Manuela ha quarantacinque anni e una vita come tante, alle prese con il lavoro, il marito, i figli, i suoceri. Sua la voce narrante di questo intenso romanzo, una voce che colpisce da subito perché chiara, energica, sfaccettata, ironica. Manuela all’inizio di questa storia deve fare i conti con una diagnosi di malattia, la prima scintilla di un incendio devastatore che travolge il matrimonio va in crisi, la figlia adolescente si allontana in una sua personale ricerca di identità, il figlio più piccolo sembra prigioniero delle sue difficoltà scolastiche, e dal passato riemerge il dolore per la perdita di un bambino mai nato. Sullo sfondo, i fantasmi provenienti dal complicato retaggio quella di Manuela è una famiglia «diversa», ma nella sua diversità simile a tante del nostro tempo. Una famiglia di ebrei italiani che rilegge strutture antiche alla luce della propria fragilità, alle prese con la malattia ma anche con la crescita, che rivela nella sua peculiarità meccanismi universali di una sfida molto contemporanea. Solo accettando le ambivalenze, imparando ad aprirsi alla gioia e al dolore nella loro intensità, riuscirà a dire che la vita forse non è sempre facile ma che è il nostro e soprattutto che è unica e insostituibile. Che è preziosa, nonostante tutto.
Quando inizi una storia vai in cerca di guai, si legge nell'incipit. Vale per chi scrive e per chi legge. Da estate a estate con Manuela, nel corpo di Manuela. Le emozioni più forti, amalgamate in una sorta di gioia musicale come in una ballata di De André, sono inserite in una cornice di riferimenti culturali profondi illuminati di umanità e che nei fatti parlano di fiducia e di amore. Che forse sono la stessa cosa o partecipano della stessa natura. "Ho capito che non c'è solo il peso del giudizio, il muro che arresta la corsa, l'adattamento a un'immagine imposta dagli altri o la costrizione a rimettere sempre in scena la stessa antica sofferenza. Esiste anche la libertà della rinascita." È un percorso umano e intensamente spirituale, scritto in maniera sciolta e piacevole, con occhiate di humour, quella capacità di reagire alle noie quotidiane con divertito buon senso che rende possibile vivere, piacevole apprendere. È bello. È proprio una bella storia e un bel romanzo.
Arrotondo per eccesso, perché questo libro ha il grande merito di essersi rivelato la lettura giusta al momento giusto: una notizia sconvolgente come quella di una malattia potenzialmente letale è la miccia che fa divampare le fiamme su un'esistenza apparentementa tranquilla, rassicurante nella sua ordinarietà piccolo borghese.
Invisibili ma impalcabili braci avvolgono la casa e il cuore dell'io narrante, una donna acuta e oblativa che non smette di interrogarsi sul suo ruolo di moglie, madre ed amica.
Davvero difficile non immedesimarsi quando si vive un periodo no - su altri fronti, grazie ai numi - e metà delle domande senza risposta della protagonista, flashback su traumi del passato, dinamiche amicali e familiari sono anche le tue.
Giudizio tecnico finale: psicoterapia scritta a prezzo interessante
Una scrittura potente, come nel precedente Forse Mio Padre. Qui allunga la distanza e colpisce con meno violenza. Non per questo sempre facile da mandare giù. Comunque molto difficile da mettere giù. La malattia fa emergere un confronto/conflitto su più livelli (madre, scrittrice, donna, figlia, ebrea), con la propria identità cristallizzata. Il rifiuto temporaneo della necessità di evolversi nel corso della vita, di adattarsi darwinianamente alle mutate condizioni ambientali è giustificato dalla bolla temporale della malattia, ma poi... Laura Forti indaga e alfabetizza le emozioni cogliendo le sfumature appartenenti ai diversi contesti.