C’è un demone che si aggira fra queste pagine, ed è quello della letteratura. Che sia esso esplicitamente riconoscibile o si nasconda fra le pieghe del quotidiano, è una presenza fantasmatica con cui ciascun personaggio – e dunque ciascuno di noi, nel corpo a corpo incessante che è la lettura – è costretto a fare i conti. Visioni, trasalimenti o semplici incubi. Setacciando con furia catalogatrice le latitudini spaziali e temporali più disparate, Michele Mari dà forma a un progetto in cui il destino di ogni creatura coincide con quello del suo creatore.
Michele Mari è nato a Milano nel 1955. Figlio del designer e artista Enzo Mari, insegna Letteratura Italiana all'Università Statale di Milano. Dal 1992 risiede a Roma.
Filologo, cultore di fantascienza e di fumetti, il suo stile letterario, estremamente composito, sembra richiamare scrittori quali Carlo Emilio Gadda, Tommaso Landolfi e Giorgio Manganelli, e fuori d'Italia, Louis-Ferdinand Céline.
Oltre alle opere narrative, va segnalata la produzione poetica. Rilevante anche l'attività critico-filologica e saggistica, volta soprattutto alla letteratura italiana del Sette-Ottocento e alla letteratura fantastica in chiave comparatistica.
Alcuni suoi libri sono Di bestia in bestia (Longanesi 1989), Io venía pien d'angoscia a rimirarti (Longanesi 1990; Marsilio 1998), La stiva e l'abisso (Bompiani 1992; Einaudi 2002), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993; Einaudi 2004), Filologia dell'anfibio (Bompiani 1995; Laterza 2009), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997; Einaudi 2009), Rondini sul filo (Mondadori 1999), I sepolcri illustrati (Portofranco 2000), Tutto il ferro della torre Eiffel (Einaudi 2002), I demoni e la pasta sfoglia (Quiritta 2004; Cavallo di Ferro (2010), Cento poesie d'amore a Ladyhawke (Einaudi 2007), Verderame (Einaudi 2007), Milano fantasma (2008, in collaborazione con Velasco Vitali), Rosso Floyd (Einaudi 2010) e Fantasmagonia (Einaudi 2012).
Mi è capitato abbastanza spesso in questo ultimo anno di letture di fermarmi a riflettere sulla natura del maligno e su come sia difficile renderla letterariamente in modo credibile. Questo soprattutto per la sua natura sfuggente e nascosta, per il suo amare le tenebre e fuggire la luce della ragione: per il male manifestarsi rimane sempre una sconfitta e quindi scrivere sul male significa mostrare senza mostrare; l'antitesi di guardare il buio e di ascoltare il silenzio.
Già in "Verderame" Michele Mari mi aveva dimostrato di padroneggiare molto bene la natura intima dell'oscurità, quella tenebra che compare sempre appena al di là del tuo campo visivo, ed appena ti giri scompare; quella tenebra che non importa quanto favolistica sia la scena, appena ti distrai inquina di incubo qualsiasi sogno senza mai mostrarsi. In questo "Fantasmagonia" il tema dell'oscurità è centrale e deliberato, racconto dopo racconto sembra di trovarsi di fronte ad un manuale su come guardare al maligno e su come scrivere di esso.
E come in ogni manuale che si rispetti permane quell'atteggiamento scolastico e compiaciuto che c'è anche in "tutto il ferro della torre Eiffel" che si porta dietro una raffica di citazioni letterarie e culturali: ma in questo caso la struttura della raccolta di racconti meglio si adatta alle citazioni e dà meno fastiidio che in un romanzo, perchè non c'è una unità di tempo e di azione suscettibile di essere frantumata.
