Un libro per capire meglio come funzionano i social, e soprattutto come funzioniamo noi dentro i social.
Come i social stanno cambiando il nostro modo di informarci e fare attivismo.
I social network ci stanno trasformando. Francesco Oggiano, digital journalist e volto noto della community di Will Italia, ci aiuta con taglio ironico e pungente a orientarci - e destreggiarci - nel labirinto della rete. Come è cambiato il giornalismo, e perché dilagano conformismo, fake news e "fuck news" (quelle che ci fanno imprecare di indignazione)? Perché la rabbia sembra essere diventata lo stato d'animo prevalente online? Esiste davvero la "cancel culture", e quanta vivacità intellettuale ci stiamo perdendo, per paura che ci prendano di mira per una frase postata su Facebook e mal interpretata? Come sono nate campagne global diffuse sui social e poi divenute movimenti quali il Black Lives Matter e il #MeToo? Perché le star e gli influencer stanno diventando i nuovi punti di riferimento anche su temi sociali, politici e ambientali? In che modo l'attivismo digitale sta cambiando le imprese e la politica? Perché Instagram era il posto in cui andavi per dimenticarti del mondo, mentre ora è il posto in cui vai per scoprirlo? Che cos'è il Metaverso, e come modificherà le nostre vite? SociAbility risponde a queste e molte altre domande, preparandoci al bivio che abbiamo davanti: saremo chiamati a scegliere tra la semplificazione e la complessità, l'indignazione fine a se stessa e le idee, i meri simboli e l'azione, l'illusione della perfezione e l'umanità, il narcisismo e la curiosità. E da queste scelte dipendono in gran parte il futuro dell'informazione, della democrazia e della vita sociale.
PREMESSA: potrei non aver inteso bene l'obbiettivo del libro. Procedere con cautela. EDIT 28/5/2023: aggiunte due note sulla parte in cui Oggiano discute la cancel culture.
"The world used to be silent, now it has too many voices - and the noise is a constant distraction. They multiply, intensify, they will direct your attention to what's convenient and forget to tell about yourself. We live in an age of many stimulations: if you are focused, you are harder to reach; if you are distracted, you are available. You are distracted You are avaliable. You want flattery. Always looking to where it's at, you want to take part in everything and everything to be a part of you. Your head is spinning faster at the end of your spine until you have no face at all. And yet, if the world would shut up -even for a while-perhaps we will start hearing the distant grieve of an angry young tune and recompose ourselves. Pehaps, having deconstructed everything, we should start thinking about putting everything back together. Silence yourself."
Da un lato, una buona occasione per guardarmi alle spalle e fare un'analisi critica del mio comportamento sui social. Sono stato un peformattivista? Mi sono accodato a un sentire generale? Le opinioni che ho oggi - che non sono quelle che avevo anche solo sei anni fa - sono frutto di una maturazione o di un'omologazione interiorizzata all'estremo a certe idee di certe persone per me influenti? Alcune parti contengono inoltre informazioni che non sapevo - i politici su TikTok? Machedavero. Poi, lo stesso giorno che finisco il libro esce questo.
"E al cambio della guardia, chi prenderà il mio posto? Lo scoprirò su un post del cazzo da te confezionato per il tuo profilo patinato, suffragato dalla legge protagorea che tu sei misura di ciò che è per ciò che è stato pubblicato e perciò che non è. Non sai nemmeno immaginare alternative."
ViadellIronia, Postmenade; "Blu Moderno" EP, 2018
Quindi.
Quindi ci sono cose su cui mi sono informato già a sufficienza e su cui un'opinione informata un po' ce l'ho. In generale, le riflessioni di Oggiano sono condivisibili ma l'angolo da cui le formula le rende immediate da elaborare. Perlomeno, le ho già sentite più volte. Nel particolare, la logica del discorso usa reiteratamente parole come "contesto" e "complessità", a fronte di una decontesutalizzazione delle fonti da cui si attinge e di un approccio alla complessità molto simile alla "Irriducible Complexity" dei creazionisti statunitensi. Quando si ha contezza della varietà di vedute cui Oggiano ricorre non so se ho più una sensazione di sincretismo che di eclettismo.
