Paolo und Antonio, zwei Brüder aus einer kleinen Stadt im Süden Italiens, können sich in ihrer Einsamkeit, ihrer Armut und Frustration nur auf sich selbst verlassen. Paolo, zweiundzwanzig, arbeitet auf einer Baustelle, die er hasst; Antonio, neunzehn, beendet die Schule und hängt mit seinem Freund Italo ab. Mit seinem Bruder wohnt er in einem zerfallenden Haus, umgeben von einer verwahrlosten Landschaft. In der fl irrenden Hitze des süditalienischen Sommers leben sie von einem Tag auf den anderen, in einer Gegenwart, die es ihnen nicht erlaubt, Zukunftspläne zu schmieden. Irgendwann bekommt ihr fragiler Alltag Risse, und die Schatten der Vergangenheit lassen sich nicht länger verdrängen.
Ein realistisches und gnadenloses Porträt einer von allen vergessenen Provinz, in der der Neid auf die Glücklicheren das Blut vergiftet.
Ho letto "Gli affamati" di Mattia Insolia e ho pensato fosse giusto fare una recensione che vi convincesse a leggerlo. Concedetemi 3 minuti, ce la metterò tutta, non sarà una di quelle recensioni pallose in cui chi scrive vuole farti vedere quanto è bravo. Andrò diretto al punto. Dovreste leggerlo per ricordare che spesso enormi sofferenze si nascondono dietro facce neutre, inferni intimi che lasciano intatta la superficie, ma bruciano tutto quello che c'è sotto. È una cosa che, almeno io, tendo a dimenticare e che invece è bene fissarsi nel cervello, soprattuto in questo periodo che abbiamo il 50% della faccia coperta da una mascherina. Dovreste leggerlo perché racconta che amare qualcuno può essere una condanna se prima non si è capito come amare sé stessi e lo fa senza giri di parole, diretto, sberle in faccia stile Bud Spencer, perché forse solo così possiamo capirlo davvero. Dovreste leggerlo perché mostra come possa bastare un'amicizia a fare la differenza tra la vita e la morte. Non vi immaginate cose epiche tipo Frodo e Sam che viaggiano verso il monte Fato, una roba semplice, pizza e partita alla play, essere amico di qualcuno a volte è tutto quello che serve. In pratica dovreste leggerlo perché può darsi che con 170 pagine possiate ricordare un sacco di cose importanti e capirne qualcuna nuova, che non è scontato. Io ho ricordato molte cose e ne ho capite un paio.
"Del dolore non ci si può mai liberare del tutto."
Mi accodo agli elogi per questo esordio narrativo.
Una storia dolorosa che ci racconta di come le assenze e le ferite di una famiglia siano serbatoi di rabbia e paure pronti ad esplodere.
Quello che ogni giorno si traduce nelle pagine di cronaca nera...
” Del dolore non ci si può mai liberare del tutto. Ogni sofferenza è un parassita che lascia delle tracce, e quelle tracce, scorie velenose, si ammonticchiano sempre di più e sempre di più e sempre di più fino a ostruire tutto, i capillari e le vene e le arterie. Saturano tutto. Non lasciano spazio a nient’altro.”
Mattia Insolia è del 95, potrebbe essere mio figlio. E che c'entra? C'entra con la scrittura e con la maturità che ho trovato in questo romanzo d'esordio che spesso, molto spesso, si faticano a trovare in scrittori ben più navigati.
La trama mi interessa poco, è la storia di due giovani fratelli lasciati allo sbando, in un paese desolato del sud, che vivono giorno per giorno tra droga, violenza, sesso e la paura dei loro pensieri. La scrittura e i pensieri sono invece una cosa che mi interessa molto e qui, ogni tanto, mi ha lasciato a bocca aperta
'Antonio campava per gli altri, e così moriva ogni giorno'. Giuro, sono rimasta senza fiato. Quante persone ho conosciuto così, quanta gente che metteva se stessa dopo un altro, quante volte io stessa mi sono messa dietro, dietro a un uomo, dietro a mia madre, dietro il mio lavoro, dietro i miei pensieri. Però, a dirlo così bene, ci è arrivato un ragazzo con vent'anni meno di me e a cui prevedevo un brillante futuro perché se riesce a mettere insieme i pensieri così adesso, chissà con tanta vita sulle spalle.
