Che cosa sappiamo davvero dei grandi pensatori della storia? La cultura istituzionale, i ritratti fatti da artisti e biografie ufficiali, i professori a scuola e in università ce li hanno sempre presentati come pedanti uomini dalla lunga barba bianca, impegnati a sondare i meandri dell’Essere tra tomi polverosi e attività noiose. Ma se qualcuno ci dicesse che il mito della caverna di Platone è il prodotto di una visione dovuta a una bevanda allucinogena, che il Superuomo era drogato dai farmaci di cui abusava il suo Nietzsche e che alcuni dei testi più importanti di Sartre sono stati scritti ingoiando dieci pasticche di anfetamina al giorno? In fondo, la via per raggiungere la verità spesso fatta di deviazioni stravaganti.Alessandro Paolucci ci conduce in un curioso viaggio nella filosofia attraverso le sostanze consumate dai suoi più eminenti dagli esperimenti con l’hashish di Walter Benjamin a quelli con la cocaina di Sigmund Freud, dalla probabile tossicodipendenza dell’imperatore filosofo Marco Aurelio all’Lsd che Ernst Jünger assumeva insieme all’amico Albert Hofmann.Paolucci scrive una vera e propria contronarrazione psicotropa del pensiero occidentale, muovendosi tra le epoche e i continenti, tra le cerimonie dei Misteri Eleusini cui ebbe probabilmente accesso Platone – durante le quali i partecipanti andavano in trance sorseggiando il misterioso ciceone – e l’Hotel della Posta di Rapallo nelle cui stanze Friedrich Nietzsche curava la sua emicrania stordendosi di oppiacei, fino a raggiungere il deserto della Death Valley teatro dei trip del visiting professor Michel Foucault.Storia stupefacente della filosofia è nel contempo un compendio di idee rivoluzionarie e un’accurata ricostruzione biografica del lato più umano della speculazione teorica. Il racconto delle avventure (e disavventure) lisergiche che le più eccelse menti di tutti i tempi hanno affrontato mentre si spingevano oltre le colonne d’Ercole dell’immaginario con ogni mezzo e a ogni costo; compresa la repentina fuga dall’allucinazione di un’aragosta gigante.
"Foucault aveva cercato nelle droghe, come nella filosofia, gli strumenti per hackerare le strutture dominanti, guardarle dall'interno, smontarle, e usarle per aprire quelle porte che dovevano restare chiuse. [...] In fondo non è questa, la conoscenza?"
Il famoso saggio "Le porte della percezione" di Aldous Huxley era un resoconto dettagliato e quanto mai illuminante sulla capacità della mescalina di portare la mente umana al di là della sua consueta potenzialità. Di qui, la conferma che determinate sostanze possono condurre l'uomo a vette inesplorate di fantasia, razionalità e quindi conoscenza. ma Huxley è solamente l'ultimo "studioso" del genere, perché già Charles Baudelaire, nel suo "I paradisi artificiali" aveva fornito al mondo una dettagliata analisi sui piaceri delle droghe. Ora Alessandro Paolucci ci offre una disamina puntuale e credibilissima sul lato oscuro di alcuni protagonisti della filosofia, fornendo, se vogliamo dirla così, un'ulteriore prova di come, per puntare all'Iperuranio del pensiero, l'aiutino sia quasi obbligatorio, smitizzando quindi l'immagine dei pensatori come colori che da un lato hanno una vita impeccabile, dall'altro non sanno godersi i piaceri dell'esistenza. "Storia stupefacente della filosofia" è un libro godibilissimo, piacevole, irriverente e ironico, ma anche puntuale nella necessaria argomentazione e attento all'unire concetti filosofici e fatti biografici; in questo modo anche il non-iniziato può ambire alla bellezza del racconto di come giganti come Platone, Freud, Nietzsche e Benjamin abbiano realizzato il loro grande mondo del sapere anche grazie o a causa dell'uso di varie sostanze, anche tra le più antiche. Un ottimo contributo alla discussione sugli stupefacenti.
Avevo grandi aspettative per questo libro. Appena l'ho visto l'ho inserito subito in wishlist, però mi ha deluso parecchio. Non mi ha preso e appassionato come credevo che sarebbe successo. Ho impiegato molto per leggerlo perché non sentivo la voglia di continuarlo. Però gli ho dato una possibilità fino alla fine, sperando che mi sorprendesse. Indubbiamente è ben scritto, scorrevole e preciso e ci sono dei capitoli che in linea di massima ho trovato interessanti. Tirando le somme però purtroppo non mi ha appassionato per niente, ma visto che la speranza è l'ultima a morire penso che lo inserirò nella pila dei libri da rileggere. Chissà magari in un altro momento diventerà uno dei libri più belli che io abbia mai letto...
