Venticinque anni, bello come un Cristo e convinto che l'unica via per sopravvivere nel mondo sia un odio esercitato con calma e raziocinio, Marcello Croce è a capo di un movimento di estrema destra che annovera picchiatori, fanatici, ma anche teorici e figure dai tratti quasi metafisici – tutte accomunate dal fatto che, per loro, vivere è come trovarsi in guerra. Grazie anche alla connivenza con certi rappresentanti politici e alla condiscendenza con cui l'opinione pubblica, ormai, guarda a molti fenomeni legati al neofascismo, Croce porta avanti la sua idea di sovversione e, nel frattempo, frequenta Silvia, una donna della borghesia romana con la quale instaura un gioco di potere che li porterà alla perdizione. La vicenda è ricostruita da un narratore misteriosamente attratto da Marcello e curioso di capire che cosa muova coloro che, oggi, credono in un'idea superata e violenta e la vogliono attuare. Ma c'è di più. La storia di Silvia e della sua caduta era già stata raccontata nello splendido romanzo, rimasto allo stato grezzo, che Goffredo Parise scrisse alla fine degli anni Settanta, "L'odore del sangue". "Il Continente bianco" ne riprende temi e motivi, e sposta la vicenda ai giorni nostri, conservando nel rapporto morboso tra Silvia e Marcello la metafora potente del fascino che certe idee hanno esercitato, ed esercitano, sulla borghesia italiana. Andrea Tarabbia, autore di "Madrigale senza suono", scrive un romanzo sul potere, a volte funesto, che abbiamo sugli altri e ci regala un ritratto di un gruppo di persone – e forse di un Paese – che danzano sull'abisso.
Andrea Tarabbia (Saronno, 1978) è uno scrittore italiano. Ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi Il demone a Beslan (Mondadori, 2011; poi Bollati Boringhieri, 2021) e Il giardino delle mosche (Ponte alle Grazie, 2015, Premio Manzoni 2016 e Premio Selezione Campiello 2016). Nel 2012 ha curato e tradotto Diavoleide di Michail Bulgakov per Voland. Nel 2013 è uscito il racconto La ventinovesima ora (Mondadori Xs). Nel 2018, per NN editore, ha scritto Il peso del legno, un saggio narrativo con tema la croce. Ha curato l’antologia Racconti di demoni russi (Il Saggiatore, 2021). Con Madrigale senza suono (Bollati Boringhieri, 2019), ha vinto la 57esima edizione del premio Campiello. Vive a Bologna con la moglie e i due figli.
In questo romanzo di Andrea Tarabbia, un personaggio, di nome di 'Andrea Tarabbia', va da uno psicoanalista, di nome Filippo, che ha una moglie, di nome Silvia, la quale fa all'amore con un fascistello bello e pericoloso che alla fine la uccide. E no, questo non è uno spoiler: la morte di Silvia viene rivelata praticamente a pagina 2. E, del resto, come potrebbe esserci spoiler alcuno in questo romanzo, dal momento che si tratta di un remake? La storia dello psicoanalista Filippo, di sua moglie Silvia, dell'amante fascistello e del tragico epilogo, infatti, era già stata raccontata nel romanzo postumo di Goffredo Parise, L'Odore del sangue. Tarabbia, con il suo Continente Bianco, si propone di completare e 'complementare' il romanzo di Parise. L'azione si sposta dunque ai giorni nostri (ché tanto Roma non è cambiata affatto; al massimo è peggiorata qua e là, ma nulla di che) e l'autore, per giunta, ci si mette dentro, si intromette nella trama, trasformandosi in un personaggio che ri-racconta da un altro punto di vista ciò che era già stato raccontato decenni prima.
