Il romanzo dell'infanzia perduta. Seduto con un cane a fargli compagnia, un bambino morto per caso. Un orfano, niente famiglia, niente amici. E invece qualcuno che si chiede perché, e come, e quando. Qualcuno che si mette a scavare in vite piccole, di cui non ci si cura, di cui non si sa niente. Qualcuno che non si rassegna all'urlo che non sente, al lamento che non riesce a trovare. Fino al giorno dei morti.
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In nuova edizione l'intero ciclo delle «stagioni»: le prime quattro storie del commissario Ricciardi. In ogni volume, in postfazione, l'autore dialoga con i suoi personaggi lo stesso Ricciardi, che ha il dono, o la condanna, di sentire il dolore, vedere i morti di morte violenta e ascoltare le loro ultime parole; il brigadiere Maione, suo compagno di avventure; Bambinella, il femminiello che sa tutte le voci della città; e il razionale, umanissimo dottor Modo.
Maurizio de Giovanni è uno scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano, autore perlopiù di romanzi gialli.
Maurizio de Giovanni is best known for his prize-winning series set in 1930s Naples featuring Commissario Ricciardi, a loner with the paranormal ability to see and hear the murdered dead. A banker by profession, de Giovanni also writes short stories and books about historic matches of the Neapolitan soccer team.
Per tentare di capire un fenomeno come quello di Maurizio De Giovanni, ho pensato che un solo romanzo non fosse sufficiente. E così, dopo il primo della serie Ricciardi, mi sono dedicato al quarto, dato che Wikipedia dice che: “per quest'ultimo arrivano anche i primi importanti riconoscimenti. Definito pubblicamente un piccolo capolavoro, vince nel 2011 il ‘Premio Nebbia Gialla’ di Suzzara e il ‘Premio Hadrianus’ a Tarquinia.” Al contrario, per me, il primo letto e il primo pubblicato era nettamente superiore a questo quarto.
Il commissario Ricciardi a fumetti.
Siccome tutti insistono a definire MDG un noirista, addirittura il miglior noirista italiano, devo dire che per me di noir non c’è nulla nei suoi libri – in quel primo sì, qualche tratto c’era, la personalità del protagonista, il Fatto, questo elemento di condanna senza scampo… Ma, arrivati all’autunno, il Fatto s’è annacquato, così pure il commissario, di noir non c’è rimasto nulla di nulla, siamo in ambito poliziesco.
Usare il termine annacquato, mi rendo conto, è quasi una presa in giro, perché nelle trecento pagine piove sempre: in quell’autunno del 1931, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, piovve per due settimane di seguito a Napoli. Il global warming era già iniziato?
Gli occhi verdi del commissario Ricciardi.
Siamo nel 1931 e il fascismo è già una burletta: il brigadiere chiama Mussolini ‘mascellone’ manco fosse un compagno di bevute - l’unico fascista, il vicequestore, è una macchietta…. Sono certo che MDG non ha nessuna simpatia per il ventennio: ma perseverare nello stereotipo degli “italiani brava gente”, dell’Italia tutta antifascista, come minimo fa porre qualche domanda: chi è che in parlamento faceva le leggi, chi governava? Chi ha fatto le guerre? E le deportazioni? E le pulizie etniche? Chi è che ha usato le armi chimiche tra i primi al mondo? Chi è che ha fatto le leggi razziste (chissà perché si chiamano invece razziali)? Chi è che incarcerava, picchiava, torturava, mandava al confino, nei campi di concentramento (nazionali e nazisti)?
Il commissario Ricciardi e il Fatto.
Il commissario Ricciardi non è più il protagonista: adesso, protagonisti sono diventati tanti, ognuno ha il suo spazio, a ciascuno alternativamente è dedicato un capitoletto, o parte di esso, una tessera del mosaico, e tutti hanno i loro generosi spunti umoristici. Nessuno, però, ha il fascino del commissario. Sono, invece, tutti abbastanza scipiti e banali: dallo scontato vicequestore, superiore di rango al commissario, che pensa solo alla carriera; al brigadiere super fedele, che neppure un cane; alla tata governante facente funzione di vecchia zia, poco brontolona, affezionatissima devota attentissima; la vicina di casa che attrae gli sguardi e i dardi dell’amore del commissario, passione più che corrisposta, totalmente condivisa; alla splendida vedova del morto del primo romanzo, incapricciata del commissario, ma senza vere chance; al medico legale, di gran cuore e tanto antifascista.
