"Lo más importante es el aliento", se nos confía en la primera frase de La perfección del tiro, la ópera prima del escritor francés Mathias Enard, donde disecciona los horroes de la guerra desde el punto de vista de un joven francotirador de dieciocho años que desde hace demasiado tiempo vive en una ciudad sitiada por la guerra civil centra su existencia en un único objetivo: perfeccionar el arte del disparo. El secreto de un tiro perfecto reside en el dominio de la respiración, mantener la calma y escuchar al propio cuerpo, el latido del corazón. El fusil tiene que convertirse en la prolongación de uno mismo. Y así, con el ojo puesto en la mirilla, espera paciente desde su tejado a que el día acabe con algunos disparos certeros, ya sea a un pájaro o a una vecina que, temerariamente, haya salido a la calle. Cuando la noche cae, el francotirador regresa a casa con una madre medio loca y Myrna, una adolescente de quince años contratada para cuidar a la mujer. Myrna despierta en él una ternura y un deseo que la enajenación provocada por la guerra pervierte de una forma cruel e impredecible.
Mathias Énard studied Persian and Arabic and spent long periods in the Middle East. A professor of Arabic at the University of Barcelona, he won the Prix des Cinq Continents de la Francophonie and the Prix Edmée-de-La-Rochefoucauld for his first novel, La perfection du tir. He has been awarded many prizes for Zone, including the Prix du Livre Inter and the Prix Décembre.
Compass, which garnered Énard the renowned Prix Goncourt in 2015, traces the intimate connection between Western humanities and art history, and Islamic philosophy and culture. In one sentence that's over 500 pages long, Zone tells of the recent European past as a cascade of consequences of wars and conflicts.
Énard lives and works in Barcelona, where he teaches Arabic at the Universitat Autònoma. His latest publications include a poetry collection titled Dernière communication à la société proustienne de Barcelone (Final message to the Proust Society of Barcelona) and Le Banquet annuel de la confrérie des fossoyeurs, a long novel published in 2020.
”American Sniper” di Clint Eastwood, 2014, con una notevole Sienna Miller.
Enard ha vissuto anni in Medio Oriente. Questo romanzo, che rispetto alla mole di “Bussola” o “Zona” viene da definire breve, è probabilmente ambientato in Libano: ma adesso la mente corre soprattutto alla Siria. Corre a un paese, e una parte, del Medio Oriente dove la guerra è di casa, è diventata realtà quotidiana, consolidata, fatta di abitudine. Anche la morte, in una situazione così, diventa pratica quotidiana, non più evento, abitudine.
Un giovane combattente senza nome, un cecchino da medaglia d’oro, che nella guerra trova tutto il dolore e il piacere che conosce, nell’incipit ci spiega subito che: La cosa più importante è il respiro. Il suo ritmo lento e regolare, la pazienza del respiro; per prima cosa devi ascoltare il tuo corpo, ascoltare i battiti del cuore, la calma del braccio, della mano. Il fucile deve diventare una parte di te, un tuo prolungamento. La cosa più importante non è il bersaglio, sei tu.
”The Hurt Locker” di Kathryn Bigelow, 2008, sei premi Oscar: film dell’anno, regia, sceneggiatura originale, montaggio, montaggio del sonoro, missaggio.
Questo diciottenne sa uccidere anche col coltello o con la pistola, ma col fucile di precisione dà il suo meglio, quell'arma lo trasforma in teorico, in filosofo, esprime saggezza: Sparare è prima di tutto una disciplina. Devi controllarti, comprimerti, raccoglierti, concentrarti nel bersaglio fino a sparire nel mirino per poi liberarti, aprirti e lasciarti scorrere come una goccia d’acqua. Devi creare una relazione fra te e le cose, un legame diretto che chiamiamo traiettoria; devi immaginarlo, seguirlo come un tragitto. Devi astrarti dal mondo, ritirarti piano piano nell’angolino irreale della mira fino a perderti nei riflessi infiniti delle lenti. Devi dimenticare la realtà del bersaglio, immaginarla come il punto di approdo, il traguardo di una corsa da vincere.
Certo, poi se si pensa che il bersaglio è sempre una vita, più spesso umana, ma per allenamento spara anche a uccelli, cani e gatti...
Marlon Brando/Kurtz in “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola, 1979.
Ha perso il padre, la madre ancora giovane è diventata pazza e ormai vive di psicofarmaci, il fratello maggiore è emigrato. Lui prende in casa una ragazza di quindici anni per badare alla madre: la giovane ha un nome, si chiama Myrna, ha perso il padre nell’esplosione di una granata, la solo famiglia che le rimane è una zia e un cugino. Accetta il lavoro, i soldi le serviranno per tornare a scuola, legge libri e vuole leggerne ancora, vuole studiare, imparare, e vuole che la guerra finisca.
