Fuma il sigaro. Beve whiskey. In confessionale, perdona (e comprende) quasi ogni cosa. Prima di tutto, come uomo. Non condanna l'omosessualità. Frequenta i pub e ai cattolici preferisce i protestanti. Don Carmine Pastore è un prete "strano", "moderno", "politicamente scorretto". Anzi, non lo è più. E lo dice subito: ha perso la sua fede chissà dove. Eppure, è il sacerdote, l'uomo che tutti vorremmo incontrare almeno una volta nella vita. I più giovani per porsi domande. I più grandi per trovare risposte. Il dubbio è il suo orizzonte e il manifesto di un'inquietudine che abbraccia l'uomo di ogni tempo. Immigrato da bambino negli Stati Uniti con la famiglia, ci racconta la sua vita e perché, dopo un finale agghiacciante, ha deciso di lasciare il sacerdozio. Ma, quando tutto sembra perduto, la speranza ritorna, donando luce a uno spaccato di dannazione e un bisogno di redenzione che riguarda tutti gli uomini alla ricerca di Dio o di loro stessi.
C’è bisogno di silenzio quando volti l’ultima pagina di questo romanzo, di riflessione profonda, perché ti mette a nudo e allo specchio. Un sacerdote, Don Carmine Pastore racconta la sua storia ripercorrendo a ritroso la sua esperienza, in America prima, in Italia poi. È un sacerdote “strano” si ferma a bere whiskey alla sera, assolve le persone dai reati più impensabili, suddivide i peccati mentalmente per importanza e vive in un senso di tremenda angoscia. Se è vero che la crisi è il segnale che urla la necessità di cambiamento, questa è proprio la storia di una crisi, dell’evoluzione che non si piega verso una strada battuta, si volta nel senso opposto e ci invita brutalmente ad indagarci a fondo. Ma alla fine Dio cos’è? Dov’è quando c’è bisogno? Dove si nasconde? Il suo volto non viene mai allo scoperto a mezzogiorno, appare sempre di notte, avvistato come gli ufo. In questo senso di perdizione che senso ha credere e confessare le persone per condurle su una strada luminosa solo all’apparenza? Il romanzo prosegue sul ritmo delle confessioni che Don Carmine ascolta, inerme, incapace di poter andare realmente oltre. Molti cercano solo un amico fedele con cui parlare, non un sacerdote e questo Don Carmine lo impara a care spese. Il suo animo empatico e sensibile, lo trascina giù insieme agli altri uomini, sente anche lui le emozioni e ogni confessione diviene un fardello aggiunto agli altri mille, fin quando questa crisi arriva all’apice. La figura che sempre gli è stata accanto, che ha avuto la funzione di ritrovo per la sua anima perduta, viene con sorpresa meno e allora lui si riscopre uomo, non credente. Carmine Pastore, nella sua città italiana, trova la pace e riesce a trovare un senso alla vita, che nonostante la morte, circonda tutto e tutti. Abbandonando la strada religiosa, riscopre una luce diversa in tutte le cose. Le domande che mi piombavano nella testa quando quattro anni fa lessi i diavoli di Loudun di Huxley erano molto simili. Trovai il libro disturbante perché nella mia mente, seppur non credente, era surreale ipotizzare che qualcuno potesse fingere degli esorcismi. Il diavolo si insinuava solo per gioco nei corpi di quelle monache che amavano recitare scenette come su un palco teatrale. Il sottile confine tra il bene e il male che avevo sempre visto come due enormi schieramenti: angeli contro demoni, si è affievolito maggiormente con il Maestro e Margherita di Bulgakov, per scomparire completamente con Il metro del dolore. Non esistono affatto schieramenti, esistono solo vissuti, storie che possono essere di luce o di ombra a seconda del sole che gira. Il metro del dolore, è la misura esatta di questi vissuti.