Quante volte parliamo dei medici come di eroi, martiri, vittime… In verità, fuor di retorica, uomini e donne esposti al male. Appassionati e fragili, fallibili, mortali. Paolo Milone ha lavorato per quarant’anni in Psichiatria d’urgenza, e ci racconta esattamente questo. Nudo e pungente, senza farsi sconti. Con una musica tutta sua ci catapulta dentro il Reparto 77, dove il mistero della malattia mentale convive con la quotidianità umanissima di chi, a fine turno, deve togliersi il camice e ricordarsi di comprare il latte. Tra queste pagine così irregolari, a volte persino ridendo, scopriamo lo sgomento e l’impotenza, la curiosità, la passione, l’esasperazione, l’inesausta catena di domande che colleziona chiunque abbia scelto di «guardare l’abisso con gli occhi degli altri».
Paolo Milone, psichiatra, è nato a Genova nel 1954. Ha lavorato in un Centro Salute Mentale e poi in un reparto ospedaliero di Psichiatria d'urgenza. Per Einaudi ha pubblicato L'arte di legare le persone (2021), il suo primo libro.
"Se non hai mai provato il dolore psichiatrico, non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci."
Memorie di uno psichiatra che ha esercitato per 40 anni in un reparto di psichiatria di urgenza a Genova. Difficile leggere qualcosa di più umano, triste, doloroso e nel contempo estremamente poetico.
Ho sempre pensato e tuttora lo penso, che questo mestiere sia il più difficile, in ogni caso quello che personalmente mi ha sempre incusso maggior paura.
"L’altro giorno, a cena da amici, la figlia mi dice: Io non capisco come fai a mantenerti. Quanti matti ci saranno in città? Vediamo, dico io, proviamo a contare quanti ce n’è in questo palazzo. Quanti appartamenti ci sono in tutto? Venti, risponde lei. Bene, quanti matti conosci? C’è solo il pazzo del terzo piano, quello che parla da solo. Uno schizofrenico ce l’abbiamo, bene, ora dimmi: non c’è un tossicomane da qualche parte? Sí, al primo piano. C’è per caso una ragazza magra, magra che sembra uno scheletro? Giovanna, sul nostro pianerottolo. Non c’è uno che, sera e mattina, è al bar con un bicchiere di bianco in mano? Sí, Giorgio, quinto piano. Un etilista non poteva mancare. Ora voglio sapere, non c’è un signore scavato che esce poco, non apre mai la porta, è silenziosissimo e non si spinge nemmeno sul poggiolo tutto sporco di cacche di piccione? Sí, Silvio, al terzo piano. Beccato il paranoico. Passiamo ai depressi. Hai mai sentito un vicino dire: non andiamo al mare, mia moglie sta a letto? Sí, ultimo piano. Una sola depressa? Facciamo finta che sia cosí. Chiudiamo con l’Alzheimer: non mi dire che in tutto il palazzo non c’è una vecchietta che straparla e butta oggetti dalla finestra? Per la verità, sono due. Vedi, se si curassero tutti, potrei mantenermi solo con questo palazzo."
I matti sono nostri fratelli. La differenza tra noi e loro è un tiro di dadi riuscito bene – l’ultimo dopo un milione di uguali – per questo noi stiamo dall’altra parte della scrivania.
Se dovessi riassumere questo libro con una frase, userei un'espressione di don Tonino Bello "Non di fronte, ma accanto."
Il reparto è il 77, quello in cui Paolo Milone lavora come psichiatra. E in questo reparto lui ci accompagna prendendoci per mano, nel dedalo dei disturbi mentali, quelli che fanno paura a tutti:
“Avendo fuggito ogni altro lavoro per paura, mi ritrovo a fare il lavoro che fa piú paura a tutti.”
