La «restanza» è un fenomeno del presente che riguarda la necessità, il desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi. È questo un tempo segnato dalle migrazioni, ma è anche il tempo, più silenzioso, di chi “resta” nel suo luogo di origine e lo vive, lo cammina, lo interpreta, in una vertigine continua di cambiamenti. La pandemia, l’emergenza climatica, le grandi migrazioni sembra stiano modificando il nostro rapporto con il corpo, con lo spazio, con la morte, con gli altri, e pongono l’esigenza di immaginare nuove comunità, impongono a chi parte e a chi resta nuove pratiche dell’abitare. Sono oggi molte le narrazioni, spesso retoriche e senza profondità, che idealizzano la vita nei piccoli paesi, rimuovendone, insieme alla durezza, le pratiche di memoria e di speranza di chi ha voluto o ha dovuto rimanere. La restanza non riguarda soltanto i piccoli paesi, ma anche le città, le metropoli, le periferie. Se problematicamente assunta, non è una scelta di comodo o attesa di qualcosa, né apatia, né vocazione a contemplare la fine dei luoghi, ma è un processo dinamico e creativo, conflittuale, ma potenzialmente rigenerativo tanto del luogo abitato, quanto per coloro che restano ad abitarlo.
Un saggio che rispecchia ciascuno di noi, viaggiatori, rimasti e al contempo partiti. Un saggio che si interroga sul termine “restanza”, restare non in senso statico ma in senso dinamico. Un saggio che ripercorre il rapporto tra uomo e luogo, uomo e cibo, uomo e religione. In ogni dimensione, l’uomo ha sempre camminato, viaggiato, chi spostandosi in un altro paese, chi rimanendo nel proprio paese di origine. Un saggio che descrive la cruda realtà dei paesi abbandonati. Un saggio che invita a un nuovo concetto del viaggiare con un’attenzione ecologica al mondo. Un saggio che tutti, sia rimasti che partiti, dovrebbero leggere. Perché, come lo stesso Teti ha scritto, “migrare, partire, fuggire, restare, tornare, abitano tutti dentro di noi, in radicale conflitto o in paradigmatica specularità. […] E forse partire, tornare, restare sono diventate - o sono sempre state - modalità diverse di viaggiare.”
Letto con piacere ed interesse, per curiosità e per capire meglio il rapporto conflittuale che tanti dei miei amici italiani hanno con il loro paese di nascita. La bibliografia contiene tanti titoli interessanti di romanzi che esplorano la “restanza”. Alla fine, sento però che il libro non ha dato delle risposte chiare. Analizzare la restanza è un po’ come buttare acqua in un pozzo, enumerando dei pensieri ed osservazioni che sono ovvi. Invece di portarmi più vicino ad una risposta, mi allontanano. Forse è proprio lo scopo dell’antropologia contemporanea: alienare. “Pensare rende straniero. Filosofia estranea.”
Credevo fosse un elogio del restare, ma non è questo. E' una trattazione sul rapporto tra partire e restare che mette in luce la complessità e la problematicità di entrambe le scelte. Questo lo rende un libro interessante.
Sentendomi rappresentata. Sono una che è andata ma che è anche “rimasta” con il cuore, con l’anima, con la mente. Tutto mi riporta sempre al mio piccolo viaggio del sud che guarda al mare, che lascio sempre con profondo dolore. Ma parto sapendo che restare è ancora possibile, non ora, ma quando sarà il momento.
Mi sembra che il senso che si può cogliere dal viaggio insieme a Teti nella "restanza" stia nella capacità dell'essere umano di dare senso e cura ai luoghi fisici e mentali che lo hanno segnato, che ha abitato e che abita. Consiglio la lettura a chi ha bisogno confronto e riflessione su temi legati a: viaggio, abitare, radici e simili.
Una raccolta di riflessioni piene, bellissime e struggenti in cui mi sono riconosciuta. Lettura d'obbligo per chi, come me, è rimasto al Sud e si è visto definirsi nelle conseguenze di questa scelta.
