentimenti mai provati, compreso un dolore che lo segnerà per l’intera vita.
Con questo romanzo Francesca Diotallevi conferma la sua capacità di passare da un genere all’altro senza mai perdere la forza carismatica che solo la sua scrittura ha. Miscelando perfettamente gotico e narrativa, l’autrice crea un classico indimenticabile, in grado di far battere il cuore anche ai lettori più ostici e recalcitranti, aprendo per loro quelle porte che per troppo tempo sono rimaste chiuse, proprio come è accaduto a Vittorio.
Un antico carillon, una chiave arrugginita, un orologio a cipolla, un profumo che rievoca ricordi, una colomba rinchiusa in una gabbia, un testamento ed un segreto che lega tutti questi oggetti.
" È così che i nostri ricordi sopravvivono al tempo: grazie a un profumo "
Vittorio è un maggiordomo che conosce e rispetta le regole del suo lavoro, sa che deve essere efficiente, irreprensibile, la sua presenza deve essere silenziosa. Lascia Torino e va a Neive, nella villa di campagna dei conti Flores, a capo della servitù al posto dello zio defunto.
Un padrone scontroso con una moglie affascinante, fragile e ribelle, la loro bimba, la piccola Nora, un intreccio di bugie e tasselli da mettere insieme per arrivare a una verità che stravolgera' la vita dei protagonisti.
"Il tempo consuma ogni cosa dentro di noi, bruciando tutte le menzogne. Ciò che resta è la verità."
Francesca Diotallevi riesce con la sua scrittura elegante e raffinata a tenerci incollati alle pagine portandoci a metà Ottocento e facendoci rivivere le atmosfere di una vecchia casa di campagna.
Le Stanze Buie è un bellissimo romanzo, la voce narrante è quella di Vittorio ma tutto il racconto è espressione di un lato femminile che incanta e affascina il lettore.
" in fondo a una casa vuota si poteva ovviare in molti modi. Era il vuoto dell'anima, quello che non poteva essere riempito"
Entrare in possesso di questo libro si è rivelato una mezza impresa! No, niente di epico, mi sono limitata a fare varie ricerche e vari ordini andati a vuoto on line, ma certo per molti mesi risultava esaurito ovunque e, come sempre, visto che il libro che più vorresti leggere è quello che ancora non possiedi, si stava tramutando in una vera e propria “ossessione”.
La “fortuna” di questo romanzo è stata che ne scoprii l’esistenza quando ancora vivevo in uno stato di beatitudine post Quel che resta del giorno: mi sarei buttata a capofitto su qualsiasi libro promettesse di ricordarmi quel capolavoro, e qui le affinità fra le trame erano, a prima vista, significative. Non siamo nell’Inghilterra degli anni cinquanta ma in Piemonte, nel 1864, ma al centro della vicenda c’è sempre un maggiordomo, severo e impeccabile, che pone grande importanza nello svolgere in modo perfetto il proprio lavoro, esattamente sulla falsariga dell’indimenticabile Mr Stevens (ero quasi sicura che l’opera di Ishiguro fosse stata ben presente all’autrice mentre scriveva il romanzo, e infatti ne ho avuto conferma nei Ringraziamenti finali, in cui viene citata fra le fonti di ispirazione).
Tuttavia è un po’ ingiusto far risalire la mia decisione di comprare l’opera prima di Francesca Diotallevi solo alle presunte somiglianze con Quel che resta del giorno, perché Le stanze buie ha potuto contare anche su meriti propri: per quanto cercassi, non trovavo su Internet neppure l’ombra di una recensione negativa, ma anzi quelle presenti erano letteralmente entusiaste, e sottolineavano altresì che è raro trovare una simile qualità in un esordio assoluto.
Insomma, per questi motivi, difficile reperibilità, suggestioni e somiglianze, consenso unanime, quando finalmente ho avuto il libro l’ho iniziato con impazienza e, forse, con un’aspettativa esagerata che probabilmente ha danneggiato l’esperienza di lettura.