Anche lui legge libri, il suo preferito è “Taras Bul’ba” di Gogol, che non per niente parla di guerra, cosacchi, condottieri, devastazioni. Lui non vuole che la guerra finisca. O forse, neppure lui sa cosa vuole: ma nella guerra ha trovato una sua realtà nella quale riesce a riconoscersi, a non sentirsi alieno.
Reda Kateb in ”La resistance de l’air” di Fred Grivois, 2015.
Solo che la guerra è una roba brutta ed è difficile trasformarla in abitudine. Solo che guardare per ore dentro una lente, attraverso un mirino, aspettare il momento, sparare, e uccidere, piano piano qualcosa incrina. E prima o poi si spezza. Penso al cecchino del film di Clint Eastwood, penso all’artificiere protagonista del film premio Oscar “The Hurt Locker”, penso al sussurro di Brando/Kurtz L’orrore… l’orrore…, penso a…
Per le prime cento pagine Myrna è centrale nei pensieri e nelle giornate del protagonista, che per lei sente crescere un sentimento, o magari un’emozione, o forse piuttosto un desiderio. Myrna è bella, un’adolescente che in parte è già donna, lui ne è attratto. Ma né il sentimento, o l’emozione, o il semplice desiderio intaccano il Male che gli vive dentro ogni giorno.
Poi per una sessantina di pagine il romanzo diventa azione militare: la descrizione minuziosa e magistrale di qualche giorno di guerra al fronte.
Nelle ultime venti tutto si ricuce: il nemico, quello vero, non è dall’altra parte della linea di tiro, ma è dentro di noi. Ed è uno strazio, un colpo al cuore e allo stomaco, senza possibilità di fuga, senza riscatto, men che meno redenzione.
Prix Edmée-de-La-Rochefoucauld for debut novels 2004 This was the start of Énard's spectacular international career: The 20-year-old protagonist and narrator of his debut novel "The perfect shot" is a murderer, torturer, and rapist. As a highly effective sniper, he is also a respected and feared combatant in his besieged city (the war is never specified, it could be the civil war in Lebanon or the one in Algeria though). Brutalized and psychologically destroyed by war, his emotional landscape proves that humans are not animal: No animal would ever indulge is such a fest of pointless cruelty. With his best friend Zak, the protagonist goes on torture sprees in which sexual lust and a frenzy of violence culminate in disturbing images - and make no mistake, Énard describes the physicality in all its gore and explicit detail.
This novel contains images that would fit right into the New French Extremity movement in cinema. In juxtaposition to this, we follow the protagonist as he falls in love with the 15-year-old caretaker of his single mother, who suffers from grief- and war-induced PTSD so extreme that she has lost her mind. The protagonist is fully unable to express any feelings connected to vulnerability, he only knows to conquer and defend with fear and power - which is exactly what he tries to do. As a sniper, he only finds peace in the flow of concentration he experiences when shooting from roofs - and he chooses objects for various reasons, often only to mentally destabilize and demoralize the opposing side. Killing and torture become coping mechanisms.
Énard ponders the effects of desensitization and brutalization that come with war: The protagonist is both fully human and de-humanized, as he has lost the ability to show emotions. He is exactly what Klaus Theweleit had in mind when he wrote about fascist soldier ideals: A shell of a man, an effective killing machine unable to do anything else. What makes this book so challenging and great is that Énard writes from the killer's perspective and thus does not grant the reader any relief: The depiction of emotional deformation combined with gore and rape is relentless and terrifying. While we get some hints at how the narrator became like this, Énard ultimately doesn't explain the extremity, which is brilliant, because it is of course ultimately inexplicable. In this regard, it's a book about subconsciousness, about suppression - but the protagonist is never excused. At one point, he protects a woman in during a civil terror operation in the countryside he partakes in - why? He and we couldn't possibly pin down the moral impulse.
I love this text for its daring approach to the portrayal of human violence. Énard is such a n intelligent and captivating author, I will aim to become a completist (and I will start a riot when Frank Wynne's translation of The Annual Banquet of the Gravedigger's Guild will not be nominated for the International Booker 2024).
