Per Candido Munafò, giovane mite, testardo e riflessivo, «le cose sono sempre semplici». E sarà appunto il suo desiderio di nominare le cose con il loro nome a procurargli le varie disavventure della sua vita, il cui racconto si articola in una serie di capitoletti che rimandano al Candide di Voltaire. La forma del conte philosophique, particolarmente congeniale a Sciascia, gli permette di assumere la giusta distanza – e dà un passo leggero, aereo a questo libro, che è forse anche il più intimo e segreto fra tutti i suoi romanzi.
Candido è apparso nel 1977 a siglare la liberazione di Sciascia dall’ “attrazione” esercitata dal PCI su di lui in seguito anche alla constatazione della evidente flemma oppositrice del partito nel consiglio comunale palermitano. A questa disillusione, purtroppo non contingente, si affiancano così i perpetui crucci del nostro cantore di un tempo che, di fatto, non è ancora tramontato: quello della mediocrità, dell’assuefazione, della faciloneria, della furbizia, dell’eterna connivenza che è troppo comodo imputare solo alla mafia ma che fa parte della nostra piccola Italia. Riproponendo il modulo attinto dal Candido di Voltaire, si fa demiurgo di un novello Candido i cui natali vengono ascritti ad un piccolo mondo siciliano nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 , quella dello sbarco, che avrebbe potuto liberare la Sicilia e l’Italia intera dall’oppressione fascista ma in generale dal suo malcostume. Così non sarà e Candido che andrà ad incarnare l’ideale intramontabile dell’onestà e della rettitudine si vedrà costretto in una dimensione familiare opposta. Un nonno che facilmente da fascista diventa antifascista e brillante candidato della Democrazia Cristiana, una madre superficiale ed egoista, un padre avvocato connivente col potere e costretto al suicidio per la lingua lunga del figlio che, dopo aver saggiato i vari gradi della mostruosità imputatigli dalla sua cerchia parentale , verrà dato per matto. Eppure l’esistenza di Candido, quando lo ritroviamo alla fine ormai trentaquattrenne pronto a stabilirsi in una Parigi sempre illuminata, illuminante e illuminista trova la sua definitiva affermazione, dopo aver candidamente appunto messo al palo un intero sistema, in quella distanza che non è solo geografica. Essa, infatti, permette di leggere la realtà del sogno fatto in Sicilia facendolo coincidere con la propria esistenza la quale ora può procedere ancora più liberamente sgravandosi del peso di tutti i padri del mondo, Voltaire compreso. Un inno all’indipendenza ideologica. L’opera veloce e gradevole è in realtà molto più complessa e coglie le incongruenze de sistemi di pensiero che partendo da una data positività di fondo involvono in esperienze non sempre edificanti.
Sciascia reengineers Voltaire’s Candide with the wry malice of a Sicilian who’s tasted every flavor of betrayal and finds optimism the most grotesque of them all.
Candido Munafo, is born during an Allied bombing raid, his cradle rocked by shrapnel and moral ambiguity. He grows up in a land where the local currency is hypocrisy, and truth, like a Sicilian sun, blinds more than it illuminates. From the moment his paternity is questioned (“the lawyer Munafo did not call him ‘Candido,’ but ‘the American’”), Candido is doomed to be everybody’s burden and nobody’s responsibility.
The novel tosses him between an embittered grandfather nursing a Fascist monocle and a Church so tangled in ideology it baptizes Communist babies while quietly sharpening ecclesiastical pitchforks.
When Candido asks why no socialist dreams of fleeing to the USSR, only France or Canada, his comrades react with all the warmth of a guillotine: “There was a chill silence; then, as if it were later than usual… everyone got up and left”.
Time after time — or so it seems — Candido is made to suffer for telling the truth. He discovers a murder cover-up, but the town condemns him for noticing. He offends a general by asking if he erred during or after Fascism, provoking a verbal fusillade that leaves no worm unflayed. He’s subjected to a mock-insanity hearing by relatives salivating over his land, and when declared “mentally incompetent,” he’s thrown a party by the very vultures circling overhead.
His mother, now Americanized and maternally vestigial, receives a dry letter beginning “Dear Signora,” which the priest reads as psychological arson. Even his innocent curiosity about nude ceiling frescos is treated with the alarm reserved for latent Oedipal crimes.
Each encounter, whether with the Church, the Party, or the family, is a tragi-farcical chess match in which Candido, playing white, keeps discovering he’s actually on a roulette table.
What remains unforgettable is the tone: a dry, near-audible shrug threaded through every sentence. Sciascia’s prose, translated with cunning restraint by Adrienne Foulke, sits somewhere between epigram and epitaph. He writes as if the only honest punctuation mark is the ellipsis. “Things are always simple,” Candido repeats like a man muttering to himself on a bus full of arsonists.
