«Con Randagi Marco Amerighi s’impone come uno scrittore dal quale non si potrà più prescindere. Fin dalle prime pagine la scrittura avvolge e coinvolge, si concentra e si distende, unisce personaggi per poi separarli. Magistrale, non c'è altra parola. Voce, lingua, grana, timbro, luce, la scrittura di Amerighi splende in questo romanzo e si colloca nel perimetro entro il quale stanno i grandi affabulatori della nostra tradizione – molti dei quali toscani come lui, da Collodi a Fabio Genovesi, passando per Malaparte, Pratolini, Palazzeschi, Pardini ed Edoardo Nesi. Tra essi Marco Amerighi, con questa sua seconda opera, cos bella, così potente, prende definitivamente posto.»Sandro Veronesi, autore di Il colibrì, Premio Strega 2020«Un libro che contiene la questione più il coraggio di esplorarsi. Ed è lo stesso coraggio che Amerighi mette nella scrittura e nello sguardo di questo implacabile viaggio letterario.»Marco Missiroli, autore di Fedeltà, Premio Strega Giovani 2019A Pisa, in un appartamento zeppo di quadri e strumenti musicali affacciato sulla Torre pendente, Pietro Benati aspetta di scomparire. A quanto dice sua madre, sulla loro famiglia grava una prima o poi tutti i Benati maschi tagliano la corda e Pietro – ultimogenito fifone e senza qualità – non farà eccezione.Il primo era stato il nonno, disperso durante la guerra in Etiopia e rimpatriato l’anno dopo con disonore. Il secondo, nel 1988, quello scommettitore incallito del padre, Berto, tornato a casa dopo un mese senza il mignolo della mano destra. Quando uno scandalo travolge la famiglia, Pietro si convince che il suo turno è alle porte. Invece a svanire nel nulla è suo fratello maggiore Tommaso, promessa del calcio, genio della matematica e unico punto di riferimento di Pietro; a cui invece, ancora una volta, non accade un bel niente.Per quanto impegno metta nella carriera musicale, nell’università o con le ragazze, per quanto cambi città e nazione, per quanto cerchi di tagliare i ponti con quel truffatore del padre o quella ipocondriaca della madre, la sua vita resta un indecifrabile susseguirsi di fallimenti e delusioni. Almeno finché non incontra due creature raminghe e confuse come Laurent, un gigolò con il pallino delle nuotate notturne e l’alcol, e Dora, un’appassionata di film horror con un dolore opposto al suo. E, accanto a loro, finalmente Pietro si accende.Con una trama ricca di personaggi sgangherati e commoventi, e una voce in grado di rinnovare linguaggi e stili senza rinunciare al calore della tradizione, Randagi è un abbagliante romanzo sulla giovinezza e su quei fragilissimi legami nati per caso che nascondono il potere di cambiare le nostre vite. Un affresco che restituisce tutta la complessità di una ferita, delusa e sradicata dal mondo, ma non ancora disposta a darsi per vinta.
Da noi Vagabondi a voi Nomadi: date un occhio ai Randagi
Il romanzo all’inizio era brioso e mi interrogavo su che cosa non me lo facesse trovare anche divertente, perché credo che divertire il lettore fosse l’ambizione di Amerighi. La prima parte che riguardava strettamente la famiglia Benati, non lasciava presagire che nelle successive si sarebbe finiti nel copione di un film di Özpetek per numero di personaggi e stramberie. Il protagonista di “Randagi” è Pietro, un adolescente oscurato dalla stazza di suo fratello Tommaso, uno di quelli che riesce in tutto ciò che fa. I fratelli hanno un bel rapporto solidale e un giorno.. un giorno partiranno da Pisa verso il mondo: uno per Madrid (Erasmus), l’altro per New York (dottorato). Pisa e Madrid sono descritte con una precisone che non lascia dubbi sul fatto che Amerighi vi abbia abitato; se le descrizioni delle due città sono apprezzabili, altrettanto non si può dire della caratterizzatone dei numerosi personaggi accessori fra i quali spiccano: Doramas, la ninfomane frigida che ha militato nel Milan e nelle Merengues e Laurent Figon, gigolò con un passato al Tour in qualità di maillot jaune. Buona parte della narrazione è incentrata sulle storie personali dei personaggi accessori, cose già accadute nelle loro vite e usate per definire i loro temperamenti Borderline (*1). Sono la preparazione alla giostra, al calcio in culo con cui l’autore li lancerà in alto a raccogliere il pennacchio “chi la racconta più grossa” per poter vincere una pagina di ulteriori farneticazioni. Ricordo soprattutto alcuni giri vinti da Andrei il Diggei. Non crediate però di maneggiare un libro di sola evasione, il dolore si presenterà più volte al capezzale della famiglia Benati mentre gli anni passano e i fratelli crescono. Quando lessi Fontana credetti che il fastidio me lo avessero causato i personaggi iper politicizzati, in Amerighi di politica non vi è traccia, purtroppo però il fastidio è stato simile. Più scrittori leggo, più mi accorgo quanto quelli davvero bravi siano pochi. Sono coloro che non creano personaggi, fanno vivere delle persone, lo fanno per accenni, gesti, allusioni; non hanno la mania di spiegare, lasciano a chi legge il compito di capire. Amerighi non scrive male, non scrive peggio di altre centinaia di scrittori, purtroppo però il suo romanzo ha finito per annoiarmi. Belle le ultime righe della sua dedica in calce.