Andiamo con ordine. Come detto, siamo nel 1864 e Vittorio Fubini, maggiordomo rispettabile, abituato a servire nelle migliori case di Torino, si trova costretto a lasciare la città per la campagna perché lo zio, scomparso di recente, nel suo testamento l’ha indicato come suo “successore” nella carica di maggiordomo nella villa del conte Flores. Fubini è assai scontento di doversi andare a “rintanare” nelle Langhe, in una casa che, come scopre subito, è ben lontana dagli standard di “civiltà” cui è abituato. Nella villa abitano il conte Amedeo Flores con moglie e figlioletta, oltre naturalmente ai domestici. L’adattamento alla nuova realtà è inizialmente traumatico, tanto più che ben presto Fubini, che si è sempre vantato della sua freddezza e razionalità, comincia ad avere esperienze inquietanti e misteriose, e a credere che il defunto zio avesse un preciso scopo in mente nel volerlo lì, ma non sarà solo questo a metterlo “in crisi”…
Avviso: la recensione che segue contiene alcuni spoiler. I più macroscopici, così come alcuni dettagli sul finale, sono stati nascosti. Tuttavia, per dare un parere motivato qualcosa dovevo pur dire, e non volevo mettere tutto invisibile. Perciò, chi è interessato a questo libro sappia che rivelerò uno sviluppo fondamentale della trama (oh, comunque niente che un bravo lettore non intuisca già a un quarto del romanzo).
Che dire? Che il romanzo funziona solo a metà. Viene abbozzata un’ambientazione interessante per sfruttarla poi in modo limitato e frettoloso (compiti di un maggiordomo, rapporti servitù-padroni e fra i servitori spariscono o quasi a pagina 100 o giù di lì). Uno dei pregi maggiori di Quel che resta del giorno (ormai non posso farci niente, mi viene naturale fare confronti con quel romanzo) era quanto fosse leeeeeeeeeento (e questa lentezza si misurava in termini di anni), il che rendeva benissimo l’immobilismo, l’immutabilità e la rigidità del suo protagonista. Qui, invece, passano, mi pare, tre giorni, e già praticamente la corazza di Fubini si incrina, e purtroppo con il più trito espediente romanzesco: l’amore che ti cambia e ti rende una persona migliore, ma naturalmente l’amore impossibile e clandestino per non altri che , oltre all’inaspettato affetto per la deliziosa bambina Nora.
Apriamo una parentesi sulla bambina. Ora, io non ho figli, e non è che abbia tanto spesso a che fare con i bambini, però direi che i bambini sono sì fantastici ma, generalmente, possono anche essere una grande rottura di scatole. Nei romanzi, mai. I bambini nei romanzi sono a-do-ra-bi-li, 24 ore su 24. Questo mi fa tornare alla mente un brillante articolo del blog Sudare inchiostro e uno di Piperno su La Lettura… L’unico esempio che ricordi di bambina che sembrava “reale”, e cioè tanto tenera ma che ogni tanto faceva davvero dei ragionamenti balordi senza né capo né coda, stava più che altro zitta, come conveniva a un bambino dell’800 (ma c’è da dire che, qui, Nora Flores viene educata con metodi più “particolari”), e soprattutto quando parlava non aveva sempre sulla punta della lingua frasette dolcissime o piene di significato nella loro innocenza, è Sophie Rackham, e non a caso cito un personaggio tratto dal mio personale esempio di perfezione fatta romanzo (ormai, sarà venuto a noia ai lettori di questo blog).
Ma la bambina fa la sua parte, alla fine: è un personaggio-chiave nella storia, ma in scena non compare poi molto. No, a “uccidere” la seconda metà del romanzo per me (3 giorni per arrivare di slancio a metà, quasi una settimana per riuscire a finirlo, un paio di capitoli alla volta perché, a esagerare, mi veniva il nervoso) è stata la protagonista femminile. Ultimamente mi avevate vista più tollerante verso le storie d’amore nei romanzi, vero? Beh, questo libro mi ha riportato decisamente all’antico sentire. Nella prima parte inizia dunque l’insopportabile flirt tra maggiordomo e , che mi ha spinto a coniare questo slogan: più fantasmi, meno romance. La seconda è un altrettanto insopportabile lagna continua perché non potrà mai funzionare, quale futuro, lei è e io solo un maggiordomo, fuggiamo insieme, . Ah, Mr Stevens, che cosa ne avresti detto tu, di fronte a questa “intollerabile” mancanza di dignità? :-) Sono del parere che per far sì che il tuo lettore si convinca della caratterizzazione del tuo personaggio come rigido e inflessibile, ancorato alle sue certezze, ai suoi doveri, al suo senso del “limite”, ai suoi gesti precisi e metodici, non basta che questi ce lo ripeta continuamente, servirebbe anche che agisse come tale per lo spazio di più di due capitoli. Bisognerebbe poi mettere una “moratoria” sul personaggio della “donna anticonvenzionale” nei romanzi storici: quel che dico non pretende di avere valore universale, ma io, nei romanzi storici, non cerco personaggi con cui identificarmi e che rispecchino necessariamente i miei valori, li cerco… beh, storici. Questa poi ha pure “l’aggravante” di far parte della sottocategoria “donna anticonvenzionale che è pure esperta di profumi/cibi/spezie/sapienza antica e ancestrale ecc. perché è tanto in sintonia con la natura”. Niente, purtroppo non salvo niente di questo aspetto che ha finito per acquistare sempre più preponderanza con l’avanzare dei capitoli: fin dai primi accenni non sono mai rimasta persuasa della verosimiglianza di questa grande passione (ma neppure della sua reale “utilità” per la trama, a dire il vero: non poteva, al limite, bastare l’attaccamento per la bambina a causare il cambiamento nel personaggio di Fubini?).