This is a novel that treats ideology like a wardrobe — everyone’s dressed, but nobody looks sane. The Church fumbles its moral compass, the Party drowns in dialectic quicksand, and the family serves as a legal structure for grudge maintenance. Yet the book never preaches. Its truths arrive in throwaway lines, in the offhand aside of a ruined priest clinging to Voltaire in Paris, whispering “This is our true father!”
The book’s dreamlike cruelty and intellectual bite recall Gombrowicz’s Ferdydurke, the disillusioned satire of Koestler, and even a hallucinatory thread of Buñuel. This is the kind of novel that demands your complicity.
Five stars? No. But five sighs, five wry nods, five gulps of very dry wine. Sciascia complicates. He leaves you wondering whether truth liberates or disqualifies you from polite society.
Another great selection from the Helen and Kurt Wolff library. The Zionist Helen and Kurt Wolff Books imprint contributed immeasurably to American literary life by smuggling the intellectual cargo of exiled European authors — often Jewish, dissident, or both — into the Anglophone world with defiant elegance and a kind of editorial sanctuary. Kurt Wolff, a German-Jewish publisher renowned for championing Kafka, Rilke, and other modernist writers, fled Germany in 1933 due to increasing antisemitic persecution.
"...A parish priest, serving in the city's newest church in its newest neighborhood, had been murdered: in the sacristy, shortly after the bells of that church had rung for the Ave Maria; by whom was not known, nor was any motive of revenge or robbery immediately apparent. In the church there was nothing to steal, or very little, and nothing was missing. And the parish priest, apart from the usual electioneering, seemed incapable of having done anything that would cause someone to want to kill him. Police and Carabinieri were groping for clues. The bishop wrote a sorrowful letter to the Archpriest, and expressed the hope that so ferocious a crime against a sacerdos of the Church of Christ not go unpunished.
A police inspector arrived from the capital; before beginning his investigation, he wanted to speak with the Archpriest about the case. Candido was at the rectory when the inspector arrived. The inspector tried more than once to get the Archpriest to send Candido away, but the idea had suddenly occurred to the Archpriest to see how Candido would react to the scene, whether it would remind him of another many years before. If Candido had inside some clotted and obscure feeling, this could be the moment when he might free himself of it..."
Nomen omen Va detto subito. Candido è un personaggio straordinario.
Alla terza riga lui ancora non era venuto al mondo ma io ne ero già irrimediabilmente innamorata.
E sì perchè Candido nasce in una grotta tra il 9 e il 10 luglio 1943 allorquando gli alleati, arate le città di bombe, sbarcarono in Sicilia.
Se fosse nato dodici ore prima si sarebbe chiamato Bruno, come il figlio di Mussolini (questa era l'intenzione dei genitori).
Verrà invece chiamato Candido:
come una pagina bianca sulla quale, cancellato il fascismo, bisognava imprendere a scrivere una nuova vita.
E siccome nel nome è già scritto il suo destino, Candido fin da piccolo avrà il dono di vedere e chiamare le cose per come sono e non per come appaiono o come si vorrebbe farle apparire.
Ne conseguirà che ogni forma di ipocrisia, ogni tipo di sovrastruttura con cui Candido verrà in contatto, subirà una scossa tellurica che peraltro travolgerà, come un domino, anche lo stesso Candido.
Sarà così per la Famiglia, per la Chiesa ma sarà così soprattutto per il Partito Comunista e per la Sinistra in generale, il cui agito viene fortemente criticato da Sciascia.
Quella nuova vita di fatto non inizierà per il Paese e parte della responsabilità viene attribuita da Sciascia proprio alla sinistra quando, ad esempio, scrive: "c'era un contrasto abbastanza netto, anche se inavvertito, tra coloro che formavano il partito, che per numero, bisogni e speranze erano il partito, e coloro che il partito rappresentavano e dirigevano".
Forse mi sbaglierò ma la mia percezione, durante la lettura, è che oltre a Voltaire, a cui Sciascia si è ispirato, aleggi in questo meraviglioso romanzo anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Dirà infatti Candido della città di Parigi:
Qui si sente che qualcosa sta per finire e qualcosa sta per cominciare: mi piace veder finire quel che deve finire.
Gli risponderà Don Antonio:
Hai ragione, è vero: qui si sente che qualcosa sta per finire; ed è bello... Da noi non finisce niente, non finisce mai niente... .
Ecco, magari sbaglio io ma questo scambio mi pare evocare la celebre frase del Gattopardo:
Perchè tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi.