In merito alla "violenza" sui social derivante dal leggere il contesto, consiglio di ascoltare Voglia di gridare di Daniele Silvestri. La canzone non parla di indignazione in sé, o di battaglie, ma del potere della folla che "non vede, non sente, non pensa per niente". Il numero è forza, indipendentemente dalla tesi (tipo in statistica, dove i grossi numeri sono fondamentali per avere esiti robusti: ma basta saperli decontestualizzare, e diranno quel che vuoi). Al punto che, sul finale, quella voce singola che era aveva dato il via come uno scherzo meta- , viene scavalcata dal coro, melodia e tutto quel che è ritornello.
La cornice in cui Oggiano descrive l'attivismo nato coi social -identitario, decentralizzato, a suo modo anarchico- mi sembra dimentichi tutti i movimenti "non progressisti" [eufemismo] montati da cose come 4chan o 8chan. Non c'è menzione dell'odio di estrema destra, e solo due volte si menziona qualcosa dell'Alt-Right (in particolare, i Proud Boys e i Tea Party). In compenso c'è molta prontezza nell'imbrigliare l'attivismo progressista che nasce dai social nella sua descrizione, senza guardarne né gli esiti né quel che dicono davvero i vari movimenti. Questo mi è particolarmente visibile quando parla del MeToo, che non può essere considerato distaccatamente dai femminismi che l'hanno sostenuto e che, anche solo per definizione non sono identity politics. È una cosa che leggo molto spesso dalle attiviste: che loro, pur nel contesto di un movimento, non parlano a nome di tutte le donne. Le donne -e la comunità LGBTQIA+, e gli ambientalisti, e, insomma, le cuminità "identitarie"- non sono un monolite, c'è diversità di esperienze di vita. Ma forse è qui che sbaglio io a leggere, e Oggiano intende solo soffermarsi sul lato social. Però perché prendere solo esempi dal lato dei progressisti e non considerare come "gruppi identitari nati sul web" RedPills, AntiVax o i vari gruppi neonazisti come StormFront? Perché se si parla di violenza che dalla rete scende nella realtà, loro son lì. Alcuni ammazzano ma non manifestano, alcuni manifestano e si presentano alle elezioni, altri ancora tutte e tre le cose. Il ruolo dei social come luogo di radicalizzazione non viene assolutamente trattato. Forse questo però è pane per Leonardo Bianchi e Giulia Siviero.
(parentesi: è attivismo quando nasce da molte persone in maniera "anarchica", ma non è attivismo quando il padrone di un social network ospita ed è presente alla candidatura di un Repubblicano de Fero in una Stanza sul suo stesso social network? Cambia il numero. Cambia il potere relativo, l'impianto gerarchico delle decisioni. Lascio qui aperta la questione se definirli differentemente, perché sono anch'io dubbioso e non mi piace moltiplicare i concetti, né lasciali indefiniti.)
In generale c'è molta condiscendenza verso questi movimenti progressisti, un po'come a volter dire "ragazzi, fate una cosa bella e idealmente sto con voi, ma io farei...". Sembra un problema che i giornalisti hanno con gli attivisti in generale. Solo che il giornalista non si espone: racconta, sapendo per definizione di non esserei neutrale (nel senso che è un essere umano, ci mette del suo). Oggiano va un po'oltre. È una cosa un po'gramelliniana, che ti lascia addosso tutto un po'di appicciaticcio spiacevole. Il suo sguardo sull'attivismo della generazione Z è eccessivamente pretestuoso: persone che avrebbero al massimo 25 anni dovrebbero fare lobbying sui politici? - che sono quelli che possono cambiare le cose a largo, ma (ormai) operano perlopiù in base al consenso. Altro caso: lo statistico intervistato nel medesimo capitolo, che vorrebbe ritiene che, per le soluzioni, si debba guardare "alla scienza". Come se la Scienza (S maiuscola) fosse un qualcosa di salvifico in sè, e non avesse una sua politica e legami con la politica.