Certo, poi comunque la classica storia di fantasmi nella vecchia e isolata magione, di anime che non trovano pace, di antiche colpe da scontare, conserva tutto il suo fascino (impossibile sbagliarsi, qui): ed è la parte migliore del romanzo, ma è troppo asservita alla soap opera.
E poi che “modi” sono? :-) Mi fai leggere dei capitoli riuscitissimi, terrorizzanti e pieni di tensione sul fantasma della villa, e , che senso ha?
Quindi, in poche parole: sì bambini posseduti, camere sempre chiuse a chiave in cui però c’è qualcuno o qualcosa, figure vestite di bianco che compaiono improvvisamente davanti agli occhi, anziane cameriere che sanno più di quanto non dicano… no donne che corrono a piedi nudi per i prati e finiscono fra le braccia del protagonista, no . Sono dispiaciuta perché, accidenti, facevano veramente paura i capitoli sul fantasma! Ma tutto quel miele, non si reggeva. Se la giovane autrice, che ha già avuto la soddisfazione di ricevere tante belle recensioni, è all’ascolto, non se la prenda se questa è un po’ meno positiva delle altre: sono io, che forse sono troppo difficile da accontentare!
Mi sembra di aver letto cose già viste in altri libri. Un mix tra Giro di Vite e L'ombra del vento (un domestico alle prese con una casa "infestata", volti pallidi alle finestre, la scena del protagonista che resta bloccato nella stanza, la bambina forse posseduta o forse no, la vicenda di Lucrezia Flores che è quasi identica a quella di Penelope Aldaya), ma con personaggi molto meno degni di nota. La cosa positiva è che è l'autrice scrive bene ed ha reso il romanzo un page turner, quindi si ha voglia di vedere come va a finire e qual è il mistero che si nasconde in quella casa. Niente, il mistero è quasi lo stesso de L'ombra del vento: ragazza ricca resta incinta, viene segregata, muore di parto durante la prigionia. Ci sono rimasta un po' così, ed avrei urlato al plagio se non ci fosse stato un plot twist interessante legato alla creatura partorita da Lucrezia/Penelope. I personaggi: Lucilla Flores è una Mary Sue in tutto e per tutto, lei è diversaaaah dalle altre, bellissima, sempre spettinata, affascinante, independent woman ma fragile, ollallà mostra le gambe ai preti, che svergognata; il marito un pazzo alcolizzato e basta, sul serio non c'è altro; Fosco è fosco, fine. Tutti gli altri hanno una, al massimo due caratteristiche. Gli unici apprezzabili sono il protagonista, quando fa cose coerenti (il nostro si descrive in un modo per poi comportarsi sempre in maniera opposta), e la bambina, che in effetti parla e si comporta da bambina, cosa positiva rispetto ad altri libri in cui i bambini parlano come adulti. Insomma un libro che ha qualcosa di buono e che sa intrattenere, e soprattutto che può piacere se non avete letto Giro di Vite e L'ombra del vento, i quali vi faranno prevedere con facilità molto di quello che succede. In ogni caso, la tragedia finale è parecchio interessante anche se mi lascia degli interrogativi.