Forse è anche pensando a tale immobilità, a tale declinazione del potere che Sciascia ha scritto nella nota conclusiva del libro: ho cercato di essere veloce, di essere leggero. Ma greve è il nostro tempo, assai greve.
E' da qualche anno che non leggevo un romanzo di Leonardo Sciascia. Visto il numero di riflessioni scaturite da questo racconto breve ma densissimo, mi sono detta che continuare a leggere Sciascia sarà il mio proposito di lettura per il nuovo anno.
Chi era quell'altro che diceva: "socialista senza partito e un cristiano senza chiesa”? Silone? Sì... Leggendo mi è venuto per un attimo il guizzo, ma non è proprio così per Sciascia. Sciascia è un po' dLepanto e un po' Candido, forse più dLepanto, che è fuori dalla chiesa/Chiesa ma, a volte vorrebbe rientrarci per un attimo; è dentro (più fuori che dentro) il Partito ma con un un senso di asfissia e vuole andarsene. O, forse, dentro non c'è stato mai ma ha subito una forte attrazione, per poi disgustarsene... Le due Chiese, quella Cattolica e quella Comunista, che in Italia hanno tradito e deluso; l'una per la connivenza col potere, anzi, per l'inquinamento e la corruzione della politica in nome dell'egemonia culturale e per la lotta all'ateismo, l'altra per lo smarrimento del significato profondo della sua funzione che era l'emancipazione degli oppressi, ovvero la burocratizzazione che ha trasformato i compagni dirigenti in tanti Fomà Fomìč, ovvero ancora la tentazione del potere per il potere, che corrompe e guasta tutto. Sì, penso si possa vedere nel Candido di Sciascia una lettura della storia italiana oltre e dentro una "storia siciliana". Mai come adesso, anno 2020, la Sicilia è stata una metafora precorritrice della storia italiana: la "linea della palma" che ha raggiunto e superato la catena alpina; il falso movimento per cui cambia tutto ma poi non cambia niente; la delusione per le promesse non mantenute e la conseguente rabbia, disperazione e cinismo della gggente; la ciarlataneria, sfacciataggine, ingordigia, cialtronaggine, bigotteria, mancanza di scrupoli e remore, rimorsi, senso di responsabilità delle classi dirigenti. Il tradimento dei chierici... Leggendo Sciascia si vede la continua condanna dell'inadeguatezza degli intellettuali al loro ruolo di guida e la loro connivenza col potere, prima quelli con la tonsura e la veste talare, che per secoli sono stati il ceto colto italiano e hanno egemonizzato la vita spirituale e culturale. Il clero in Sciascia non fa mai una bella figura, basta scorrere i suoi romanzi e trovare preti che sono indegni della loro "vocazione", cinici, ingordi, lussuriosi, avari, miscredenti, ipocriti. DLepanto è un preti sui generis, che si stacca da questo modello negativo, che è una persona sincera, onesta, altruista e colta, e proprio per questo è un prete spretato (un altro sarà, nella realtà, Mons. Angelo Ficarra, il vescovo di Patti, cacciato dalla diocesi e nominato vescovo di Augustamnica, in partibus infidelium). Il sogno volterriano di Sciascia fatto in Sicilia, Candido, un figlio della fortuna nato a casaccio, che non ha bisogno di alcuna paternità né è alla ricerca di nessun padre.
Mah!?! verrebbe da dire: "Forte 'sto libro", che sta a metà strada tra il sogno e l'utopia. Ce ne vorrebbero di Candidi (forse anche di don Lepanti), non solo in Sicilia, ma in Italia, adesso. Mentre leggevo pensavo a Rousseau e al suo Emilio (che palle l'Emilio, e che leggerezza gustosa il Candido- di Sciascia- con don Lepanto-Rousseau-Sciascia che fa il pedagogo a Candido-Emilio-Sciascia). Solo che qui il pedagogo viene a sua volta "pedagogizzato" dal suo discepolo, veramente candido e cristallino ("idiota" direbbero i furbi e gli "assennati", e impara da lui a dire la verità ad ogni costo, quella "verità che vi farà liberi", come diceva quell’Altro. Non applica nessuna teoria don Lepanto, anzi, abbandona ogni teoria per dedicarsi al puro dialogo-ascolto, tanto da gettare alle ortiche la sua tonaca. Alcune perle disseminate nel testo: l’amore per la terra e la cura messa nel coltivarla, al di là del profitto, è come l’amore per una donna (mi viene in mente Steinbeck in “Furore”)… È una vera rivoluzione vivere nella verità e usarla come criterio di agire.
