“Sono un chirurgo. Una scelta fatta tanto tempo fa, da ragazzo. Non c’erano medici in famiglia, ma quel mestiere godeva di grande considerazione in casa mia. Fa il dutur l’è minga un laurà, diceva mia madre, l’è una missiùn. Un’esagerazione? Non so, ma il senso di quella frase me lo porto ancora dentro, forse mia madre era una inconsapevole ippocratica.” Una missione che parte da Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia con le grandi industrie, gli operai, il partito, il passato partigiano. In fondo, un buon posto per diventare grandi. A Milano, nelle aule dell’Università di Medicina e al Policlinico Strada scopre di essere un chirurgo, perché la chirurgia gli assomiglia: davanti a un problema, bisogna salvare il salvabile. Agendo subito. Una passione che l’ha portato lontanissimo. Gli ha fatto conoscere la guerra, il caos dell’umanità quando non ha più una meta. In Pakistan, in Etiopia, in Thailandia, in Afghanistan, in Perù, in Gibuti, in Somalia, in Bosnia, dedicando tutta l’esperienza in chirurgia di urgenza alla cura dei feriti. Poi nel 1994 nasce Emergency, e poco dopo arriva il primo progetto in Ruanda durante il genocidio. Emergency arriva in Iraq, in Cambogia e in Afghanistan, dove ad Anabah, nella Valle del Panshir, viene realizzato il primo Centro chirurgico per vittime di guerra. Questo libro racconta l’emozione e il dolore, la fatica e l’amore di una grande avventura di vita, che ha portato Gino Strada a conoscere i conflitti dalla parte delle vittime e che è diventata di per se stessa una provocazione. In ognuna di queste pagine risuona una domanda radicale e profondamente politica, che chiede l’abolizione della guerra e il diritto universale alla salute.
Da Kabul a Hiroshima, il racconto di una missione durata tutta la vita: “Non un’autobiografia, un genere che proprio non fa per me, ma le cose più importanti che ho capito guardando il mondo dopo tutti questi anni in giro”.
“Bisogna curare le vittime e rivendicare i diritti. Una persona alla volta.”
Refrattario a qualsiasi forma di autobiografia, Gino Strada, nel suo ultimo anno di vita ha lavorato a questo scritto con Simonetta Gola, sua seconda moglie e responsabile della Comunicazione e delle Campagne di raccolta fondi nazionali dell'Organizzazione non governativa Emergency, di cui come sappiamo Gino Strada è stato il fondatore. Il libro alla sua morte non era concluso per cui è spettato a Simonetta Gola curarne l’ultimazione affinchè esso fosse da testimonianza soprattutto per le giovani generazioni.
Esse dovranno sapere infatti che è meglio credere a ciò che molti reputano un'utopia, la pace, più che alla guerra, non solo perché essa genera morte e aggrava i problemi a cui ha cercato di dare risposta ma anche e soprattutto perché è un affare che arricchisce pochi e sottrae preziose risorse a tutti. Il nesso guerra - salute - cultura è ben esplicitato nelle riflessioni dell’autore che, ricalcando le tappe del suo percorso umanitario come chirurgo nelle zone di guerra, riesce a dimostrare che l’utopia è un sogno a cui si smette di credere, e che quindi, al contrario, con tenacia è sempre perseguibile, e soprattutto che le risorse economiche devono essere dirottate verso il perseguimento dei diritti fondamentali siglati da più convenzioni, carte, costituzioni che purtroppo rimangono lettera morta. E si badi bene, non si sta parlando solo di zone rurali dell’ Africa o di Afghanistan e di altre zone di guerra, la riflessione si estende anche al territorio europeo e nazionale in particolare, quello stesso che ha visto scoperchiare le sue illusioni di uguaglianza e di benessere con la pandemia da Covid - 19: la formazione dei giovani medici e la loro penuria, la dilagante privatizzazione della sanità, le molteplici convenzioni statali con i privati che assorbono tutte le risorse comuni ancora una volta a vantaggio di pochi, la mercificazione del diritto alla salute, la triste realtà dei medici in frontiera dove la trincea ora è rappresentata dall’ospedale pubblico !