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Ho scoperto Francesca Diotallevi con il suo ultimo libro “Dai tuoi occhi solamente”, che mi ha colpita a tal punto, da spingermi a leggere subito qualcos’altro di questa autrice. “Le stanze buie” è il suo romanzo d’esordio e per me è stata, invece, la conferma di come lei abbia definitivamente rubato il mio cuore. Nella storia narrata dalla Diotallevi c’è tutto: la descrizione precisa e raffinata, ma mai pesante, degli ambienti in cui si svolge la storia e dei personaggi, il mistero, che aleggia nella vecchia tenuta nelle campagne torinesi, che conferisce alla narrazione un tono “dark” che intriga il lettore e ne rapisce l’attenzione, una trama ben costruita e coinvolgente, ma soprattutto ci sono i sentimenti, la rabbia, la gelosia, il possesso, ma anche la tenerezza e la forza che nascono tutti dall’amore, che scuote i cuori fino a cambiare le persone. Assistiamo, pagina dopo pagina, al cambiamento emotivo del protagonista, Vittorio Fubini, che arriva alla tenuta come maggiordomo, con il suo carattere austero e freddo, perché abituato a rispondere solo al suo senso del dovere ma che, a poco a poco, lascia che il suo cuore si apra a quell’amore intenso e totalizzante, che ne stravolgerà completamente la vita. L’autrice è bravissima nel mostrarci la nascita in lui di questo sentimento, la sua lotta interiore tra il desiderio di mantenersi freddo e leale al suo padrone e quello di essere finalmente libero di amare, tanto che è come se lo avvertissimo anche noi, durante la lettura e ce ne lasciassimo avvolgere assieme ai profumi, anch’essi protagonisti del racconto. La crescita interiore di Fubini va di pari passo col dipanarsi della storia, sospesa tra presente a futuro, che scopriamo piano piano, assieme ai protagonisti stessi. Insomma , a questo punto, non mi resta che cercare altri libri di Francesca Diotallevi da leggere!!!
“Non c’era nessuna signora vestita di bianco. O meglio c’era, ma viveva solo dentro a un ricordo. Gli spettri non esisterebbero se non fossimo noi, con i nostri desideri, col nostro amore, col nostro dolore, a trattenerli qua. Gli spettri vivono dentro di noi”
Quanto dolore si può nascondere sotto la polvere? Questo è un libro che parte piano, ha i suoi tempi, ti avvolge lentamente. Ti offre tutto il tempo per adattarti alle atmosfere cupe e dilatate di un luogo quasi sospeso nel tempo. Una villa che sembra nascondere segreto inconfessabili, strane presenze, dicerie strambe, un passato di cui nessuno vuole parlare. Vittorio Fubini è un giovane maggiordomo che suo malgrado dovrà affrontare tutti i fantasmi intrappolati nelle stanze buie, ma sono veri fantasmi o c’è qualcosa di più? Come se non bastasse c’è un’altra presenza a turbarlo, quella di Lucilla Flores, una donna dal temperamento particolare, ribelle, diversa dalle altre. Un rapporto che inizia scricchiolando ma che porterà a sollevare quel velo di polvere che forse doveva restare lì dov’era. Ci sono tanti ingredienti ben mescolati per un romanzo dal sapore classico, che ha saputo intrigarmi e portarmi verso un finale inaspettato e coinvolgente. Bella lettura.
"Sì, ma..." Un bel libro che mi ha ossessionata per giorni, dalla prima all'ultima pagina...MA ho trovato alcune forzature per far quadrare tutto e altre per arrivare per forza al finale felice. Una trama che sembra lineare, quando invece la storia che c'è dietro è complessa, MA i plot twist sembrano presi da Beautiful. Ok, non me li aspettavo, ma non sono nulla di innovativo, anzi. Lo stile mi ha tenuta incollata alla storia MA i continui avanti e indietro e le variazioni nei tempi e nei modi del racconto (prima è in una villa nel 1904, poi racconta attraverso una lettera alla figlia, poi siamo nel 1864 ma racconta al passato pensando a mesi precedenti, poi siamo di nuovo al presente) mi hanno costretta un paio di volte a tornare indietro e rileggere. Insomma, promuovo il libro nella sua interezza, alla fine è un genere e un argomento che apprezzo molto a l'autrice ha sicuramente molto talento! ...ma ci sono dei punti che stridono... 4-/5
Un romanzo sulle relazioni familiari, sulla psiche e sull’affetto. Ambientato tra il 1864 e il 1904, rievoca i classici con l’ambientazione e la scrittura “datata”, ma è anche un mystery, un thriller e un pizzico di horror. Il meteo rispecchia i nostri personaggi grigi e cupi. La copertina azzeccatissima. Un romanzo senza etichette ma coerente e credibile.