Il dolore psichiatrico è un dolore sordo, il dolore di chi non ha fatto in tempo a dar voce alla sua sofferenza: “C’è chi ritiene che il ricovero in Psichiatria sia la cosa piú brutta al mondo. Talvolta la vita è ancora piú brutta. Gli animali feriti si nascondono in una tana e si leccano le ferite: Psichiatria è una tana.”
È la storia di Lucrezia, di Ennio, di Filippo e di tutti coloro con cui Paolo Milone è entrato "corpo a corpo": in un reciproco scambio di dare e avere. Perché non è vero che è solo il medico a dare. Anche il paziente, a modo suo, dà... Dovremmo tutti imparare dal mare: “Che maestro! In confronto al mare, noi psichiatri siamo nulla, siamo la pozzetta d’acqua nel palmo della mano usata per spegnere un incendio.”
Perché, in fondo: “Il mare è come il tuo cane. Se ti avvicini, ti lecca e ti salta addosso. Poi prende a giocare andando avanti e indietro, saltella di qua e di là. Se gli getti un pezzo di legno te lo riporta. Quando ti allontani, non smette di scodinzolare e di chiamarti uggiolando. Prova a sentirti solo, con un mare cosí.”
Un libro molto poetico, a tratti divertente, a tratti doloroso, tutto in perfetto equilibrio.
“Tu, che resti, sii gentile: avvisami quando Gina inizia a parlare. Avvisami quando Emilio non ride piú. Avvisami quando Filippo non sente piú le voci. Avvisami quando Tommaso esce di casa. Avvisami quando Lucrezia torna dal posto in cui si è andata a cacciare. Basta un sorriso annuendo col capo. Io capirò.”
A chiunque voglia leggerlo: Prima di pensare, agire, giudicare,chiudere, tenete bene a mente che la psichiatria d’ospedale è cosa ben diversa dalla psicologia con i lettini comodi. E che un reparto psichiatrico non è come lo fanno vedere nei film, né un lato romantico né in quello scabroso.
"Il bene e il male che facciamo a un'altra persona si riverbera e si propaga in mille modi tra i suoi parenti, amici e conoscenti e, nel tempo, si trasmette a tutti i discendenti. Sarà qualcosa di infinitesimo, un movimento atomico, un'ombra, un fremito, ma esiste e si diffonde nell'universo. Vedi, Giulia, noi contribuiamo a migliorare o peggiorare l'universo, e, su questo, abbiamo una responsabilità."
Il tema della malattia mentale è ancora poco trattato e quando lo incontro mi colpisce sempre. Questo non è un romanzo, piuttosto una tela con molte pennellate che alla fine vanno a comporre un quadro variegato. Brevi racconti, pensieri, narrazioni lampo, pezzi del puzzle. Tutti insieme però danno un'immagine della complessità del tema della psichiatria d'urgenza, delle difficoltà che incontrano i malati, i familiari, i medici e gli infermieri. È quasi un diario, che restituisce personaggi tutti estremamente umani e traballanti, fragili ognuno a modo suo. Non c'è mai la verità assoluta, ci sono persone che ci provano (a fare bene il proprio lavoro, a imparare dagli errori o solo a sopravvivere). E c'è tanta empatia. Un libro a tratti poetico e per lo più delicato, anche nell'affrontare temi spinosi come il suicidio. Toccante.
“L'arte di legare le persone. Legare le persone al letto. Legare le persone a te. Legare le persone alla realtà. Legare le persone a se stesse. Legare le persone è un'arte. Inconoscibile.”
Allora Paolo Milone, da quarant’anni psichiatra, ci rende partecipi di quest’arte inafferrabile costruendo un libro frammentario, lirico, intenso, a tratti struggente e malinconico, a tratti leggero e dilettevole. Personale e universale, come sono i libri che sanno dare parola all’intima, profonda verità.
È l’incontro umano, solidale e fraterno, con tanta e varia umanità nella quale ci riconosciamo, noi che siamo sani o folli per uno scherzo del destino. (“I matti sono nostri fratelli. La differenza tra noi e loro è un tiro di dadi riuscito bene.”)