Le cose sono sempre semplici. Come questo romanzo, ma semplice non vuol dire sottile. Il Candido è la storia di un uomo semplice, inteso come trasparente, leggero, così leggero che lui solo è capace di sorvolare interessi di partito, sociali, pecuniari che con le loro trame complicate imbrigliano tutti i personaggi che gli ruotano intorno. E vola verso la felicità , che solo con la leggerezza della semplicità si può godere pienamente.
This book begins with the story of Candido Munafò that was born in a cave in Sicily on the night of the landing of the Americans, in 1943. Taking Voltaire's Candide as an ideal starting point, Sciascia tells us about Candido who sometimes murmurs: "Things are always simple". And it will be precisely his desire to name things by their name to cause him various misadventures. This meek, stubborn and thoughtful young man ends up appearing, in the eyes of the world, as a "little monster". This awful denomination is due for his way of seeing the world.
“Bella grassa appetitosa!” mi gridò abbracciandomi e ridendo il rampollo di dodici anni dopo essersi pappato un brano del “Candido” della sua antologia. La cosa ebbe due conseguenze. La prima: guardai ammirata il suddetto etichettandolo come genietto su cui esercitai per lustri le mie riconosciute doti di “rompicogliazzi” perché genio diventasse. La seconda: un classico è tale non perché sai per sentito dire che lo è, e Candido lo era in quel senso, ma perché è eternamente usufruibile come arnese di vita vissuta. Lo ripresi, mi divertì, ma il danno era stato fatto sui banchi di scuola, la cui fòrmica verde pisello era intagliatata con il nome del ragazzo di turno. Lo riposi dopo le prime pagine. Divertenti le peripezie di Candido e Cunibonda, presi a dimostrare che questo in cui viviamo non è il miglior mondo possibile, ma solo per una ventina di pagine.
E Sciascia, che aveva confessato in Todo Modo che solo il Candido non era riscrivibile, lo riscrive trasponendolo in Sicilia, la Sicilia della mafia, dei voltafaccia degli ex- fascisti che tali rimangono anche quando sono diventati democristiani, del familismo, del luogo in cui “ non finisce niente, non finisce mai niente… e in cui non c’è posto per chi vede le cose semplici e va sempre al cuore dei problemi. “Le cose sono sempre semplici” mormora talvolta Candido. E sarà appunto il suo desiderio di nominare le cose con il loro nome a procurargli varie disavventure e apparire, agli occhi del mondo come un “piccolo mostro”, tale e quale mi parve Sciascia in quegli anni in cui il lessi Candido come il romanzo della perdita di una fede comunista. Un romanzo autobiografico come può esserlo quello di un narratore che non parla di sé, però. L’anticomunismo, un motivo per tenermene alla larga.
Ne è dovuta passare tanta acqua sotto i ponti per potergli perdonare questo suo anticomunismo, quel “grillismo radicale ante litteram” qualunquista, che ora a quarant’anni di distanza mi appare una lucida analisi condivisibile. Anche per me, come per Candido, l’essere comunista fu un fatto semplice come l’aver sete e voler bere… un fatto quasi di natura che ha a che fare con l’amore … anch’io mi formai comunista prima su Hugo e Zola che sul Capitale. E quanti scontri in sezione per l’impossibilità di capire quegli stupidi tatticismi attendendo il sorgere del sol dell’avvenire! L’accanirsi sui comunisti da parte di Sciascia, piuttosto che sul fascismo e sulla D.C. – dato per scontato- è il non darsi pace sul perduto amore. Non essendo lui un politico di professione, non trovò altre strade di dissenso che quelle letterarie. E non a caso oggetto del suo scherno è anche l’istituzione ecclesiastica, rigida, dogmatica cui la struttura del partito gli sembrava somigliasse. E come rappresentante della chiesa liberata inventa l’arciprete Lepanto, l’aedo del Candido siciliano, ma così diverso da quello volterriano: senza certezze e senza insegnamenti da tramandare. Un povero prete che però esce da una chiesa e, per vecchia abitudine, entra in un'altra dove è guardato con lo stesso sospetto!
Non una satira sull’ottimismo, non una favola filosofica, ma un apologo politico è questo Candido: un Candido moderno che ha come bersaglio la mafia, il clientelismo, i compromessi ideologici, ossia l’attualità storico-politica, le sue ambiguità, contraddizioni e mistificazioni. Come sempre nell'illuminista Sciascia, per cui quello che conta, degli uomini, sono i fatti e non le intenzioni, rimaneggiabili a piacimento. Il tutto con quella scrittura ironica e sorniona, “bella, grassa, appetitosa”, molto meglio di una fetta di cassata e con nessuna controindicazione per la salute, anzi!