L’autunno del commissario Ricciardi.
Il dialogo dilaga, anche il commissario è diventato ciarliero, tutti parlano tanto, si parla troppo con molti incisi e divagazioni e perdite di tempo, e spesso gli ascoltatori chiedono agli oratori di restare sul pezzo: è dialogo da avanspettacolo, in molte occasioni si ha la netta impressione che i personaggi si credano su un palcoscenico per intrattenere noi lettori. Continuavo ad aspettarmi che da un momento all’altro comparisse anche Pulicinè-Pulcinella, in compagnia di Sarchiapone e Sciosciammocca.
Aumentano le pagine di colore: si arriva a due pagine e mezzo di pettegolezzi sotto forma di telefonata tra due amiche! Vince la città, Napoli, raccontata con dovizia e amore, ma sempre in stile cartolina, nessun elemento nuovo, è forse la vera protagonista, più del commissario. L’indagine sembra quasi un pretesto per raccontare la città, l’inchiesta progredisce lentamente, ormai sembra che il Ricciardi sia più preso da altro e altri che dal Fatto (che rimane il mio elemento preferito di questa serie di storie).
Non ho affatto apprezzato la scorciatoia di raccontare in pagine di corsivo i fatti che nessuno personaggio vede di persona, che neppure conosce. Anche perché non aiutano la soluzione del caso, anzi inducono in depistaggio.
Di solito, in questo genere di libri, al primo delitto ne segue perlomeno un altro: non voglio dire che sia un pregio, ma l’attenzione rimane un po’ più sveglia, le cose si complicano, il lettore è costretto a sforzarsi un pochino. Invece MDG fa ruotare ogni storia intorno a un solo morto, che colloca al principio, e la cui morte trova ovviamente soluzione solo alla fine: soluzione alquanto composita e artificiosa nei due episodi che ho letto. MDG sostiene che si uccide solo per amore o per fame. Chissà cosa ne pensano tipi come Totò Riina e Bernardo Provenzano: in fondo anche di loro si può dire che ammazzavano e facevano ammazzare per fame (l’amore, in questo caso, lo vedo improbabile).
PS Confidenze è un riferimento alla nota rivista per la quale MDG mi sembra adattissimo.
Autumn has arrived in Naples, and with it the rain.
A small boy is discovered in the downpour, sitting quietly composed on a great set of stairs, lifeless and guarded by a watchful dog. Comissario Ricciardi arrives on the scene and is struck not so much by the melancholy piquancy of the tableau but by what is noticeably absent from it. Where is the child's ghost acting out the final moments of this life? Why is there only silence where there should be last words? His curse of a gift to witness these spectral apparitions has failed to engage, and this is troublesome to him, truly. A trouble to be added to the trouble of Benito Mussolini's imminent visit and the many complications it brings to the Neapolitan police force. A trouble, also, to add to that of the fair Enrica Colombo - whom he has decided, at last, to write.
The fourth volume of the series finds our detective baffled now by both life and death. His author launches him in half a dozen different directions, floundering in futility as each avenue pursued presents another question, another risk, another dive into the danger of his own mystification. Crossroads approach.
I add this happily to the rest of the dark and deliciously desperate offerings from Maurizio de Giovanni. A fine and fierce little thing.
Sempre intenso, commovente, avvincente. E anche pieno di speranza. Ricciardi, l'uomo dannato dalla morte e dalla solitudine che si rispecchia in Tetté. Ma intorno a lui Maione, Modo, Rosa, Enrica, Livia, che lo amano e intuiscono il suo abisso. Speriamo che infine capisca di non essere solo.
