«Ho trentacinque anni, un buon lavoro, un bello stipendio, un appartamento al quarantesimo piano e vivo nella città più desiderata del mondo. Eppure sento che dentro questo quadro di luci e movimento non riesco più a trovare la mia dimensione. In realtà non so neanche bene quale sia stato il momento esatto in cui ho smesso di provare fiducia in New York, e in me stesso. Ma questa città è così: quando inizi a credere che tutto scorra senza motivo, lei ti sorprende e ti spiazza ancora una volta.» Il protagonista di questa storia ha perso quell'indefinitezza ed entusiasmo adolescenziale, quella voglia di vivere senza la quale anche New York diventa una città noiosa. Eppure ogni notte, affacciandosi alle finestre del grattacielo dove vive, il fascino di New York lo conquista, come se, con i suoi rumori solitari, cercasse di scacciare quei dubbi per trattenerlo a sé. La sirena dell'ambulanza, un taxi, uno strillo dal nulla, e poi pompieri, camion della spazzatura, clacson, una manifestazione. Una meravigliosa democrazia americana che si realizza di notte, quando inizia una danza infinita di incontri casuali, che sono l'essenza di questa città magica. Ma poi arriva la mattina, ti alzi e «In che razza di posto sono finito?». Solo un incontro inaspettato, un sentimento che mette tutto in discussione, insomma una ragazza speciale, può aiutarlo a darsi una risposta, a guardarsi scegliere l'amore, una famiglia o continuare a vivere in quello sfavillante luna-park di vetro, strade, neon, ristoranti e club che è New York?
Piero Armenti, in questo romanzo profondo ed emotivo, racconta un lato diverso e inedito di New le ombre che la costellano sotto le luci scintillanti dei grattacieli, dei silenzi assordanti in mezzo alla folla rumorosa, degli amori impossibili che uniscono le tante solitudini che la popolano.
Piero Armenti è un giornalista urban explorer. Dopo il dottorato all'Università Orientale di Napoli, decide di partire per gli Stati Uniti. New York è la città che lo conquista e dove fonda "Il mio viaggio a New York": un tour operator inedito; soprattutto, uno spazio social in cui racconta la sua prospettiva sulla città più desiderata del mondo. La sua narrazione attrae milioni di followers e, così, si fa stile emulato e al tempo stesso unico. Oggi è uno degli italiani più influenti del web. Nel 2020 con Mondadori ha pubblicato il suo romanzo d'esordio Una notte ho sognato New York.
La trama di questo seguito ha sempre come protagonista Piero che torna a New York, fa i soldi e si fidanza con Elena, un'artista spagnola. Tutto qui.
Parto con delle considerazioni generali. Penso che il nostro personaggio abbia un serio complesso di inferiorità da risolvere. Come nel libro precedente non fa che ripetere che New York non è per tutti, che gli amici in Italia hanno "vite normali" mentre lui vive dall'altra parte dell'oceano e denigra sempre chi gli è rivale, chi ha più di lui, chi è più vincente. Vivere a New York è uno status symbol per mostrare ai suoi compaesani che lui è arrivato, che ce l'ha fatta.
Per il resto questo libro è anche peggio del precedente (ardua impresa). Lascio qua sotto frasi estrapolate dal testo e considerazioni prese durante la lettura che, per fortuna, almeno è stata breve. ENJOY.
1) Luoghi comuni ne abbiamo? Elena, artista spagnola, per mantenersi cucina LA PAELLA in uno stand. 2) Sessismo ne abbiamo? "Il mio sguardo è naturalmente catturato dal suo seno (...). In fondo non è colpa mia, mi dico, se la natura mi ha fatto uomo. Vorrei dirle che oggi la vedo particolarmente attraente, ha dei seni grossi che spingono per uscire da una camicetta troppo stretta." Poi aggiunge: "In America i commenti sull'aspetto fisico di una donna sono inappropriati, anche quelli ingenui e non volgari." Bene ma a) quanto letto sopra È un commento volgare e sessista e b) solo in America è inappropriato? Solo a New York sono culturalmente così avanti da evitare le battute sessiste sulle donne? Nell'Italia rurale e retrograda che ha in mente Armenti invece è lecito? È costume? Più avanti: "Sono un uomo (...) non è colpa mia se mi interessa un corpo (...). Sono un maschio che cerca una femmina." Tanto parlare che lui vuole vivere a New York perché è una città aperta, senza giudizi, che schifo l'Italia dove tutti hanno la mente chiusa e poi si batte il petto come un orango con 'ste frasi abominevoli. 3) Infantilismo a go go: Elena non lascia lo stand in cui sta lavorando per passare mezz'ora con lui e Piero dice di provare "delusione e odio" nei suoi confronti e la denigra chiamandola (mentalmente) "un'artista da quattro soldi che non è capace neanche di vendere le sue opere per pagarsi l'affitto". Chapeau. 4) Piero e Elena guardano su Netflix "La Casa di Carta". Già così fa molto ridere. È perché lei è spagnola, giusto? 