Sciascia imita il classico di Voltaire, e riesce a conservarne la cadenza: questo è un romanzo dal passo leggero, quasi di fiaba; i capitoli sono brevissimi e illuminati da un umorismo molto delicato ed espressivo. La Sicilia del dopoguerra vi appare come un sogno, nonostante l'inevitabile presenza della politica e della società dell'epoca: l'autore dà l'impressione di aver raggiunto, su questi temi, una profonda maturità, capace di sana ironia, disillusa ma perfettamente consapevole del valore del proprio passato - al di là dei cimeli, delle guerre e delle rivoluzioni.
Chi ha letto Voltaire riconoscerà qui uno spirito simile, una struttura familiare ma notevolmente più suggestiva, grazie all'ambientazione più moderna e soprattutto alla qualità della prosa. Candido, nato al termine della guerra, interpreta il suo tempo con grande attenzione, una naturale predisposizione per il ragionamento e una tendenza a vivere tra ciò che deve finire - nella politica, nei suoi affari, negli affetti - e ciò che sta per iniziare. È una persona perfettamente limpida e ingenua: non mente mai, neppure per proteggere i propri familiari; vede i fatti e non le intenzioni, non intuisce la malafede nei comportamenti degli altri; ignora i loro stratagemmi, i loro imbrogli: di tanta genuinità si soffre, e si fa soffrire. L'ostinazione di Candido nel credere che "le cose sono quasi sempre semplici" è commovente, e mi ha riportato alla mente la malinconia di un altro romanzo di Sciascia, letto tanti anni fa ("Una storia semplice"). Dell'indole di Candido ci si invaghisce subito; è inevitabile immedesimarsi, con un po' di presunzione, nelle sue difficoltà, e trovare ingiusta la diffidenza degli altri nei suoi confronti: la stessa madre arriva a definirlo un mostro. Un carattere così, tuttavia, non perde mai forza. Sembra mosso da un istinto invincibile verso la semplicità, la chiarezza nei rapporti con gli altri; eppure le persone capaci di comprenderlo sono molto rare, e spesso insicure.
Sciascia è andato, indubbiamente, oltre le sue stesse aspettative; l'umiltà della sua nota finale lo dimostra, sembra quasi volersi scusare per il suo tentativo d'imitazione - ma questo libro possiede una qualità unica, che va ben oltre la semplice parodia del suo antenato. Qualcosa, nelle ore trascorse a leggerlo - l'avvicinarsi dell'autunno, forse - ha dato alle sue pagine una luce speciale. Da tempo non mi capitava una lettura così amichevole e gentile: e devo ringraziare soprattutto Giorgia, che mi ha saputo consigliare un libro tanto prezioso.
3,5 immagina slayare così di potenza che tuo padre si uccide, tua madre ti abbandona e tuo nonno ti schifa.
Una storia carina, perfetta per capire l'Italia e la Sicilia dopo la seconda guerra mondiale, negli usi e specialmente nella politica (comunismo a gogo). Uno stile leggermente complesso, ma molto interessante da leggere, mi piace lo stile di Sciascia.
La storia forse un po' banale di Candido, un ragazzo ricco di campagna che vive la sua vita un po' dove lo porta il cuore, prima imparando a coltivare la terra, poi innamorandosi, poi analizzando le persone che lo circondano con il suo amico prete.
Una storia abbastanza simpatica, soprattutto corta e scorrevole, ma l'incesto delle ultime pagine anche no. Leonardo cos'ho fatto di male. Tra cugini vale lo stesso.
Lo consiglierei? Sì, è una lettura con capitoli corti e abbastanza scorrevole, una trama che scorre veloce e interessante, una storia normale, una vita in Sicilia.
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Esprimere un parere su questo racconto di Sciascia sembra superfluo, eppure si rende necessario per sottolineare quanto sia preziosa la prosa del suo autore. Se per Candido tutti i fatti del mondo sono spiegabili con semplicità, lo stesso vale per Sciascia, narratore brillante capace di rivelarci che le cose sono sì semplici, ma spesso di una semplicità amara, ingiusta per chi come Candido si affaccia al mondo con una predisposizione alla giustizia. Giustizia che non è in Candido un precetto morale da seguire, imposto da una dottrina religiosa, da un partito politico, ma attitudine naturale, incontrovertibile, tanto da renderlo "mostro" agli occhi dei più, di chi solitamente per interesse personale trova la giustizia di Candido fastidiosa, malsana, una messa in scena fatta per dispetto. Sciascia ci fa intraprendere un viaggio lungo 40 anni nella storia d'Italia, dalla liberazione dal fascismo alle proteste operaie degli anni settanta. Certo, è un viaggio tratteggiato da pennellate veloci, piccoli accenni, eppure sempre vividi, rintracciabili nel corso storico. Così come sono rintracciabili nelle nostre vite i caratteri dei personaggi di questa storia. Hanno tutti qualcosa che conosciamo, che riconosciamo in persone che abbiamo incontrato o che potremmo incontrare, qualcosa di noi stessi. Se un buon libro è da giudicarsi sulla base di ciò che lascia in eredità al lettore una volta sfogliata l'ultima pagina, "Candido" è più che un buon libro, in quanto ricco di verità e dei suoi contrari, insomma ricco di vita.