E' molto bravo a citare, Mari: di volta in volta sceglie dal nostro patrimonio culturale le situazioni più favolistiche ed infantili (Pinocchio, Crapa Pelata) oppure velate di romanticismo (la contesa tra Folgore e Cecco, il viaggio in treno) e con capacità quasi diabolica ci disvela la parte maligna che si nasconde dietro ogni situazione (come la rabbia repressa che c'è dietro una poesia ben riuscita, od il rancore ed il disprezzo mascherati dietro un dispetto da bambini). Mi ha molto colpito la dichiarazione di poetica esplicita dell'autore secondo il quale lo scrittore ha il compito di dare vita a personaggi che diversamente sarebbero burattini di legno o di cartapesta, e di farlo infliggendo in essi l'angoscia, sottintendendo che questa sia la componente principale della vita.
Il racconto migliore, che fa fare un salto di qualità alla già brillante raccolta, è l'ultimo che dà anche il titolo al libro, Fantasmagonia. Impressiona da un lato per come abbina un clinico e freddo registro scientifico ad una situazione drammatica ed angosciante, dall'altra perchè la conversione in fantasma ricalca molto da vicino la natura della dannazione secondo il catechismo cristiano, e per analogia mostra al lettore credente la possibilità reale che la perdizione esista nel nostro futuro.
Un'opera ben riuscita, che secondo me sviluppa al meglio il potenziale di Michele Mari e per come è fatta ne riduce al minimo le debolezze.
Resta beninteso lo scrittore italiano contemporaneo che preferisco, ma purtroppo Fantasmagonia è risultata per me la meno interessante fra le 12 opere di Michele Mari che finora ho avuto occasione di leggere.
Il motivo principale risiede probabilmente nell’estrema brevità dei testi (ben 34 in circa 150 pagine!) che non consente il trasporto e la partecipazione che offrivano i racconti di Tu sanguinosa infanzia ed Euridice aveva un cane, alcuni dei quali talmente magnifici e memorabili che, anche a distanza di anni dalla lettura, li ricordo con notevole precisione e perenne piacere.
Quasi nessuno dei telegrafici raccontini di Fantasmagonia rappresenta storie, rivela un’evoluzione interna, suggerisce idee collaterali rispetto all’ispirazione monotematica delle narrazioni, folgoranti intuizioni tendenti ad esaurirsi nel fugace spazio di poche, pochissime pagine e non è un caso che l’ultima parte della raccolta dove figurano le novelle più approfondite e avvolgenti, fornisca (almeno a me) le soddisfazioni maggiori.
La seconda questione è più complessa e ambivalente; da un lato è innegabile che lo stile di Mari, virtuoso e dotato di un’abilità quasi mimetica nel riprodurre alla perfezione la prosa e la sensibilità di epoche passate e la consistenza delle lettere classiche, costituisca una sofisticata cifra inconfondibile e pregevole dell’attitudine e dell’erudizione dell’autore.
In questa raccolta tuttavia si ha la frequente percezione di essere alle prese con esercizi di stile, ovvero di uno schema consolidato su una traccia che spesso si ripete fino a culminare nella rivelazione che l’individuo protagonista, il cui linguaggio e le cui azioni ci incuriosiscono nell’incipit, altri non è che Shelley o Salgari, Shakespeare o Cecco Angiolieri e via scorrendo lungo le pagine della letteratura di ogni tempo. Se le prime volte in cui ci si imbatte in questo disegno si prova divertimento, in seguito sopravviene una prevedibilità che tende ad attenuare il coinvolgimento.
Mi esprimo con eccessiva severità verso questo libro proprio per la ragione che ponevo in premessa, e cioè che da Mari mi aspetto sempre un’opera speciale, profonda e sottile allo stesso tempo, travolgente, insinuante e densa di suggestioni, che sappia comunicare al mio intimo come nessun altro autore, quanto meno in ambito italiano. Può sembrare una rivendicazione esagerata ma è indubbio che in più della metà delle sue opere tale complessa alchimia abbia funzionato alla perfezione.
