«Irène Némirovsky» ha scritto Pietro Citati «possedeva i doni del grande romanziere, come se Tolstoj, Dostoevskij, Balzac, Flaubert, Turgenev le fossero accanto e le guidassero la mano». Per tutti coloro che dal 2005 (anno della pubblicazione di "Suite francese" in Italia) hanno scoperto, e amato, le sue opere, questo libro sarà una sorpresa e un dono: perché potranno finalmente leggere la «seconda versione» – dattiloscritta dal marito, corretta a mano da lei e contenente quattro capitoli nuovi e molti altri profondamente rimaneggiati – del primo dei cinque movimenti di quella grande sinfonia, rimasta incompiuta, a cui stava lavorando nel luglio del 1942, quando fu arrestata, per poi essere deportata ad Auschwitz. Una versione inedita, e differente da quella, manoscritta, che le due figlie bambine si trascinarono dietro nella loro fuga attraverso la Francia occupata, e che molti anni dopo una delle due, Denise, avrebbe devotamente decifrato. Qui, nel narrare l’esodo caotico del giugno 1940, e le vicende dei tanti personaggi di cui traccia il destino nel suo ambizioso affresco – piccoli e grandi borghesi, cortigiane di alto bordo, madri egoiste o eroiche, intellettuali vanesi, uomini politici, contadini, soldati –, Némirovsky elimina tutte le fioriture, asciuga e compatta; non solo: ricorrendo alla tecnica del montaggio cinematografico, limitandosi a «dipingere, descrivere», sopprimendo ogni riflessione e ogni giudizio, conferisce a questo allegro con brio un ritmo più sostenuto – e riesce a trattare la «lava incandescente» che ne costituisce la materia con una pungente, amara comicità.
Irène Némirovsky was born in Kyiv in 1903 into a successful banking family. Trapped in Moscow by the Russian Revolution, she and her family fled first to a village in Finland, and eventually to France, where she attended the Sorbonne.
Irène Némirovsky achieved early success as a writer: her first novel, David Golder, published when she was twenty-six, was a sensation. By 1937 she had published nine further books and David Golder had been made into a film; she and her husband Michel Epstein, a bank executive, moved in fashionable social circles.
When the Germans occupied France in 1940, she moved with her husband and two small daughters, aged 5 and 13, from Paris to the comparative safety of Issy-L’Evêque. It was there that she secretly began writing Suite Française. Though her family had converted to Catholicism, she was arrested on 13 July, 1942, and interned in the concentration camp at Pithiviers. She died in Auschwitz in August of that year. --Penguin Random House
È un storia di attese, quella di Tempesta in giugno. Rifugge a ogni tipo di incasellamento, perché a tratti ricorda il più classico dei romanzi borghesi, altre volte un flusso di coscienza Woolf-iano. La prosa è poetica e scorrevole, caratterizzata da un sottotesto ironico, e immagini coriacee di violenza e umanità. Umanità che non teme di sporcarsi, perché forse il limbo dell'attesa, la rovina che pende sulle teste dei francesi all'avanzare dei tedeschi, ha già spogliato gli uomini e le donne del loro candore. Un candore che appare irrecuperabile, come se dall'esperienza del secondo conflitto mondiale l'uomo sia morto per sempre, dalle sue ceneri ne è emerso uno impermeabile al dolore e al male. Questo è ciò che emerge dal racconto di questa tempesta in giugno. Il finale non è una vera resa dei conti, e lascia un lieve amaro in bocca, al pensiero di tanta incompiutezza, ma probabilmente è tutto parte dell'esperienza della guerra, dove non si può ambire a nessun finale, se non a un mescolamento totale, nella "zuppa del fato".
La grandezza dell’individuo non sta affatto nella sottomissione, ma, al contrario, nel misurarsi col destino malgrado la sua fragilità.