Sulla cancel culture, Oggiano cita Ligaya Mishan (una columnist che tratta soprattutto cibo e viaggi, ma che proprio per questo credo si trovi di sovente a che fare col fenomeno), per la quale "nessuno sa cosa significhi veramente". Quello che ne segue nel li libro è -deduco- un tentativo di definirla. Se vogliamo, una tesi. Ed è qui che Oggiano tocca sul vivo -e probabilmente, come avrete dedotto, anche me. Per definire un fenomeno di natura dubbia, bisogna accertarsi che quel fenomeno anzitutto esista. Le istanze che Oggiano propone nella sue definizione le riassumerei, per economia di concetti in due lati ben noti, che non hanno a che fare con la cancellazione delle persone. Quando la "cancel cultiure" colpisce sono personaggi "famosi", si tratta di persone che, comunque vadano le cose, non saranno cancellati ma avranno sempre uno spazio per esprimere le proprie idee. I media tradizionali daranno sempore ascolto a un Dawkins (ottimo genetista, ma classico esempio dell'upper class inglese quando si parla di società), J.K. Rowling I(letteralmente la donna più ricca dell'UK, autrice di - ma che sto a scrivere?) o la ministra Roccella (che, in quanto Ministra, sarà chiamata a esprimere il suo parere su altri media, interessati a esso in quanto lei è Ministra). Questa per me non è cancellazione. Se l'accento è sulla violenza della reazione del web, probabilmente la parola è semanticamente sbagliata. Quando la "cancel culture" si avventa su utenti o utentesse che dicono la cosa sbagliata nel momento sbagliato e diventano virali e travolti da una shitstorm che ne vuole l'effettiva cancellazione non solo dall'internet, ma dai loro ruoli reali, non è ancel cultiure, ma bullismo. Un bullismo feroce, ortodosso e intransigente che Oggiano descrive bene già nei capitoli precedenti, Capisco che "cancel culture" possa servire come termine ombrello per quando questi attacchi partono dal web, ma non è il modo in cui ne vedo parlare sui media classici. Soprattutto, Oggiano inquadra la "cancel culture" unicamente come una reazione "progressista", quando è un fenomeno trasversale all'ideale politico. Forse le destre operano con metodi più antichi, urlando dalle istituzioni, boicottando birre o picchiando gli oppositori. Non sto dicendo che i fenomeni ascritti alla "cancel culture" non esistano, ma che è un concetto indefinibile, spurio, se lo prendiamo così come presentato. Non definisce, non demarca; fa calderone di cose di natura sociologicamente diversa e le confonde, mettendo l'utente ignaro sullo stesso piano di una Ministra della Repubblica se non per le differenti conseguenze cui vanno incontro (e, occhio, qui potrei aver frainteso la sua tesi). Se però questa è la tesi, per me è una definizione disfunzionale. L'unico modo effettivamente coerente di parlare di "cancel culture" è appunto ascriverla come declinazione social della damnatio memoriae cui Oggiano stesso fa riferimento nel medesimo capitolo. Si ha un gruppo con dei valori condivisi; un individuo compie un azione "taboo" che viola tali valori e, agli occhi dei suoi pari, lo pone al di furori del gruppo. Va quindi cancellato dal gruppo, anche con azioni riprovevole e violente. In tale contesto non sto menzionando intersezioni di gruppi, inevitabili in una società; nè le dinamiche di potere che intercorrono tra il bersaglio della damnatio memoriae e i suoi ingroup. La definizione mi sembra vada a coprire J.K. Rowling, un ipotetico utente che ha violato le regole non dette della comunità (o le guidelines della cocmmunity). E, uscendo dalla sfera social, le band musicali russe antiputiniane cui è vietato suonare (e la viva rimozione della cultura russa in quanto tale nell'ultimo anno), o vari esili di oppositori a un governo (Dante? Dante). Il fenomeno trascende è precede i social, come nota Oggiano, ma sui social fa più rumore.