Bravo, da un po' non leggevo un così bell'esordio.
Un pugno dritto allo stomaco. Uno stile che ti urla dritto al cuore uno tsunami di emozioni. Una narrazione cruda ma tremendamente reale che tocca diversi temi in modo quasi fulmineo ma mai superficiale.
Non esistono le famiglie felici né quelle completamente infelici. Esistono i legami, quelli che legano marito e moglie, padre e figli, madre e figli, fratelli tra loro: e questi legami sono connessioni complesse di amore e incomprensioni e gesti e parole che non sempre si dicono nel modo giusto, in modo da non ferire l'altro. E quando una famiglia è tra quelle in cui l'infelicità ha la meglio sulla felicità, perché la maggior parte dei legami sono compromessi e le figure genitoriali vengono meno, allora il rapporto fraterno si espande e occupa quei vuoti lasciati dai genitori, che per un motivo o per un altro non ci sono più. Così è successo a Paolo e Antonio, due fratelli di ventidue e diciannove anni che restano soli dopo la morte del padre violento e la fuga della madre. E il dolore della doppia perdita, li rende uno il prolungamento dell'altro. Ma come si fa a sanare il dolore delle violenze subite e quello della perdita? Come si fa a vivere bene con un passato così pesante che pende sul collo come quello di una ghigliottina su un condannato a morte?
"I suoi genitori se ne erano andati. Una chissà dove a rifarsi una vita, uno al Creatore con il cranio sfondato. Ed era giusto così. Di questo Antonio era certo. Dolori inutili. Dolori inutili. Dolori inutili. Se lo ripeteva, sì, ma non riusciva a lasciarli andare. Del dolore non ci si può mai liberare del tutto. Ogni sofferenza è un parassita che lascia delle tracce, e quelle tracce, scorie velenose, si ammonticchiano sempre di più e sempre di più e sempre di più fino a ostruire tutto, i capillari e le vene e le arterie. Saturano tutto. Non lasciano spazio a nient’altro."
Dei due, Paolo era quello più pericoloso, perché era una mina vagante di rabbia compressa pronta ad esplodere. E alla fine così è stato, corsa accelerata lungo una discesa senza ritorno, senza via di uscita, senza scampo, senza più vita.
Avevano provato a ribellarsi a tutta quella violenza. Avevano provato sì, e forse ci erano riusciti. Oppure si solo illusi di farlo. "Pensò ai suoi genitori, a quando suo padre non si ubriacava e sua madre non scappava e insieme passavano le domeniche al mare. «Però le cose belle le abbiamo trovate lo stesso. Insomma… alla fine, se ci pensi, siamo riusciti a trovarle e a vederle pure se tutto fa schifo, no?» Si fece più giù nella vasca. Paolo adesso aveva l’acqua alla gola. «Sì, siamo riusciti a trovarle. Ma forse non le abbiamo mai capite davvero» disse."
E davanti all'irreparabile c'è poco da fare. È un continuo "Mi manchi" senza sosta, senza scampo, senza fine. Così, come il canto di Antonio: "Mi manchi, Paolo. Ti parlo nella mia testa tutti i giorni. Eravamo malati di desiderio. Scintille nel buio, abbiamo illuminato la notte e siamo bruciati di incanti e meraviglie. E di questa certezza vivrò per sempre."
Un romanzo d'esordio intenso, duro e strappacuore nel finale. Tra 4 e 5 stelle.
Per una volta mi sento di fare un'eccezione e mollo 5 stelline piene per questo romanzo d'esordio. Cazzarola, se questa è l'opera prima, cos'altro possiamo aspettarci da Mattia Insolia? Questo romanzo è stato pazzesco. Un pugno nello stomaco per la sua crudezza, la sua violenza. Ma mi ha suscitato anche tanta tenerezza ed empatia nei confronti di questi due ragazzi in balia degli eventi, che sono cresciuti da soli in un mondo che li ha praticamente dimenticati
“Boh. Ma quindi?”, ciò che odio dire alla fine di un libro, eppure eccomi.