Scusate, eh … ma mi scappa ancora un poco da ridere …
Ma guarda un po’ la fine che fa il nostro serioso commissario Ricciardi. Quello che era tutto un “Enrica, amore mio” di qui, “Enrica, amore mio” di là, che non sarai tanto bella fuori, ma sei fantastica dentro e non so come dirtelo, perché sono timido, e ti guardo ogni sera ricamare dalla finestra, ma ho paura ad avvicinarti perché porto con me un dolore profondo, che mi logora e non vorrei scaricartelo addosso … intanto però, tra il lusco e il brusco, con la scusa dell’influenza, della febbre alta e del delirio, una scopatina con la Livia se la fa, eccome se se la fa, scusate la trivialità dell’espressione. E Livia, guarda un po’, magari non sarà bella dentro, ma fuori certamente sì. E fa pure il finto tonto, per un po’, il nostro caro ed ormai ex integerrimo commissario …
Ahahahahaha …
Perdonatemi, ma ogni tanto mi ritorna qualche accesso di ilarità dovuto alla scena.
Vabbè, dai, ci provo a stare seria per cinque minuti … ahahahaha … uh … coff ..coff … sì, ok, ce la posso fare …
Come supponevo sarebbe accaduto, stiamo decisamente scivolando nella sceneggiata napoletana e nella soap opera. E non solo per quanto riguarda il rapporto tra Ricciardi ed Enrica, ma anche per il resto. Quando arriviamo ad aver assassini del “calibro” (da notare le virgolette) di questa Carmen, vuol dire che siamo davvero alla frutta. Ed è un vero peccato, perché De Giovanni sa scrivere assai bene. Sa scrivere bene, ma pare non avere il minimo senso della misura. Né dell’eleganza. Aveva cominciato molto bene con il sobrio, espressivo ed incisivo “Il senso del dolore”, da cui si è progressivamente staccato sino ad arrivare a questo improponibile romanzo, che fa proprio venire il latte alle ginocchia. Eppure la capacità di tratteggiare inconsuete atmosfere e delicate situazioni ce l’avrebbe.
Cosa è mai successo? Perché la banalità sta prendendo il sopravvento?
Ahahahahaha … è più forte di me … se ripenso a Ricciardi a letto con Livia, mi scompiscio dal ridere ... altro che “Il posto di ognuno è l’amore” … boccaccia mia statti zitta, vah, che è meglio ...
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Ormai i libri della serie di Ricciardi sono una certezza per me: per quanto sempre un po’ carenti per quel che riguarda il caso, che non è mai niente di particolare o complicato, hanno una capacità pazzesca di rubarti e spessarti il cuore a pezzettini. Ma pezzettini proprio piccoli. La storia mi è davvero piaciuta un sacco e mi ha davvero commosso, credo di aver pianto più o meno tutto il libro a causa della storia di Tettè. Com’è andata a finire la storia, però, non mi ha fatto impazzire, in quanto sotto alcuni punti di vista un po’ forzato mentre per altri (ovvero chi era stato) abbastanza scontato, ma soprattutto è stato un finale fin troppo triste. Ricciardi in questo libro è risultato molto più umano rispetto ai volumi precedenti, sotto moltissimi punti di vista. In primis è risultato molto più caparbio nel voler trovare la verità su Tettè, fregandosi di tutto e tutti, certo sin da subito che qualcosa non andasse dato che mancava il fantasma. Ma soprattutto è sembrato più triste del solito per la situazione, più coinvolto. Ha inoltre cercato di salvaguardare gli altri, in particolare Maione, coinvolgendoli il meno possibile. E poi anche per quel che riguarda le relazioni. Per quel che riguarda Ricciardi e Livia non ne voglio nemmeno parlare, anzi facciamo tutti quanti finta che lei non esista. Quella tra Ricciardi ed Enrica, invece, non si può nemmeno definire una relazione, dato che va avanti davvero molto, troppo, lentamente (ma almeno va avanti!), cosa che però sta iniziando a stancarmi un po’.
Set in Naples, with an appealing cast of characters, this police procedural was too monotonously procedural to me. Too much repetition of investigative technique, too much melodrama in the backstories, and too much exposition in the dialogue. And when the killer is finally revealed, I didn't believe the motive for one second. Still, I liked the dog.