L'idea di partenza è senza dubbio interessante e offre numerosi spunti di riflessione. Il primo, che è poi anche il più ovvio, se non un tantino retorico, riguarda l'"attualità dei classici", specie dei "classici dimenticati" (ovvero dei classici della letteratura italiana, che hanno avuto la sfortuna di essere stati scritti per un pubblico di lettori aprioristicamente esterofilo, nonché distratto e dalla memoria corta), che ci parlano del presente anche quando nessuno li ascolta più da un pezzo. Riflessione condivisibile ma, come dicevo, anche un po' retorica. Ma c'è anche un secondo ordine di considerazioni, implicito nelle prime pagine del romanzo e relativo alla vexata quaestio del rapporto fra letteratura e vita. Il Continente Bianco, infatti, aggiunge un ulteriore twist alla spinosa questione: non si rischia forse il cortocircuito estetico-esistenziale, quando non c'è altra vita al di fuori e al di là della letteratura? quando tutto ciò che si è vissuto proviene dai libri?
Tarabbia, scrittore colto e intelligente, offre idee e spunti validissimi. Il prodotto finale, purtroppo, lascia parecchio a desiderare. Laddove le prime pagine sono cupissime, tetre, con una Roma crepuscolare e malvagia piena di oscurità e presagi animaleschi, il resto del romanzo scivola ben presto nei cliché, se non nel ridicolo involontario. Tralasciando l'incredibile rapporto fra il protagonista e lo psiconalista Filippo ('incredibile' nel senso di 'niente affatto credibile'), sorvolando sui dialoghi da fiction, il racconto in prima persona del personaggio 'Andrea Tarabbia' si ingarbuglia e diventa praticamente impossibile nel momento in cui riferisce episodi ai quali lui, 'Tarabbia', non poteva aver assistito. A quel punto è tutta un'arrampicata sugli specchi, con la voce narrante che specifica chi e quando gli avesse riportato quei fatti, come e perché fosse a conoscenza di quell'altro episodio, eccetera eccetera. Il risultato è forzato, legnosissimo, poco spontaneo. Ma il colpo di grazia al lettore viene dato dalla storia del gruppo di fascistelli radicalizzati con cui 'Tarabbia' entra in contatto. C'è Marcello Croce, il (a quanto pare) bello e maledetto amante di Silvia; c'è uno che si fa chiamare 'il tedesco' e che tedesco non è, che sarebbe 'er capoccione' del gruppo; poi c'è una specie di gigantesco macellaio tutto muscoli e niente cervello; e c'è anche una specie di punkettona coi tatuaggi; compaiono qua e là altri vari ed eventuali (tipo, alcuni rumeni fasci che entrano in scena e poi subito escono e non si sa mai più che fine fanno). Questi scappati di casa, che formano la società semi-segreta del 'Continente Bianco', non sono mai troppo violenti, non sono mai veramente perversa, non fanno mai davvero paura. Non inquientano, al massimo infastidiscono. Per esempio, una volta distruggono il negozio di un immigrato, che per giunta viene pure pestato a sangue, ma in fin dei conti ci fanno la parte dei codardi a mettersi in dieci contro uno solo e secco, tutto pelle e ossa. Un'altra volta, un paio di loro minacciano una 'zecca' di qualche centro sociale. Episodi sparuti, dall'effetto complessivo molto blando. Manca un vero scavo psicologico. Manca un approccio sociologico più complesso, più 'di polso'. Se questo romanzo voleva essere una denunciare sulla minaccia del neo-fascismo, allora dipingere i neo-fascisti come un mucchio di birbanti da prendere a schiaffoni in faccia per essere rimessi in riga non mi ha fatto sentire molto 'minacciato'.
In fondo, anche l'idea di partenza, cioè quella di 'riscrivere' L'Odore del Sangue di Parise, viene ridotta a semplice pre-testo e non viene realizzata in tutta la sua potenzialità. Che cosa motiva realmente Marcello Croce? Da dove deriva il suo fascino perverso (che a me, onestamente, non è pervenuto, visto che tutto questo charme del personaggio non l'ho proprio notato)? Perché ha deciso di uccidere Silvia? Non è dato di sapere. In pratica, Il Continente Bianco riprende una storia 'aperta' e la lascia così, aperta, senza manco provare a socchiuderla un poco. Ma allora che senso ha avuto, tanto per cominciare, riprendere quella storia?