Potrebbe essere quello della martoriata Siria oppure quello del sempre fragile Libano lo scenario bellico che fa da sfondo alla vicenda narrata ne “La perfezione del tiro”, romanzo con cui Mathias Énard ritorna ora nelle librerie italiane dopo il successo di “Bussola” di un paio d’anni fa. Anche se non all’altezza di quest’ultimo, vincitore a suo tempo del prestigioso Premio Goncourt, il libro conferma anzitutto la profondità e la piacevolezza della prosa di questo scrittore francese; in esso, oltretutto, si ritrova presumibilmente un frammento di quel Vicino Oriente a lui così caro, seppure spoglio dei suoi caratteri ormai distintivi (dalle moschee al velo islamico) che sembra addirittura strano non incontrare. È infatti fra gli orrori di un’ordinaria guerra civile di quell’area (ma non sarebbe poi tanto improbabile, in verità, nemmeno se si trattasse dell’odierna Libia allo sbando) che si muove il protagonista di queste pagine, un giovane uomo cresciuto troppo in fretta proprio a causa dello scoppio del conflitto. Un anonimo io narrante che fin dall’incipit trascina il lettore nell’oscuro vortice della sua storia: “La cosa più importante è il respiro. Il suo ritmo lento e regolare, la pazienza del respiro; per prima cosa devi ascoltare il tuo corpo, ascoltare i battiti del cuore, la calma del braccio, della mano. Il fucile deve diventare una parte di te, un tuo prolungamento. La cosa più importante non è il bersaglio, sei tu.” Un combattente rispettato, si definisce lui stesso più di una volta; un assassino, a detta di altri che, pur rispettandolo, lo temono e, a seconda dei casi, lo disprezzano. Un cecchino freddo, razionale, paziente che spara poco, ma a colpo sicuro, e al quale non importa, quando lo fa, se nel mirino del suo fucile compaiano uomini o donne, vecchi o bambini. Un ragazzo, tuttavia, che non trova il coraggio di uccidere la madre ormai in preda alla follia più tremenda e che si turba ed emoziona pensando a Myrna, l’orfana che lui prende in casa per occuparsi proprio della madre. Sarà la passione per questa quindicenne dal “corpo quasi da donna e un sorriso da ragazzina”, trasformatasi infine in ossessione, a mettere in luce la profonda contraddizione tra le sue due anime: quella del combattente spietato e quella del giovane di diciotto anni che non può non sentire disgusto per ciò che vede intorno a sé, e che compie in prima persona, né trattenere le lacrime. “Forse la stanchezza e la tensione si accumulano come una polvere invisibile che un bel giorno bisogna spazzar via con le lacrime.” Il libro, mentre mostra il volto nudo e crudo di una guerra senza nome, offre nel complesso una lettura molto scorrevole e ricca di spunti di riflessione non di poco conto; ben riuscita, inoltre, la scelta di non appesantire lo scenario del conflitto descritto con alcun riferimento geografico né di tipo politico-culturale, prediligendo in tal senso una sorta di vaghezza di tempi e luoghi a tutto vantaggio dell’approfondimento della complessa psiche del protagonista e di quella imperfezione di sentimenti cui sembra essere condannata l’umanità in generale. Drammaticamente realistica e priva di speranza di conclusione, la guerra stessa sgorga dalla penna dell’autore quasi come una entità a sé stante, protagonista a pieno titolo al pari di chi la vive e la racconta: “[…] andava e veniva senza una logica, come da sé; si concentrava in un punto per una settimana e poi si allargava, si estendeva per qualche tempo a tutto il paese prima di ripiegarsi per poi allargarsi di nuovo, come un cane che dorme.” Le sue nefandezze la rendono una spettrale terra di nessuno, dove il confine tra bene e male è sempre più labile e si confonde pericolosamente, scandito dall’eco degli spari improvvisi che arrivano dall’alto degli edifici sventrati. Alcune parti della narrazione, però, non risultano del tutto convincenti, come quella in cui, verso la fine, si organizza e si esegue la spedizione militare in montagna, pagine che, a mio avviso, catturano molto meno l’attenzione di chi legge facendo svanire la sottile magia delle parole di cui il romanzo, in particolare all’inizio, è intriso. Del resto, la guerra, quando la si vede da vicino, imbruttisce tutto e tutti; cos’altro dovremmo aspettarci? Speranza? Giustizia? Umanità? Di certo, non un epilogo felice.