"Il giorno dei morti. L'autunno del commissario Ricciardi" è il quarto romanzo in cui Maurizio De Giovanni racconta le vicende del commissario Luigi Alfredo Ricciardi. In questo caso la vicenda riguarda la vicenda di un bambino, Fefé, ritrovato morto, apparentemente di freddo, come tanti altri orfani all'epoca. Ma il commissario nota subito che c'è qualcosa di anormale per via dell'assenza di quello che lui chiama "il fatto" e del suo sesto senso che lo porterà ad indagare a riguardo. Il personaggi, ancora una volta, sono descritti molto bene, tanto da renderli visibili al lettore. Il lessico è semplice. Il ritmo non è mai lento. Questa storia porta con sé ancora una volta una riflessione, stavolta sulla condizione degli orfani dell'epoca, che ci riporta anche ai giorni nostri e alla condizione dell'infanzia su cui non bisogna mai dare niente per scontato. Inoltre possiamo provare un coinvolgimento emotivo particolare, ricco di compassione. Scopriamo un commissario Ricciardi più umano che mai, quasi anacronistico per l'epoca, nonostante mantenga ancora le sue convinzioni riguardanti la sua condizione legata al "fatto" che gli crea non pochi disagi.
Il doppio punto di vista di Ricciardi e del bambino non aggiungeva niente, serviva solo a confondere il lettore.
La... scena altamente opinabile con Livia era non solo evitabile e inutile, ma proprio brutta, e il fatto che venga presentata così come se fosse romantica e non come una donna che si approfitta di un uomo delirante per la febbre, è disgustoso. E l'autore non è certo Nabokov.
Paolo Cresta che narra i libri è ciò che rende sopportabile la brutta prosa, onestamente.
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Ormai sembra essere tradizione iniziare un nuovo anni con De Giovanni ♥
Lo stile di De Giovanni è poesia, mi perdo nelle sue parole tutte le volte *_* "Solo" quattro stelline perché non riesco a perdonargli le pagine finali (ma.. ma..!!) e perché non l'ho trovato all'altezza dei precedenti, sublimi. Il commissario mi fa una tenerezza che strazia il cuore, in autunno più che mai.. Come l'autore scandaglia l'animo umano, pochi altri :')
La prima mattina di freddo ha un sapore e un colore che non ha nessun'altra mattina. Perché il freddo arriva sempre di notte, quando tutti dormono, per cogliere di sorpresa; e arriva sull'ala del vento. Arriva cambiando il sapore della pioggia, che prima sapeva un po' di mare e adesso sa di ghiaccio, e diventa di aghi che penetrano i tessuti e gli sguardi, e sostituisce la luce da nera e gialla a grigia e uniforme.
La domenica sotto la pioggia è tutta un'altra cosa. Ti mette di fronte a quello che non pensavi, a quello che non avresti mai voluto. Ti impedisce di tuffarti in mezzo alla gente per strada, di drogarti di luci e di colori, di farti sballottare da grasse balie nei giardini o da giovani coppie nei caffè in galleria. Non ti permette di andare a sentire il profumo del mare, e le urla dei pescatori che propongono quello che hanno preso di notte. La domenica sotto la pioggia chiude le porte. Penetra con la luce dalle fessure, allaga le pareti e il pavimento, entra nell'anima salendo dai piedi e stringendo il cuore in pugno. La domenica sotto la pioggia sa come fare, a giocare con la speranza e la solitudine. La domenica sotto la pioggia ti fa volere qualcos'altro, rispetto a quello che hai. Ti fa guardare le finestre rigate d'acqua e tutto quello che si vede diventa distorto, alterato. Neanche le immagini del fuori ti consente, la domenica sotto la pioggia, nelle lunghe ore negate al passeggio e agli incontri.
Il più bello, ma anche il più drammaticamente triste, della serie Ricciardi. Tenerezza, angoscia, tristezza e pietà per la vita, e la morte, del piccolo Matteo, vessato, sfruttato, abbandonato da tutti, anche da chi dovrebbe amarlo e proteggerlo a costo della propria vita. Tra tanti esseri viventi che gli girano intorno, l'unico che ha a cuore la sua vita è un cagnolino, brutto e sfortunato, proprio come il piccolo Tettè. Ricciardi, che non accetta la spiegazione di una morte accidentale, scava fino in fondo per rendere giustizia alla povera vita del bambino. In una Napoli fredda, plumbea, umida, in fermento per l'imminente visita del Duce, con la pioggia che senti fin dentro le ossa e che trasuda dalle pagine, si snoda un'indagine atipica e disperata, con un finale in sospeso e straniante.
La domenica sotto la pioggia ha qualche speranza, nelle solitudini.