Sempre parlando dei miei autori preferiti, Irène Némirovsky, prolifica scrittrice francese, dallo sguardo vacuo e un pò triste, fu << causa >> di notti insonni, frasi sussurrate nel cuore della notte, recensioni chilometriche che forse non leggerà mai nessuno ma che acquietano il mio animo. Il mio spirito. Fu a causa della guerra che dovette fuggire. Dovette riporre sogni o speranze in quaderni fitti di pensieri, riflessioni esacerbate sul suo sé, la sua identità apparentemente perduta, figlia di una generazione che lentamente si avviò lungo la strada della distruzione. Se una ragazza come lei, perchè all’epoca l’autrice aveva appena vent’anni, voleva qualcosa, anche un ragazzo, non doveva fare i conti con i suoi o con le prodezze di un crudele Destino, che se ineluttabile, avrebbe cambiato il corso della sua esistenza, quanto confidare ci fosse un Dio buono e misericordioso che conducesse alla salvezza, alla beatitudine eterna. E a lei, e a tanti altri, figure della letteratura e non, toccò scappare: la ragazza sempre china su un quaderno logoro, una matita stretta attorno al suo piccolo palmo, era completamente avulsa in una realtà che presto o tardi l’avrebbe schiacciata. E le innumerevoli forme di sopravvivenza cui si faceva testo apparivano inutili, vane se prodigate verso qualcosa che garantisca certezze. Possibilità. Per me tornare fra le braccia di un'autrice come la Némirovsky è stata un’esperienza bellissima e straordinaria. Indimenticabile, rivoluzionaria in cui sin dal principio il pericolo, l’angoscia che spirava nell’aria, nel silenzio oppressivo di ogni cosa intaccò l’anima dei più coriacei. Fece di quei sentimenti così oscuri, quali il senso di perdita, la sofferenza o la paura che si espande come un virus pestilenziale, pongono il mondo sotto una prospettiva dedicata alla tragicità, alla distruzione. E la Némirovsky avvertì tutto questo conferendo mediante queste pagine l’idea di una mancata libertà tipica della guerra, un tipo di libertà illusoria in cui il fantasma della memoria cozza con quello della guerra, come qualcosa di nefasto e oscuro. Emblema di vite perdute mediante cui si confida di poter rinascere, nascere, crescere, ponendosi completamente a nudo dinanzi a un mondo fatto di gente varia, di gente che vive col terrore di poter essere annientata, da un momento all’altro, con aspirazioni e preoccupazioni diverse da quelle di diventare ricchi. Il modo in cui la scrittura allinea gli elementi, descrive donne e uomini, le loro qualità, i loro difetti, avrebbe illuminato da vicino la vita con forza e determinazione, avrebbe mostrato e donato importanza ad uno scontro bellico come quello della guerra, in cui l’arte avrebbe potuto adattarsi meglio allo spirito umano, la poesia avrebbe avuto un respiro più ampio, più significativo che unito al realismo percorso attraverso il sentiero insidioso della vita, delle parole, degli abissi dell’anima, avrebbe rivelato quelle passioni che si scontrano come lampi in una notte di tempesta. Perchè solo grazie alla letteratura sarebbe potuta divenire sfinge, assenza loquace che non esprime un’opinione non giudicando ma mostrando con imparzialità ogni cosa, tutto quello che è celato dal dolore, dalla lacerazione, dalle torture o dagli avvilimenti dell’anima perchè non sarebbe stato possibile scorgere queste storie, questi frammenti di un altra epoca cui si fa continuamente cenno. Grande mosaico, vasto campionario di vizi, virtù della Francia, istantanea che immortala tutta una società dinanzi a un gigantesco disastro, edulcorati dalla guerra e della prigionia della realtà storica, mi sono mossa sotto un cielo soave e splendente, in cui ogni cosa divenne visibile, luccicante e splendente. Ma zeppo di egoismo, crudeltà, ferocia in cui il valore della memoria diviene