Sono le parole calde, essenziali, in equilibrio delicatissimo e magico tra il vuoto e il pieno che ci fanno guardare “l’abisso con gli occhi degli altri” e cogliere la sottile e sfumata differenza tra lo psichiatra e il suo paziente.
Lucrezia, giovane donna intelligente e scaltra, tremiamo per la tua vita. Carmelo, vecchio tossico barcollante dalle mille risorse, tremiamo anche per la tua.
Siamo nel reparto 77, pronto soccorso psichiatrico, anteprima dell’inferno e ostinato faro nella notte nera. È Genova, città storta, stretta, impervia, impossibile camminarla tutta, Genova, dove un inseguimento notturno in zoccoli e camice svolazzante trova il suo limite naturale in faccia al mare (quel mare che “ascolta le persone una per una e intanto continua ad andare e venire”).
Sono storie diverse che si intrecciano, si frastagliano e mai si completano, sono sentimenti e pensieri in cerca di un equilibrio che si fa e dis-fa continuamente. Così che i pensieri più fondi si frastagliano su uno scoglio e schiumeggiano lontani.
Allora ritorna la prosaica, umile, necessaria realtà quotidiana come testimonia questo dialogo casalingo:
“Anna, dentro di me c’è l’eco della tragedia del mondo. Paolo, porta giù la spazzatura o te lo faccio sentire io l’eco della tragedia del mondo.”
Non è un romanzo. Ha quasi la struttura di un poema in versi, ma non tratta di eroi. Si parla di uomini che lavorano a stretto contatto con una Bestia che cattura le menti e distorce la realtà. Quello della follia è un universo impenetrabile, fatto di dolore immenso che le parole non riescono a esprimere. Sono tanti i tipi di disagio mentale. Con grande sensibilità, poesia e tenerezza Milone ci aiuta a scoprire le persone imprigionate in un mondo che le parole non possono penetrare. “La parola non è luce che scaccia i fantasmi della notte, non è legna da conservare per il freddo inverno, non è cibo da tenere in dispensa, non è ninnananna che rincuora”. Invisibile compagna di viaggio è la morte, sempre in agguato. Basta un attimo e un paziente apparentemente tranquillo si butta dal terzo piano. I suicidi sono tanti, inspiegabili, per quanto si pensi di conoscerne la ragione. Non ci si fa l’abitudine, ma si va avanti. Con Genova e il suo mare consolatore sullo sfondo, conosciamo Lucrezia, per me splendida e tragica coprotagonista di queste pagine. Milone passa il testimone a un giovane medico: “Non cercare la consapevolezza totale di esistere; ognuno vive nella nebbia più o meno fitta. Scegli il tuo posto sul pendio, e tira su casa”.
Un capolavoro. Bellissimo, straziante, poetico. Un medico che con dedizione e compassione cerca di comprendere l’animo umano. Con grande amore per le persone in difficoltà che si trova davanti il Dott, Milone racconta i suoi anni in psichiatria, parlando di emozioni, ricordi e sentimenti legandoli ai casi, serissimi, di cui si è occupato. Con l’animo del poeta che cerca di vedere ed è capace appunto di immedesimarsi nell’altro, e nell’oltre la realtà oggettiva, nella mente di chi soffre del dolore psichiatrico. Bellissimo. Veramente straordinario.
Ci sono libri di cui avverti immediatamente il valore. Fin dalle prime pagine intendo: fai appena in tempo ad aprirli, a girare le primissime pagine, e ti sorprendi a cambiare impercettibilmente la posizione, a piazzarti meglio il cuscino dietro la testa, a tirarti su sulla sdraio, a stirare un attimo le spalle. A me capita così, è proprio una sensazione fisica.