Corvo morto dell’orto perdona il mio torto, corvo curvo e torvo ti voglio risorto Nonostante il titolo scoraggiante che evoca incubi, ho trovato i racconti piuttosto divertenti. Mari esorcizza i suoi mostri schiacciandoli fra le pagine di un libro e i racconti forse si scrivono da soli, coi lacerti del mostro assorbiti sulla carta. I racconti che mi piacciono di più sono Iride e madreperla, Lo zoppo, Sangue dalle rape, Il giro del mondo. I primi due riguardano l’amore adolescente, col giovinetto timido e introverso che ricama lettere d’amore: “l’iride dei tuoi occhi” e “la madreperla della mia malinconia” alla materiale fanciulla, che non solo non apprezza, ma copia e ricicla; l’altro racconto dedicato all’effetto a catena iniziato da Lancillotto e Ginevra, proseguito da Paolo e Francesca e perpetuato nei secoli dagli studi danteschi, ma qui non ci scappa il morto. Sangue dalle rape ha una protagonista principessina la cui mente annoiata si è ostinatamente determinata a cavare sangue dalle rape e per questo si accanisce a seminare il verziere anno dopo anno con i semini di questa verdura, passando sopra a qualunque consigliere corvo o tacchino che provi a consigliarla benevolmente: il tono è quello della fiaba ma la principessa si avvita verso la follia (“corvo morto dell’orto perdona il mio torto, corvo curvo e torvo ti voglio risorto”). Il giro del mondo sembra una riflessione intimista sulla sua persona, quanto dovuto al padre e quanto alla madre con interrogazione alla moglie e al figlio (“Perché sono così?”), per concludere che non c’è una ragione. Alcuni racconti sono brillanti, altri un po’ noiosi, ma quello che mi diverte sempre è la scrittura di Mari, ricercata in modo buffo e piacevole, una fiaba nella fiaba, con giochi di parole che rimbalzano come palline argentate di flipper contro i bordi della pagina, e inoltre l’intento dissacrante di Mari che evoca i mostri, ma cerca sempre di ragionarci, dissuaderli, rinchiuderli in una segreta. Addirittura, attribuisce le celebri storie dei fratelli Grimm a un fratello mostro incatenato in cantina.
Si alza dal tavolo, scola l'ultimo bicchiere di whisky ed esce in strada ruttando. La prima e ultima cosa che vede sono tre vecchie ammantate di nero. La prima sta filando, la seconda misura il filo a bracciate, la terza sta per tagliare con una forbice il suo filo.
Una trentina di racconti che ti trasportano fuori dal tempo. Non solo per la presenza (a volte) di "effettive" figure fantastiche (fantasmi o demoni!?), ma molto spesso per la rielaborazione del tutto personale, ironica e dissacrante, di punti di vista su personaggi che riemergono dal passato, della letteratura o della storia o della mitologia..., e che sempre ti si presentano come demoni essi stessi. E le loro nuove storie ti sorprendono e ti incuriosiscono con spontaneità, fino a farti cercare di comprenderne, o magari solo intuirne, la giusta chiave; perché sempre c'è una chiave; non pretendo di averle tutte completamente individuate, fin nei dettagli, ma l'alone di mistero fa parte del... "gioco"! Alla fine, confronti e somiglianze con Borges sorgono naturali (lo stesso Mari cita Borges, accostandolo ad Omero, nell'esilarante cronaca "sportiva" Grecia-Argentina). Ma, se posso permettermi un parere tutto mio, quanto Borges mi era risultato cervellotico, astruso e antipatico, tanto ho apprezzato Mari per la simpatia, la chiarezza e la semplicità, per gli stimoli ricevuti e i coinvolgimenti sinceri; dopo aver letto "Venìa...", questa raccolta mi ha comunque confermato un'opinione. Penso che alcuni racconti, tra cui lo struggente Lamento del guerriero, valgano l'intera raccolta!