I personaggi di questo romanzo sono tutti noiosamente talentuosi, Pietro e Dora in particolare insopportabili. Non è chiaro il motivo per cui Pietro odi tanto suo padre, dato che quello che ha fatto viene liquidato in poche righe, né perché Dora dovrebbe essere innamorata di lui. Il capitolo del Rainbow Party, che lo scrittore aveva anticipato a puntate come racconto per una rivista, è probabilmente il peggiore: zero realismo e introspezione, creatività sessuale che neanche in una ficcyna. Comunque mi è piaciuto di più rispetto a "Le nostre ore contate", almeno credo. Nulla da dire sullo stile di scrittura, ineccepibile, tranne forse qualche dialogo artificioso.
EDIT Abbasso la valutazione del romanzo perché ho letto recensioni positive sui giornali pieni di supercazzole, in qualche modo bisogna compensare. A distanza di mesi inoltre non ricordo niente di positivo, aggiungiamoci un incidente mortale dove l'ambulanza si lascia un ferito per strada...
È il primo romanzo che leggo di Amerighi, e devo dire che mi ha convinto. Innanzitutto per la scrittura: uno stile diretto, pulito, che ti tiene incollato alla pagina senza mai fermarti (in una notte ho letto un centinaio di pagine, per dire), e soprattutto per ciò che racconta, che vagamente mi ha ricordato “Prima di noi” di Giorgio Fontana, con l’unica differenza che il primo è una saga familiare, mentre questo possiamo dire essere un romanzo generazionale, in cui i protagonisti - i fratelli Pietro e Tommaso Benati, Dora e Laurent - imparano a proprie spese cosa significa diventare adulti, ma soprattutto che la vita è fatta piena di imprevisti che portano a sviare dai propri sogni e progetti, e l’unica cosa che resta da fare è restare a galla.
Ci sono libri che, per un motivo o per un altro, vorremmo comprare appena ne sentiamo parlare. Sarà la copertina, sarà la trama, sarà la strana energia della vita che ci attrae verso qualcosa. Per me Randagi significava andare sul sicuro. “Vedrai che mi piace”, mi ero detta. “Vedrai che fa per me.”
Non vorrei gufarmela, ma Randagi è stato per me il libro delusione dell’anno. Ma non è un brutto libro, e questo vorrei che fosse chiaro. Semplicemente non sono riuscita a empatizzare con nessun personaggio, né a entrare nella storia. Succede. Ma andiamo per gradi.
Pietro Benati cresce con il fantasma di una maledizione di cui è vittima la linea maschile della famiglia: a un certo punto della loro vita, infatti, scompaiono. Lui ha la musica, una scomoda timidezza e un fratello perfetto a cui guardare. Randagi racconta della sua crescita nei difficili territori della famiglia, delle amicizie, della delusione e del lutto. E lo fa con una scrittura fluida, che ci riporta ai toni e ai modi conosciuti e bazzicati da Sandro Veronesi, uno degli autori che più ammiro.
Se dovessi definire in una parola questo romanzo, credo che sceglierei “denso”, ma di un denso che soffoca: il lettore, tante sono le informazioni, fatica a respirare, finendo così per perdere, tra il marasma di fatti e dettagli irrilevanti, anche la storia di Pietro. È questo che più mi ha impedito di sentirla mia: in un continuo sballottamento tra i vari personaggi, io mi sono persa nelle storie. E i randagi di cui parla Amerighi, purtroppo, non li ho né visti né percepiti.
Capita: uno si fa delle aspettative e poi, pagina dopo pagina, se le vede crollare davanti. Ci sono rimasta male, non me lo aspettavo. Però è andata così. Complice il suo non essere un libro breve – 400 pagine – e la confusione in cui è immerso, ripeto, non me lo sono goduto.