E dalle prime righe di Milone, psichiatra con anni di esperienza riversati poeticamente in queste pagine, ho capito dalla pressione improvvisa sui muscoli del collo che avevo tra le mani un racconto prezioso. Con frammenti di testo che stanno in sottile equilibrio fra la prosa e la poesia, Milone racconta la malattia mentale e un reparto psichiatrico con una voce unica, colma di umanità eppure capace di far sorridere, oltre che commuovere e riflettere.
Soprattutto, e credo sia l’aspetto di questo oggetto letterario dalla difficile collocazione che mi ha convinto di più, nonostante la capacità di muoversi anche le corde della leggerezza e del divertimento, Milone non cede alla tentazione di concedere qualunque tipo di sconto. Il reparto, la malattia mentale, la sorte dei pazienti gridano realtà e dolore.
Pur con una forma narrativa del tutto differente, ho sentito risuonare note di “La malattia di Sachs” di Martin Winckler, che avevo adorato anni fa e che mi è venuta una voglia insopprimibile di rileggere.
Paolo Milone è uno psichiatra genovese che esercita la professione da svariati decenni. A quasi settant'anni, esordisce per la Einaudi con un libro che promette di raccontare la vita nelle corsie dei reparti psichiatrici. Si è fatto un gran parlare di questo libro, ma per me rimane una promessa non mantenuta. Paolo Milone sarà sicuramente un ottimo psichiatra, ma non è un bravo scrittore. Il suo libro è infatti pieno di voli pindarici, illuminazioni poetiche ed epifanie simboliche, cioè di tutti i cliché (mal)utilizzati da chi si crede un grande scrittore, pur non essendolo. Il risultato sembra la parodia di un romanzo 'ipermoderno': il testo è aperto, diciamo pure spalancato, eppure l'aria non circola, i personaggi sono evanescenti, vaporosi, gassosi, la malattia mentale diventa quasi uno svolazzo lirico, non c'è traccia del vero dolore patito dai folli, né, ahimé, di Paolo Milone stesso. Leggendo L'arte di legare le persone, insomma, non mi sono sentito 'legato' a nessuna delle persone del libro. Ho provato solo indifferenza, freddezza, spesso noia, a volte qualche scossone causato dall'ingenuità di certi giri di frase. Nient'altro.
Mi è piaciuto ciò che traspare dal lato umano dello psy, ho avvertito una specie di equilibrio precario, con lui mi sono meravigliata e ho dubitato di tante cose.
La sua visione della malattia, il rapporto con i suoi pazienti e con i suoi colleghi, le paure, gli innamoramenti, il modo di trattare il suicidio in un libricino di poche pagine, tutto denso di vita.
Ci sono dei picchi alti di poesia ed anche aneddoti divertenti, non c’è commiserazione seppur si parli degli ultimi, dei malati, ma ho trovato una grande voglia di comprendere l’animo e la testa cercando di ricomporre tutti i pezzi rotti del malato. Legarli per ritornare in un unico grande pezzo
Sono rimasta delusa. L’ho trovato un libro parecchio autoreferenziale e che, paradossalmente, contribuisce ad alimentare lo stigma nei confronti dei disturbi mentali ed a sminuire la complessità della psichiatria e dei/delle pazienti. Contiene inoltre una serie di stereotipi sulle persone transgender e le persone che fanno sex working. Non lo consiglio.
2,5 Mi dispiace molto dare questo giudizio negativo perché tratta un argomento delicato e complesso ed era uno di quei libri che avrei voluto davvero mi piacesse. Sembra un diario e ha un tono molto poetico che fa emergere sicuramente la passione che Milone mette nel suo lavoro, eppure non è riuscito a farmi entrare nel pieno della vita del Reparto 77, mi è sembrato tutto molto distante. Peccato, perché aveva del potenziale.