Para leer este libro hay que tener estómago. Es una lectura muy dura, no por como está escrita, sino por lo que cuenta. Es la historia, narrada en primera persona, de un francotirador, del que no se dice el nombre en ningún momento, que lucha en una guerra civil, no se dice tampoco cuál. "Lo más importante es el aliento", dice. Sólo busca el tiro certero, a mujeres, niños,..., no importa. El francotirador se pasa mucho tiempo vigilando al bando contrario, al otro lado de la ciudad, a través de su mira; o de escaramuzas con su grupo por la montaña para recuperar pueblos invadidos. Sólo tiene dos amigos, su fusil y Zak. De noche vuelve a su casa, donde le espera sólo su madre, que no puede valerse por sí misma. Se ha vuelto loca. Es entonces cuando contrata a una joven, una niña de 15 años para que la cuide mientras está defendiendo el territorio. El tiro y esta niña, serás sus obsesiones.
No sé qué opinar de este libro. Está muy bien escrito, con frases certeras. Pero lo que cuenta es tan horrible... Te cala hasta los huesos y te deja una sensación de asco, no sólo por el tirador sino por la humanidad en general, que tardas en olvidar. Son cosas que querríamos no saber, para tener a salvo nuestra cordura, pero que están a la orden del día. Y eso es lo más espantoso.
Che scrittura! secca, luminosa, inesorabile. Non risparmia niente. Scrive quello che lui vede dal mirino, la prospettiva è schiacciata, claustrofobica, non c'è altro che la sua inquadratura, non ci sono alternative, possibilità. C'è un gelido susseguirsi di eventi che generano reazioni, emozioni?, incasellate anch'esse nel racconto di eventi. Lo schifo della guerra, l'orrore e il trauma di essere assassino a 18 anni diventano febbre, vomito e crampi, poi ti abitui. Il pensiero, forse il rimorso, diventa un fischio all'orecchio, basta sparare un'altra volta per farlo smettere. E a questa assurda, strettissima, inquadratura fa da contraltare l'universalità della guerra. Questa guerra non ha un luogo, perciò è ovunque, non ha un nome, è qualunque guerra, non ha fazioni, solo combattenti che sparano, che uccidono, che muoiono, che montano e smontano i turni, che non pensano, non criticano: eseguono, uccidono, torturano, violentano. E' tutte le guerre. Non ci dice mai per quale causa combattano, da che parte stiano. E questo allarga tutto, come se non ci fosse il soffitto nella stanza in cui leggi ma solo il cielo. Dice che è difficile immaginare come si ragiona in tempo di guerra quando c'è la pace e viceversa. Non c'è comunicazione tra i due stati di cose, tra i due mondi. dice che la guerra inizia per ciascuno in un momento diverso, per qualcuno è quando una granata uccide tuo padre nel suo negozio, per un altro quando il padre cade da un ponteggio e muore, per un altro quando arrivano i combattenti al villaggio e distruggono la tua casa. E come non c'è la data di inizio non c'è nemmeno quella di fine, non si sa se finirà mai questa guerra. Ci sono gli occhi di una madre, pazza, impazzita per la guerra e quelli di una ragazza di 15 anni a guardare questo combattente, loro sono testimoni di questa guerra, di questa violenza cieca, senza scopo e senza fine. La ragazza dice che sono loro, i combattenti, a creare la guerra. Lui le risponde che loro la guerra la fanno ma sono stati altri ad averla iniziata. Lei tace. E in questo scambio c'è tutto il libro, tutta l'insensatezza della guerra.
Mientras seguía las conversaciones de Andrei (de The Untranslated), Max Lawton y otros clavados de la literatura, descubrí un nombre que hasta entonces me era completamente desconocido: Mathias Enard. Mencionaban que una de sus novelas estaba entre las "más esperadas" para 2025, especialmente por su traducción al inglés. Esto me llevó a interesarme por este autor, así que me di a la tarea de buscar qué obras suyas estaban traducidas al español. Me asombraba no recordar haber visto sus libros en las librerías de México. La excepción fue el Péndulo de la Juárez, donde encontré La perfección del tiro.
Tras investigar más sobre Enard, descubrí que sus obras más celebradas son Zona y Brújula. Ambas estaban disponibles en Buscalibre, aunque a precios algo elevados. Aprovechando mi cumpleaños, decidí regalarme La perfección del tiro, una novela que, además de estar a un precio accesible, prometía una lectura distinta a lo que había explorado antes.
La guerra como metáfora de la vida
Mathias Enard se reveló como un escritor excepcional. Aunque inicialmente pensé que la trama de La perfección del tiro podría parecerse a películas como Enemy at the Gates (Annaud, 2001) o Jarhead (Mendes, 2005), la novela me ofreció una perspectiva única y profundamente humana sobre la guerra. Enard no se limita a narrar batallas o estrategias militares; en cambio, explora la experiencia íntima de un francotirador, un hombre cuya vida está marcada por la tensión constante de apretar un gatillo y la carga emocional que eso conlleva.