Si dice che con l'abitudine ogni forma di bellezza diventa familiare. Questo è il terzo libro di De Giovanni che leggo, eppure ancora non mi sono abituata al calore della sua scrittura, alla purezza delle sue descrizioni, e alla tangibile verità dietro ogni personaggio. Anzi, credo che con questo volume De Giovanni abbia raggiunto un livello di bellezza finora solo sfiorato. Non solo perché la vittima è un bambino, ma soprattutto perché l'assassino è la solitudine. E la solitudine può agire in silenzio, come la neve, ma la maggior parte delle volte fa rumore come un incessante temporale. Ecco, leggere di Tettè e della sua storia è stato come prendere per mano la mia antica solitudine e fermarmi ad ascoltarla, dandole spazio, perfino senso.
To była najsmutniejsza część z komisarzem Riccardim, i niestety ostatnia wydana po polsku, co rozdziera mi serce, bo to są tak ładnie napisane i ma taki niepowtarzalny klimat jak już dawno żaden kryminał nie miał. Neapol lat trzydziestych, rozkwit faszyzmu we Włoszech, atmosfera grozy i niepewności, a jednocześnie ten dziwny spokój i prostota życia. Zatem, jak tu nie zakochać się w tej serii? Każdy bohater jest na swój sposób cudowny (oprócz Livii, jej nie lubię), i mocno kibicuje Riccardiemu, kto czytał, ten wie.
* una persona delirante per la febbre non è abbastanza lucida per dare il consenso. Spoiler: Livia inizia a baciare e toccare Ricciardi anche se lui è semicosciente e delirante. Quando lui l'asseconda lei continua. Ma lui non è abbastanza lucido per dare il consenso.
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Non sono sicura se definirlo il migliore finora o semplicemente quello piú triste di tutti. C'é comunque da dire che nessuno scrive cose tristi cosí bene come de Giovanni ultimamente, o almeno cosí pare a me.
Credo sia il quarto episodio della serie, ma la trama è chiara e comprensibile anche senza aver letto gli altri. Scorrevole, interessante, mi ha coinvolta al punto da voler leggere il seguito. Un bel giallo.
Tetté non ha più di otto anni. Tetté vive in un orfanotrofio gestito dalla chiesa. Tetté ha solo un cane come amico. Tetté è cacaglio. Tetté è morto ma del Fatto nemmeno l'ombra.
Non è un'indagine ufficiale quella che Ricciardi decide di portare avanti in questo romanzo. Non è ufficiale perché Lui sta arrivando e bisogna dimostrare che Napoli è la città fascista per eccellenza, che non ci sono morti di bambini per la città dovute alla fame, alla violenza o qualsiasi altro motivo, quindi la morte di Tetté è stata accidentale per chiunque in questura. Il povero bambino ha mangiato qualcosa di avvelenato con del veleno per topi e sfortunatamente è morto. Niente di più.
A Ricciardi, che ormai conosce Napoli ma soprattutto ha un intuito che non sbaglia mai, di tutto ciò non si interessa e imperterrito vuole dare a Tettè una fine degna, prendendosi giorni di permesso per scoprire cosa sia successo al piccolo orfano.
Un'ombra bianca lo segue per tutta la città, come se fosse il committente di quell'indagine. Ricciardi si sente gli occhi del cane ovunque, pure a casa.
Come sempre, la scrittura di de Giovanni è diretta e in questo romanzo, più che in quelli che l'hanno preceduto, le sensazioni del commissario e di tutti i personaggi come l'agitazione di Garzo per l'arrivo del Duce, la preoccupazione di Maione e Rosa per Ricciradi, e la necessità quasi fisica del commissario di trovare una spiegazione si impossessano di chi legge, facendoci entrare quasi nel libro e facendoci seguire il commissario per le strade di Napoli.
As you might expect with a title like The Day of the Dead, the fourth book in the Comissario Ricciardi series is more somber and less playful than the previous three. A little boy, one of the scugnizzi or "street urchins" of Naples, has been found dead at the foot of the steps to Capodimonte. He appears to have died peacefully, sitting up, with his loyal dog in attendance. If Ricciardi had not intervened, no one would have bothered doing an autopsy. But something doesn't seem right to Ricciardi and he always trusts his instincts. Even Brigadier Maione, ever sympathetic, calls the little boy, "just another orphan." But Ricciardi prevails and an autopsy reveals that the boy, Matteo, has died from eating rat poison. This would not have resulted in a peaceful death, something resembling dying in your sleep. No, strychnine causes convulsions and frothing at the mouth. Ricciardi realizes that Matteo suffered a violent death, perhaps by accident, and he didn't die at the scene where he was found. Ricciardi would have seen Matteo's ghost there and heard his final thoughts. Someone moved Matteo's body. Why? And from where?