Inizialmente ho pensato potesse essere molto interessante. Mi incuriosiva la tematica e anche la forma originale con cui viene presentata (come una raccolta di frammenti dei pensieri, delle sensazioni, delle esperienze e della pratica clinica dell’autore). Peccato la superficialità trasversale del discorso. Che da uno psichiatra che scrive di salute mentale non ce lo si aspetta. Se Inizialmente mi ha stupito e lasciato molto incredula (“ma questo pagliaccio da che cappello è uscito?!” pensavo quasi divertita leggendo certe assurdità) successivamente mi ha irritato e fatto arrabbiare (“no Milone, l’analista non e’ quello che sbadiglia da dietro il lettino oppure che finge di ascoltare. Magari quello potresti essere tu, perché in ogni ambito lavorativo c’è chi lo fa bene e chi no. Che scoperta”) e infine mi ha molto deluso (il discorso del legare al letto tradisce un punto di vista di estrema (per non dire banale) concretezza (che è presente in più punti del libro) che secondo me si sposa malissimo con la professione di cura e “riabilitazione” di cui si parla e che come ogni visone estrema e radicale finisce per risultare molto “limitata”. Consigliato? NO. Si può impiegare il tempo molto meglio se attirati dal tema della salute mentale leggendo qualcosa di Daniele Mencarelli. Peace and love Milone ma non mi piaci.
L'arte di legare le persone di Paolo Milone (Einaudi 2021).
"Se non hai mai provato il dolore psichiatrico, non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci."
🔗 Paolo Milone, nei quarant'anni trascorsi come medico in terapia psichiatrica d'urgenza, questo dolore lo ha osservato, toccato, attraversato. Per quarant'anni ha ascoltato i suoi pazienti, cercando di comprendere, prevenire, contenere, curare.
🔗 Questo libro racconta di Lucrezia, Emilio, Chiara, Carmelo, Filippo. La schizofrenica, l'euforico, la depressa, il caratteriale, il nevrotico. E insieme a loro i colleghi di Paolo: Giulia, Marcello, Rufo, Edoardo, Tito. La tirocinante, l'inesperto, il presuntuoso, il disilluso, l'opportunista. Tutti passano dal Reparto 77, dove si lavora, si urla, si maledice, si guarda nel vuoto. Si vive.
🔗 E poi racconta di Genova. E del mare. "Il mare ascolta le persone una per una e intanto continua ad andare e venire: ti tocca, non ti tocca, ti prende, non ti prende. (...) E, senza che tu te ne accorga, ti incanta, ti ipnotizza, e ti addormenta. Che maestro! In confronto al mare, noi psichiatri siamo nulla."
La salute mentale ha molto poco a che fare con le belle parole, che qui in 200 pagine non fanno che leccarsi il pelo, come un gatto al sole sopra un muretto che si lava, si pettina, si sistema, si aggiusta. Non anca nulla, c'è anche lo psichiatra che si affeziona alla paziente giovane, che poi però si ammazza. E che si innamora di un'altra, che poi però è malata. E giù consigli a pioggia, perché nessuno è più bravo di lui. Forse è il dolore messo su carta che rischia il voyeurismo, che cosa volevo sapere quando ho comprato questo libro? È stato un errore mio. Certo vorrei sapere il nome degli editor Einaudi che confezionano questi libri, così da sperare che qualcuno li rapisca e li abbandoni in mezzo a un deserto.
Milone racconta la vita in psichiatria d'urgenza con delicatezza, ironia e senso di appartenenza al proprio lavoro. Il pregio di questo libro è aver posto l'attenzione su una realtà difficile da raccontare e di averlo fatto con leggerezza, fuori dallo stigma in cui spesso è relegata.
Riprendendo una vecchia abitudine, proverò a parlare di questo libro ponendo solamente domande. Questa volta ad alcune, quelle che posso, risponderò direttamente; quelle, invece, a cui non si può rispondere - a cui nessuno può rispondere - si riconoscono facilmente.
Consiglieresti questo libro? - Decisamente sì.