Emerge chiaramente la visione globale e l’interdipendenza non solo geografica, economica ma soprattutto culturale ( deriva socio economica all’insegna del mito della ricchezza) di questo mondo, segnato dall’ inesorabile orologio dell’Apocalisse, elaborato dagli scienziati atomici del “Bulletin of the Atomic Scientists”, empirico e del tutto simbolico: se nel 1947 esso segnava sette minuti alla mezzanotte, orario coincidente con la fine del mondo, nel 2021 la distanza era coperta da appena cento secondi.
Questi solo alcuni degli spunti di riflessione, doveroso rimandare alla lettura del testo.
“Trovava sempre il tempo per incontrare gli amici più cari, preparare chilometri di tagliolini, vedere una qualsiasi partita del campionato inglese, guardare il mare. Aveva un modo straordinario di abitare il mondo, qualunque cosa facesse. Era una persona libera, e forse per questo manca così tanto”.
Leggere "Una persona alla volta" la non autobiografia di Gino Strada pubblicata postuma da Feltrinelli mentre siamo catapultati nella tragedia della guerra in Ucraina è un'esperienza inquietante. Tutto intorno a noi sembra mobilitarci verso decisioni da prendere in fretta perché le persone stanno morendo sotto le bombe e la guerra potrebbe estendersi, deflagrare e coinvolgere tutti fino alla distruzione della Terra. E tutto il resto passa in secondo piano, la pandemia che non è ancora finita, la crisi economica, i disastri ambientali, le disuguaglianze che regnano in ogni parte del mondo... Invece, leggere la testimonianza di un chirurgo che in questi anni di "pace" ha impiegato la propria vita per operare le vittime di infinite guerre o per aprire ospedali dove l'assistenza sanitaria era un privilegio per pochi, porta a guardare le cose con un occhio insieme partecipe e distaccato. Perché anche questa guerra finirà (speriamo, altrimenti finirà il mondo), lasciando morti, profughi, orfani, lasciando ferite più difficili da curare e solchi più profondi da colmare, lasciando tutti più poveri (anche noi, che ci saremo schierati o meno). Ma a noi Gino ha lasciato detto che le guerre non finiscono mai, soprattutto non finiscono quando smettono di essere sulle prime pagine dei giornali e continuano a produrre ingiustizie sulla pelle dei sopravvissuti, differenze tra chi può scegliere di curarsi e chi invece deve soffrire senza cure. Anche noi allora possiamo curare "una persona alla volta" facendo al meglio quello che sappiamo fare, senza la pretesa di salvare il mondo o risolvere tutti i problemi, ma cercando di risolvere, concretamente, i problemi che ci troviamo di fronte. Un'etica che va oltre le bandiere e proprio per questo non capisce la guerra.
"Non lo so, ma so, per quello che ho visto con i miei occhi, che la guerra non si può umanizzare. Non si può renderla meno pericolosa, crudele e folle, meno omicida e meno suicida. La guerra si può solo abolire."
Quelle che Gino ci propone in questo libro sono soprattutto le sue riflessioni nate da una vita dedicata per scelta e convinzione a curare (e bene) coloro che nessuno voleva curare, le vittime innocenti della guerra e anche della povertà. Dopo tanti anni in prima linea ovunque nel mondo, la sua visione delle cose importanti nella vita ne esce ancora più limpida e, se possibile, rafforzata. Sempre coerente.
Non c'è giustificazione al mondo per qualsiasi guerra, specie oggi che le sue vittime sono per la maggior parte e volutamente i civili, e i bimbi e le donne. Non c'è giustificazione perché le persone abbiano un accesso alla sanità diverso per censo o luogo di nascita, che sia l'Africa o l'Italia meridionale. Non c'è nulla che possa giustificare l'evoluzione della sanità da missione a business privatizzato.
Le risorse ci sono, i principi sono chiari, il fine è il più giusto e il primo che si possa concepire, è la vita stessa. Toccherebbe dunque a noi tutti ridefinire le scelte e le persone che le portino avanti, assicurare la rotta giusta. Cosa che invece non avviene, cosa che sembra essere smentita ogni giorno di più e con più cinismo. Però Gino ha dimostrato che è possibile una via diversa, quella giusta.
"Ogni F-35 costa 135 milioni di euro, quanto allestire mille posti letto in terapia intensiva: basta scegliere, non è difficile."