Tra i temi non toccati, credo per economia di lunghezza, c'è il revenge porn. Esso non è che un sintomo di come la società patriarcale si sia rovesciata in massa sui social come una carriola carica di liquame, e ne abbia impregnato ogni anfratto. Il revenge porn è l'ennesimo strumento di potere di una parte della società (maschile, etero, possibilmente bianca) contro un altra; e la dinamica con cui opera è sovrapponibile alla già menzionata damnatio memoriae: i suoi bersagli vengono cancellate, licenziate -spinte al suicidio per la vergogna. Ricordate Tiziana Cantone, vero?
Ulteriore tema da discutere è lo strisciante anti-intellettualismo che ammanta molte discussioni, quello stesso anti-intllettualismo che portò un celebre "cadavere squisito" a una delle sue dichiarazioni più sul filo del classismo di sempre. Non volendo citarlo (non per cattiveria, ma lasciarne l'eco del nome in quella definizione -e continuare a giocarci su- è un mio trastullo), provo a riassumerne il concetto, sì, con altri due estratti musicali (scusate):
"[...]oggi come oggi anche il tizio del ferramenta c'ha l'eureka ogni tanto e la sua versione dei fatti dal Bing Bang ad oggi."
Bobby Joe Long's Friendship Party, Core de Tenebra, 2021
"Anche il macellaio di Brera si crede un artista lo vedo a gennaio ad Artefiera litigare col suo gallerista."
ViadellIronia, Casablanca, "Il Desiderio Che Mi Frega", 2023
Su social è molto facile cadere in questa scissione da tifoseria, tra i "Dotti Sapienti Onniscenti, Dopolavoristi Arguti dalla risposta pronta su tutti gli argomenti all'ordine del giorno" (op. cit. BJLFP, "Donato Bilancia Listens to Front 242"), anche detti "laureati all'Università della Vita"; e quelli che le competenze le hanno - ma tutte loro e su tutto, anche ciò che loro non pertiene - non voglio dire Burioni, ma Burioni è uno di loro, e ben sussume le dinamiche violente, "blastatrici" dei suoi seguaci con uno smaccato classismo. In simili circostanze, l'anti-intellettualismo ha gioco facile a descriversi come pensiero controcorrente, quando invece è pensiero dominante. Se il tuo avversario più sonoro è un "blastatore", quando a presentare le controargomentazioni sdono persone che lo fanno in modo onesto, senza insultare o aggredire, l'anti-intellettuale può facilmente definirsi controcorrente. Come osserva Michela Murgia, certe linee è meglio tracciarle dall'esterno, perché annullano le differenze all'interno; e un Golia può raccontarsi Davide, con serie conseguenze sulle dinamiche nel mondo dove siamo anche corpi oltre che parole.
Sul lato del corporate activism, Oggiano fa un buon lavoro nel descriverlo e presentare la sua stortura - mancando il problema generale: perché permettiamo alle grandi aziende di essere così influenti?
Infine, e qui chiudo (per ora, che se riguardo le note addobbo): il simbolo della Nike è un'ala, non un baffo. È il greco di "vittoria", per Demetra!
Un libro da leggere! Francesco Oggiano con Sociability racconta il modo in cui i social, negli anni più recenti, abbiano trasformato la socialità umana. Tra aneddoti e fatti mostra una realtà oggettiva e non una sua interpretazione soggettiva.
Oggiano, si pone con trasparenza dalla parte degli utenti, degli esseri umani. La sua capacità di spiegare, anche con semplicità, fenomeni e situazioni complessi permette di avviare una conversazione in cui tutti possiamo partecipare.
Personalmente, mi sono piaciuti molto i riferimenti ad articoli, libri e saggi presi come esempi o come punti di partenza per iniziare i ragionamenti. Ho apprezzato la semplicità con la quale l’autore ha affrontato temi anche abbastanza scomodi per alcuni, senza però essere mai banale o ripetitivo.
Insomma, un libro che fornisce moltissimi spunti per approfondire la tematica generale dell’informazione.