In definitiva, c'è qualcosa che mi disturba profondamente in quello che considero un romanzo promettente sulla carta ma fallimentare nel suo svolgimento. Qui non siamo davanti a un romanzo 'riuscito male'. Piuttosto, siamo davanti a un romanzo di Andrea Tarabbia che non sembra neppure uscito dalla penna sensibile e raffinatissima di Andrea Tarabbia. Un sospetto di cosa sia successo ce l'ho ed è questo: Tarabbia ha messo l'idea, poi qualcuno (la casa editrice? qualche cattivo consigliere?) lo ha convinto a scrivere tutto e subito, di getto, il più in fretta possibile. Il Continente Bianco è infatti uscito poche settimane dopo dalla caduta del governo Draghi e poche settimane prima dalle elezioni che davano per vinti i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. Un periodo, insomma, dominato dai discorsi sulla minaccia dell'ascesa dei neo-fascisti. Il Continente Bianco, con la storia di un pugno di balordi nostalgici, sembrava il libro giusto al momento giusto. Ma non era un libro che doveva scrivere Tarabbia: a lui, in fondo, interessava confrontarsi con L'Odore del Sangue e con Goffredo Parise, non commentare l'attualità. Proprio perché Tarabbia è uno scrittore vero, non merita di inseguire la più becera contemporaneità nella speranza di far cassa.
Di perdonare, quindi, lo perdono. Ma che non si ripeta mai più!
“...un ragazzo che ho conosciuto per strada». Goffredo Parise, L’odore del sangue”
Andrea Tarabbia è uno dei migliori scrittori italiani vivente. Il suo stile lo avvicina più a uno scrittore straniero. Con Il continente bianco vuole ripescare il grande romanzo italiano
“Per molti anni mi sono arrovellato attorno al mistero di un certo grande romanzo italiano, L’odore del sangue di Goffredo Parise, opera incompiuta e dunque imperfetta, scritta da un uomo malato e già debole eppure, o forse proprio per questo, lirica, violenta, a suo modo definitiva. Potrei dire che si tratta di uno dei libri che avrei voluto scrivere, ma ovviamente non avrebbe molto senso: è già stato scritto, può soltanto essere riletto. Ma in un giorno imprecisato pensai che, in fondo, un libro è, al pari degli avvenimenti della nostra vita o della Storia, un documento, una memoria, come direbbero alcuni un “dato di fatto”.”
Il libro è ben scritto, ma c’è qualcosa che non ha funzionato: a me hanno dato fastidio i salti temporali. Forse però questo stridore è voluto: dobbiamo ribadire con tutte le nostre forze l’antifascismo perché il neo fascismo non prenda piede.
“Una guerra è in arrivo. Tu da che parte stai? Ciò che mi colpì non fu tanto il messaggio, quanto l’immagine che le faceva da sfondo: una elaborazione grafica della Zattera della Medusa. Poteva trattarsi di un travisamento del senso del quadro, di una fascinazione rubata a qualche gruppo metal, ma resta il fatto che chi aveva pensato al volantino e a questa guerra in arrivo aveva pensato che Géricault fosse l’immagine più appropriata per illustrarli. In basso, al posto della testa ricciuta di quella figura che giace prona, senza dubbio priva di vita, e sulla quale un ragazzo nero sembra aver finito di piangere da poco, c’era uno stemma, che mi diceva che quello che avevo osservato per tutto il tempo non era semplicemente un gruppo di amici, ma qualcosa di organizzato, o che immaginava di darsi un’organizzazione. Si facevano chiamare Continente bianco”
Come tutti i libri di Andrea Tarabbia, anche in questo prende il male per le corna e mette su carta, nero su bianco, perché il lettore arrivi a comprenderlo, per non riprodurlo. L’intuizione che ha avuto è stata ottima… forse ha avuto poco tempo per scriverlo… ecco perché manca qualcosa e non è potente come gli altri suoi romanzi… non mi resta che recuperare L’odore del sangue di Goffredo Parise
“Il romanzo che avete letto è basato sull’idea della riscrittura come pratica, a volte fallace, della memoria; è dunque ricco di citazioni, rimandi e perfino di riscritture di passi di opere del passato, a volte consapevolmente rigirate e travisate: tra queste, ovviamente, L’odore del sangue di Goffredo Parise, ma anche Il campo dei Santi di Jean Raspail, Esodo di Dj Stalingrad, La superficie di Eliane di Luigi Malerba, Adriano Romualdi alle radici dell’Europa e I protocolli di Sion tra letteratura e storia di Gianluca Casseri; contiene anche citazioni più o meno nascoste, ma disseminate nel testo in modo tale da costituirne il midollo, dai Vangeli, e poi da Melville, Dostoevskij, Malaparte, Rosselli, Martone, Piovene, Camon, Mishima, Pasolini, Sábato, Lombroso, Pratolini, Servadio, Franchini, von Horváth, GonzálezCrussi e molti altri e altre di cui non avrebbe senso fornire un elenco completo, perché io stesso non sarei in grado di compilarlo.”