“Gli affamati” è la storia di due giovani fratelli abbandonati a loro stessi, con un passato difficile alle spalle, una famiglia smembrata, e tantissima rabbia dentro. Il motivo per cui siano così incazzati con la vita potrebbe sembrare abbastanza ovvio, eppure questa rabbia, in tutta la sua preponderanza, non mi sembra venga mai veramente approfondita o esaminata. Dico “preponderante” perchè alla fin fine c’è solo quella (per quanto possa essere giustificata), e anche se il titolo dice “affamati” io questa gran fame non l’ho vista. Non si capisce di che cosa questi ragazzi siano affamati, che cosa vogliano, dove vogliano andare. Il discorso vale in particolare per Paolo, il fratello maggiore, una figura in pena che vaga senza meta e che vuol solo spaccare roba. Boh.
Un altro aspetto che mi ha fatto storcere il naso, poi, è il modo in cui viene rappresentata la violenza in questo libro: pur essendo un tratto funzionale alla caratterizzazione dei personaggi (che poi, potrà essere l’unico?, dico io), a volte sembra avere uno scopo più sensazionalistico che altro. Tanti atti di violenza e non ne scaturisce mai niente, è puramente fine a se stessa.
In generale non è un bruttissimo libro, però sono abbastanza delusa perchè avrei voluto vedere altro, un qualcosa di più, l’intento di andare oltre.
Per me è no. Capisco perché sia piaciuto a molti. Poteva anche rientrare nella mia comfort zone. C’erano tutte le premesse. Ma lo stile di scrittura mi sembra che fin troppe volte venga forzato, risultando, alla fine, artificioso, eccessivo. Sa scrivere. Senza alcun dubbio. Nella sua scrittura però si nota troppo lo sforzo che ci mette per far scorrere la lingua che invece si arena nella sua costruzione. Ha voluto strafare. In più ho visto troppo masochismo e violenza ingiustificata. Mi è anche parso che ci sia uno spasmodico bisogno di crudezza. Ci sono libri crudi e senza filtri scritti magistralmente, ma qui sembra che sia tutto un po’ artefatto. C’è molta rabbia catalizzata male in questo libro. Poteva essere qualcosa di nettamente migliore. Mi ha ricordato una brutta copia di Ammaniti. Ciò non toglie che probabilmente leggerò altro di questo autore.
“Mi sento diverso. Malato. Incompleto.” “Perché non vivi per come sei davvero.” “Ma io non lo so, com’è che sono davvero.” “Nessuno lo sa con certezza.” “E allora che devo fare?” Paolo agognava una risposta, pregava perché qualcuno gli mostrasse la via, gli spiegasse cosa fare, lo sollevasse da ogni responsabilità. “Questo non te lo posso dire io. Lo devi capire da solo.”
Crudo, prepotente, reale, odioso, insopportabile, tenero, appassionante, intrigante, rapido, leggero, profondo, approfondito, superficiale. Questo libro è tutto questo. Tutto condito da un'ottima penna.
Mah... Non mi ha convinta questo romanzo carico di negatività, a mio avviso, forzata. Ci sono delle incongruenze che lasciano a desiderare e che mi hanno lasciata perplessa.
Centosettanta pagine che non scorrono… volano. Non riesci a smettere di staccarti dalle pagine. Una scrittura asciutta, tagliente ed efficace. In questo libro c’è tanta rabbia, solitudine, incomprensione, dolore, povertà e violenza, c’è la questione di non voler accettare se stessi. Ma c’è anche amicizia e un amore fraterno gigantesco. È un libro crudo, realistico, senza giri di parole e molto intenso. Ci fa capire la sofferenza che c’è dietro persone con importanti attacchi di rabbia e ci fa capire quanto la famiglia e il contesto in cui abbiamo vissuto possa influenzare tutto ciò che viene dopo. Non riesci a giudicare questi due fratelli, vuoi solo provare a comprendere il perché delle loro azioni. Sono personaggi che ti rimangono nel cuore con cui empatizzi al 100%. L’epilogo mi ha dato la mazzata finale inaspettata. Raramente piango per i libri, ma questo mi ha devastato. Fatevi un regalo… leggete questo libro.