Un libro pieno di idee interessanti che però ha disatteso alcune aspettative. Mi aspettavo un’esposizione più chiara, con proposte per il futuro più esplicite. Lo stile e’ molto sofisticato/accademico. Apprezzo una prosa poetica, ma in questo caso mi è sembrato che questa diventasse un ostacolo all’esposizione delle tesi dell’autore. Alcune riflessioni sulla nostalgia mi hanno colpita molto, e mi hanno toccata personalmente in quanto emigrata. Una delle cose che credo di aver dedotto è l’idea di mantenere in vita le comunità del passato, integrandole con le comunità del futuro. Questo significherà anche accettare ed accogliere nuove persone e nuove culture senza perdere la connessione con quelle passate. Ho anche compreso e condiviso la critica alle tendenze un po’ vuote del culto dei borghi, o di una cultura contadina romanzata e falsata, staccata dal suo contesto reale, dalle sue persone e culture e ricordi. In generale è un libro che ho apprezzato, che ricorderò, e al quale spesso tornerò per rivedere alcune citazioni.
Quanta tenerezza, quanta nostalgia, quanta saudade ne "La Restanza".
Chi lo ha vissuto riconosce sin troppo bene il significato del sentimento di restanza, quella "cosa" che accomuna tutti quelli che in qualche modo hanno dovuto fare i conti con il partire, il restare, il partire e poi tornare, questa volta per restare, il partire sapendo di non poter in alcun modo tornare e dover restare, ma in un altro luogo, lontano, diverso, forse ostile.
Un bel libro, da leggere in un freddo pomeriggio invernale, accompagnato da una tisana, quando ti rendi conto che non stai vivendo il posto in cui abiti, che puoi viaggiare ma solo mettendo radici puoi interpretare il mondo, costruire ed immaginare un futuro diverso proprio tornando e restando lì, nel luogo da cui sei fuggito, nel luogo a cui senti davvero di appartenere.
Darei mille stelle se potessi a un libro di grande cultura ed erudizione, ma soprattutto uno spirito critico e di ricerca, curiosità, speranza. Da migrante al limite fra la partenza e la restanza, ho sentito risuonare il bisogno di riconoscersi in entrambi i processi, di leggere le nostre esistenze in chiave di eterna incertezza e trasformazione, capaci di incontrare sui nostri passi il dubbio e la paura, la ressegnazione e l'eredità di un cammino percorso, andando e tornando, partendo e restando, ma soprattutto interrogandosi e nutrendo verso i luoghi - specialmente quelli complicato - il desiderio di una cura radicale e rivoluzionaria, "miope e presbite", capace di contemplare la bellezza e lo sforzo, l'abbandono e il ritorno, la rovina e la speranza.
Restare, andare, viaggiare, fermarsi, sono dimensioni connesse nella visione proposta dall’autore. Il legame tra chi resta e chi va, in memoria e vissuto, si ancora al presente e lo definisce. La memoria non è più vincolo ma volano, rampa di lancio verso il futuro. In questa prospettiva, quindi, non si perde più, torniamo capaci di conservare, di non rimuovere, di fare tesoro. In fondo restare, pur essendo spesso più difficile che andare, semplicemente è possibile.
Nonostante sia un saggio, piango ancora per la mole di sentimenti cristallizzati che la lingua e i contenuti di Vito Teti hanno saputo scuotere, infragilire e, talvolta, rompere dentro di me. Dopo aver letto questo saggio, ho in mano almeno un biglietto per iniziare il viaggio interiore alla riscoperta di quello che mi porto dentro ma ho finira ignorato.
uno libro rivelatore e per molti versi straordinario
Colto, documentato, sincero affronta un tema emergente non nascondendone la difficoltà descrittiva. Lo consiglio a tutti i genitori di figli adulti “in partenza” per offrire spunti di riflessione sia a partire che no
Un libro di forte impatto soprattutto per chi vive in piccoli centri, nell'entroterra che soffrono la piaga dello spopolamento e la desertificazione anche culturale. Teti ci offre un grande e importante momento di riflessione.
4,5/5 Libro molto ben scritto, poetico a tratti, anche se si tratta di un saggio antropologico. I concetti si possono riassumere in una decina di pagine, quindi se lo leggete solo per il contenuto sarà ripetitivo.
“Radicamento e fuga, stanzialità e viaggio, abbandono e ricostruzione dei luoghi, sono sempre le parti di un intero. Non si resta o si fugge: si resta e si fugge.”
Una guida per le persone che desiderano fermarsi, ascoltarsi e orientarsi. Parole da leggere e rileggere, intrise di un significato declinabile nella vita di ognuno/a di noi.