Proposto da Daria Bignardi al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione: «È un romanzo forte, elegante, complesso, sul fascino del male ma soprattutto sul fascino della letteratura e dello scrivere. La storia di Silvia, la moglie perduta del dottor P. rubata a Goffredo Parise dell’Odore del sangue e reinventata con un’operazione raffinata e – mi viene da dire – pericolosa quanto affascinante, da Andrea Tarabbia, penso meriti l’attenzione del Premio. È un libro sul Male che fa male non solo per gli ambienti estremi e i personaggi bui e contorti che evoca, anzi, decisamente non per quelli, ma per come una storia scritta tanti anni possa rimanere viva, pericolosamente viva, quando a guardarla, a rileggerla, a tornarci dentro, è uno scrittore letterariamente audace come Tarabbia. Ecco, è questo soprattutto che mi ha colpito di questo lavoro originalissimo anche nella struttura: è vivo come un animale pericoloso, come il serpente che segue il narratore all’inizio del libro. Ho scritto molte volte la parola pericolo, me ne rendo conto, ma è la parola che meglio esprime la sensazione che mi ha lasciato questo romanzo e che vorrei condividere coi lettori giurati dello Strega, anche per affrontarla e comprenderla insieme.»
… chi può fuggire, fugge; ma chi rimane, qualunque sia il motivo per cui rimane, ha soltanto due possibilità: se si lascia andare, muore; se odia, se trova un nemico e lotta, vive.
Come dice il Dottor P*** “il fascino è pericoloso”. Anche quello di chi attrae verso contemporanee (ed ahinoi eterne) idee di onnipotenza, raccogliendo seguaci tra chi cerca solo un nemico cui addossare la colpa del proprio male.
Premesso che è la riscrittura del romanzo "L'odore del sangue" di Goffredo Parise, ho trovato la scrittura barbosa.
Alcuni episodi -per sentito dire-, il rapporto tra l'io narrante e lo psicanalista, la banda di fascistello sbalestrati, tutto cio' manca di verosimiglianza.
L'unico, ad emergere, è il carisma di Marcello. Credo, però, che recupererò il Parise "copiato".
Non mi ha particolarmente entusiasmato…anzi. Della scrittura salvo le descrizioni ambientali, molto suggestive. la trama a mio parere non è stata così avvincente come dalle prime pagine pensavo potesse diventare. Peccato
Mah. Libro squilibrato e abbastanza inutile. Tutta la vicenda risulta finta, caricata, brutta. Non capisco sinceramente come sia entrato nella dozzina dello strega.
Sulla carta e dalle interviste all'autore questo libro aveva secondo me grandissime potenzialità e speravo fosse il libro per cui avrei fatto il tifo allo Strega. Invece è stata una grandissima delusione. Non c'è alcuna profondità in personaggi che potenzialmente potrebbero essere indimenticabili, ma che vengono ridotti a macchiette. Il narratore per l'ennesima volta nel panorama letterario italiano coincide con lo scrittore (per finzione in questo caso, ma è come se i nostri autori non fossero proprio in grado di rinunciare a essere i protagonisti), ma in nessun momento è un personaggio di qualche spessore, è lì, non fa nulla, non interviene, è soltanto testimone e date le vicende raccontate risulta totalmente incredibile. A tratti mi sembra che non ci sia neanche il tentativo di sezionare i temi atavici che la storia serve su un piatto d'argento, ma mi sembra soltanto una carrellata di avvenimenti fortemente stereotipati. Un libro trascurabile, di cui salvo le buone intenzioni dichiarate e l'omaggio a Goffredo Parise.