Romanzo d'esordio di un giovanissimo autore, presentato al Premio Strega ma inspiegabilmente non è riuscito a rientrare tra i 12 candidati.
Racconta uno spaccato della vita di Paolo e Antonio, due fratelli rimasti soli dopo l'abbandono da parte della madre e la morte di un padre violento. Una bomba, un pugno nello stomaco. Una scrittura cruda ed essenziale che riesce a sbatterti in faccia un'emozione dopo l'altra.
"A chi è affamato, che il mondo l'ha lasciato senza niente. Venite fuori tutti, vi prego, e distruggete i falsi idoli, razziate le grandi città, respirate la nuova aria. Infine, appagate i vostri desideri. A chi è affamato, che il mondo l'ha lasciato senza niente, adesso io dico: saziatevi."
Un tipo di scrittura veloce, cruda ed efficace: i fatti vengono presentati al lettore senza tanti giri di parole (elemento che ho molto apprezzato). Rivedo in Antonio e Paolo i ragazzi emarginati delle scuole superiori e i segreti di Pulcinella di un piccolo paese. È stato doloroso rendersi conto di quanto sia vicina la realtà raccontata nel libro.
Mattia Insolia presenta un romanzo d'esordio che dalla prima pagina dà l'impressione di esser stato scritto da una penna d'esperienza, tanto grande è la sua capacità di dipingere scene che si susseguono frenetiche davanti agli occhi del lettore.
Paolo e Antonio sono i protagonisti di questo stralcio di realtà di meridione, 'malati di desiderio. Scintille nel buio, abbiamo illuminato la notte e siamo bruciati di incanti e meraviglie'. Sono due fratelli che combattono contro se stessi, che cercano una vita migliore ma si oppongono a questa, divorati dalla rabbia o dalla paura.
È un racconto crudo che ti entra nelle ossa e ti fa vivere ogni emozione provata dai personaggi che, per quanto in alcuni episodi appaiano odiosi e detestabili, non possiamo far altro che cercare di capire e speriamo, pagina dopo pagina, nella loro redenzione e nel loro lieto fine.
Scritto con uno stile encomiabile e mai scontato, Insolia sa tener vivo l'interesse e l'attenzione del suo pubblico e passino per buoni anche i personaggi secondari appena caratterizzati o abbandonati dopo piccole comparsate. La lettera conclusiva poi è l'epilogo più riuscito per chiudere una storia del genere: con la sua purezza e la sua immediatezza riordina i tasselli della storia e ha per il lettore una funzione catartica, quasi come quella che prova Antonio.
È immaginifico, è diretto, è frenetico, è feroce ed è vero. Il romanzo che Insolia ci regala è un pugno che arriva dritto e che ci fa ragionare su una vasta gamma di temi che possiamo riassumere nell'infinita lotta dell'individuo che va alla ricerca di sé e della sua pace.
wenn widerlicher& unzensierter Rassismus und Sexismus auf den ersten 30 die einzige Möglichkeit ist um auszudrücken, dass ein Charakter wütend ist, dann ist der Autor glaube ich nicht besonders gut
Non è un libro nelle mie corde e non so quanto questo infici il mio giudizio, ma l'ho trovato pieno di una violenza gratuita che me l'ha resa fastidiosa. Non cerco personaggi perfetti e buoni a tutti i costi, ma questi non riesco a definirli in altro modo se non grotteschi proprio perché dietro alla rabbia e alla violenza non percepisco altro che vuoto. I fratelli Acquicella non hanno avuto una vita facile (il padre violento, la madre che abbandona marito e figli, la morte del padre ecc), ma se questo mi fa capire perché sono così arrabbiati col mondo e le loro motivazioni, al tempo stesso percepisco molta gratuità, quasi una fiera dello squallore e delle brutture. Sento le urla di Paolo nelle orecchie, ma non riesco a empatizzare con lui. Un po' meglio con Antonio, ma non sono personaggi che mi sono entrati dentro, ed è questo che mi fa pensare che ci sia un problema di caratterizzazione anche se stiamo quasi costantemente nello loro teste. Interessante invece il pastiche linguistico che alterna espressioni basse e colloquiali con una scrittura a tratti più raffinata, anche se a volte questo accostamento provoca delle stonatore. Non lo riesco a valutare, posso solo dire che non mi è piaciuto e mi ha lasciato solo tanta voglia di andarmi a depurare da tutta questa rabbia che mi si è appiccicata addosso. Solo 170 pagine ma pesantissime, non solo per i fatti narrati, ma proprio per l'incessante e soffocante esposizione alla rabbia.