Risvolto Per Candido Munafò, giovane mite, testardo e riflessivo, «le cose sono sempre semplici». E sarà appunto il suo desiderio di nominare le cose con il loro nome a procurargli le varie disavventure della sua vita, il cui racconto si articola in una serie di capitoletti che rimandano al "Candide" di Voltaire. La forma del conte philosophique, particolarmente congeniale a Sciascia, gli permette di assumere la giusta distanza – e dà un passo leggero, aereo a questo libro, che è forse anche il più intimo e segreto fra tutti i suoi romanzi.
Nell'anno del centenario, proseguo con immenso piacere nella lettura/rilettura delle opere di Sciascia. Un particolare non ricordavo di questo romanzo: Candido, bambino diverso con una propensione naturale verso la verità e la giustizia, viene più volte definito dalla snaturata madre "un mostro". Ma pensate un po'. Un ragazzino -poi giovane uomo- incapace di mentire, puro di mente e di cuore, circondato da ipocriti, benpensanti, affaristi e mafiosi, sarebbe dunque un mostro. Lui, un mostro?! La magistrale ironia di Sciascia in "Candido" raggiunge vette sublimi e io... lo adoro.
"Non sono mai stato comunista, eppure, per onesta', devo dire di aver subito l'attrazione del PCI". In questo breve romanzo Sciascia scrive la parodia dell'opera di Voltaire, attraverso la figura di Candido Munafo' la cui ingenuità rivela le contraddizioni e le ambiguità delle due "fedi" principali della società italiana del dopoguerra, Chiesa e comunismo, entrambi criticati con distaccata ironia dall'autore siciliano. Chi non accetta l'ipocrisia è considerato un imbecille o addirittura un "mostro" proprio come accade a Candido.
Io non so come in 130 pagine si possano condensare tutte le contraddizioni di un popolo e del suo paese, ma Sciascia ci è riuscito. Candido è la contrapposizione di ciò che è puro e semplice a un ambiente che rigetta questa purezza e questa semplicità, tacciandole come qualcosa di mostruoso. Un libro veramente unico e che nonostante tutto ti fa dire "Sai cos'è la nostra vita? La tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì e stiamo sognando".
Εξαιρετικό!Ο συγγραφέας μέσα από σύντομες ιστορίες παρουσιάζει μοναδικά φιλοσοφικά ερωτήματα ζωής και πολιτικής.Στέλνει μηνύματα για την πολιτική ζωή της Ιταλίας μετά τον Β' Π.Π,τον καθολικισμό,τον κομμουνισμό,την ιδιαίτερη κατάσταση της Σικελίας και πολλά άλλα...Μοναδικό έργο γεμάτο ζωντάνια,αν και γράφτηκε το 1977!Εξαντλημένο έκδοση στα ελληνικά (εκδ.Εξάντας) ευτυχώς τα περισσότερα έργα του Sciascia τα βρήκα στις δανειστικές βιβλιοθήκες...
Candido Munafò nasce in una grotta della Sicilia la notte dello sbarco degli americani, nel 1943. E questo romanzo ci fa seguire le vicende della sua vita sino al 1977 in una serie di capitoletti che rimandano a quelli del Candide di Voltaire. La forma del conte philosophique, particolarmente congeniale a Sciascia, gli permette di prendere la giusta distanza - e dà un passo leggero, aereo a questo libro, che per altro è forse il più intimo e segreto fra tutti i suoi romanzi. "Le cose sono sempre semplici" mormora talvolta Candido. E sarà appunto il suo desiderio di nominare le cose con il loro nome a procurargli varie disavventure. Questo giovane mite, testardo e riflessivo finisce per apparire, agli occhi del mondo, come un "piccolo mostro".
📌La scrittura di Sciascia non é facile, se in più prendiamo l'elemento Voltaire, la cosa si complica 📌I personaggi sono caratterialmente ben descritti. 📌Trovo geniale trasformare il Candido di Voltaire in qualcosa che Sciascia sperava per la sua Sicilia.
I read this as the second book in an edition which also contained A Simple Story which I reviewed.