Sociability è un libro molto scorrevole che mette ordine nella complessità delle dinamiche dei social. Ben scritto, ben argomentato e con riferimenti interessanti. Seguendo Oggiano già da un po' non posso nascondere che mi aspettavo di più, qualcosa di illuminante. Un quid, un'idea, un punto di vista originale. Non c'è in questo libro quel guizzo che sa portare in molti suoi contenuti ma è una lettura piacevole e consigliata.
Consiglio a tutti di leggere questo libro in quanto ci da una visione di come effettivamente il mondo giri attorno ai social e come noi interagiamo all'interno di questa realtà. Leggerlo mi ha aiutata a capire molte dinamiche e molti errori che sarebbero evitabilissimi se solo si desse la giusta importanza al contesto in cui ci si trova. Consigliatissimo!
Un libro davvero interessante, si legge con piacere e apre la mente a tanti ragionamenti e fa riflettere su certi comportamenti che mettiamo in atto e vediamo proliferare sui social. Un ottimo strumento per essere un po’ più empatici, utili a noi stessi e agli altri, per riconoscere ciò che è da ciò che appare. E magari per capire come fare davvero la differenza.
Tre stelle per me, ma sicuramente chi è ai primi passi lo apprezzerà molto di più. In altre parole, se siete neofiti dell'argomento questo è un buon libro per cominciare: per gli "esperti" non c'è tantissima ciccia.
Un'analisi lucida e ben strutturata. Consiglio la lettura sia a chi lavora sui social (o con i social), sia a chiunque altro ne sia entrato in contatto (quindi a tutti). Francesco Oggiano da bravo giornalista riesce a scandagliare tanti scenari diversi e ad approfondirli con grande abilità.
Per me questo libro è stata una ventata di aria fresca.
Seguo Francesco Oggiano da un pò di tempo (leggendo i post di Will Media è comprensibile) e sono sempre stato d'accordo con le sue opinioni.
Il libro mi ha aperto un mondo sull'uso che facciamo dei social che prima non comprendevo (o non avevo il tempo di farlo); se c'è una lezione che ho imparato alla fine è quella di coltivare il dubbio: invece di sparare sentenze è meglio conoscere tutta la vicenda e ragionare senza pregiudizi.
Ottima l'idea di applicare una compassion culture invece della cancel culture: quando qualcuno sbaglia è giusto spronarlo a fare ammenda o a capire le sue opinioni, invece di condannarlo e chiedere la sua testa (in senso figurato).
Una guida, dei rapidi consigli su come interpretare l’oggi sui social. Alcune parti invecchieranno male, con riferimenti a fatti ormai dimenticati, ma molte analisi rimarranno valide ed attuali. In ogni caso consiglio la lettura quanto prima, perché dà strumenti.
Mi sono approcciato alla lettura con grandi aspettative in virtù del fatto che fosse scritto da uno dei miei giornalisti 2.0 preferiti, tuttavia nel suo esordio bibliografico Oggiano non riesce ad essere incisivo come nei format “social” in cui eccelle e la sua prosa diluita in 200 pagine risulta un po’ confusa e ripetitiva( paradossalmente come nel feed di un social), in cui talvolta si rischia di perdere il filo del discorso. Nonostante questi difetti, il libro è ricco di ottimi spunti che stimolano riflessioni su come agiamo incoscientemente sui social e su come vengano utilizzati da consumatori, aziende e politici. La parti più efficaci risultano essere quelle sul brand activism e sulla gogna mediatica. In virtù di questo sono fiducioso che nei prossimi libri riesca a trovare la quadra e a sviluppare una prosa più efficace. NB: 1/4 di voto in meno per la copertina cringe
Molto carino! Scritto in maniera semplice e scorrevole. Ti dà un po’ un overview dei social e come funzionano, interessanti tutti i casi studio che porta. Certo, ce ne sarebbe da parlare MOLTO di piùl, ma come detto sopra, ti permette di dare una bella overview dei social. Bravo! 😄