TW (sono pigra e li copio da StoryGraph)
Graphic: Gun violence, Violence, Animal cruelty, Animal death, Homophobia, Vomit, Sexual assault, Sexism, Murder, Grief, Alcoholism, Blood, Cursing, and Drug use, Death of a parent
Purtroppo mi sono fatta abbindolare dalle (ahimè, tante) recensioni positive. Questo "Gli affamati" di Insolia è l'ennesima copia di mille altri libri che parlano di periferia e disagio generazionale, ma fatto con una "narrazione" orripilante e un mix fatale di luoghi comuni e cliché, dai giovani meridionali violenti al muratore gay represso. La scrittura è veramente patetica, spezzettata e ansiogena: no, mettere il punto ogni due parole non è stile. Non. E'. Stile. Lo stesso linguaggio dei personaggi è rabberciato alla bell'e meglio, con passaggi mezzi dialettali mal inseriti e di bestemmie a caso, episodi di violenza inutili e ridicolamente esagerati, per non parlare dei personaggi mal caratterizzati (a metà romanzo non avevo ancora capito chi fosse un fratello e chi l'altro, tanto la scrittura è piatta e didascalica nel descriverli). Ciliegina sulla torta, i nomi di scrittori famosi (Mazzantini, Scurati, Serra) affibbiati ai personaggi secondari (completamente inutili ai fini della narrazione) per pure piaggeria. Un esordio a mio parere pessimo, ma a quanto pare ben spinto e supportato da "penne" influenti. Mi chiedo perché.
Dolori, sofferenze e cattiverie tramandati dai genitori ai figli. Durante tutto il libro sembra di assistere a profezie infauste che si autoavverano. Mi è piaciuto, ma mi dà tristezza pensare che di storie così, nel mondo reale, fuori dalle pagine dei libri, ce ne sono così tante. Breve, si legge in un paio di giorni
5 su 5 ⭐. Intenso, diretto, uno schiaffo in pieno viso che ci mette davanti alla complessità e alla fragilità umana. I personaggi sono così reali da non poter rimanere indifferente davanti alle loro emozioni e soprattutto al loro dolore.
Ho conosciuto Mattia Insolia con il suo secondo romanzo “Cieli in fiamme” pubblicato nel 2023 da Mondadori, e già allora rimasi profondamente colpita dalla sua capacità di trascinare il lettore nella storia, di colpirlo nel profondo attraverso una scrittura che esalta la brutalità della vita. Non potevo quindi non recuperare anche il suo esordio “Gli Affamati” pubblicato nel 2020 da Ponte delle Grazie e l’esperienza è stata ancora più potente e sorprendete!
Sono passati ormai diversi giorni da quando ho terminato di leggere l’epilogo di questo romanzo e ancora sento sulla pelle la tragicità e l’umanità della storia di Paolo e Antonio, i due protagonisti, due fratelli che non hanno più nulla da perdere se non sé stessi.
“Ognuno è solo ciò che può perdere, e tutto ciò che Antonio aveva al mondo era suo fratello”.
Paolo e Antonio hanno ventidue e diciannove anni e vivono da soli a Camporotondo un piccolo paesino della Sicilia. Segnati dall'abbandono della madre e dalla figura violenta del padre alcolizzato, morto in circostanze ambigue, i due fratelli cercano di stare a galla in una vita che non gli dà tregua. Sognano un futuro migliore, lontano da quella realtà degradata e asfissiante nella quale vivono, fatta di droghe, alcol, violenza e poca speranza.