Pagine da leggere, da rileggere, da cui lasciarsi toccare, intristire. Trasformare la tristezza in rabbia e la rabbia in azione. Queste pagine sono qui a ricordare a chi le legge che ognuno ha il diritto e il dovere di fare la propria parte.
Questo libro finanzia Emergency. Credo che sia questa la cosa fondamentale da dire di questo bel libro, eredità di quella brava persona che era Gino Strada. Compratelo, leggetelo!
4.5. Capire come è nata Emergency, scoprire un po' di più di quest' uomo meraviglioso che è stato Gino Strada, le sue idee, la sua dedizione, la sua voglia di fare del bene, a prescindere dal colore della pelle, dalla fazione politica, dalla classe sociale, dal genere. Un libro triste perché racconta di storie che, purtroppo, sono sempre attuali. Ma "Una persona alla volta" è anche un manifesto alla pace, all' uguaglianza, all' amore. È stato stato bello e doloroso. Grazie
"Non è troppo tardi per andare in una direzione più giusta. Non lo faranno i nostri governanti, non lo faranno i politici, spetta a noi in quanto persone e non in quanto cittadini di questo o quel Paese, in quanto persone che si riconoscono semplicemente come membri della stessa specie, invertire la rotta per evitare la sofferenza di centinaia di milioni di esseri umani. Non è troppo tardi per far sentire la nostra voce di cittadini del mondo"
Apprezzo molto il tentativo dell'autore di astenersi da ogni tipo di coinvolgimento politico. Mi è piaciuto il modo semplice e schietto di scrivere, per poter arrivare al lettore in maniera diretta. Ma leggere questo libro, mi ha lasciato un senso di incompletezza. Mi aspettavo un racconto più approfondito. Ma è il primo suo libro che leggo. Sicuramente avrò modo di approfondire la conoscenza del suo operato in altre sue opere.
Un libro meraviglioso che ha fatto impallidire il libro letto per il gruppo di lettura. Al mondo necessitiamo di più uomini alla Gino Strada e meno Putin e Netanyahu! Si ringraziano sempre i non lettori che riciclano i libri che si ritrovano tra le mani!
Raccolta di brevi racconti di Gino Strada sulla sua esperienza di chirurgo di guerra. Ci manca la sua caparbietà nel non accettare la guerra come soluzione, mai. Dei passi sono veramente commoventi, il libro scorre bene. Ha ragione nell'introduzione, non è e non vuole essere una autobiografia, ma solo una raccolta di sene vissute che gridano il dolore, di cui troppo spesso siamo carnefici.
Cito: «… Non ha senso imporre alla guerra regole di condotta e codici di comportamento perché, quando la decisione è quella di uccidersi, nessuna regola può fare una sostanziale differenza.» E ancora: «… Com’è andata con la scelta ripetuta della guerra in questi anni? Come vivono oggi le persone in Afghanistan e in Iraq, in Libia e in Siria e in tutti quegli altri luoghi devastati dalla violenza? Che cosa hanno da mangiare, possono studiare, ricevono le cure di cui hanno bisogno…» Le risposte le sapete. I politici, ma anche i militari, non si fermano a porsi queste domande forse perché non hanno mai vissuto sulla loro pelle le conseguenze delle loro scelte, delle loro azioni. Invece dovrebbero. Mi chiedo se abbiano mai letto uno dei libri di Gino Strada, dovrebbero. Ultima citazione, sempre a beneficio dei nostri politici: «….Togliere risorse al pubblico per darle al privato somiglia più a un sabotaggio che a un incremento delle possibilità di cura per il cittadino…»
Una lettura importante che mi ha aperto gli occhi su molte cose. Un libro da far leggere anche nelle scuole per far comprendere perché la guerra non è mai la soluzione. Consigliatissimo!
E' un libro meraviglioso e duro, estremamente duro, il sogno di un uomo, la volontà di farlo diventare qualcosa di reale. Come tutto ebbe inizio e come la visione sia cambiata, ma la domanda che sorge spontanea resta invariata. Ma cosa c'entrano i civili con la guerra? Impossibile non raccogliere l'eredità che quest'uomo ci lascia. Assolutamente da leggere. Gino ci manchi.