Not of the detective genre like A Simple Truth, this one unvieled to me reminiscences of reading Latin American literature in translation and of Italo Calvino's of Baron in the Trees. The language was fast and flowing and the chapters short, making for a fast but clear read.
I loved the way the chapters were entitled, for example, "How Candido bacame to all intents and purposes an orphan; and how he ran the risk of relocating to Helena, Montana" "How Candido decided to free himself of his lands to travel; and how his relatives did their best to free him".
The book tells Candido's story from birth, through childhood and adolescence and into adulthood as he discovers people, politics, power, religion and love with all their trials and tribulations along the way and finally himself and his own place in life and the world.
"... Anzi, si sentiva come alleviato, come confortato, dal fatto che i suoi parenti stessero cercando, a loro modo e sia pure a loro vantaggio, una soluzione a quel suo problema di liberarsi delle terre, della proprietà. Ci si era appassionato, ci aveva lavorato: ma senza alcun senso della proprietà, del possesso; come se il coltivare al meglio la terra, il renderla più produttiva, più ordinata, più netta, appartenesse alla giustizia del vivere e niente avesse a che fare col reddito, col denaro. Qualcosa che somigliava all'amore."
"Che se ne fosse andata sacrificando il suo amore per lui o liberandosene, non aveva importanza. Il fatto è che se ne era andata: e soltanto i fatti contano, soltanto i fatti debbono contare. Noi siamo quel che facciamo. Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sé, può giocarseli come vuole, fino alla disintegrazione, alla follia. Ma un fatto è un fatto: non ha contraddizioni, non ha ambiguità, non contiene il diverso e il contrario. Che se ne fosse andata significava una sola cosa, per lui: che qualcosa era accaduto tra loro che aveva spezzato l'armonia del vivere insieme, la gioia dei loro corpi. Un fatto. Domandare, inquisire, inseguire non sarebbe valso se non a complicare dolorosamente tutto che era stato semplice, vero."
"Andarono in Spagna e in Francia. E poi anche in Egitto, in Persia, in Israele. Ma tutto era sempre come degradato rispetto a quel che ne avevano immaginato. Soltanto Barcelona, per la gente, e Parigi, per ogni cosa, non furono delusioni. Ma il bello del loro viaggiare era nell'amarsi, nel fare all'amore: come se l'essenza dei luoghi ridiventasse nei loro corpi fantasia; come se fantasia di quei luoghi, o memoria, fossero i loro corpi stessi."
"A Madrid, il giorno in cui si celebrava l'anniversario della guerra civile che Franco aveva vinto, accanto al «generalissimo» che sembrava come confitto in una barocca lastra tombale (Candido ricordava la fotografia che suo nonno si teneva in camera da letto), videro, attento e sorridente alla parata militare che sotto scorreva, l'ambasciatore della Cina di Mao. E al Cairo, piena di russi come Roma di americani, in un caffè appunto pieno di russi (tecnici, si diceva: e andavano sempre in gruppo, col passo e l'attenzione di una ronda militare), videro la polizia arrestare uno studente perché, spiegò poi un cameriere, sospettato di comunismo. La Cina comunista che rendeva omaggio a una vittoria del fascismo, la Russia comunista che aiutava un governo che metteva in carcere i comunisti: chi sa quante di queste contraddizioni, incongruenze e assurdità ci sono nel mondo che ci sfuggono, che non vediamo, che vogliamo lasciarci sfuggire e non vedere. Ché a vederle, le cose si semplificano: e noi abbiamo invece bisogno di complicarle, di farne complicate analisi, di trovarne complicate cause, ragioni, giustificazioni. Ed ecco che a vederle non ne hanno più; e a soffrirle, ancora di meno."
"Tutto cominciò una sera che si discorreva del pericolo in Italia di un colpo di stato. Ci credevano tutti e nessuno, tranne Candido, avanzava il dubbio che non riuscisse. Qualcuno disse che bisognava tenersi pronti a lasciare l'Italia; e quasi tutti si dichiararono d'accordo. Candido domandò: «E dove andreste?». I più risposero che sarebbero andati in Francia; altri in Canada e in Australia. Candido domandò, e lo domandò anche a se stesso, poiché anche lui aveva pensato, come i più, alla Francia: «E com'è che nessuno di noi vuole andare nell'Unione Sovietica?». Alcuni lo guardarono torvamente, altri mugugnarono. «È o non è un paese socialista?» incalzò Candido. Quasi in coro gli risposero: «Ma si capisce, ma certo... È un paese socialista: come no?». «Ma allora» disse Candido «dovremmo volerci andare: se siamo socialisti». Si fece un gelido silenzio; poi, come se fosse più tardi del solito, e invece era più del solito presto, tutti si alzarono e se ne andarono."