Frida Khalo, Fantasmones Siniestros (1945 - pagina di diario)
I racconti di questa raccolta, sono quasi tutti degli "omaggi" ad opere, autori e personaggi (anche storici). In buona parte, sono piuttosto scialbi (anche se la scrittura di Mari è sempre elegante e gradevole). Ma in alcuni di essi, Mari ci mette vera passione e fantasia, e sono davvero dei bei racconti. In particolare, è la seconda metà del volume quella migliore, con racconti un po' più lunghi (non molto) e "sentiti": speciale menzione per un monologo di Achille, un dialogo sulla disperazione ed una specie di analisi del "fantasma".
Ancora una volta Mari si conferma una ventata d'aria fresca nel panorama della letteratura italiana. Mi affascina e mi fa sorridere, ha un'originalità e una proprietà di linguaggio uniche e ne da sfoggio in questa raccolta di racconti brillanti e divertenti. Mi rendo conto che possa non piacere a tutti ma personalmente mi sento sempre di consigliarlo a chi chiede qualcosa da leggere diverso dal solito.
Era costui tanto amico de la solitudine, che non avea piacere se non quando pensoso da sé solo poteva andarsene fantasticando e fare li suoi castelli in aria. E se non fusse stato tanto astratto, arebbe fatto conoscere il grande ingegno ch'egli avea, di maniera che sarebbe stato adorato, dove egli per la bestialità sua fu piú tosto tenuto pazzo.
Non trovate che sia una fatica inutile, cercare di nascondersi? Li conosco quelli come voi, si vergognano della commozione come fosse qualcosa di sconveniente e di retorico. E non si accorgono che proprio con il loro pudore, anzi, con il loro culto del pudore, ne fabbricano una piú falsa, di retorica, tutto un gioco di specchi ancora piú esibito del pianto... La mistica della discrezione! L'ipocrisia del decoro!
Se il dolore può continuare a farmi piangere, è perché gliel'ho data vinta: ma basta che io sorrida, anche per un istante, ed ecco, sono un uomo libero. La fantasia è fatta di questo. Sottrarsi al limite, creare un altrove, altre leggi...
Per scoprire che magari è proprio questo, l'inferno, vedere da morti quanto si sarebbe potuto esser felici e non si è stati.
E feci il giro del mondo, e tornai alla mia solitudine. E appena mi fermai, il mondo incominciò a girare intorno a me, sempre piú veloce, finché fui prigioniero nel vortice, e capii che tutti i niei giri del mondo erano stati interni a quel gorgo, e che per quello la forza diventava in continuazione debolezza e poi di nuovo forza e poi debolezza, per quello l'amore era la colpa e poi l'amore e poi, ancora, la colpa; e che era orribilmente giusto cosí.
34 brevissimi racconti in cui l'autore si presenta sotto una veste di Calvino foscoliano o, se si preferisce, di Foscolo calviniano: toni malinconici, angosciosi, grandiosi, elogio appassionato alla classicità attraverso catalogazioni, ripetizioni, tassonomie e ossessioni numerologiche. In una parola, l’infanzia.
Sotto la scorza di divertissement letterario, Mari fa un esplicito e affettuoso omaggio alla letteratura, “unico suo Dio” dai poteri mitopoietici e distruttivi insieme. Il tema della raccolta è il fantasmatico letterario. La letteratura funge da aneddoto, si tinge di folklore locale, si amalgama con i ricordi autobiografici, quelli di un’infanzia infelice, di una vita trascorsa in solitudine ed esplora tutte le ossessioni del suo autore. La scrittura barocca, limatissima si compiace di se stessa, si solleva su vette deliziose, ammantando di maestosità gli argomenti più umili.
Ogni racconto è avvolto da atmosfere brumose e da una sensazione opprimente di irrimediabilità. L’allegria di molti racconti, giocati su brevità succose che divertono e stuzzicano, è sempre smorzata da un effetto di amaro in bocca, come se l'autore temesse che l’escursione nella fantasia diventi troppo irresistibile, e allora serva ritornare con i piedi per terra, in una dimensione più tetra e scura.