***Mi comentario completo próximamente disponible en mi blog: ninjavolador.
Der Anfang: «Das Wichtigste ist der Atem. Das ruhige und langsame Ein- und Ausatmen, die Geduld des Atems. Zuerst muss man auf seinen Körper hören, auf seinen Herzschlag, Arm und Hand ruhig halten. Das Gewehr muss zu einem Teil des eigenen Körpers werden, seine Verlängerung. Selbst das Ziel ist untergeordnet, wichtig ist die eigene Person. Man muss sich um den Platz kümmern, ob man sich auf einem Dach oder hinter einem Fenster befindet, ist egal, man muss die Stellung beherrschen, sie ganz vereinnahmen. Nichts stört mehr als eine Katze, die plötzlich hinter einem vorbeistreicht, oder ein Vogel, der auffliegt. Man muss ganz bei sich sein, nirgendwo sonst, das Auge am Fernrohr, den stählernen Arm aufs Ziel gerichtet, bereit zu treffen.»
Intensiv und gnadenlos erzählt Mathias Enard aus der Perspektive eines 20-jährigen Scharfschützen, wie er den Krieg erlebt. Reale Kriegsgewalt, die etwas mit den Kämpfenden macht, etwas in ihnen auslöst, sie verändert, verrohen lässt. Auf Konzentration kommt es an, auf Geduld und Atemkontrolle. An einem guten Tag reicht ihm ein einziger perfekter Schuss. Der Namenlose wohnt in einer Stadt, die belagert wird; und fast erscheint uns sein Job wie jeder andere. Morgens verlässt er seine demente Mutter, abends kehrt er heim oder er muss ein paar Überstunden schieben. Wenn er von seinem Posten auf dem Dach heruntersteigt, genießt er die Angst, die er verbreitet, wenn er durch die Straßen geht. Dies ist ein Kriegsroman, aus der Perspektive eines Soldaten, eines Snipers, der sein Selbstwertgefühl aus der Eleganz seiner Treffer zieht. Kalt berichtet der Erzähler von seinem Handwerk, dem Töten, und offenbart eine Wahrnehmung, in der die Verbindung zwischen gelungenem Schuss und ausgelöschtem Leben gekappt ist. Ein Kopfschuss aus 1500 m. Wo ist der Unterschied zwischen einem Auftragsmörder und einem Soldaten? Bezahlt werden sie beide für Töten.
«Der frühe Morgen ist die beste Zeit. Das Licht ist perfekt, es blendet kaum, nichts spiegelt. (…) Im Morgengrauen hatte ich einige meiner besten Abschüsse. Die Frau zum Beispiel, die sich in ihrem schönen Kleid, den Korb in der Hand, zu freuen schien, aus dem Haus zu gehen. Ich habe sie im Nacken getroffen.»
Präzise formuliert – Volltreffer – wie die Schüsse des Protagonisten. Der Ort der Handlung und die Gründe, die zum Krieg führen, sind völlig ausgelassen. Hier geht es nur um den Todesschützen, um seine eiskalte Beschreibung, teilweise wie aus dem Berichtsheft für die Berufsschule: «Man muss den Atem anhalten, den Finger am Abzug in einer unmerklichen Bewegung leicht krümmen, sehr sanft, ohne jeden Druck.» Und wir erfahren, was er denkt. Was er denkt, wenn er tötet. Er liegt auf einem Dach, auf einem Hügel, sitzt in einem Hochhaus und visiert sein Ziel an. Sein Gewehr nennt der Einzelgänger «kalten Kameraden». Es ist Krieg – er muss seine Kameraden schützen, die angegriffen werden oder sich im Angriffsmodus befinden. So weit so gut. Aber es lässt einem das Blut in den Adern gefrieren, wenn er zwei Gegner ins Visier nimmt, den einen tötet, den anderen in den Oberschenkel schießt. Der wird schreien und jemand wird kommen, ihn zu holen. Auf den wartet er. Er geht nach der Schlacht über das Feld, erledigt Feinde mit einem Kopfschuss, die verletzt sind. Und er tötet den angeschossenen Kameraden in einer prekären Situation, weil er ohne ihn bessere Chance hat, herauszukommen.