Set in late October, near the Feast of All Saints, this book has many of the characters found de Giovanni's early books in the series, but there are few humorous touches. And the two young women in Ricciardi's life, Livia and Enrica, seem shallow and stereotypical this time out. It rains nearly every day and everyone is tired of the cloudy skies, chilly temperatures, and wet and muddy streets. Ricciardi refuses to carry an umbrella or wear a coat and he's soon sick, running a fever and trying to solve the mystery of Matteo's death while officially "on vacation." But it's Matteo himself who brings this book to a new level of sadness. He's an orphan, abandoned to a mercenary priest, living with five other orphans who are supposedly under the care of the Catholic Church, but in reality completely on their own. The other boys, with one exception, Cristiano, are brutal and vicious; they kill cats and threaten to kill Matteo's dog and him. Cristiano is sympathetic to Matteo but cowardly; he doesn't want the other boys to turn their attention to him. They are jealous of Matteo, who is the favorite of a wealthy young woman named Carmen who teaches the boys twice a week. Afflicted with a horrible stutter, Matteo can barely communicate verbally. However, despite the desperation of his situation, he remains hopeful that his "Angel" Carmen will adopt him.
I found it difficult to read this book. Matteo's treatment by everyone in his life is so despicable that I could hardly continue. The end of the book is surprising and violent, very different from the other three books in the series. There are a number of red herrings in the book, but when the mystery is finally solved, it's more shocking that I could have imagined. Nonetheless, it's beautifully written and emotionally powerful. I just couldn't say that I enjoyed it as much as the other books in the series.
The Enlgish translation Book 5 in the Comissario Ricciardi series comes out in August and I can't wait to see what happens next.
Acqua che non lava. Che picchia sulle finestre e sveglia dal sonno, o reca nei sogni fantasmi di antichi dolori. Acqua che separa. Che diventa una parete fredda tra gli amanti.
Questo è il mio preferito fra le stagioni , non solo per la commozione che è inevitabile di fronte alla morte prematura di un bambino, ma anche per il bell’intreccio nella storia sentimentale di Ricciardi, incapace di farsi avanti con Enrica, e posseduto quasi a forza da Livia. Una bella miscela….
Se qualcuno fosse passato, si sarebbe chiesto come mai il flusso dell'acqua e dei detriti, che incessante cadeva a valle, sembrasse rispettare il cane e il bambino, passandogli accanto senza toccarli se non per qualche schizzo occasionale.
In una Napoli gonfia d'acqua, acqua che non lava, che separa, che deruba, acqua che fa paura e che non finisce, matura il delitto, atroce, inaccettabile del piccolo Matteo. Tetté lo chiamavano perché tartagliava e solo tté, tté a volte riusciva a dire. Lui che non aveva niente e nessuno, solo se stesso e il suo cagnolino senza nome, che lo seguiva dappertutto, l'unico che lo capiva quando gli parlava. Lui che dolce e sottomesso, subiva le prevaricazioni degli altri scugnizzi, lui che aveva imparato a rubare, lui che aspettava ogni settimana la carezza del suo angelo, alla fine muore con in bocca parole d'amore: “grazie, per i biscotti. Ti voglio bene, tu sei il mio angelo”. Parole che il commissario Ricciardi cerca con affanno per tutto il romanzo e alla fine lo trova il Fatto. Nell'ultima stagione De Giovanni ci attacca il cuore, ce lo torce, ci fa venire le lacrime agli occhi, ci fa indignare di fronte ad una morte ingiusta e crudele. E poi ci lascia sospesi, anche sul finale, con il destino del nostro solitario dagli occhi verdi, innamorato e diviso fra due donne che lo amano. E poi c'è pure il voto. E no, De Giovanni, ce la devi dare l'altra stagione. Lo so che sono solo quattro le stagioni, ma si susseguono e quindi puoi proseguire. Dacci almeno un epilogo, un'appendice!! Insomma.... fai qualcosa...