Curioso notare che, almeno secondo me, Amerighi quando parla è un’esatta copia del suo romanzo: salta di palo in frasca e associa elementi difficili da allacciare tra loro, rendendo arduo seguirlo.
Non posso dirvi che non valga la pena essere letto, né che non possa piacervi. Di sicuro serve armarsi di pazienza e voglia di essere trasportati da un fiume pieno di ciottoli, sabbia, girini, acqua, foglie, rametti e antenne di insetti. Poi serve abbandonarcisi, ma occhio: è un romanzo molto maschile, e per quanto non ci veda niente di male, può non essere facile da decifrare.
Tanta confusione e una storia che non ha né capo né coda. La storia dopo i capitoli iniziali si gonfia fino a non tenere più e tra i mille arzigogoli non rimane niente. La scrittura è buona (ma chi dice asciutta non so cosa abbia letto, io avrei tagliato almeno la metà delle pagine).
In sintesi: un libro medio, una storia che non lascia nulla, una bella copertina e sicuramente un prodotto riuscito a livello di marketing.
Un libro che inizia come Pennac dei bei tempi e si perde a un livello di grottesco ed eccesso fuori misura. Una occasione sprecata malissimo, un peccato.
Le tre stelle solo perché la scrittura è pregevole, ma anche una scrittura pregevole se la struttura non regge, non basta
Empieza bien pero la historia se pierde, los personajes no se desarrollan bien, todos son aburridos, cero realismo e introspección a lo que pasa, no lo termine.
Un coming-of-age comedy-drama di cui ho molto apprezzato lo stile diretto ed essenziale e le struttura abbastanza ben architettata e complessa ma non al punto tale da suscitare confusione nel lettore. Quello che un po’ mi è mancata è stata l’emozione, avrei voluto empatizzare maggiormente con i tormenti del protagonista ma spesso ho avuto l’impressione che i suoi drammi restassero sulla pagina e non mi coinvolgessero abbastanza. Sicuramente un autore da tenere d’occhio
Apprendo che questo romanzo è tra i finalisti del premio Strega 2022. La cosa non mi sorprende, il tentativo di raccontare la generazione di "randagi" millenial sembra aver fatto presa quest'anno sulla commissione (si veda il grande favorito, "Spatriati"). Per me, purtroppo, la seppur pregevole capacità di scrittura di Amerighi non si accompagna ad una adeguata capacità narrativa. L'ho trovata una lettura senza interesse, anche un pò noioso. Letto e subito accantonato e dimenticato.
Questo è un romanzo che affronta il più grande dei misteri, vale a dire il diventare adulti, e lo fa con grande capacità. I temi affrontati rientrano nel genere formativo-generazionale: da un lato abbiamo i sogni e i progetti dei due giovani rampolli della famiglia Benati, ovvero Pietro e Tommaso, le aspettative che chiunque si trovi al mondo inevitabilmente ha, come il bisogno di evadere e di emergere, di crearsi una propria nicchia, di scoprire cosa c’è al di là del recinto famigliare; dall’altro troviamo le durissime mura della realtà, contro le quali quei sogni, quei progetti, quelle aspettative spesso si schiantano. Nella storia queste due enormi forze si scontrano fino alla fine del libro. A ciò si aggiunge il retaggio familiare, quella gabbia da cui spesso è difficile uscire perché condiziona i comportamenti del singolo ben oltre l’uscita dal nido casalingo; senza contare che la maledizione che grava sopra la famiglia Benati, i cui membri maschili tendono a fuggire con estrema facilità. Così cresce il piccolo Pietro: convinto che in ogni istante gli possa capitare di lasciare il proprio angolo di mondo che tanto ama e che con tanta difficoltà ha contribuito a costruirsi. Nel corso delle pagine, Pietro si rende sempre più persona e il lettore non fatica a riconoscersi in un aspetto particolare della sua personalità. Amerighi dà la sensazione di conoscere personalmente i personaggi di cui racconta, come se avesse percorso accanto a loro una parte del cammino e ne condividesse gioie, dispiaceri e visione del mondo. Ne scaturisce un romanzo ricercato e assolutamente da leggere.
Yerra quien no se halla, quien no se conoce, quien no sabe a qué lugar pertenece… yerra quien no vislumbra un futuro, quien arrastra el pasado, quien naufraga en el presente. Y este libro de Marco Amerighi está lleno de personas así, de “Errantes”.
Un libro de personajes, muy bien desarrollados y diferenciados además, interesantes, cautivadores; una trama dibujada con toques de humor que encierra una historia íntima y que entretiene mientras ofrece temas sobre los que reflexionar.