«Das Schießen ist wie eine sanfte Droge, man will immer mehr davon, immer schönere Treffer, immer schwierigere.» Aber Mathias Enard schildert nicht nur das äußere Grauen, koordinierte Abläufe, volle Konzentration auf das Ziel, das Abschlachten. Der Soldat geht parellel in sich hinein, beschreibt seine innere Veränderung: «Von einem Tag auf den anderen veränderten wir uns, ohne zu verstehen, was uns verändert hatte.» Aber nie stellt er den Krieg oder sein Handeln in Frage. Seit drei Jahren ist er Scharfschütze. Er greift in eine Vergewaltigung von Kameraden ein, doch gleichzeitig begehrt er die 15-jährige Myrna, die er engagiert hat, seine demente Mutter zu versorgen. Zunächst gibt es zarte Annäherungen zwischen den beiden, Kinobesuche. Doch dann kippt die Beziehung, und sie lebt in Angst vor ihm, spürt seine Gefühle, seine Unberechenbarkeit. Sie weiß um seine kaltblütige Gefährlichkeit, auch außerhalb des Kampfes. Er will Myrna beschützen – zugleich treibt es ihn an, sich auf sie zu stürzen, sie eifersüchtig auf jeden einzusperren. Emotionen zwischen Sehnsucht, Traurigkeit, Begierde und Wut; der Hunger nach Zärtlichkeit; Brutalität, die aufsteigt, weil sie sich ihm widersetzt. Stellenweise ist der Text kaum zu ertragen, skrupellos und berechnend. Doch dann zeigt der junge Mann Brüche in seiner Seele, wird menschlicher; immer, wenn er sich selbst reflektiert. «Man weint allein in seinem Bett. Doch das geht vorüber.» Ein Soldat, ein Getriebener; denn was er nie erwähnt, ist seine Einstellung. Warum steht er hier? Hatte er sich freiwillig gemeldet oder wurde er eingezogen? Andererseits wird durch diesen Schachzug jede Ideologie ausgeklammert, was den Roman umso präziser macht.
Das Buch ist schon zwanzig Jahre alt, es war Mathias Énards Debüt. Das Setting ist irgendwo. Die einzigen Hinweise, den der Lesende erhält: Hitze, abgelegene Bergdörfer und Lavendelbüsche – ein Ort des Südens. Ein zeitloses, eindringliches Antikriegsbuch! Krieg, bei dem Moral und Menschlichkeit abhandenkommt, Menschen verrohen – eben Krieg. Ein Roman, der durch den Ukraine-Krieg wieder hochaktuell wird. Posttraumatische Belastungsstörung (PTBS) durch Kriegserlebnisse, erlebte Gewalt, sind heute bekannt. Soldaten wie auch die Zivilbevölkerung sind betroffen. Krieg macht kaputt! Ein Roman zur Psychologie des Krieges, der Menschen verrohen lässt, der trotz aller Härte und Brutalität begeistert in seiner Intensität und Sprachgewalt. Eine literarische Perle, Empfehlung!
Mathias Enard, geboren 1972 in Niort (Westfrankreich), studierte Kunstgeschichte, Arabisch und Persisch, und lebt heute, nach längeren Aufenthalten im Nahen Osten, in Barcelona, wo er an der Autonomen Universität Barcelona Arabisch lehrt. Seine Romane «Zone» (2008) und «Erzähl ihnen von Schlachten, Königen und Elefanten» (2010) wurden mit zahlreichen Preisen ausgezeichnet.
Une guerre civile qui se déroule quelque part dans un pays de chaleur et de sable. Le personnage principal est tireur d’élite. Ce soldat se poste régulièrement sur les toits en se donnant le défi de perfectionner quotidiennement son tir en tuant des civils ennemis. Calme, appliqué, froid, il tue sans remord. C’est son travail et le travail bien fait le satisfait.
Devant s’absenter quotidiennement pour « son travail », il s’inquiète de laisser derrière lui une mère qui a perdu le contact avec la réalité et qui se fait de plus en plus incontrôlable. Il se résout à engager quelqu’un pour s’en occuper. Voilà qu’arrive Myrna, une adolescente de 15 ans. Autant, cette dernière fera naitre en lui une lueur d’humanité, autant leur relation sera complexe et teintée par la destruction civile et sociale environnantes.
Malgré le lourd contexte et la cruauté de la guerre, l’écriture est tristement vraie, vibrante et touchante.
es una locura de libro. El personaje principal es un francotirador de 18 años, su trabajo es “defender” la ciudad en la que vive, ya que se encuentra en guerra. Pero más que su trabajo, es su vida. Este hombre ama ser francotirador, ama -ahora si que- la perfección que requiere disparar y matar, le encanta que la gente le tenga miedo.
Al mismo tiempo, el personaje nos cuenta que vive con su madre, quien esta empezando a sufrir demencia, por lo que contrata a una niña de quince años llamada Myrna para que lo ayude a cuidar a su mamá.