Intrigante e originale. Apprezzo fortemente l'obiettivo del saggio, ovvero quello di fornire al lettore un'idea non convenzionale di otto grandi personalità della filosofia, viste sotto la lente di vari trip stupefacenti che hanno compiuto per fini ricreativi e non. Lodo soprattutto il lavoro di ricerca di Paolucci, capace di farci arrivare scambi epistolari, fonti e documenti inediti che ribaltano l'idea divinizzata che abbiamo sempre avuto dei protagonisti (Platone, Benjamin, Junger ecc...), restituendo una visione più umana, imperfetta e imprudente. Linguaggio semplice, ma contenuti mai banali, anzi, decisamente coinvolgenti! Da leggere se siete amanti della filosofia (perché queste confessioni qui non le troverete nelle opere più rinomate) o se siete dei fattoni che vogliono giustificare il loro abuso sconsiderato dicendo "vabbè zio anche Freud pippava e mica è diventato scemo".
Saggio super interessante sulla storia e sul rapporto tra filosofi e mondo delle droghe, narrato in 6 pillole che vanno da Platone fino a Foucalt. Da non perdere
"Prof., ma che si è fumato Platone per pensare l'iperuranio?". Dopo aver letto questo libro posso rispondere alla domanda che tutti, studiando filosofia, ci siamo posti almeno una volta.
Alessandro Paolucci compie un gesto audace e necessario: restituisce alla filosofia il corpo, la fragilità e il disordine da cui spesso nasce il pensiero. "Storia stupefacente della filosofia" è un viaggio vertiginoso tra le menti più lucide e le esperienze più alterate della storia del pensiero: da Platone che beve il misterioso ciceone dei riti eleusini a Nietzsche stordito dai sonniferi, da Freud che sperimenta la cocaina a Jünger e Sartre immersi nei loro esperimenti psicotropi.
Il libro non indulge nel sensazionalismo, ma fa dell’uso di droghe una chiave di lettura filosofica. Paolucci mostra come le sostanze (psichedeliche, stimolanti o sedative) siano più di un vizio privato, siano anzi strumenti conoscitivi, talvolta mezzi per forzare i confini dell’esperienza e cercare la verità da altre porte. Così la filosofia, da puro esercizio della ragione, diventa anche racconto di corpi che soffrono, che cercano sollievo o visione, che trovano nel delirio un’altra forma di pensiero.
Il tono è ironico, brillante, ma non irriverente. Lo stile di Paolucci, chiaro, energico, trascina il lettore in una sorta di bad trip intellettuale da cui si esce più consapevoli: la filosofia risulta così un’esperienza totale, fatta di carne, sostanze, passioni, desiderio. È un libro che diverte e fa pensare, che smonta l’immagine accademica del filosofo “puro” per restituirgli la sua umanità più scandalosa e più vera.
In fondo, Paolucci ci ricorda che ogni filosofia nasce da uno stato alterato: quello dello stupore. Tutto il resto (alcol, oppio, peyote...) non fa che amplificarne l’effetto.
Che (ri)lettura della filosofia interessante, tra Platone e la sua presunta bevanda psicotropa chiamata ciceóne per partecipare ad uno dei tanti riti e culti, Marco Aurelio e la sua sospetta dipendenza dall’oppio contenuto in una bevanda a base di erbe chiamata teriaca, il cocainomane Freud, Nietzsche ed i suoi frequenti ed abbondanti cocktails di farmaci autosomministrati. E poi ancora: Walter Benjamin con la passione per hashisc ed oppio, i viaggi psichedelici tra LSD e mescalina di Ernst Jünger, Albert Hofmann e persino Aldous Huxley, l’iperproduttività di Sartre facilitata dal Corydrane (e l’anfetamina contenuta nel farmaco) e per concludere Michel Foucault che non si tira indietro tra oppio, LSD, haschisc e tanto altro.
Una domanda, nonché provocazione: se questi geni della filosofia e letteratura non avessero avuto “accesso” a questa ultra-dimensione facilitata dall’assunzione delle sostanze più disparate, avrebbero tramandato un lavoro di pari importanza? Ha senso definire nel loro caso “scorretto” o “improprio” l’utilizzo di queste sostanze? Chi definisce cosa sia giusto o ingiusto?
Un libro gustoso, a tratti spassoso, ma che fornisce anche qualche informazione in più su alcuni grandi filosofi della storia. Esso racconta del rapporto avuto dai filosofi con le droghe, ma con un taglio divertente davvero ben riuscito, non risulta mai stucchevole, il che è un grande pregio poiché è difficile risultare divertenti parlando di droga e filosofia ma senza praticamente scadere in banalità o pateticità. Un grande plauso all’autore per aver scritto un libro accessibile e godibile anche per chi non mastica affatto di filosofia.
Libro abbastanza deludente, che non aggiunge nulla ma semplicemente “cavalca” un tema ormai di moda giusto per vendere copie. Giusto qualcosa di interessante in alcune citazioni riportate, per il resto inutile.
Regalato per Natale, mi ha tenuto ottima compagnia per tutto il quadrimestre nei pochi attimi di tempo disponibile ( il capitolo su Wittgenstein pieno di spunti di riflessione).
Il libro è carino e scorrevole, molto leggero, si impara qualcosa qua e là - non troppo, ma penso sarebbe stato difficile il contrario. Lettura semplice ma divertente