Un crescendo, che termina dove è iniziato, ma lasciando addosso sensazioni pesanti di paura, inquietudine, anche angoscia. Personaggi reali, in una Roma reale e deserta, ma che si muovono quasi come in un film distopico (ahimè nessuna distopia). Crudo, molto, come cruda è una realtà che non si vorrebbe mai sentire raccontata. Spero entri nella cinquina dello Strega, la merita
Ho mollato a metà. Mi procurava, dal un lato, un tedio indicibile continuare (come già in Madrigale senza suono) e dall'altro un'enorme mancanza dello scrittore che ha mi ha fatto leggere Il demone a Beslan o Il giardino delle mosche. Che peccato.
Andrea Tarabbia, affascinato dal bel Marcello Croce, decide di entrare a far parte de "il Continente Bianco", per cercare di comprendere le idee di violenza e odio alla base di questo gruppo neo-fascista. Le cose però prenderanno una brutta piega, fino ad un epilogo oscuro e sanguinoso.
Un libro che parte bene, anzi benissimo. Ma che si perde nel nulla. In una Roma tetra, fra sguardi foschi e carichi d'odio, ci prepariamo al peggio, ma restiamo a mani vuote.
La penna di Tarabbia è sensibile e ricercata, la sua prosa è pulita e sicura, sa come colpire nei punti giusti, ma lo sviluppo della storia sembra troppo affrettato, poco approfondito, poco sentito.
Marcello è "bello come un Cristo", ma opaco e senza carisma.
Peccato, perché la storia poteva dare tanto (fascismo e neo-fascismo; società moderna e passata; personaggi carismatici che stravolgono le vite delle persone; la stessa fine di Silvia, che non viene spiegata sul serio), e alla fine ci lascia l'amaro in bocca.
.Partendo dal presupposto che un libro sia, al pari di qualsiasi altro evento, un "dato di fatto" e come tale aperto alle riletture, l'autore ci avverte di aver cercato (invano, sostiene) di penetrare nel segreto di uno in particolare, "L'odore del sangue" di Goffredo Parise, entrando, per così dire, da un accesso laterale, da ciò che gli è parso incompiuto o lasciato volutamente aperto. Ritroviamo così gli stessi personaggi di Parise, la coppia di cinquantenni romani alto- borghesi con la loro noia e povertà esistenziale e l'amante di lei, un venticinquenne legato agli ambienti di estrema destra, che nel romanzo di Tarabbia ha un nome, Marcello Croce. Poi però avviene un ribaltamento dei punti di vista: il narratore non è più Filippo, come in Parise, ma Tarabbia stesso, che compare nel romanzo con il suo nome in veste di personaggio, all'inizio paziente dello psicanalista Filippo, ma ben presto suo confidente, in una sorta di rovesciamento di ruoli. Il personaggio Tarabbia si lascia attrarre, in una maniera irrazionale ed oscura, da Marcello Croce e dal mondo da cui proviene: il gruppo eversivo che si fa chiamare "Continente Bianco", intuendo forse che ciò possa divenire il terreno di coltura di una "storia”. E infatti di qui, diciamo, ha inizio la linea narrativa autonoma del romanzo, che tuttavia procede in parallelo alle vicende narrate da Parise, da cui vengono tratti episodi, snodi narrativi, interi dialoghi ( questi ultimi, a mio avviso, inseriti un po' forzatamente nel contesto come "corpi estranei" che ne determinano una certa discontinuità). Attraverso ambienti spettrali, luoghi degradati e semiabbandonati, Tarabbia viene introdotto nel cuore del Continente Bianco, divenendone testimone e narratore "ufficiale", in una sorta di personale "discesa agli inferi" che lo conduce alle radici dell'orrore e della violenza, all'odore del sangue, alla crudeltà cieca e brutale. Molti i rimandi, i simboli, i correlativi oggettivi alla ferocia animale ed umana, al male assoluto e gratuito: ci sono gli animali, mostri, come il figurante, o vittime, come il cane dei bengalesi, scagliato a morte contro il muro in una scena che, nella sua inesprimibile crudeltà, mi ha ricordato il gatto seviziato nel film "Novecento", come il piccolo zoo nei barattoli di etanolo, o come la cagna Ilse, complice inconsapevole ed innocente