registrazione, certificazione di verità sepolte, fucina intellettuale in cui cesellare un talento innato: quello che era rinchiuso nel cuore di una bambina marginalizzata nella scrittura e che solo grazie ad esso potè << muoversi >> liberamente. Il Male esiste e persiste come unico conforto possibile a quello di sfogare ogni cosa, ogni sentimento o emozione celato mediante letteratura, che la salvarono, la convertirono ad un tipo di religione che assimila e coordina gli ideali di una nazione, di una patria che rifugge da ogni persecuzione, ogni ribellione. Poiché i fantasmi che concepisce o produce sono espediente mediante cui è possibile comprendere il motivo per cui la dimensione del sogno si rivela ennesima prova di dare voce all’indicibile, ad una realtà così lugubre e confusa che sfuma nel niente. Nell’inutilità di forme di felicità recisa dal tempo e da un tipo di libertà illusoria, che la stessa Némirovsky non otterrà mai, baluardo mediante cui opporre resistenza al mutamento e alla transitorietà in cui gli eventi nascono dal desiderio di registrare minuziosamente ogni cosa: impressioni, ricordi o luoghi comuni. Così lucidi da restare saldamente impressi nella mente di chi legge e che l’autrice affina nel mondo della solitudine. Ed ecco come la parola divenne antidoto alla solitudine stessa, al dolore poiché mutazione o mutamento di depositi morali che verranno dopo, e che sono generati da agglomerati di anime che detestano la guerra, promuovono l’invidia come forme del mondo, all'improvvisa stabilità e instabilità di ogni cosa.
Questa tempesta a cui fa continuamente cenno il titolo è richiamo costante al mancato senso di appartenenza in un posto o in un luogo che ci impedisce di essere integri. Episodi dolorosi, disfatte di un esodo che non sono nobilitate da un pò di dignità e di grandezza che meritano essere ricordati, satira della storia francese in movimento di quel colosso cieco che un romanzo è capace di far vacillare prima che cada, poiché evidenzia l’inaspettato, mostrano la sorpresa. L’indagine accurata su ciò che lo spirito scopre psicologicamente, spesso ricorrendo alla massa, optando per un narratore che si nasconde dietro i suoi personaggi e che si alimenta di storie, di parole come se il loro stare sul mondo dipenda esattamente da questo. Memoria di vita rubata, strappata e poi restituita, dinanzi al fragore del mondo, baluardo in cui ci si oppone con resistenza al mutamento, alla transizione in cui gli eventi nascono dal desiderio di condivisione e comprensione, mai l’esperienza di riabbracciare un autore come in questo periodo mi ha reso più viva, più felice, grata di aver registrato minuziosamente impressioni, ricordi o luoghi comuni che resteranno nella mente, specialmente nella mia, come immagini di alta qualità.
La storia di “Suite francese” in quanto libro è avvincente: un romanzo scritto di corsa come una grande opera in più tomi; pagine che sono state in una valigia in fuga e dopo tanti anni riscoperte. “Tempesta di giugno” è l’ennesima conferma che di Irène Némirovsky non ne avrei mai abbastanza. Riesce a creare un affresco della società francese sconfitta dalla guerra, l’occupazione tedesca che non si riesce ad ammettere, “Passerà”… si illustra “il disorientamento dell'individuo e la sua incapacità di cogliere la portata generale degli eventi”. Resta nel cuore “Suite francese” per l’impatto che ha avuto quella prima lettura su di me. Questo testo invece si accompagna a una lettura più critica di studio letterario potendo avere accesso agli appunti per Dolce e Captivité. Grande elogio alla postfazione di Teresa Lussone, che riesce in poche pagine a condensare tanti spunti di lettura su questa opera e sulla rottura rispetto alle caratteristiche nemirovskiane degli altri testi dell’autrice.