Antonio è sensibile, fragile e sognatore. Non ha un lavoro, legge “Stoner” di Jhon Williams di nascosto, sta in disparte ed è sempre pronto a risolvere i problemi causati dal fratello.
Paolo invece un lavoro ce l’ha, è lui che provvede ad Antonio ma il suo temperamento rabbioso, utilizzato come corazza e spesso aggravato dall’utilizzo sfrenato di droghe e alcol, lo porta ad essere violento con chiunque gli capiti a tiro.
“Paolo funzionava come una pentola a pressione. […] Antonio era lo stronzo costretto a tenere una mano sul coperchio”.
C’è tanta rabbia tra queste pagine, figlia dell’abbandono e di un’infanzia difficile. C’è tanta violenza in questa storia, a volte esagerata e fine a sé stessa, conseguenza di una mancata educazione verso la vita. C’è tanta “fame” in questi due giovani, fame di sesso, di appartenenza, di rinascita, di vita.
Un romanzo autentico e brutale, che fin dalle prime pagine cattura il lettore e non lo lascia più andare. Si legge tutto d’un fiato fino a quel finale meraviglioso, straziante e commovente.
Non dimenticherò facilmente Paolo e Antonio. Mi piace ricordarli seduti in soggiorno, su quelle due sedie sdraio sgangherate come loro, a fumarsi una canna, mentre discutono su a chi dei due tocca la sfiga di uscire con il Boxer e a chi invece la fortuna di usare la Punto.
„Diese spöttischen Sterne wiesen ihm einen Weg, den er nie gehen würde. Sie verkörperten ein Gefühl von Freiheit, das ihm, als Einzigem von allen, zu empfinden nicht vergönnt war. Es war ungerecht. Es war falsch. Es tat weh.“ (S. 78) . Sie sind Brüder. Paolo und Antonio haben sich gegenseitig und das ist das Einzige was ihnen geblieben ist. Im maroden Elternhaus leben sie zusammen, vom Leben verlassen: der cholerische Vater tot und die Mutter abgehauen. Die ganze süditalienische Kleinstadt kennt ihre Geschichte, sie wollen raus da und können doch nicht. Während Paolo, gerade Zweiundzwanzig, auf der Baustelle den Lebensunterhalt für beide verdient, lebt Antonio, Neunzehn, in den Tag hinein, kümmert sich ohne viel Elan um ihr heruntergekommenes Zuhause. Als Paolo seinen Job auf der Baustelle verliert, kanalisieren sich Wut, Frustration und Perspektivlosigkeit in eine Richtung, die beide in den Abgrund zwingt. . Ein Jahreshighlight! Mattia Insolia hat mit „Die Hungrigen einen wortgewaltigen Roman geschrieben, der sich mit poetischer Sprachmacht den Brutalitäten des Lebens auf der Schattenseite annähert und gleichzeitig sanftmütig und warmherzig Begegnungen der Liebe schildert, die so existenziell für das Seelenleben sind. Gleich zu Beginn werden wir vom Autor mit einer schrecklichen Eskalation konfrontiert, deren Vorstufen wir noch nicht einordnen können. Der sich anschließenden Vorgeschichte, folgen wir wie einer Zündschnur, die unaufhörlich brennt und in einer lodernden Katastrophe endet. Darin verwebt er das Schicksal zweier Menschen, gescheiterte Existenzen, die sich gesäumt von Enttäuschungen, vorgelebter Impulsivität, Gewalt und Perspektivlosigkeit durchs Leben hangeln und Zuflucht in schnellem, teilweise brutalem Sex, Alkohol und Drogen suchen. Alle Wünsche, Träume, ehrlichen Gefühle bleiben hinter Mauern verborgen, deren kurzes Durchbrechen meist mit unbändiger Wut verbunden ist. Mattia Insola zeichnet durch akkurat gewählte Sprachbausteine unverfälschte, authentische Charaktere deren Traurigkeit und Einsamkeit am eigenen Leib spürbar werden. Rau und direkt wird eine Familientragödie geschildert deren gefühlsmächtiges Ausmaß keine gesunde Verarbeitung erfährt, weil Stolz und Ehre Schwäche und Traurigkeit verbieten. Die Intensität dieser so ehrlich tragischen Geschichte hat mich in jeder Faser getroffen, mich schlichtweg überwältigt und mitgenommen. Eine unvergessliche Erzählung über allmählichen Kontrollverlust, verborgene Gefühle und der Liebe, die man noch imstande ist zu geben, wenn man stets in ihrer Abwesenheit gelebt hat. . aus dem Italienischen von Martin Hallmannsecker
Gli affamati è il libro di esordio di Mattia Insolia, nel quale si raccontano le vicende che accadono nel giro di poco tempo ai due protagonisti, segnati da due peccati originali :il luogo di nascita e la famiglia.