Un libro bellissimo che fa parte serie dei romanzi che Maurizio de Giovanni ha dedicato al Commissario Ricciardi, ambientati in epoca fascista. In una Napoli insolitamente flagellata dalla pioggia, Ricciardi indaga sulla morte di uno scugnizzo, morte che solo a lui pare sospetta, tanto che le indagini se le porta avanti da solo con lo sporadico aiuto del brigadiere Malone. La prosa di de Giovanni trova in questo romanzo toni altissimi sia nelle splendide descrizioni dei luoghi che nella resa dei sentimenti. Sopra ogni cosa domina la ‘pietas ‘ quel sentimento così italico con cui i latini riassumevano la partecipazione, l’empatia, la compassione e il rispetto degli altri esseri umani; è questo il sentimento che dirige il lavoro del Commissario Ricciardi, che lo fa procedere a dispetto dei superiori, delle avversità atmosferiche e della sua stessa salute verso una soluzione non scontata. Anche se venata di malinconia, davvero una bella lettura.
(Quarto libro della serie del Commissario Ricciardi)
Si conclude il primo anno del Commissario Ricciardi, raccontato attraverso le stagioni per concludersi qui, in autunno, nel periodo dell'anno in cui la tristezza a volte accompagna le piogge e le notti che si allungano... Sempre molto bella e ben fatta l'ambientazione sia geografica (la mia Napoli, con tutte le sue contraddizioni) sia storica (il ventennio fascista con tutte le sue...), e ancora più gradita la capacità di entrare nelle storie della gente normale, spesso povera o a volte ricca ma solo al di fuori. I personaggi continuano a crescere risultando sempre più umani, e stavolta l'accento e tutto sul Commissario e su suoi demoni. La storia anche questa volta è un vero capolavoro, con un finale quasi da cinema. Lo consiglio vivamente - e consiglio di leggere questi libri in ordine di pubblicazione - e tornerò presto a seguire le storie del Commissario Ricciardi.
Per ora, sicuramente, il più doloroso, per me, da leggere, pardon ascoltare. Una storia che mi ha commossa fino alle lacrime in più punti. Una magnifica e terribile rappresentazione di una società indifferente, di una città viva e brulicante in cui, come sempre, domina la legge del più forte, di uomini dall'anima corrotta affiancati da altri che inconsapevolemente, brillano per la loro sensibilità, per il loro cordoglio, per la loro partecipazione. Una indagine serrata, in cui tutti sono in qualche modo colpevoli ed in cui il vero colpevole arriva tremendo e devastante. Ma tra le lacrime ho anche riso, come sempre. Una Scrittura che sviscera la realtà che racconta e scava nel cuore del lettore. Una interpretazione di lettura davvero superlativa Hugs&kisses
Faccio un mea culpa iniziale: inizio la serie del commissario Ricciardi dal numero quarto, perché in libreria avevo questo (ho già risolto prendendo il primo, il prossimo che leggerò). Ho scoperto De Giovanni per una bellissima prefazione a una raccolta di racconti dell'orrore, e qui ho ritrovato la bellissima penna, lo stile e il volersi prendere del tempo per narrare. La figura di Ricciardi viene accompagnata da più protagonisti, a cui è dedicato un capitolo intero o almeno metà, in questo modo si riesce a cogliere un panorama non solo del caso, ma della Napoli del 1931, in un autunno piovoso, accompagnato dalla morte di un bambino orfano, balbuziente e indifeso, con solo un cane come amico, e un angelo accanto... Un racconto molto toccante, con personaggi ben descritti (da don Pietro a Bambinella) e con piccoli sprazzi del passato visti dagli occhi della vittima. Molto consigliato
Quattro stelle perché la trama è molto avvincente e perché ci sono molti colpi di scena (e perché amo qualsiasi cosa mi racconti de Giovanni...) ma la storia della povera vittima è straziante a così tanti livelli che è stato difficile non distrarsi, perché spesso è stata così tragica che faceva quasi il giro e diventava comica, di quella comicità assurda e devastante.che si trova nei più angoscianti racconti di Kafka.
Straziante, onirico, folle. Certo, ci sono particolari poco credibili ma la storia dell'incidente oscuro (fino alla sconcertante scoperta finale) cattura dall'inizio alla fine.