Mi piace definirla una storia di luce, anche se il tema dominante sono la guerra e le ingiustizie. Le parole e i pensieri di Gino Strada risuonano oggi, ancora di più, attuali. Sono la prova provata che tutte le guerre sono uguali e non possono portare ad altro che sofferenza. Ma sono anche parole di speranza, un'illusione forse, sicuramente un progetto, il rifiuto di accettare la diseguaglianza come regola. È il voler riconoscere la preziosità della vita, celebrarla, difenderla, una persona alla volta, senza distinzione. "L'utopia è solo qualcosa che ancora non c'è". Grazie Gino e Simonetta, Grazie Emergency
Più attuale che mai, tutti dovrebbero leggerlo. Più un memoir che un'autobiografia, scorre molto velocemente. Non che racconti qualcosa che non sappiamo già, non che sveli qualche nascosta e oscura verità, non che insegni qualche mistica e sconosciuta novità. Umilmente ci racconta la sua verità maturata nelle numerose esperienza nei teatri di guerra di tutto il mondo. E cioè che l'unico modo per sconfiggere la guerra è quello di non cominciarla ... mai. La soluzione non è mai la guerra, la violenza, la prevaricazione. Al netto di tutte le analisi geopolitiche e di tutte le opinioni dei tuttologi in televisione e sui giornali, Gino Strada ci insegna che a rimetterci (la vita, la casa, la dignità, gli affetti, il presente e il futuro) non sono mai quelli che decidono di farla la guerra, ma la povera gente sia in divisa che tra i civili. E ai detrattori del messaggio di Gino bisognerebbe ricordare che tutte le utopie sono tali solo perchè esistono dei detrattori e restano tali solo finchè i detrattori non cambiano idea. Da rileggere periodicamente per non dimenticare il messaggio di Gino.
Un libro assolutamente importante e (lo so, lo dico spesso) uno che più persone dovrebbero leggere. Ho sempre sentito parlare di Gino Strada senza sapere molto di lui, perciò non appena ho scoperto l'esistenza di questo libro mi ci sono buttata e non potrei essere più felice della scelta. Gino Strada si è rivelato una persona per cui provo una profonda ammirazione. La prima cosa che posso dire è che questo libro è testamento di ciò che le persone possono fare quando credono in qualcosa. Strada racconta in modo chiaro e lucido la guerra e cosa significhi essere un chirurgo di guerra e ben presto l'accento viene posto su cosa sia davvero la guerra e su che siano le sue vittime. La disumanità della guerra è così accecante in questo libro che non puoi non essere completamente d'accordo con Strada: la guerra non può che essere abolita. Ho apprezzato tantissimo anche la seconda parte parte del libro incentrata sulla diseguaglianza e sul mercato delle cure e come tutto ciò comporta che, tanto nei paesi più poveri quanto nei paesi più ricchi, solo i ricchi possano accedere alle cure mentre i poveri devono rassegnarsi a morire. Come Strada, tramite le parole di Simonetta Gola, ci ricorda: la guerra e l'assenza o il declino dei diritti fondamentali sono manifestazioni diverse dell'accettazione della disuguaglianza come regola del nostro tempo. Forse finalmente realizzare che non deve per forza essere così sarà il primo passo per realizzare un mondo diverso.
Di norma non lascio mai recensioni, sarà che non amo esprimere pubblicamente i miei pensieri (almeno di genere letterario) e spesso non ne ho di sufficenti. Questa lettura è stata fresca quanto vecchia, ho letto di momenti mai vissuti sulla mia pelle e assaggiato la benevolenza e la cattiveria dell'uomo per l'ennesima volta. Non è un romanzo, non è una biografia ma bensì uno scorcio sulla vita e sull'opera di Gino Strada, una delle persone più ammirevoli di questo paese. Non se ne parla abbastanza, dell'eredità che ha lasciato, del diritto alla salute e di ciò che succede, sia in Italia sia nei paesi lontani chilometri. Una lettura di 160 pagine che mi ha accompagnato per un mese, forse per la paura di affrontare una realtà che conosco in parte, che ha come inevitabile conseguenza una rabbia e un'impotenza tale da lasciarmi inerte. Sono pagine su cui chiunque dovrebbe poggiare gli occhi almeno una volta nella vita, soprattutto nelle scuole, per ampliare parzialmente la propria conoscenza e la propria amarezza. Tutt'oggi Emergency rimane un palo saldo in questo momento storico dove tutto gira attorno soldi, ai profitti e all'egoismo. Una lettura che non consiglio per una vacanza al mare, ma dopotutto io ho il PRIVILEGIO di godermi la sabbia dorata e il sole caldo mentre leggo di sofferenze che tutt'ora migliaia di persone sperimentano sulla propria pelle.