Fatevi un favore e leggete tutti Francesca Diotallevi. Una scrittrice incredibile che non manca mai di emozionarmi.
- lo stesso sangue scorre nelle nostre vene, ma se anche così non fosse, credimi, ti amerei con la stessa intensità. Il sangue è potente, ma l’amore lo è di più -
Un romanzo di impianto classico dove fatti e personaggi, azioni e sociologia, realtà ed illusioni ci restituisce e il piacere del testo e della lettura
Ma complimenti vivissimi a Francesca Diotallevi!!! "Le stanze buie" è un esordio coi fiocchi e il preludio a quella che, sono sicura, sarà una grande carriera! La cosa che mi ha colpito di più è stata sicuramente la scrittura: raffinata, precisa, nessuna descrizione esagerata (in un senso - 40 pagine di descrizioni di paesaggi - o nell'altro - era molto bello) ma che anzi procede gradualmente e permette al lettore di immergersi completamente all'interno della storia e della casa e soprattutto trovare punti di incontro con i personaggi. Sembra una cosa molto banale da dire ma in realtà, una buona scrittura è tanto fondamentale quanto perla rara in questi giorni.. E trattandosi di un'autrice molto giovane alla sua prima pubblicazione, la mia ammirazione è alle stelle!! La storia, pur essendo un po' "già vista/sentita" e con alcune scene molto prevedibili è riuscita a coinvolgermi e a mettermi anche un po' d'ansia in certi momenti: una villa isolata, un padrone possessivo e aggressivo, stanze chiuse.. Rendo l'idea, no? Ammetto che per alcune pagine avevo un po' il groppo alla gola.. ;_; L'effetto di mistero/ansia è un po' ridimensionato dalla scelta dell'autrice di raccontare la vicenda 40 anni dopo che si è verificata tramite la narrazione del protagonista (il maggiordomo. Questa cosa mi è piaciuta un sacco, più potere alla servitù!! :D Ne sarebbero stati contenti gli inglese degli anni '70 dei Subaltern studies.. :D). Ecco, per quanto si tratti di una tecnica che mi piace moltissimo e mi faccia viaggiare con la fantasia e le illazioni, in questo caso secondo me fa perdere un po' del mistero e alcune cose vengono svelate in modo un po' ingenuo così che il lettore arriva alla fine abbastanza 'preparato' e pronto al colpone di scena finale. Mi è piaciuto molto il modo in cui l'autrice è riuscita a far evolvere il personaggio di Vittorio: da insopportabile e pedante (giuro, durante le prime cinquanta pagine mi è venuta fortissima la tentazione di chiudere baracca e burattini per la sua odiosità!), si trasforma e si migliora. Non è un passaggio dal giorno alla notte, non è sventolato ai quattro venti ma anzi, il lettore pian piano percepisce che le acque si stanno smuovendo e che sì, vale davvero la pena continuare a leggere! Una cosa che mi ha parecchio infastidito (e non è colpa dell'autrice, anzi!) è la poca cura nell'Editing. Gentile casa editrice Mursia.. Ma una rilettura finale?? Alcune cose sono assurde.. Visto anche il prezzo del libro (22.00 euro.. O.O), il lettore si aspetta qualche cura in più.. Peccato!! Un piccolo appunto sempre legato alla CE: Non capisco la scelta di non pubblicare in ebook l'opera: ho avuto la fortuna di leggere il libro tramite una catena di lettura organizzata dalla gentilissima autrice perché per quanto fossi curiosa, il prezzo mi sembrava eccessivo (ora lo comprerò cartaceo, ovvio); magari con l'ebook a prezzo accessibile la CE avrebbe invogliato di più i lettori curiosi che trovandosi di fronte ad un'opera così valida, avrebbero comunque comprato il cartaceo.. Piagnistei sulla CE a parte, consiglio davvero questo romanzo!! Aspetto curiosa di leggere altro di questa autrice.. :)
