"Cerca di passarci sopra, dai. Non dovevi vestirti così. Potevi dire no. Lo stupro è un'altra cosa. Perché non hai denunciato? L'ha uccisa in un raptus di gelosia. Sei troppo aggressiva." Non c'è donna che non si sia mai sentita rivolgere parole come queste. Parole a cui ci si abitua, tanto sono consuete. La violenza che contengono non ci stupisce, al massimo produce un groppo alla gola a cui non si riesce a dare spiegazione. E più queste parole diventano quotidiane, più si rischia di adottare lo stesso sguardo misogino sul mondo. Del resto, questo linguaggio non appartiene solo alla nostra quotidianità - il mondo reale e i social media - ma permea anche le pagine dei giornali, i salotti televisivi, i comizi dei politici. E non sono mai solo parole: "ne uccide più la lingua", perché tutto ciò che ci permettiamo di dire legittima ciò che ci permettiamo di fare. Le parole che abbiamo a disposizione danno una forma ai nostri pensieri e plasmano la realtà. C'è un solo modo per debellare l'odio di genere che passa per le parole: imparare a riconoscerle, decostruirle e cambiarle. Valeria Fonte ci guida in un'analisi arrabbiata, minuziosa e lucidissima di tutti i discorsi scorretti - che siano apertamente violenti o sottilmente discriminanti - che leggiamo e ascoltiamo ogni giorno, e che non possiamo più accettare. Smontandoceli davanti agli occhi, ci aiuta a capire come rispondere e come difenderci. Perché le uniche parole con cui dobbiamo parlare, oggi, sono le nostre.
Valeria Fonte (Trapani 1998) inizia a interessarsi alla lingua e alla retorica mentre studia Lettere all’Università di Bologna. In seguito alla condivisione non consensuale di alcuni video di matrice sessuale fa i conti con la misoginia dei discorsi, del linguaggio e delle narrazioni, e decide di unire le sue competenze accademiche al bisogno di scardinare l’odio delle parole. Con il suo profilo Instagram @valeriafonte.point inizia la sua opera di attivismo. Lavora nelle scuole e nelle università come divulgatrice. Oggi è una laureanda alla magistrale di Italianistica a Bologna, una militante di strada e una retore.
Premessa: utilizzo la funzione spoiler perché ovvi motivi, cioè non voglio spoilerare niente al bookclub e non posso parlare di questo libro senza riflettere su quella che è stata la mia esperienza personale. Inoltre, nella mia recensione non censurerò alcuna parola. I trigger sono sacrosanti, ma io ho la necessità di chiamare le cose con il loro nome, per cui se la parola $t**ro vi scatena i flashback del Vietnam, vi invito a non proseguire con la lettura.
Esco dallo spoiler per dire che questo libro è necessario. È necessario che fosse pubblicato, è necessario che venga letto, affinché la narrazione tossica in cui viviamo senza più turarci il naso sia compromessa in favore di qualcosa di migliore.
La verità è che a volte servono libri incazzati per farti capire da dove viene il tuo, di incazzo, e come incanalarlo in maniera, se non positiva, quantomeno costruttiva.
La Fonte con il suo testo fa esattamente questo: ci aiuta a capire perché viviamo in una esistenza perennemente incazzata davanti alla quantità di odio che ci viene riversata addosso ogni giorno da ogni media di questa società (social, internet, televisione, giornali, politica) e ci mostra le chiavi per aprire la scatola del discorso misogino e uscire dalla cassa di risonanza che ci assorda da quando abbiamo avuto la sfiga di nascere in 'sto mondo con la parola "femmina" stampata in fronte.
Ammetto che le parti che ho apprezzato di più siano state quelle dedicate alla comunicazione "mainstream" di giornali e politica, un po' per deformazione personale e un po' perché effettivamente da sempre interessata a capire i metodi comunicativi di questi medium. Le narrazioni di gelosia, amore "pazzo", tradimenti e "colpe delle donne" sono cose così intrinseche alla nostra stessa società che si trovano ovunque: anche in romanzi, discorsi studenteschi, tesi di laurea o messaggi di amiche che paiono non rendersi conto delle situazioni in cui si trovano fino a che non ti chiamano alle tre di notte per chiederti di andare a prenderle perché sono scappate in pigiama e ciabatte.
La Fonte smonta ad una ad una queste narrazioni, mostrando cosa effettivamente sono e come ci si accorge di loro. Da i mezzi per formarsi a chiunque VOGLIA vedere oltre lo specchietto per le allodole che sono questi pacchetti infiocchettati di odio e schifo e per dare una mano a chiunque voglia avvicinarsi alla resistenza e all'attivismo femminista.
E' un ottimo libro. Mi ha fatto incazzare fortissimo, a un certo punto ho pensato di bruciare. Però penso che, invece, brucerò il patriarcato.
Fino al 24/10/2022, il giorno prima dell'uscita di questo libro, in Italia c'è stato un vuoto in più. La descrizione tecnica potrebbe essere "manuale di retorica transfemminista che dalla legittimazione della rabbia femminile offre un percorso di demolizione, decostruzione e contrasto della violenza misogina delle parole e dei fatti tramite un'educazione alternativa a quella mainstream a cui siamo sempre statɜ espostɜ". La descrizione che mi sento di dare è "fuoco potentissimo e inarrestabile". Estremamente potente, leggibile, reale, lucido. Fonte ci ha finalmente donato ciò che in Italia ancora nessuno aveva osato darci: uno strumento concreto di educazione retorica per donne e persone socializzate come tali. Grazie, Sorella.