Pietro, nacido en una familia italiana de clase media, será el centro de esta historia en la que se nos muestra su drama familiar, personal, laboral y social. Su vida se irá entretejiendo con la de otros personajes tanto o más atormentados que él en una red de experiencias vitales que marcarán tanto su forma de ser, como de vivir y actuar, así como las decisiones (la mayoría desacertadas) que van tomando.
Una lectura que, sin llegar a ser trascendental, consigue despertar el interés del lector y hacer que conecte con los personajes y sus relaciones; entretenida por momentos, en la que se pueden captar, con gran acierto, algunos toques de algo que pudiera parecerse al realismo mágico, sin llegar a serlo, sobre todo al inicio de la obra, y que por desgracia se van difuminando según esta avanza.
Merecida finalista del Premio Strega 2022, es una lectura que, aunque quizá en algún momento pueda hacerse un tanto extensa, merece la pena tener en cuenta; completa, bien desarrollada y estructurada, interesante y con sentido.
La cosa che ho apprezzato di più è il protagonista, con la sua continua speranza tradita dal mondo, l'ho trovato realistico e attuale. Penso che se si fosse parlato solo del protagonista Pietro e della sua famiglia mi sarebbe piaciuto di più, invece a un certo punto subentra il personaggio di Dora con la sua storia ed è un di più che non arricchisce la storia, anzi, la complica inutilmente rendendola inverosimile.
Aaah come ci capiamo io e Pietro Benati. Un nuovo inetto, è impossibile non affezionarsi al personaggio.
A tratti un po’ “too much”. Insomma, quanta sfiga può mai colpire un malcapitato? Ma sempre accattivante, sempre intrattenente, mai banale. E ben scritto!
Era partito bene, poi si è un po' perso tra wannabe fate ignoranti, (non-)innamoramenti inspiegabili, macchiette un po' bah e una seconda parte un po' strascicata. Non so, non mi ci sono affezionata, a dirla tutta. Bella Pisa, però.
Credo che con questo libro terminerà la mia illusione che i finalisti dello Strega di quest'anno valgano la pensa di essere letti. Non male come lettura, ma mi rendo conto dopo un po', che questo libro non mi ha lasciato nulla. Assolutamente nulla. Eventi confusionari e personaggio fastidiosi.
"Magari era quello il suo vero talento, lo scopo della sua esistenza. Piantare i piedi, restare immobile. Vivere al buio per smaltire un dolore."
Randagio è chi è stato espulso dalla vita e vaga alla ricerca di un altro posto e un'altra famiglia dove sentirsi radicato. Ma randagio è anche chi volontariamente esce di scena e continua a vagare perché in fondo la sua esistenza è dedicata alla ricerca di nuovi stimoli. Voglia di radicamento o perenne insoddisfazione, dunque? Pietro Benati proviene da una famiglia in cui padre e nonno sono stati protagonisti di "sparizioni" misteriose. Potrebbe, in futuro, esserne vittima pure lui? Che dire poi del fratello Tommaso, intelligentissimo e bravissimo in tutto, destinato ad un futuro per forza di cose lontano da casa? Chi sarà tra i due il nuovo randagio della famiglia Benati? Risposta semplice: tutti e due. La vita di Pietro si snoda così nell'arco di un ventennio, sempre alla ricerca da un lato di un luogo in cui non sentirsi oppresso da una famiglia a dir poco strana e dall'altro di un punto in cui assomigliare e avvicinarsi al fratello, di cui ha un'immagine (per colpa sua? per colpa altrui?) mitologica. Marco Amerighi sa scrivere: la sua narrazione è coinvolgente, sempre attrattiva, mai banale o piatta; lo stile è ironico e serio nei punti giusti e non pecca mai di ruffianeria nei confronti del lettore. Le vicende che racconta sono verosimili e non variano mai sui cliché del romanzo di formazione. Trovo però che il romanzo sia più efficace nella prima metà, che è incentrata sulla famiglia Benati e su Pietro e Tommaso in particolare, quando appunto se ne analizza il rapporto stretto. Quando poi, nella seconda parte, vengono introdotti altri personaggi, la narrazione si amplifica ma perde di concentrazione e brillantezza. Ad ogni modo, un romanzo che merita la candidatura al Premio Strega 2022.