5) A inizio capitolo: "So che questa cena mi costerà cinquecento dollari, ma ne vale la pena per questi occhi profondi che mi guardano". Giro pagina e descrive degli amici di Elena in un locale (dove saltano la fila perché lei è "giovane, spigliata e carina") e leggo: "ho la sensazione che siano figli di papà (...) forse perché hanno visi giovani e spendono migliaia di dollari per un tavolo e delle bottiglie di vodka." Quindi loro sono figli di papà perché spendono in locali e lui che spende 500 dollari nel ristorante di Armani in 5th Avenue per la tipa con cui esce è un grande uomo arrivato? Due pesi e due misure, sempre e solo per esaltare se stesso e denigrare gli altri. 6) Piero compra un paio di pantaloni Gucci da 550 dollari e mentre passeggia sulla 5th Avenue con la busta le ragazze gli sorridono. ECCERTO, GOLD DIGGERS. 7) Elena viene molestata dal padrone di casa e Piero ed Elena decidono di vendicarsi mandando una lettera alla moglie. La poliziaaaaaaaa 8) Se vivi a Staten Island sei un poraccio perché Piero può permettersi un appartamento da 6500 dollari al mese in centro a Manhattan mentre Staten Island non è presa sul serio da nessuno, è un buco nero, noioso, retrogrado e senza fascino (cit.) 9) Piero è troppo avanti: lui si rifiuta di usare la lavatrice, solo lavanderia e beve solo acqua Perrier e ha una American Express platino. 10) Non vuole fare una breve vacanza in Italia perché "mi annoia l'idea di immergermi (...) in quel clima depressivo da cui sono fuggito." Quindi va a Medellín. In questa parentesi colombiana uno scambio di battute EPICO: "È come se si avvertisse la presenza di Pablo Escobar." "Sì (...), come quando vai a Polignano a Mare e senti la presenza di Domenico Modugno." Giuro. 11) Piero, uomo di mondo: "Spesso ho sognato di sposarmi con lei, (...) essere il genero dell'armatore di Livorno più famoso al mondo. (...) Di certo non potrei mai perdere la testa per una di queste ragazze alla pari che vengono a fare le babysitter a New York: gliele leggi in volto l'ambizione e la fame di denaro".
Spero solo che l'autore sia quanto più diverso possibile dal personaggio che racconta. Per riassumere: sessismo a palate, paternalismo, banalità, aria fritta.
Un romanzo che scorre liscio come l'olio: una volta iniziato è difficile resistere dal leggerlo tutto d'un fiato.
Come nel suo primo romanzo, di cui Se ami New York è la continuazione, Piero Armenti intreccia persone della realtà - che i suoi followers ben conoscono - ad altre della fantasia, tuttavia qui, per la prima volta, svela il cuore e l'interiorità del protagonista (anche se hanno la meglio, come sempre, i particolari un più concreti, come il conto dei dollari spesi, le mance, i rooftop, i locali...).
Una delle caratteristiche migliori della scrittura di Piero Armenti? L'immediatezza. Che però ha anche il suo rovescio di medaglia: da amante di New York, avrei apprezzato una maggiore descrizione dei luoghi di ambientazione, invece l'autore si limita, con rare eccezioni, a nominarli. Forse, però, si tratta semplicemente di un riflesso del modo di vivere newyorchese: Time is money! Quindi, perché perdere tempo in descrizioni?
L'unico pregio è la grandezza del libro: meno di duecento pagine che filano lisce e veloci. Detto questo, ho trovato la storia fin troppo banale, capisco che l'autore (che ha scritto un altro libro prima di questo, che però non ho letto) voglia esaltare lo stile di vita che ha scelto, ma alla fine sembra ridursi alla classica trama da filmetto comico/romantico americano.
Premetto che non ho letto il primo libro, di cui questo mi dicono essere la continuazione, e che seguo sommariamente Piero Armenti su Instagram, ma a questo romanzo, se pur scorrevole e ben descrittivo dell'anima di New York e della vita di un expat nella Grande Mela, manca qualcosa: la trama è un po' banale e prevedibile, e ho apprezzato, da amante della città, più le descrizioni che la storia in sè. Un'occasione un po' sprecata per andare più a fondo, secondo me.
Seguendo Pietro sui social, ho sempre visto la parte più turistica di New York, invece leggendo questo libro ho scoperto la realtà di chi si trasferisce a New York per iniziare un nuovo capitolo da zero. È un percorso di alti e bassi, forse più bassi a cui bisogna saper reagire. Saper reagire, trovare il "compromesso" è necessario per vivere i nostri sogni.
Il libro è scritto bene e lo ho letto in due giorni. Forse mi è piaciuto di più il suo primo romanzo. In questo secondo romanzo fondamentalmente il protagonista deve prendere una decisione importante: scegliere l’amore per una ragazza o scegliere New York. Non spoilero ma nei contenuti ho trovato un po’ di superficialità e auto celebrazione. Sembra quasi che il messaggio del protagonista sia: io ho fatto tanti sacrifici e ho creato la mia azienda di successo dal nulla e ora voglio godermi i miei soldi, le feste sui rooftop, il mio appartamento sul grattacielo. Ok, bene, bravo. Forse però non dovrei criticare il messaggio del protagonista perché non si deve per forza condividerlo. Il libro è scritto bene ed è un buon “page turner”.