L'ho trovato un libro intenso, segnato dal senso di chiusura e asfissia. Entrambi i prot. sono tormentati ma si crigiolano nel loro dolore, non ne vogliono sentire di guardare il mondo in un'altra prospettiva.
Uno dei due, il grande, trasforma tutti i ricordi traumatici dell'infanzia in violenza cruda e truce. Il minore sembra a tratti vedere nelle persone che gli si presentano uno spiraglio di luce. Ma è troppo condizionato dal fratello, non può deluderlo, deve assecondarlo, è giusto fare ciò che dice lui.
Essenzialmente la rabbia è la valvola per dar sfogo all'incapacità di esprimere un'emozione. aspetto che viene esasperato in Paolo.
Mi sono piaciuti i personaggi pur nella loro cupezza e spesso anche cattiveria. Il loro atteggiamento l'ho trovato molto realistico. Spesso si preferisce crogiolarsi nel dolore e nella propria condizione anziché reagire e cercare una ragione concreta alle cose. Essenzialmente perché è più facile così.
Adoro quando Paolo prende tra le mani la faccia di Antonio, quasi a voler dire siamo solo te ed io, tutto il resto intorno non conta.
Ho amato meno il dialogo tra Paolo ed Oscar. Non mi è sembrato reale. E questo mi è dispiaciuto perché rappresenta un momento chiave nel racconto del personaggio Paolo.
La fine è devastante. Si accumula tanto nella lettura e si scarica tutto alla fine. Le parole di Antonio sono dolci, sono ricche di tristezza ma anche di tranquillità, quella tanto agognata.
In sintesi a mio parere è un libro ben fatto, storia semplice ma accattivante; personaggi scuri ma particolari. Consiglio vivamente la lettura.
L’universo è prossimo a collassare, se non direttamente a farsi risucchiare, dalla vita di Paolo e Antonio, protagonisti del romanzo di Insolia. Camporotondo e il sud Italia, e ancora Anna, Oscar e Sandro, costellazione di personaggi secondari, hanno tutti qualcosa di slabbrato e irrisolto, un lato di sé andato perduto troppo presto e di cui è quasi un peccato non sapere di più. I loro microdrammi si riversano nel buco nero che sono Paolo e Antonio. Abbandonati, affamati, pronti a traboccare dalla rabbia, i due fratelli vivono ogni giorno come se fosse l’ultimo, bramosi di cambiare restando immobili. La salvezza - iniziare a pensare la propria vita come qualcosa in divenire - è possibile nelle minime conquiste quotidiane, la pizza e le canne del sabato, una vasca bianca e scrostata che, colma di acqua limpida, si fa piscina. Al di là degli snodi narrativi, Gli affamati ha una grazia nascosta che assomiglia a quella dei Giorni felici di Beckett. Affondare sempre di più e nonostante tutto avere la capacità di vedere una scintilla, esercitare un nuovo modo di vedere le cose anche se la terra ci sta quasi seppellendo. La scrittura, fluida e incalzante, fa completamente divorare il romanzo, ma non è priva di respiro. Come se anche stilisticamente il lettore venisse invitato a vivere la sospensione, l’attimo in cui non si sa che direzione prenderanno le cose ed è meglio aspettare e guardare, timidamente o di sbieco, dentro di sè.