Ma di cosa parla esattamente? - Di tutti noi. E del nostro dolore. Ma anche della nostra gioia. Della nostra solitudine. Ma anche dello stare insieme.
E come ne parla, o meglio che genere di libro è: un saggio? un romanzo? - Sono frammenti di vita, in prosa e poesia, raccolti da chi sulle nostre vite ci ha lavorato una vita. Pezzi, frammenti, di vita di persone che passano; a volte rimangono e a volte crescono; altre volte se ne vanno subito dandoci le spalle.
Fa piangere? - Decisamente sì. E perché leggerlo allora? - Perché fa piangere. Ma anche commuovere e soprattutto pensare.
Fa ridere? - Solo a volte. E perché leggerlo allora? - Perché a volte, dopo aver pianto tanto, fa ridere.
Puoi riassumerlo con una frase? - Mi sento ispirato: la Psichiatria è una scienza fisica: è Cinematica del dolore.
Perché esiste il dolore? Perché ci troviamo sempre perduti al largo a bere acqua di mare andando a fondo? Abbiamo anche noi la nostra stanza del glicine?
Una raccomandazione che non è uno spoiler, se letta e seguita: seguite l'ordine di lettura proposto dalla edizione e,a fine lettura, leggete la nota dell'autore in fondo al libro. E dopo rileggete il libro dall'inizio.
Avevo inizialmente dato 4 stelle, ma sono salite a 5.
Mi è piaciuta questa scrittura asciutta e il coinvolgimento umano nelle vicende di malattia mentale da parte dell'autore che è psichiatra. Racconti autobiografici intrisi di disperazione ma a volte anche di comicità. Interessante la parte che va a spiegare il perché dell'uso della restrizione, al di là che possa essere condivisibile o meno, e al quale fa riferimento il titolo. Edit del 30/12/2021 Aggiungo questa dura critica al libro, da leggere assolutamente per avere una visione d'insieme. Rivedo la mia valutazione da 4 a 3, per ora. Consiglio di scaricare l'immagine per facilitarne la lettura. https://www.facebook.com/100001719412...
"La resistenza del legno varia a seconda del punto in cui si conficca il chiodo: il legno non è isotropo. Neanch’io lo sono; ho i miei “punti delicati”. Io solo conosco la mappa di questi punti ed è in base ad essa che io guido me stesso, evitando, ricercando questo o quello". La frase di Barthes non è del tutto vera, la mappa la tracciamo anche con l'aiuto degli altri. Milone ci insegna, con grande empatia, che per alcuni "l'altro" deve essere un medico. Bello, umano, a tratti poetico.
Cazzo, mi ero disabituata al male gaze. Appena cominciato questo libro, mi sono subito chiesta «Perché? Perché questo libro, il cui punto di vista principale oggettifica e sessualizza TUTTE le donne del racconto, piace a tutti e a tutte?» Che poi, oltre alla sessualizzazione di pazienti e infermiere, romanticizza le malattie mentali e oggettifica i pazienti, chiamandoli con i nomi della malattia diagnosticata. Primo approccio disastroso. Ok. Poi mi sono resa conto della mia decisione, presa quasi un anno fa, a gennaio 2021, di leggere, per un anno intero, solo, o quasi, libri scritti da autrici. Nella mia lista quindi compaiono autrici femministe, cis e trans, spesso queer, e attiviste di ogni sorta. E queste letture mi hanno consolato l’anima, per un anno, senza che me ne accorgessi, fino a quando mi sono ritrovata tra le mani l’ennesimo libro scritto col cazzo da un uomo bianco cis etero. Ho capito che tutte loro, che dovrei quindi ringraziare pubblicamente, ovvero Bernardine Evaristo, Virginie Despentes, Brit Bennett, Négar Djavadi, Fatima Daas, Lara Williams, Emma e Alice Walker mi hanno guarita dalla normalizzazione patriarcale, facendo sì che riuscissi subito a identificare ogni sorta di abuso o di violenza di genere, seppur minima. Adesso vorrei concludere questa lettura perché sono curiosa di vedere se sarà in grado di deludermi ancora di più o se a una certa si ripiglia.