Il primo libro di questa autrice che ho letto in pochissimi giorni mi ha affascinata. Una storia avvincente e triste allo stesso tempo, un mistero che si va svelando pagina dopo pagina fino alla fine della storia. Tutto inizia nel 1904, con la vendita all'asta dei beni appartenuti alla famiglia Flores. Un carillon attira l'attenzione di un anziano uomo che lo strappa per una cifra esorbitante all'altro contendente. Ma non è un uomo qualunque ma il maggiordomo di casa Flores e ... molto di più! Ma questo lo scopriremo solo alla fine della lunga storia che porta la narrazione indietro nel tempo, nel 1864, in una campagna delle Langhe, una villa isolata circondata da vigneti. Vittorio arriva per prendere servizio come maggiordomo al posto dello zio che lo ha indicato come suo successore prima di morire. Inizia così il nuovo lavoro in questo ambiente "scontroso", che è stato trascurato nel tempo, con personale invidioso, un padrone burbero ma che sin da subito vede in lui un ottimo alleato per cercare di convincere la moglie a compiere i doveri di una buona padrona di casa. Ma Lucilla Flores non è così malleabile, dedita alla cura personale della piccola Nora, ignorata dal padre ma amatissima dalla madre da cui non riesce a staccarsi. Proprio questo è la causa delle frequenti discussioni tra i coniugi. Questo e anche la passione di Lucilla per la profumeria: una serra nel giardino di casa le permette di applicarsi nell'arte profumiera, nell'estrazione delle essenze. La sua oasi di pace che verrà invasa da Vittorio che, nonostante la sua integrità morale, inizia a provare sentimenti contrastanti per la sua padrona, un affetto particolare che si acuisce sempre più quando il marito la denigra per i suoi modi di fare. Ma strani eventi accadono in quella grande casa, campanelli che suonano, porte che si chiudono imprigionando il maggiordomo e soprattutto l'ordine tassativo di non aprire una stanza. Ordine che verrà eluso da un Vittorio che via via perde la ragione, scopre verità inconfessabile, un intrigo che avvenne anni prima e che lo coinvolge direttamente. Le emozioni sono diverse, un po' di ansia, l'empatia che si crea con Lucilla che cerca di proteggere Nora, ma anche con Vittorio, così leale inizialmente al padrone da sembrare scontroso ma che, aprendo gli occhi, facendo luce in quelle stanze buie, cambierà così tanto diventare una persona diversa, con dei sentimenti che inizialmente sembrano impensabili. Ben descritto, scorrevole, ti tiene attaccato alla pagine perché la curiosità di capire chi potrebbe provocare quegli eventi "soprannaturali" ti fa andare avanti ma anche perché si vuole capire come evolverà la storia. Che dire, le cinque stelle di valutazione parlano da se. Quello che so è che ho trovato nuove letture da aggiungere alla già lunga lista di libri e nuovi autori da scoprire.
“Le Stanze Buie” è uno di quei romanzi la cui ambientazione ti rimane nel cuore; una grande dimora antica con molte stanze e la maggior parte chiuse, accerchiata da un giardino ricco di fiori e un capanno ad uso personale della padrona; (mentre leggevo mi pareva di vedermela davanti: me la sono immaginata grande, a due piani, e con l'edera che corre sulla facciata) con la servitù che non parla ma dimostra di sapere tanto e i padroni di casa sfuggenti e misteriosi, ci leghiamo alla storia del nuovo maggiordomo Vittorio Fubini che dalla festosa e modaiola Torino si trasferisce nel paesino di Neive nelle colline piemontese. Questo romanzo è una storia misteriosa, di fantasmi del passato e di segreti celati, ma è soprattutto una storia d'amore; assistiamo alla nascita di un sentimento forte e intenso, fatto di allusioni e parole mai dette, sguardi e piccoli gesti, uno di quegli amori che riscalda i cuori. Ho adorato Nora dal primo istante, una bambina sveglia ,sempre con la risposta pronta e mai infantile; ho apprezzato anche l'atmosfera gotica che l'autrice ha dato al romanzo con spifferi, scricchiolii e sospiri vari; insomma una di quelle ambientazioni che adoro, una figura (quella del maggiordomo) che mi ha sempre affascinanto e Vittorio con il suo atteggiamento austero e impenetrabile è entrato nel mio cuore abbandonando ogni razionalità in favore della passione che lo travolge. Grazie.
“Dicono che il tempo risani ogni ferita, ma non è vero. Spesso non fa che intensificarne il dolore. Si impara a conviverci, con certe ferite. Ma non guariscono mai. Restano lì, slabbrate ai bordi, impossibili da ricucire.”
All’ inizio non capivo se l’ autrice volesse accostarsi a “Giro di Vite” di Henry James o soltanto tessere un album di ricordi impolverati dal tempo alternando due binari temporali… ma con pazienza la storia si dipana e a poco a poco nasce la curiosità di scoprire cosa è veramente successo ai personaggi. Una tenera storia d’ amore e nostalgia che sfida ogni convenzione sociale dell’ epoca.