Gliaffamati conserva tutto il dolore del mondo. Una narrativa scomoda che si attacca addosso come in un giorno di canicola. Un occhio esterno quello di Insolia, che scruta, come un intruso, in un’intimità corrotta, nella quotidianità claustrale di Antonio e Paolo, legati non solo da questioni di sangue ma soprattutto da un orrore condiviso. È un grido aberrante, ovattato da un’eredità patriarcale che intacca, inesorabile, la dolcezza, la sessualità, il desiderio sano. Lo sguardo eterodiegetico è funzionale alla resa di una certa comprensione, indispensabile per accettare gli inevitabili limiti opachi di certe esistenze, così tanto diverse dal nostro quotidiano accomodante, eppure pulsanti come un cuore troppo vivo. Mattia Insolia ci guida in una cronaca disperata, ci consegna le chiavi di un universo dove è permesso entrare senza pretesa di giudizio. La violenza è, così, un’iperbole necessaria alla rappresentazione di un marasma dei sentimenti, che fanno sempre troppo fatica a viversi, così, come dovrebbero. Del resto, quando si vive ovattando l’anima, questa, a lungo andare, incancrenisce nella nostra stessa carne. Il testo è un assemblée di antitesi magnetiche, un continuo, meraviglioso rimando a guerre introspettive che si riflettono anche nello stile ruvido e lieve, lieve e ruvido. Come una carezza e uno schiaffo.
Certi libri ti scavano dentro, e questo è uno di quelli. Un condensato di emozioni in poco più di un centinaio di pagine, che ti catapultano in quella casa fatiscente insieme a Paolo e Antonio, che tentano di sopravvivere e di capire la vita, con ancora tutta la giovinezza da sfruttare ma alle spalle già troppa sofferenza. Da soli ma insieme, come due facce della stessa medaglia che si compensano continuamente, ho trovato la loro caratterizzazione perfetta. La durezza delle immagini proposte, oltre alla schiettezza del linguaggio che spesso cade nella volgarità più feroce, li ho trovati perfettamente adattati ai personaggi, senza mai farli sembrare eccessivi. Forse i personaggi secondari avrei voluto vederli un po' più approfonditi e non relegati a mera supernova nelle vite dei due fratelli, ma tutto sommato ne esco devastata, arrabbiata ed estremamente soddisfatta. Un libro fantastico, scritto da un giovane ragazzo italiano, per ricordarci che a volte gli esordienti sono delle perle nascoste.
Una scrittura che descrive un luogo e dei personaggi immersi nel disagio, in modo rozzo ma non grezzo, riuscendo ad essere spesso anche evocativo. Se cercate un libro che parli di rabbia. Perfetto anche se cercate un libro con un finale incredibile. Una storia sui sogni spezzati e famiglie disfunzionali. Tra l’altro uno dei libri più disturbanti che abbia letto. Da brivido. Ma soprattutto… una storia sul coraggio che ci vuole per uscire dalla propria comfort zone. Di come possa essere difficile ma rischioso rinchiudersi nei propri recinti. In questi personaggi imprigionati c’è tanta voglia di libertà. E dopo che l’hai letto ti senti stupido per non uscire nel mondo a riprenderti ciò che è tuo e ti appartiene.
Rilettura catartica di uno dei miei libri preferiti a cui, se un anno fa ho dato 4 stelle, ora ne do 5. Forse proprio perché mi sento un po’ anche io come Antonio e Paolo. Una storia di povertà, rabbia, solitudine ma anche tanta voglia di riscatto. Due fratelli schiacciati dal peso della vita ma che non hanno il coraggio di abbandonare. L’unica forza la traggono l’uno dall’altro. Finché tutto viene spezzato. Ma forse è proprio questa rottura che poterà ad un piccolo scorcio di salvezza.
Francamente non ho trovato meraviglie in questo libro. Se si tolgono le parti in cui stanno fumando o in cui l'autore ci specifica che qualcuno dei personaggi è in mutande (non so perché vada ripetuto ogni 4 pagine) resta metà libro. In cui il soggetto davvero non trova la sceneggiatura che forse avrebbe meritato... de gustibus