È il 1939 quando Diane Burbank, rappresentante della Disney Company, sbarca per la prima volta in Cile con l'incarico di consegnare al distributore locale le pellicole di Biancaneve, il primo lungometraggio animato al mondo, un adattamento del ben più cruento racconto dei fratelli Grimm. Ma le cose non andranno come previsto né quella volta né la successiva, trent'anni dopo, quando Diane tornerà a Valparaíso per fare visita al suo vecchio amore porteño. Morirà infatti dando alla luce il piccolo Gabriel, la cui sorte sembra segnata dal destino. Cresciuto da Anastasia, Gabriel verrà ben presto contagiato dalle ossessioni della bambinaia e quando assisterà a un evento tragico inizierà a perdersi tra sentieri solitari e oscuri. Seguendo le orme del leggendario serial killer Émile Dubois, Gabriel si trasformerà in un crudele assassino, convinto di poter punire la colpa con il peccato. Romanzo di formazione sui generis, "Non leggere i fratelli Grimm" parla al desiderio di ognuno di noi di essere amati e del risentimento che nasce quando questo amore ci viene negato.
Ho comprato questo libro dopo aver letto in quarta un frase lancinante: “un romanzo spietato sul dolore dell'infanzia, teatro di prova di tutti i nostri futuri delitti.” Le esperienze che viviamo da bambini, è vero, ci segnano nel profondo, in bene o in male, e ho sempre avuto bisogno di questo genere di letture. “Non leggere i fratelli Grimm” è un romanzo breve, appena 110 pagine, e pur essendo molto scorrevole è una lettura densa e non facilmente digeribile. È la storia di Gabriel Cambiasso, cresciuto tra il silenzio frustrato di un padre con l'ossessione di Walt Disney e le perversioni della balia assunta per crescerlo dopo la morte prematura della madre biologica. Sottoposto a una serie di stimoli traumatici, Gabriel si trasforma da bambino come tanti in qualcosa di molto più perturbante e crudele. Un mostro, forse? Sì, ma anche no. Quando cominciano a conoscersi tutti i retroscena, infatti, emettere un giudizio può diventare molto complicato. Tutta la narrazione si svolge secondo una concatenazione di storie, tra passato e presente, con uno stile tra il realismo magico più inquietante e il piglio cronachistico, nella cui commistione ho intravisto più di un riferimento a Gabriel García Márquez. Tutto l'impianto narrativo, del resto, è fiabesco e rispetta i principi originali delle fiabe, che di rasserenante e gioioso hanno ben poco, come scopre un personaggio del romanzo fin dalla prima infanzia:
«Jacob e Wilhelm Grimm, Hans Christian Andersen, Charles Perrault: Anastasia lesse tutte le fiabe che riuscì a trovare in biblioteca e si rese conto di quanto, nelle versioni tramandate nei secoli, le storie avessero perso la maggior parte del loro originario aspetto grottesco e crudele, sostituito da un immaginario piatto e banale. Un atto di stupida depurazione alla quale, molti anni dopo, avrebbe contribuito un ambizioso disegnatore statunitense. Nel raccontare le sue storie, Walt Disney non doveva rendere omaggio a nessun re, ma era un imprenditore e fu per raggiungere il maggior numero di spettatori che ripulì le fiabe originali da ogni elemento che potesse disturbare la morale e ostacolare le vendite, trasformando i cruenti racconti della tradizione orale in qualcosa di simile alla birra analcolica.»
Rendere concreta una fiaba, attualizzare il male in funzione di un bene superiore: sono temi di dostoevskiana memoria, che ben si prestano a definire il labile confine tra giustizia e follia incarnato dal protagonista.
È un romanzo carico di temi forti: abuso sui minori, violenza, abbandono, incesto; il mondo degli adulti ne esce ricoperto di vergogna, l'infanzia lacerata dalla corruzione. Pietà poca, ma molta vendetta, messa in atto in tante forme.
Per molti aspetti l'ho trovato ben fatto: Maureira Ortiz ha creato dei personaggi fragili, complessi e fiabeschi, le cui emozioni sono esasperate teatralmente e le cui storie hanno catturato la mia attenzione. Disgusto, orrore, compassione, persino una punta di ilarità costellano questo breve testo in più punti. Tuttavia ho riscontrato anche alcune debolezze: in generale ho percepito una correlazione causa-effetto fin troppo rigida. Della serie “se da piccolo ti hanno preso a schiaffi, da grande schiaffeggerai i tuoi figli”. Concordo sul fatto che lo scrittore non debba essere uno psicologo né un sociologo, ma queste associazioni suonano un po' troppo naturalistiche e l'epoca zoliana è passata da un pezzo. Il finale, inoltre, a mio avviso è stato troppo affrettato e sebbene non si tratti di un testo lungo, come detto prima, probabilmente avrebbe avuto bisogno di un paio di pagine in più per risultare armonico.
Nel complesso trovo che sia un buon racconto lungo, con ottimi elementi della tradizione rivisitati in termini moderni – il rapporto con i genitori, l'abbandono, la violenza, la giustizia arbitraria – non sempre in modo del tutto originale, ma comunque di forte intensità. Consiglio la lettura anche agli amanti della letteratura sudamericana che ne potranno apprezzare gli aspetti caratteristici di un certo modo di narrare il mondo. Sconsigliato a chi si impressiona facilmente e alle persone sensibili al tema dell'abuso sui minori.