della mostruosità umana. C'è la carrellata di teorie deliranti delle " migliori menti" del pensiero di estrema destra, e soprattutto c'è Marcello Croce, un moderno Stavrogin, simbolo del fascino del male, che spinge Silvia, la sua amante, in una spirale di degradazione ed abiezione sino al sacrificio di sé. Ecco, forse c'è un po' troppo in questo romanzo, mentre qualcosa manca: una direzione che ci consenta uno sguardo di insieme, un tracciato chiaro che tenga uniti i vari elementi e che costituisca il nerbo della storia. Non c'è, secondo me, rigore narrativo, bensì una simbologia ricca, ma un po' dispersiva, una narrazione che interseca vari piani finendo per essere frammentaria, e che pertanto non giunge a compimento. Che cosa muove davvero gli uomini del Continente Bianco, cosa vogliono, e cosa ci fa il personaggio Tarabbia in mezzo a loro? In conclusione il libro mi ha lasciato con queste domande, a cui non ho trovato una risposta del tutto convicente.
Sarà che sono un po’ di parte perché sono molto preso dal tema trattato in questo libro, ma ho apprezzato ogni singolo capitolo, ogni singola pagina e ogni singolo paragrafo. Una storia che definirei affascinante e coinvolgente. Che ti attrae irresistibilmente. Tratta di attualità nel modo più semplice che esista: quello della quotidianità; una monotona routine però spezzata da un piccolo evento che cambia completante la vita del narratore.
La caratterizzazione dei personaggi è precisa ed efficace per ognuno di essi, dal primo all’ultimo. Ognuno di loro ha delle peculiarità che raccontano aneddoti e lati nascosti su di essi ma non necessariamente specificati dallo scrittore.
Nota di merito per il finale, nulla di scontato e a tratti surreale. Una degna conclusione di quello che è, per lo meno a mio modo di vedere, un capolavoro.
È necessario coraggio per affrontare “Il continente bianco”. Si rischia di scoprire che è molto più vicino di quanto si possa pensare. Si rischia di scoprire che oltre alla declinazione fascista è un racconto del fascino, più precisamente di quello legato al male. E che chiamarsene esclusi è semplicemente la via più semplice.
Probabilmente è tutto voluto, ma i tanti, troppi cliché e la molta violenza hanno reso la lettura pesante. Del millantato fascino pericoloso di Marcello non mi è arrivato nulla, mentre Silvia è la classica donna ricca e annoiata, che dovrebbe essere intelligente. Not my cup of tea.
È la storia in prima persona, di uno scrittore che si lascia sedurre da un movimento para-politico violento e razzista, e vive tra le sue fila per qualche tempo, abbastanza per divenirne lo storico e il cronista, per narrarne origini e tragico finale. A questo si intreccia il suo rapporto con lo psicanalista, e quello di quest' ultimo con la moglie Silvia. La trama è ricca, piena, ti esplode tra le mani, ma quello che sorprende è che non divora la forma, che resta pulita, elegante ma senza formalismi, schietta, sincera e affascinante. È un libro insolito, per tutti i miei standard, perché fonde tratti di giallo alla politica, perché è attuale, non parla di sentimenti ma di fatti, atroci, da fare venire i brividi. Ho fatto fatica ad apprezzarlo, inizialmente. Ho interrotto la lettura per diversi giorni, dopo la descrizione di un atto particolarmente violento, crudo (e quindi ben scritto, mi sembra appunto di averlo vissuto). Ma le ultime 120 pagine sono praticamente indivisibili. Quando finalmente si inquadrano i personaggi, o forse no ma per lo meno si simpatizza con qualcuno di loro, non lascia scampo: l'ho divorato in poche ore, affamata. E forse è stato complesso, ma non sempre ciò che non è immediato non è bello. Non sempre tutto deve essere bello, del resto: il male esiste, e non guardarlo non lo elimina dal mondo. Forse il messaggio è proprio qui: quante cose brutte ci vivono a fianco senza che le notiamo, quante cose belle ci si nascondo in mezzo. E io, alla fine, questo libro l'ho trovato bellissimo.