Le stanze buie è una meravigliosa dichiarazione d'amore. Di quelle rare e inaspettate che non hanno certo bisogno di effetti speciali, ma che vivono di una quotidianità fatta di piccoli gesti, sorrisi nascosti, carezze appena accennate. Sono cenni che sanno del prendersi cura delle cose più fragili: una persona che deve essere salvata e quella promessa lontana, un vecchio carillion che ha smesso oramai di suonare e quel profumo scomparso e impossibile da dimenticare.
Questo romanzo è perfetto. Non ci sono altri termini per descriverlo. È uno di quelli per cui soltanto cinque stelline non bastano. È uno di quelli che ne merita molte di più, che merita di essere letto da tutti almeno una volta nella vita. È uno di quelli che merita di finire sul grande schermo, che merita di essere venduto in tutti i paesi del mondo.
Le stanze buie sono luoghi. Luoghi di dimore quasi dimenticate, luoghi dell’anima che tacciamo a noi stessi. Prigioni di ricordi, di paure, di cose che non sappiamo affrontare, ma che prima o poi chiedono di essere aperte, viste, trasformate. Perché qualcosa- una chiave, un carillon, un ricordo- viene a bussare e non se ne va fino a che non gli viene aperto; perché presto o tardi giunge il tempo, scandito dalla memoria del cuore o da un orologio a cipolla passato di mano in mano, da antenato ad antenato, anelli di una catena che si può nascondere, ma non spezzare. E allora ecco che nasce il racconto di Vittorio Fubini, maggiordomo, che a ottant’anni, all’asta della casa “stregata”, offre cento lire – all’epoca uno sproposito!- per un oggetto appartenuto alla bambina, quella che vedeva le cose, quella che dicevano essere posseduta. È Torino, è il 1904 e il mondo va veloce, cambia in fretta. E Vittorio sente che il suo tempo si assottiglia, che una parte di lui non è mai andata avanti, chiusa, congelata, ferma a quando più giovane. È lì che inizia la sua storia, nel 1864, quando si ritrova dalla vivace capitale del regno d’Italia in un paesino nelle langhe, a prestare servizio dal conte Flores. È andato là per rispettare le volontà di uno zio che non ha mai conosciuto ma che si è sempre preso cura di lui. È un cambiamento drastico, difficile, e faticoso, ma che accetta con rassegnazione e con la volontà di fare del suo meglio, lui che si ritiene perfetto, ineccepibile nel proprio lavoro e, con quel lavoro completamente identificato. Fubini sa di essere un maggiordomo. Sa di farlo benissimo, ma da quando lavora per il Conte Flores, quando soprattutto incontra sua moglie Lucilla e sua figlia Nora, tutto quello che credeva di sapere su di sé e sul mondo va in pezzi: prima piccole crepe, poi veri e propri frammenti, fino a macerie di quello che era l’apparenza per permettere a Vittorio di scoprirsi, di capire chi sia davvero, di sapere cosa c’è dietro a ciò che si crede di sapere su di sé e del mondo. E mentre lui cambia- luogo e si risveglia alla propria anima- anche il Conte Flores, anche gli abitanti della casa, persino la casa stessa, cambiano: da amichevoli ad ostili, ma perché? Cosa stanno cercando di nascondere? Il prezzo della verità sarà molto alto, occorrerà aprirle, quelle stanze buie e fare entrare quella luce che sa di libertà e pace. In che modo? Vi lascio leggere il libro per scoprirlo!
Che storia dura e bellissima, che penna coinvolgente, che scrittura magnifica!! Ho solo lodi per questo romanzo: mi è piaciuto tantissimo! Ho adorato Vittorio, anche se sulle prime mi ha fatto storcere il naso: così sicuro di sé, così inflessibile, così certo di sapere cosa è giusto e cosa no. È tutto o bianco o nero per lui, all’inizio. Ma vedere come cambia nel corso della storia e sentire il suo dolore – la storia è raccontata in prima persona- fa sì che ci si affezioni tantissimo ad un uomo che, quasi per paradosso, inizia a scoprire la vita e la libertà in una casa- prigione (non per lui, certo, ma di riflesso la vive così) . Dentro di me è sbocciato un fiore di tenerezza quando lui ha iniziato ad interagire con la piccola Nora e mi si è stretto il cuore per Lucilla: un grande talento che non si può esprimere a causa della cecità del marito e del mondo.