Es muy fácil dejarse llevar por esta historia y, cuando menos te das cuenta, encontrarte totalmente sumergido en ella. El protagonista es un psicopatía que nos deja entrar en su retorcida mente y nos contagia de toda la ansiedad, horror, enojo y locura que tiene dentro de él.
Más allá de la insoportable violencia gratuita y de la banalidad absoluta de la guerra que aquí se retrata, no pude encontrar interés en los elementos narrativos. Lo que al principio atrapa -las descripciones detalladas de la estrategia del tiro, la búsqueda de belleza en el horror, la tensión moral del personaje (que al final resulta vacía)- más adelante agota. Encuentro contradicciones en la narración, demasiado frecuentes para pasar desapercibidas.
Para rescatar, el uso de algunos pincelazos poéticos y buenas metáforas en medio de lo grotesco.
"La carne si apre per lasciar passare la lama, fra due costole, un attimo ed è la vittoria su colui che senti ansimare contro di te. Nessuno dei due pensa, in realtà nessuno dei due è presente, siamo solo panico e strano coraggio brutale, nessuno attacca, tutti si difendono, quello che vogliamo, quello che desideriamo fin nel più profondo di noi stessi è il riposo magico dell'oblio e del sonno".
Finalmente ho avuto modo di approcciarmi alla scrittura di Mathias Enard, un autore che mi aveva sempre incuriosito e intimorito. Dopo aver letto queste pagine così dure e spietate posso dire di essermi completamente persa nelle sue parole, nel suo stile che ha la straordinaria capacità di farsi allo stesso tempo poetico e brutale, di raggiungere picchi di rara bellezza senza aver bisogno di artifici retorici, ma ricorrendo solo all'immenso potere evocativo delle parole, anche delle più semplici. Questo libro ti rapisce già dalla prima pagina con un incipit mozzafiato che lascia ben intendere quale sarà il tono di tutta la storia. Enard ci porta nella mente di un cecchino, un assassino asservito a una guerra senza tempo e senza nome perchè rappresenta qualsiasi guerra, qualsiasi fabbrica di morte che affligge il mondo e che oggi mi porta soprattutto a pensare a ciò che sta accadendo in Siria. Il conflitto, le bombe, la paura sono ovunque in queste pagine, eppure per quest'uomo la guerra è paradossalmente vita, è ciò che lo fa sentire forte, è l'adrenalina che lo fa svegliare la mattino, è il suo pane quotidiano, l'unica certezza in una vita sregolata che ha fatto emigrare suo fratello, sparire suo padre e letteralmente impazzire sua madre ormai dipendente da psicofarmaci. E poi c'è Myrna, una ragazzina di quindici anni che sembra portare luce nella sua buia esistenza, Myrna che diventa un'ossessione, che porta a galla la sua parte più torbida e disperata, Myrna che è l'ennesima vittima di un conflitto insensato. Enard ci fa vivere tutto con il fiato sospeso fino a un finale così struggente da far venire le lacrime agli occhi. Unica pecca per me la parte centrale dedicata alle azioni di guerra che ho trovato troppo lenta e un po' prolissa e che mi ha fatto un po' distrarre durante la lettura. Per il resto, assolutamente consigliato!
"Avevo la febbre, mi bruciava la fronte, stelle fredde e liquide mi scorrevano lungo la schiena, tra le coperte stringevo a me l'arma e lei mi riscaldava e mi raggelava, innescavo le sue viscere di molle che facevano soltanto un clac sordo e inutile e ascoltavo con l'orecchio incollato alla pancia di metallo il vuoto infinito di quel serbatoio di morte, la molla in fondo al caricatore inutilmente tesa verso l'alto, vuota, senza niente da dire a nessuno se non la propria nerezza sudicia di grasso."
Per quanto il paese protagonista della storia non venga mai nominato esplicitamente, nella mia mente era la Siria di oggi, sconvolta dalla guerra civile.
Il protagonista di questo breve romanzo è un giovane cecchino che, nella guerra, sembra trovare la realizzazione che gli manca in tutti gli altri aspetti della sua vita: sua madre è malata, il padre ed il fratello non ci sono più. E' completamente solo quando non abbraccia il suo fucile, un compagno fedele che non lo abbandona come sembrerebbero aver fatto tutti gli altri. La guerra ci viene raccontata con un volto nuovo: non è semplicemente qualcosa di negativo da cui allontanarsi a tutti costi, ma qualcosa che ci travolge e ci inebria, in qualche modo. Ne si diventa parte con il passare degli anni. Ci si abitua e ne si diventa dipendenti, proprio come accade al protagonista. Senza il suo fucile di precisione lui non è nulla. Ci fa paura, nel suo essere quasi inumano ma, allo stesso tempo, la quotidianità al di fuori del conflitto fa capire che è un ragazzo esattamente come tutti gli altri: non un mostro, ma qualcuno che è stato costretto a diventarlo.