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Forse con Tarabbia io non riesco ad essere imparziale perché ha una scrittura talmente affascinante che riesce sempre a rapirmi e farmi sua. Anche quando la trama un pochino vacilla, come in questo caso. Non ha quel focus ben piazzato come i precedenti libri, eppure c'è quel qualcosa che senti che é ben calibrato e non riesci a staccare mai il pensiero dal testo anche mentre fai altro. Forse sono i personaggi, forse é la scrittura, forse é lo stesso focus non centrato, forse é il tutto messo insieme. Rimane il fatto che Tarabbia é l'unico Italiano contemporaneo che tollero di leggere, e secondo me rimane sempre troppo poco considerato.
Mi aspettavo un libro sull'Antartide e invece ho beccato un libro sui fascisti, sullo squallore della violenza e il fascino che nonostante tutto esercita su certe persone. Scritto bene, lungo il giusto, con quella attrattiva tipica delle storie che fanno finta di essere storie accadute realmente, e che lasciano appesi a domandarsi quanto ci sia di vero e quanto no. Ripeto, niente Antartide :c
"L’odore del sangue, romanzo scritto alla fine degli anni Settanta da Goffredo Parise, è l’opera da cui Andrea Tarabbia prende spunto per dare vita a qualcosa di nuovo e originale: un racconto perfettamente calato nella nostra epoca, il cui protagonista è il cosiddetto Continente Bianco. Si tratta di un’organizzazione parzialmente strutturata di stampo neofascista, costituita prevalentemente da italiani in attesa di una guerra imminente, imbevuti di valori ormai obsoleti, eppure ai loro occhi capaci di riportare equilibrio ed equità in un mondo allo sbando. Il libro arrivato nella dozzina del Premio Strega 2023, Il continente bianco per l’appunto, è stato pubblicato da Bollati Boringhieri e rappresenta senza dubbio uno degli esperimenti più interessanti del panorama letterario contemporaneo. La storia è raccontata in prima persona dallo stesso Andrea Tarabbia, il quale si cala nel proprio libro come un protagonista a tutti gli effetti e al contempo un osservatore: al lettore trasmette non soltanto ciò a cui assiste – ovviamente attraverso un riuscito escamotage narrativo che fa sembrare il tutto alquanto realistico e autobiografico – ma anche ciò che sente e vive in prima persona. Perché entrare in contatto con realtà del genere, se lo si fa con cognizione di causa e senza pregiudizi, significa mettere in discussione un intero sistema valoriale, sforzarsi di vedere il mondo da un punto di vista diverso, magari prendere in considerazione visioni della vita all’apparenza estreme, eppure non surreali".