"Il partito della classe operaia! E, per di più, cioè per di meno, della classe operaia occupata! Come se la classe operaia occupata, appunto perché occupata, appunto perché non preoccupata, non sia suscettibile di corruzione se inserita, come di fatto è, in un tessuto corrotto... Soltanto dalla disoccupazione e dalla scuola, che è poi l'immensa anticamera della rivoluzione, può venire non dico la rivoluzione, ormai rimandata a data da non destinarsi, ma la forza per un vero, effettuale mutamento delle cose italiane... "
"Era, ogni volta, una verità. Ad un certo punto Candido tentò di metterle assieme, tutte quelle verità. Non ci stavano: era come un ribollimento, come un traboccar fuori... Scrisse a don Antonio: «Ho riletto le sue lettere: ci sono tante verità, e così contrastanti, che un uomo non può contenerle tutte, né un partito». Don Antonio rispose: «Un partito non può contenerle tutte: e difatti il Partito Comunista va trascegliendo le peggiori. Ma la sinistra e l'uomo di sinistra sì... Queste tante verità che debbono necessariamente stare assieme, costituiscono il dramma dell'uomo di sinistra e della sinistra. E il Partito Comunista deve tornare a viverle tutte, se non vuole uscire dalla sinistra... È come, per il cattolico, il problema del libero arbitrio e della predestinazione: due verità che debbono coesistere». Candido non sapeva molto del problema del libero arbitrio e della predestinazione. Rispose: «E se l'insieme di tante verità fosse una grande menzogna? È una domanda semplice che potrebbe trovare una risposta semplice»."
"Crediamo di vivere, di esser veri, e non siamo che la proiezione, l'ombra delle cose già scritte"
«Tutto quello che vogliamo combattere fuori di noi» disse l'arciprete «è dentro di noi; e dentro di noi bisogna prima cercarlo e combatterlo»
[Concetta] era una di quelle persone che finiscono con l'essere relegate nel rango degli oggetti che ci sono, non possono non esserci, ma tale è l'abitudine di vederli che non li si vede più; e cominciano ad esistere quando più non ci sono.
Para aqueles que têm curiosidade nos italianos, que lembram com carinho de seus gestos, trejeitos e atitudes esta é uma obra lapidar. Bem humorada, precisa e principalmente muito bem escrita. O autor é muito feliz nas imagens e nos encaminha para um lugar que ele só ele poderia encontrar naquele emaranhado de gente, vias, paradoxos e paixões.
Una lettura leggera che mi ha portato in una Sicilia antica, ma ancora insita nella memoria del nostri cari, una Sicilia rurale. Bellissimo il racconto attorno al protagonista sul suo essere diverso e volere cose diverse dagli altri
CANDIDO O UN SUEÑO SICILIANO (1977) es una novela breve del escritor de orígen siciliano Leonardo Sciascia que trabaja bajo una historia aparentemente simple una serie de temas muy profundos y sensibles para cualquier ser humano: La memoria, los mandatos filiales, el trabajo, los deberes ante nuestras instituciones (la sociedad, el partido, la justicia, la religión) y sobre todo el amor. Es decir que esta es una novela muy política. . Entiéndase bien: Hablo de política en un sentido que ocupa cualquier actividad destinada a transgredir efectuada por las personas, no solamente de política partidaria. Si bien dos de los personajes (el mismo Candido y Don Antonio, un arcipreste) pertenecen al partido comunista italiano, las discusiones de fondo se elevan por encima de cualquier cuestión partidaria para tocar temas relacionados a la dignidad humana y el abuso del poder en todos los ambitos sociales. . Candido, el protagonista, como su homónimo Voltaireano (y si) es un hijo de su tiempo y nace en 1943, en medio de la liberación de Sicilia por parte del ejército norteamericano. Su madre desciende de un general de extrema derecha que al término de la guerra quiere ocultar los servicios prestados al Duce y su padre es un abogado que tiene contactos con la mafia. Desvinculado de su familia casi de manera accidental, Candido va a pegarse a Don Antonio, un culto arcipreste que va a ser expulsado de la iglesia y va a encontrar una segunda fe en la militancia social (a la que va a destinar toda su vida) y a Paola, una muchacha que se rumoreaba de la "brutta vita" en brazos de la cual el protagonista va a experimentar el amor. La novela traza un arco narrativo que nos lleva desde 1943 a París de 1977, un lugar donde parece que algo "siempre esta por terminar." De más esta decir que disfruté muchísimo las referencias literarias a otras obras: Manzoni, Lenin, Gramsci, Marx, Gorki, Shakespeare, Voltaire, Freud, Hemingway o Víctor Hugo. Muy disfrutable.