Un libro che ti lascia scombussolatə. All’inizio ho faticato perché non sono abituata a leggere libri narrati in terza persona. Si entra in confidenza e in sintonia con Pietro poco a poco conoscendo tutti i personaggi e le presenze che animano e adombrano la sua vita. Mi sono affezionata a T. (Tommaso) suo fratello fin dalle prime pagine un ragazzo vitale, sportivo, eclettico, divertente la parte luminosa che manca a Pietro. Ho provato rabbia per il Mutilo (il padre) per il suo essere inutile e vergognoso. In diversi passaggi avrei voluto abbracciare Pietro, stargli accanto, dirgli che doveva stringere i denti perché anche il suo momento di svolta prima o poi sarebbe arrivato, in altri momenti lo avrei preso a schiaffi, gli avrei urlato che la vita non si guarda dallo schermo di un video gioco ma devi giocare REALMENTE e da protagonista se vuoi passare al livello successivo, bisogna intessere legami, affrontare situazioni perché i problemi non si risolvono cancellandoli ma attraversandoli. Pietro ha suscitato in me, per tutto il libro, sentimenti ambivalenti una sorta di affetto nervoso è impossibile non affezionarsi alla sua fragilità, alle sue storture, alle sue crepe e alla sua voglia di sentirsi libero e non randagio in una famiglia di randagi.
Non mi ha entusiasmato, per niente.Decisamente più due stelline e mezzo che tre. Lento, a tratti slegato e noioso. Una scrittura a tratti scorrevole e incalzante, qualche bella immagine (anche forse un po' telefonata) ma per il resto niente di che. Parliamo dei personaggi? Non risultano abbastanza grotteschi, come forse vorrebbero essere, non stimolano abbastanza empatia, non sono particolarmente sfaccettati o ricchi. Per me, gli manca davvero qualcosa o forse io non sono riuscita a coglierlo quel qualcosa fino in fondo. Poteva essere un bel racconto lungo se fosse stato un po' più corto o magari anche un bel romanzo se fosse stato un pochino più lungo. L’ho finito senza incazzarmi, anzi stamani alle 5.45 quando mi è scappata la pipì ho deciso di finirlo per levarmelo definitivamente di torno e quindi non si merita una stroncatura totale, ma solo un blando meh, tanti momenti di noia e un rimpianto per un buon V60 che non mi sono bevuta per finirlo.
"Randagi" è stato uno dei libri che ha maggiormente attirato la mia attenzione durante la presentazione allo scorso premio premio Strega e la sua lettura ha addirittura superato le mie aspettative. È un romanzo di formazione in cui la crescita del protagonista (o meglio dei protagonisti) subisce più involuzioni che progressi. Opporsi al destino è impossibile: affrancarsi dalla famiglia, dagli amici, dai luoghi che ci sono stati cari è un'illusione, non basta fingere che questi non siano mai esistiti, prima o poi torneranno con tutta la loro violenza, ci strapperanno dalle nostre nuove, poco salde, radici e ci attireranno di nuovo verso di loro rendendoci randagi in cerca dell'illusione di un futuro certo. Ho concluso il libro affezionandomi a tutti i "randagi" presentati, ognuno con la sua storia, ognuno con un carattere ben definito che raramente tradisce se stesso. Una lettura assolutamente consigliata soprattutto se si sta cercando un romanzo in cui poter leggere se stessi.
Romanzo molto interessante e coinvolgente in cui la vita di tre persone apparentemente diverse, geograficamente lontane e con trascorsi familiari differenti … si unisce, mescola e si trasforma nella città di Madrid. Tre ragazzi RANDAGI che scoprono se stessi e si liberano dai lodo demoni grazie alla loro unione, spesso imperfetta e costellata da lunghi periodi di distanza. Leggendo questo libro non posso far a meno di pensare alle parole della Murgia: « Se stai male non devi restare da solo… « . Non ci si salva da soli.
Il libro risulta ben scritto e lo stile è estremamente immersivo e coinvolgente. Probabilmente avrei accorciato qualche parte che è risultata prolissa (troppi dettagli che non ritenevo utili nella storia) ma per il resto è una lettura IPER CONSIGLIATA.
È un libro a strati. Inizialmente, non mi stava convincendo la storia di Pietro e la scrittura di Amerighi, ma con lo scorrere delle pagine c’è stato un clic. Sempre meglio, sempre più magnetico fino a divorare le pagine. Si intrecciano diversi personaggi, non è più solo la storia di Pietro, pur sempre il protagonista. È un continuo cercare la svolta e si va avanti credendo che arriverà. Però le nella vita non sempre ci si accorge delle svolte.
A me il libro ha convinto, anche se non era quello che mi aspettavo, ma forse per questo mi ha anche sorpreso.
Ci ho provato in tutti i modi, ma non sono riuscita ad andare oltre la metà. Davvero insulso. Inizialmente lasciava sperare ma è stato un fuoco di paglia.