"È arrivato il momento di decidere che priorità ci diamo come società: la vita delle persone o la guerra?"
This is a persuasive, to-the-point autobiography of Gino Strada, surgeon, human rights and anti-war activist, founder of EMERGENCY. His determination and single mindedness is obvious throughout the book, without being self-aggrandizing. There are no wasted words. He is terse and direct about the pain and suffering of war. No need to be poetic. A simple description about the horrors, especially of children mutilated by mines, is sufficient.
He is inspiring. He acts. He makes change happen.
If there is one downside, at times the statistics he cites are misleading, and he can pontificate a bit too much about the evils of the West. But - still - if he loved America, its militarism, and military spending in general, he likely wouldn't have done so much good for the world.
A world in which we all agree on everything would be terrible. But let's not fight war over our differences. And if we do fight wars - I hope there are more people like Gino Strada who can do their best to ease the humanitarian suffering. I wish I were one.
Ce ne fossero di persone così.. Avrei voluto sottolinearlo tutto il libro, dall’inizio alla fine, ci sono così tanti spunti di riflessione, ovviamente sulla brutalità della guerra, sul diritto di cura che dovrebbe essere per tutti, e non solo per gli eletti di serie A.. e molti altri. Un paragrafo del libro mi ha colpito molto dal punto di vista personale: raccontava di come Emergency è stata coinvolta nella gestione dell’emergenza Covid in Calabria. Una regione non casuale, la mia regione. Emergency si era offerta di aprire nuovi centri di terapia intensiva per far fronte all’emergenza, e non solo di “aiutare” negli ospedali che già erano intasatissimi. Ovviamente servivano fondi, che altrettanto ovviamente non si sono trovati, quindi non ci sono riusciti, nonostante la sanità in Calabria sia al collasso totale (mi viene l’ansia ogni volta che ci torno coi bambini), nonostante la gente per curarsi debba sistematicamente viaggiare al nord. Il sistema sanitario - e non solo - è talmente corrotto, marcio, viziato, che il paragrafo termina così: a volte è più facile aprire un ospedale a Kabul.
Un libro di una potenza e di una violenza inaudite. Un libro crudo e vero, come il suo autore.
Un libro che è una denuncia, senza alcun giro di parole, alla guerra e all’Occidente, che con il suo approccio ‘due pesi e due misure’ continua a macchiare la sua autocelebrativa coscienza democratica, basata sui diritti umani, col sangue dei più vulnerabili - donne e bambini - civili innocenti che pagano il prezzo più alto.
Voglio citare un passaggio del libro, che ha guidato anche la mia vita e le mie scelte, professionali e personali: “Come potevo preoccuparmi del lavoro di un italiano e ignorare la sofferenza di un altro essere umano, anche se stava dall’altra parte del pianeta?”
Una lettura, breve e incredibilmente intensa, non da consigliare ma da ‘regalare’ ad amici e conoscenti. Una lettura che dovrebbe essere un must - fin dalle scuole superiori - magari nell’ora di ‘Umanità’ anziché di Religione, dato che ne abbiamo un disperato bisogno.
"La guerra è talmente disumana che pensare di umanizzarla è un'assurdità logica: come si può immaginare di umanizzare una cosa che per definizione uccide esseri umani?"
Di questo libro potrei parlare per ore. Potrei scrivere di come mi abbia fatto sognare ad occhi aperti, di come sia per me un modello, di come l'autore riesca a parlare con una profonda crudezza della guerra e della malattia, della medicina, delle disuguaglianze che esistono e che a volte si tende volutamente a ignorare. Di come sia un libro ancora (purtroppo) attualissimo. Tutto ciò che voglio ricordarmi, però, è come sia riuscito, trattando tematiche scomode, tristi, quasi "fastidiose" e demoralizzanti, a farmi provare un grandissimo e vivo senso di speranza, una pagina alla volta.