«Non ho grande interesse per la vita quotidiana dei miei protagonisti. È più forte di me; eppure dovrei tener presente che in Guerra e pace si legge soprattutto della storia d'amore di Nataša. Ma la storia d'amore di Brigitte non m'interessa per niente, né tantomeno la formazione di Hubert e l'anima pura di Jean-Marie. Quello che mi interessa è il contrasto, il gioco dei valori, i dannati imbroglioni che si sbronzano coi crucchi; quello che mi interessa sono i Michaud, accanto, che muoiono di fame; è Madeleine col tedesco e il loro amore autentico, e il tedesco ucciso, l'esecuzione di Benoît, ecc. Ma i contrasti non bastano per fare un affresco. Quello che mi manca è il tema. Ma un tema non appiccicato a forza, come sto facendo adesso, ma che affiori proprio dalla storia. È l'istinto vitale? L'istinto del paese che, sconfitto, schiacciato, dominato, vuole vivere, cerca gemente la sua strada, ora nella collaborazione col nemico, ora nella rivolta. Vuole una cosa sola: non vuole morire.»
La grandezza dell’individuo non sta affatto nella sottomissione, ma, al contrario, nel misurarsi col destino malgrado la sua fragilità.
Sempre parlando dei miei autori preferiti, Irène Némirovsky, prolifica scrittrice francese, dallo sguardo vacuo e un pò triste, fu << causa >> di notti insonni, frasi sussurrate nel cuore della notte, recensioni chilometriche che forse non leggerà mai nessuno ma che acquietano il mio animo. Il mio spirito. Fu a causa della guerra che dovette fuggire. Dovette riporre sogni o speranze in quaderni fitti di pensieri, riflessioni esacerbate sul suo sé, la sua identità apparentemente perduta, figlia di una generazione che lentamente si avviò lungo la strada della distruzione. Se una ragazza come lei, perchè all’epoca l’autrice aveva appena vent’anni, voleva qualcosa, anche un ragazzo, non doveva fare i conti con i suoi o con le prodezze di un crudele Destino, che se ineluttabile, avrebbe cambiato il corso della sua esistenza, quanto confidare ci fosse un Dio buono e misericordioso che conducesse alla salvezza, alla beatitudine eterna. E a lei, e a tanti altri, figure della letteratura e non, toccò scappare: la ragazza sempre china su un quaderno logoro, una matita stretta attorno al suo piccolo palmo, era completamente avulsa in una realtà che presto o tardi l’avrebbe schiacciata. E le innumerevoli forme di sopravvivenza cui si faceva testo apparivano inutili, vane se prodigate verso qualcosa che garantisca certezze. Possibilità. Per me tornare fra le braccia di un'autrice come la Némirovsky è stata un’esperienza bellissima e straordinaria. Indimenticabile, rivoluzionaria in cui sin dal principio il pericolo, l’angoscia che spirava nell’aria, nel silenzio oppressivo di ogni cosa intaccò l’anima dei più coriacei. Fece di quei sentimenti così oscuri, quali il senso di perdita, la sofferenza o la paura che si espande come un virus pestilenziale, pongono il mondo sotto una prospettiva dedicata alla tragicità, alla distruzione. E la Némirovsky avvertì tutto questo conferendo mediante queste pagine l’idea di una mancata libertà tipica della guerra, un tipo di libertà illusoria in cui il fantasma della memoria cozza con quello della guerra, come qualcosa di nefasto e oscuro. Emblema di vite perdute mediante cui si confida di poter rinascere, nascere, crescere, ponendosi completamente a nudo dinanzi a un mondo fatto di gente varia, di gente che vive col terrore di poter essere annientata, da un momento all’altro, con aspirazioni e preoccupazioni diverse da quelle di diventare ricchi. Il modo in cui la scrittura allinea gli elementi, descrive donne e uomini, le loro qualità, i loro difetti, avrebbe illuminato da vicino la vita con forza e determinazione, avrebbe mostrato e donato importanza ad uno scontro bellico come quello della guerra, in cui l’arte avrebbe potuto adattarsi meglio allo