Avrei tantissime citazioni da riprendere da questo libro che mi sono piaciute tantissimo. Il primo libro di Milone, psichiatra, è ancora più bello del secondo. Un grande medico che ha curato i suoi pazienti come fossero figli. Un lavoro difficile che non sempre si pensa di esserne all’altezza. Bravo Paolo, sia per il libro che per la tua carriera.
Non saprei se perché il mio lavora somiglia moltissimo a quello di Milone o se magari soltanto perché in questo suo narrare staccato, telegrafico e a singhiozzo io mi sono immersa come in una piscina tiepida, ma il libro mi é piaciuto veramente tanto, con tutto che é straziante.
Un rifugio che accoglie tutti quelli che non riescono più a lottare. Ci troviamo davanti a brevi episodi, a ricordi, ad attimi vissuti a decidere quale sia la strada giusta da intraprendere, cercando di capire che tipo di persona abbiamo davanti. Sono scelte, a volte giuste, altre volte sbagliate, altre volte ancora non conta perchè il futuro del paziente è già segnato, scelta giusta o sbagliata che sia. Ci sono pazienti a cui ci si affeziona di più e che è difficile toglierseli dalla testa, tanto che ci si continua a parlare anche dopo, perché l'assenza di chi non c'è più è una presenza più ingombrante delle altre. Tutto questo viene fatto per indicare una strada, il proprio futuro è nelle nostri mani ma anche nelle nostra mente.
- C'è chi ritiene che il ricovero in psichiatria sia la cosa più brutta al mondo. Talvolta la vita è ancora più brutta. Gli animali feriti si nascondono in una tana e si leccano le ferite. Psichiatria è una tana.
La struttura di questo libro, non un romanzo, ma una serie di frammenti, una sorta di diario in versi, all'inizio mi ha spiazzata perché molto particolare e spezzettata. Allo stesso tempo credo che proprio grazie a questa impostazione ciò che l'autore vuole condividere della propria esperienza di psichiatra possa raggiungere un pubblico molto ampio. Mi è piaciuto il fatto che molte situazioni ed eventi siano stati portati su un piano molto pratico, a volte anche sdrammatizzati. Mi ha fatto sorridere il fatto che Rufo, con il suo camice immacolato, venga definito "un vero dottore" proprio davanti a Milone, col suo camice stropicciato e sciupato dal lavoro in prima linea. Avrei però voluto trovare una parte, magari alla fine, con qualche informazione sulle diverse tipologie di pazienti; nel libro si fa spesso riferimento per es. ai caratteriali, agli euforici, ecc. e non avendo grandi conoscenze sull'argomento avrei voluto capire meglio. Mi è mancato qualcosina per entrare pienamente nel Reparto 77, ma è una lettura diversa dal solito che consiglio.
DNF: ci ho provato a farmelo piacere, lo giuro, ma ad ogni capitolo rimanevo sempre più delusa. Mi aspettavo un'introspezione nel reparto di psichiatria, dei ragionamenti, dei legami, dei sentimenti. Ho trovato solo cliché, stereotipi, ogni volta che mi avvicinavo ad un personaggio questo veniva perso nella sfilza di altri poemi (in versi liberi) per poi essere dimenticato. Per non parlare nella spiacevole sensazione di sentire il protagonista migliore di coloro che lo circondano. Alcune frasi mi hanno lasciata interdetta "ti darei un pugno" o "ti ammazzarei" rivolti mentalmente ai pazienti. Sono arrivata a metà e non mi sono sentita legata a nessuno dei personaggi e alla fine nemmeno al libro stesso. Probabilmente avevo delle aspettative troppo alte.