Ho apprezzato le atmosfere cupe, volutamente oscure, che si scontravano col caos e la bellezza del capanno e del giardino: l’autrice crea contrasti stupendi! Mi è piaciuto anche che ci fossero due piani temporali, che si intervallano, per creare maggiore suspense e per spezzare il ritmo, giocando sul filo dei ricordi. Quindi per questo romanzo – che non è un romanzo d’amore, ma che di amore è pieno- il mio voto è 5 stelle! Apro febbraio con un libro bellissimo grazie alla challenge! È il primo libro della Diotallevi che mi capita di leggere, ma di lei voglio recuperare tutto : ho già “L’ultimo mago” che occhieggia dalla libreria!
Quando un libro tocca le corde della mia anima faccio sempre fatica a scrivere una recensione perché so che difficilmente riuscirò a rendergli giustizia. Ci sono delle chiavi che aprono porte chiuse da anni, porte che qualcuno non voleva riaprire e che qualcun’altro invece non vedeva l’ora di spalancare, chiavi che servono a chiudere porte per intrappolare qualcuno o qualcosa in una gabbia/prigione, e poi ci sono le chiavi della memoria, quelle che grazie ad un profumo o ad un oggetto ci catapultano nei ricordi di un tempo passato. Vittorio Fubini, il protagonista di questa storia troverà una di queste chiavi, a lui il compito di custodirla o di usarla, e la sua scelta porterà ad un susseguirsi di eventi inevitabili. Nella Torino del 1904 troviamo un Vittorio ormai ottantenne, invecchiato e affaticato che ripercorre un periodo della sua storia vecchio di quarant’anni, quel periodo che poi cambierà radicalmente la sua vita ma soprattutto la sua persona. Nel 1864 Vittorio, maggiordomo a Torino presso una famiglia di una certa levatura, lascia il lavoro per andare nelle Langhe, a sostituire lo zio Alfredo appena mancato, anche lui maggiordomo, presso la famiglia Flores. Vittorio non ha mai conosciuto lo zio che lo ha aiutato economicamente nel corso degli anni e con cui ha scambiato una corrispondenza epistolare, ma rimane una figura a lui completamente estranea. Il senso di gratitudine lo porta ad accettare il lavoro a casa Flores, una realtà di provincia molto diversa da quella cui è abituato, un’eredità ingombrante. A casa Flores le cose sono molto diverse da Torino, a partire dalla contessa,Lucilla una donna che non incarna la tipica padrona di casa, che si rifugia nel suo laboratorio di profumi e che si occupa personalmente della figlia Nora senza delegare il compito ad istitutrici e bambinaie. Vittorio non approva la condotta di Lucilla, la biasima, fino a che inizierà a notare cose strane che succedono in casa, comportamenti bizzarri di Nora, la tristezza e l’infelicita’ nello sguardo della padrona, e, settimana dopo settimana, inizierà a provare dei sentimenti affettuosi che la sua posizione non gli consentirebbe.
Non avevo letto nulla della Diotallevi ma era stata consigliata varie volte nella chat di squadra, sono stata dunque molto contenta di poterla leggere grazie alla challenge. Il suo stile narrativo mi ha catturata fin dalle prime pagine, e’ stato un vero piacere leggere questo libro. E’ una storia che parla d’amore, declinato in tutte le sue forme, anche quelle che diventano poi morbose e deleterie, l’amore che diventa possesso e gelosia ed infine ossessione, l’amore che fa del male senza capire che ci saranno delle conseguenze finché non sarà troppo tardi, come succede ad Ottavia. Ma ci sono anche forme d’amore più pure, come l’amore paterno, che non è necessariamente quello dei legami di sangue e in questa storia ne abbiamo svariati esempi su cui non mi soffermerò per non svelare troppo. Il personaggio di Vittorio, che all’inizio proprio non mi piaceva per nulla, mi ha conquistata dopo un po’, col suo cambiamento, quando si è un po’ lasciato andare e ha cominciato ad agire con il cuore ed è iniziato il suo percorso di crescita personale. Un libro capace di arricchirmi ed un autrice di cui, ora che ho conosciuto la sua penna, voglio scoprire altre opere. Grazie a chi l’ha proposto, questo libro è stato un bel regalo.
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