spirito umano, la poesia avrebbe avuto un respiro più ampio, più significativo che unito al realismo percorso attraverso il sentiero insidioso della vita, delle parole, degli abissi dell’anima, avrebbe rivelato quelle passioni che si scontrano come lampi in una notte di tempesta. Perchè solo grazie alla letteratura sarebbe potuta divenire sfinge, assenza loquace che non esprime un’opinione non giudicando ma mostrando con imparzialità ogni cosa, tutto quello che è celato dal dolore, dalla lacerazione, dalle torture o dagli avvilimenti dell’anima perchè non sarebbe stato possibile scorgere queste storie, questi frammenti di un altra epoca cui si fa continuamente cenno. Grande mosaico, vasto campionario di vizi, virtù della Francia, istantanea che immortala tutta una società dinanzi a un gigantesco disastro, edulcorati dalla guerra e della prigionia della realtà storica, mi sono mossa sotto un cielo soave e splendente, in cui ogni cosa divenne visibile, luccicante e splendente. Ma zeppo di egoismo, crudeltà, ferocia in cui il valore della memoria diviene registrazione, certificazione di verità sepolte, fucina intellettuale in cui cesellare un talento innato: quello che era rinchiuso nel cuore di una bambina marginalizzata nella scrittura e che solo grazie ad esso potè << muoversi >> liberamente. Il Male esiste e persiste come unico conforto possibile a quello di sfogare ogni cosa, ogni sentimento o emozione celato mediante letteratura, che la salvarono, la convertirono ad un tipo di religione che assimila e coordina gli ideali di una nazione, di una patria che rifugge da ogni persecuzione, ogni ribellione. Poiché i fantasmi che concepisce o produce sono espediente mediante cui è possibile comprendere il motivo per cui la dimensione del sogno si rivela ennesima prova di dare voce all’indicibile, ad una realtà così lugubre e confusa che sfuma nel niente. Nell’inutilità di forme di felicità recisa dal tempo e da un tipo di libertà illusoria, che la stessa Némirovsky non otterrà mai, baluardo mediante cui opporre resistenza al mutamento e alla transitorietà in cui gli eventi nascono dal desiderio di registrare minuziosamente ogni cosa: impressioni, ricordi o luoghi comuni. Così lucidi da restare saldamente impressi nella mente di chi legge e che l’autrice affina nel mondo della solitudine. Ed ecco come la parola divenne antidoto alla solitudine stessa, al dolore poiché mutazione o mutamento di depositi morali che verranno dopo, e che sono generati da agglomerati di anime che detestano la guerra, promuovono l’invidia come forme del mondo, all'improvvisa stabilità e instabilità di ogni cosa. Questa tempesta a cui fa continuamente cenno il titolo è richiamo costante al mancato senso di appartenenza in un posto o in un luogo che ci impedisce di essere integri. Episodi dolorosi, disfatte di un esodo che non sono nobilitate da un pò di dignità e di grandezza che meritano essere ricordati, satira della storia francese in movimento di quel colosso cieco che un romanzo è capace di far vacillare prima che cada, poiché evidenzia l’inaspettato, mostrano la sorpresa. L’indagine accurata su ciò che lo spirito scopre psicologicamente, spesso ricorrendo alla massa, optando per un narratore che si nasconde dietro i suoi personaggi e che si alimenta di storie, di parole come se il loro stare sul mondo dipenda esattamente da questo. Memoria di vita rubata, strappata e poi restituita, dinanzi al fragore del mondo, baluardo in cui ci si oppone con resistenza al mutamento, alla transizione in cui gli eventi nascono dal desiderio di condivisione e comprensione, mai l’esperienza di riabbracciare un autore come in questo periodo mi ha reso più viva, più felice, grata di aver registrato minuziosamente impressioni, ricordi o luoghi comuni che resteranno nella mente, specialmente nella mia, come immagini di alta qualità.