Nel complesso molto godibile, ho apprezzato soprattutto "Iride e madreperla".
In realtà molto indeciso tra 3 o 4 stellette (come spesso mi accade). Non avevo ancora mai letto nulla di Mari, e sicuramente questo non sarà mai il suo libro più rappresentativo. Però anche questi brevi racconti (alcuni brevissimi) permettono di scoprirne alcune caratteristiche: una grandissima padronanza della lingua e dello stile (cosa, aimè, non comune oggi); una certa inclinazione al riferimento "colto" e letterario (ai limiti dell’autocompiacimento); e con lo sforzo di nobilitare anche aspetti della cultura non accademica e di livello più popolare (sport, fumetti, musica) nel solco tracciato da Umberto Eco, da Fruttero&Lucentini (Urania), e dalla redazione di Linus (Oreste del Buono) negli anni sessanta (anche per me, che sono della generazione di Mari, quella rivista di fumetti aprì la mente all'intellettualizzazione di materiale che ritenevo del tutto estraneo a ciò che si considera "cultura"). E poi la predilezione per temi dalla consistenza di ombra, dal mostruoso al fantasmatico, emblemi dei timori e delle paure e che ci trasciniamo fino dalla nostra infanzia, e dell’attrazione che fin da allora possiamo provare per essi. E se (come già detto da diversi altri qui) tra i tanti racconti raccolti pochi son quelli da considerare veramente riusciti (i miei preferiti sono “Lamento del guerriero” e “Sangue dalle rape”) e molti altri (forse troppi) puri giochini o esercizi di stile (ma mica quelli di Queneau!), per nulla memorabili, mi appare evidente il trovarmi di fronte a uno scrittore molto interessante, forse tra i più validi nel panorama della letteratura italiana odierna (che sicuramente non è particolarmente significativo), e che merita quindi di essere approfondito con altre letture. “Verderame” è già nella mia wish list.
Imbarazzante. Avrei potuto mettere anche 3 stelle ma era come mentirsi. Il titolo è fuorviante ed in parte anche la sinossi, il tema è aleatorio, racconti di varie lunghezze, collegati solo dal tipo di scrittura sincopata, classicheggiante e caotica dell'autore. Sono sicuro che è tutto voluto ma al tempo stesso non credo sia un'opera riuscita. Un lavoro presuntuoso, altezzoso, di difficile comprensione e tendente al filosofico senza averne a mio avviso nessuna base. Difficilmente sono così lapidario, ma non credo sia una lettura che consiglierei. Tuttavia va riletto, interpretato e approfondito, ma da un libro ci si aspetta anche immediatezza che non è superficialità e passatempo che non è ignoranza.
Molti mi son parsi poco più che spunti… alcuni interessanti, altri buttati giù quasi per scommessa o puntiglio. Di convincente ho trovato solo Sangue dalle rape, per l’inventiva e la giocosità, e l’ultimo, Fantasmagonia, per il dolore vivisezionatovi. (In realtà mi pare di aver apprezzato anche un altro paio di racconti, ma non mi ricordo più quali fossero.)
Devo concordare con Lorinbocol, quando dice che questo non è certo il miglior Mari - questo grande scrittore contemporaneo dà sicuramente il suo meglio sulle distanze medie-lunghe. Per me, infatti, i racconti migliori di questa raccolta sono sicuramente gli ultimi: Sangue dalle rape (atmosfere da fiaba nera con inventiva e immaginazione originalissime) e Ballata triste di una tromba (dialogo perfetto e geniale sul tema eterno della sofferenza e della sua esternazione). Gli altri brevissimi raccontini si reggono su giochi letterari e citazioni di opere e autori celeberrimi, ma di rado superano il livello di un calembour (coltissimo, per carità) non sempre originalissimo…. Insomma, resto convinto che il Mari migliore sia quello delle grandi costruzioni culturali e dell'affabulazione genialoide, come quello di "Tutto il ferro della Torre Eiffel".