(libro letto per documentarmi/confrontarmi per una cosa che sto scrivendo)
Un libro fatto di tanti doppifondi nascosti gli uni negli altri. Un po' è un pastiche, un riciclo di altre cose letterarie, come dichiarato dall'autore stesso in coda, che cita pure le fonti, tutti piuttosto ricercate e intellettuali tra l'altro; un po' è, si intuisce, riscrittura anche abbastanza ombelicale di esperienze o, soprattutto, viaggi mentali dell'autore stesso, suoi vagheggiamenti irrealizzati; un po' è una serie di scene quasi slegate tra l'onirico e il surreale, fatte di locali buî, corpi offesi, esercizio della violenza e trasgressione sessuale. E infine c'è quello che darebbe il titolo al libro, questo Continente Bianco, organizzazione di estrema destra dedita alle cose tipiche dell'estrema destra, quindi discorsoni contro il materialismo e per lo spirito e le tradizione e poi spedizioni punitive contro stranieri e zingari. Ma quest'ultimo aspetto, quello più politico, quello che, se si vuole, sarebbe il più realistico, il più concreto, si perde anch'esso nelle nebbie in cui vagano, come iceberg galleggianti, le altre facce di questo breve romanzo. Un romanzo che forse non sa bene cosa vuole essere, ma non è un problema, perché si fa leggere e a suo modo qualcosa riesce a smuovere nel lettore, anche se forse avrebbe meritato in più passaggi uno stile meno dimesso e più vigoroso per imporre meglio le sue visioni e le sue provocazioni ed evitare un certo rischio d'anonimato.
Un romanzo molto crudo, sulla discesa negli inferi da parte di uno scrittore che entra in contatto con un gruppo nazifascista, chiamato il Continente Bianco a seguito di un fortuito incontro con Silvia, moglie del suo psicoterapeuta e Marcello Croce, giovane esponente di estrema destra che ingenererà in lui una fascinazione subdola e perversa. Il romanzo è una riscrittura dell'incompiuto L'odore del sangue. Si tratta di un'indagine sul male, dentro il male, su un rapporto di amore/ossessione tra una donna borghese di mezza età e un giovane borgataro estremista. La fascinazione per il male, pare dire Tarabbia, esiste in ognuno di noi. L'attrazione verso la sofferenza altrui, il dolore e l'estrema dipendenza che si crea può annidarsi anche nell'animo più quieto. Il romanzo è molto crudo, netto, con scene vivide di sesso e violenza, forse non adatte a tutti. Nonostante questo la lettura è scorrevole e mai stucchevole. Un romanzo difficile ma che vale la pena di essere letto!
Reality, simulazioni, deep-fake, metaverso: il concetto di realtà, già abbastanza in difficoltà nel secolo scorso, sta vedendo negli ultimi vent’anni un momento di crisi di identità ancora più forte e inesorabile. Un problema che coinvolge ancora di più la letteratura: se molti autori si sono rintanati nel memoir e l’autofiction, convinti che giocare a scacchi con il reale sia l’unico modo per esprimere e far esperire la propria verità, tanti altri non vogliono abbandonare la forma romanzo e si pongono il problema di come raccontare il mondo di oggi e la storia recente, il passato prossimo che ancora non abbiamo storicizzato.
Un libro che sa descrivere quei gruppi di estrema destra fin troppo bene con delle scene da brividi. Mi ha dato l'ennesima conferma che questi gruppi sono composti da gente ignorante e disposta a trovare qualsiasi scusa pur di non affrontare il proprio fallimento personale. Non è mai colpa loro, ma è sempre per colpa di altri (gli stranieri, il governo che cerca di integrarli o le persone che cercano di combattere il razzismo) se loro falliscono o sono reietti. Scrittura un po' cruenta e non sempre scorrevole secondo me
Marcello Croce è ciò da cui voglio identificarmi il più lontano possibile come modello di uomo: fascista, narcisista, manipolatore, crudele e ignorante. Il fatto che una persona del genere possa riscuotere successo e ammirazione mi dà il voltastomaco.
Eppure posso comprendere il perché si possa essere ammaliati da un personaggio del genere: il fascino del proibito, il "noi contro di loro", il farti sentire importante prima e trattarti male dopo
Gran parte del libro ruota intorno al fascino di Croce ma è un fascino incomprensibile. L’arancia meccanica di Burgess è violenza linguistica prima ancora che sociologica/estetica. Qua invece viene da chiedersi cosa ci sia di speciale (se non in questi guizzi “elettrici” dello sguardo di Croce, che non vediamo) in questo personaggio. Libro che lascia tante ombre. Tanta maestria invece, quasi Dostoevskyiana, nelle ambientazioni. Il Baby jar, la Barbuta, Roma in generale.