Un flusso di coscienza che travolge il lettore nonostante si tratti di una storia estremamente dolorosa. La guerra come non l'abbiamo mai vista: non il male assoluto, ma il male accettato. La guerra come annientamento delle persone, incapaci di allontanarsi da essa, dopo aver imparato ad usare un fucile, ma non più in grado di amare, nonostante sia qualcosa che ci appartiene da sempre. La guerra che uccide ma che, soprattutto, ci priva della nostra umanità.
Das Buch beschreibt den Alltag eines Scharfschützen im Krieg. Es wird nie gesagt welcher, aber mir kam immer wieder der Bosnien- bzw die Balkan-Kriege der 90er in den Sinn. Das Buch ist äußerst schonungslos, geradezu brutal und wer auf eine Verurteilung von Krieg oder sinnloser Gewalt hofft, wird enttäuscht. Gerade das macht das Buch aber überragend: die kalte, ungebrochene Gewalt wirkt abschreckender als jede Moralpredigt. Für mich ein (Anti-)Kriegsbuch auf dem Niveau von Im Westen nichts Neues.
La trama è un po' fuorviante, visto che cita solamente il lavoro di cecchino del protagonista ed il rapporto con la madre malata. In realtà questo libro parla di un amore tossico e del disagio psicologico del protagonista dal quale questo rapporto malato nasce. In questo libro c'è tutto: guerra, amore e disagio. Il tutto raccontato in sole 180 pagine. Si tratta del secondo libro di Enard che leggo e devo ammettere che il suo stile sintetico mi piace molto. Penso che ne leggerò altri.
Es muy bueno y ese final me encantó. Solo diría que algunas partes se pierde el hilo de la historia o se repite pero siento que igual todo combina. Una historia muy interesante y llena de mensajes a mi parecer.
Omg finally first book in French I managed to finish god
I wanted to read this cause I had a short story idea very similar to this one and I was like ofc my good friend Mathias Énard would have the same idea anyway would recommend to all of the gun as a phallic symbol heads out there
Mathias Énards "Der perfekte Schuss" schildert in einer reduzierten, fast dokumentarisch kühlen Sprache die Innenwelt eines jungen Scharfschützen, der in einem zerstörerischen urbanen Krieg kämpft – wahrscheinlich irgendwo im Nahen Osten, aber letztlich überall dort, wo Krieg herrscht.
Der namenlose Ich-Erzähler ist 18 Jahre alt und beobachtet die Welt mit der Präzision eines Zielfernrohrs: emotionslos, analytisch, aus grosser Distanz. Das Schiessen überhöht er zu einer Kunstfertigkeit, zu einer Form ästhetischen Perfektion. Gefühle nimmt er hauptsächlich als Wut und Zorn wahr – alles andere scheint verschüttet. Selbst zärtliche Momente kippen rasch in Aggression.
In seiner Beziehung zu Zak, der ihn in das Kriegshandwerk eingeführt hat, und zur 15-jährigen Myra, die seine Mutter betreut, blitzen Reste von Empathie und Bindung auf – wie durch Risse in einem Betonpanzer.
Énard gelingt es, die Denkweise seines Protagonisten mit literarischen Mitteln präzise darzustellen. Die Sprache ist reduziert, die Perspektive bleibt konsequent die eines Täters. In der Kriegslogik wirkt diese Kälte rational, zugleich aber entfremdet von jeder Wirklichkeit. Der Roman verzichtet weitgehend auf moralische Wertungen und folgt ausschliesslich den Schlussfolgerungen, die sich aus dieser Perspektive ergeben.
Der perfekte Schuss ist in allem fokussiert, reduziert, verdichtet. Es geht nicht um politische Analyse oder historische Tiefe – sondern um das unmittelbare Erleben von Gewalt, innerer Leere und Zerrissenheit.
Le premier "ego shooter" de la littérature ? Un roman indispensable et bouleversant qui offre la possibilité de "voyager" dans l'âme de la guerre. Un livre qu'il faudrait donner à lire dans les écoles du monde, tellement il éclaire bien les ressorts de la violence, ses attraits, ses codes, ses leurres. De la trempe du Roman Sans Nom de Duong Thu Huong.
Un court et intense roman. Nous ne savons pas pour quel camp il se bat mais l'auteur nous fait entrer dans les champs de bataille que sont l'esprit (l'âme) du personnage.