Spiace, ma i buoni racconti (buoni, non certo al livello dei capolavori che Mari ha riversato su pagina) non compensano quelli insipidi o, peggio ancora, tediosi.
Lo credevo un romanzo. Parte bene, alcuni racconti sono dei piccoli capolavori per appassionati di letteratura, poi si perde. Il prologo è la cosa migliore. Forse un po' laterale nella bibliografia di Mari
La bravura di Michele Mari si manifesta nel racconto breve di un paio di pagine, superate quelle rischia di cadere in una retorica narrativa a tratti molto noiosa. Molto carini gli spunti e gli espedienti, ma tutti i racconti sembrano dipanarsi sullo stesso pattern narrativo di contesto, descrizione del personaggio, sorpresa e rivelazione finale.
· Conversazione notturna con il mostro ★★★ · La famiglia della mamma ★★★½ · Le sere di Marcellino ★★★ · Il patrimonio del popolo tedesco ★★★½ · Piccolo mondo antico ★★★ · Piero di Cosimo ★★★ · Eziologia di Crapa Pelata ★★★ · Josef K. ★★★½ · Il sogno del fecaloma ½ · Cecco mette a punto il suo furore ★★★ · Iride e madreperla ★★★★½ · Mamapraciam ★★★ · Fractio panis ★★★ · La gloria traslata di Gaspard Pommardieu ★★★ · Non aprire quella porta ★★★½ · Grecia-Argentina ★★★½ · Corradino di Svevia ★★★+ · Villa Diodati ★★★+ · La casa del prete ★★★½ · Aerei e favole ★★★+ · Johnny Concho ★★★ · Il balbuziente ★★★★ · Tre postille ad un soffitto viola ★★★ · Ogni stagione è l'inferno ★★★+ · Annomachia ★★★+ · Il centauro ★★★ · L'ultimo buscadero ★★★ · Lo zoppo ★★★ · Lontano, lontano ★★★ · Lamento del guerriero ★★★★ · Sangue dalle rape ★★★★ · Ballata triste di una tromba ★★★ · Il giro del mondo ★★★★ · Fantasmagonia ★★★★★
Se posso azzardare una similitudine, mi permetto di definire Michele Mari un'esperta magliaia In parole povere, ha disfatto la perfetta, fitta e intricata rete di letteratura, (ma anche musica, storia), così come la conosciamo tutti, rilavorandone le fila a suo insindacabile piacimento. Il risultato finale potrebbe benissimo essere una sciarpa dalla maglia altrettanto perfetta, con cui coprirsi gli occhi quando si vuole sfuggire dai propri fantasmi. Quantomeno quelli che riguardano la propria istruzione.
3.75 ma do 4 per la creatività e la varietà di argomenti trattati nelle storie. Mi aspettavo un tipo di storie e ho trovato un tipo completamente diverso e sono veramente sorpresa. Alcune storie, proprio una manciata, non sono riuscita a capirle a fondo perché mi mancava il contesto reale da cui erano ispirate, ma ce ne sono alcune che sono delle vere chicche.
"Così ci tocca la pazzia di chi legge, e l'insonnia." (Ogni stagione è l'inferno, p. 84)
"… magari è proprio questo, l'inferno, vedere da morti quanto si sarebbe potuto esser felici e non si è stati..." (Ballata triste di una tromba, p. 136)
Non proprio il libro perfetto per partire con questo autore. Interessante sfizio letterario, con racconti intriganti ma poco incisivi, idee buone ma che alla fine lasciano poco. Insomma, è ok, l'autore promette bene ma forse altre sue opere potrebbero farmelo apprezzare di più.
La ricetta consueta, gli ingredienti prediletti: un sacchetto di biscotti, buoni come sempre. Nessun acuto, in effetti forse non la migliore delle sue raccolte.