AVVISO: nella recensione vengono trattati temi molto forti (abuso fisico, abuso sessuale), che possono turbare il lettore.
Letto oggi in mattinata/primo pomeriggio, a più riprese, finendolo nel complesso in un paio d'ore. Spiego perché le due stelle, cercando di essere quanto più costruttivo e dettagliato possibile nella mia critica.
PRO Sono rimasto molto colpito, emotivamente, dal vissuto umano dell'autrice. La violenza subita (e mi riferisco sia a quella fisica che a quella "virtuale") ha lasciato un solco profondo in lei, come l'avrebbe lasciato e lo lascia a chiunque si ritrovi a vivere circostanze simili. Come lei stessa scrive nella prima parte del libro, non è così semplice stabilire cosa ferisca più in profondità tra le molestie fisiche e le conseguenze estremamente intrusive della diffusione coercitiva di una dimensione così intima dell'individuo in pasto a decine e decine di migliaia di persone. Il racconto che l'autrice riporta di un ragazzo, un partner, che nel pieno dell'atto sessuale esclama "aspettavo questo momento da quando ho i visto i tuoi video" ha fatto accapponare la pelle a me, uno sconosciuto, non oso immaginare a lei. Ecco, l'idea che una persona che ha vissuto tutto questo possa continuare (e abbia continuato) a decidere della propria vita e del proprio corpo, portando avanti le sue battaglie, pubblicando un libro che riesce a vendere un sacco di copie... è meravigliosa.
La sensibilizzazione sulla cruda realtà di fenomeni di questo tipo, per non scordarci mai che dietro dei corpi nudi su uno schermo spesso ci sono persone che vivono e soffrono, è la parte migliore: ci insegna con l'esempio che non tutto è perduto, anche quando ci sembra di essere finiti in fondo a un baratro. Il che non vuol dire che il libro mi sia piaciuto, tutt'altro: però è un dato di fatto che chi mangia fa molliche, e la reazione di questa donna a un mondo che l'ha materialmente cercata di uccidere mi suscita a prescindere profonda ammirazione.
CONTRO Il libro, fatto salvo questo aspetto, è di pessima qualità, soprattutto sulla parte teorica; se rimuoviamo il vissuto personale di Valeria Fonte, do poco meno di una stella. Per essere "qualcosa che passerà alla storia" l'ho trovato pieno di semplificazioni, bias, errori grossolani (anche nella prima parte ma soprattutto nella seconda), stilisticamente è pomposo e pieno di termini inadeguati al contesto nel quale l'autrice li inserisce. Tra l'altro diverse posizioni politiche e ideali le condivido anche (i.e, liberazione sessuale, sex-working, non colpevolizzazione e definizione errata di "revenge porn", l'acquisizione di diritti da parte di etnie e comunità minoritarie, il framing dei media, che spesso non avviene con una volontà precisa, ma viene riprodotto in un contesto sociale fertile da persone che in quel contesto sono cresciute: e l'Italia e gli italiani, per dirne una, sono cresciuti prima in un paese democristiano, dopo incollati a Mediaset). Altro lo condivido meno, probabilmente per un'impostazione filosofica un po' diversa, meno costruttivista e meno "identitaria". Le forze dell'ordine italiane vengono caricaturizzate, spesso a scapito della realtà dei fatti (e non ho certo in simpatia l'apparato che ha tolto la vita a Stefano Cucchi), e nel passaggio sulla percentuale dei casi archiviati leggo un attacco poco prudente alla presunzione d'innocenza che, giustamente, nel nostro ordinamento è sacra. C'è anche una visione diversa di interpretazioni che giudico azzardate: gli uomini hanno il potere percepito di decidere tra vita e morte (una fantasia, anche se suggestiva); le donne imitano la rabbia maschile (sanno incazzarsi, sono esseri umani, gridano, e non capisco cosa ci sia di "divertente", imitatorio o isterico nella rabbia femminile: la voce più acuta? Non mi sembra rilevante); ; il tradimento e ciò che genera nell'uomo (in genere sono d'accordo con l'autrice sulla possessività tossica di chi la partner la uccide: ritengo però che nella maggioranza dei rapporti non tossici, anche non monogami, il tradimento sia vissuto più che altro come una rottura di fiducia. Le domande sul sessismo e sulla complicità, completamente prive di senso logico: gridare a una donna, un esempio a caso, non rende qualcuno misogino nel contesto di un litigio, così come al contrario la donna non è necessariamente misandrica.
E gli errori? Faccio solo tre esempi, ma il libro è pieno di cose come queste, che mi portano a dire che senza l'apporto della storia personale dell'autrice avrei dato anche meno di due stelle: nella prima parte leggo un esempio di "discorso probatorio" il cui contenuto condivido, ma che non è un discorso probatorio. Sempre nella prima parte, l'autrice fa riferimento alla frase "vi manderei tutte in Afghanistan" , il cui contenuto, e siamo d'accordo, è rivoltante proprio per la costruzione intrinseca dell'argomentazione; il problema è che ne parla come di uno strawman (argomento fantoccio), quando non c'entra niente con gli argomenti fantoccio.
Seconda parte: l'idea che in televisione gli uomini interrompano le donne, e che non succeda altro, è falsa e fa anche un po' sorridere, perché dimostra una totale assenza di familiarità con la televisione italiana, dove tutti parlano addosso a tutti, uomini contro uomini, donne contro donne e così via, con la conseguenza, abbastanza egalitaria e antidiscriminatoria, che il pubblico non impara una mazza dalle nostre trasmissioni. Dico, basta mettere in uno stesso studio Renzi e Travaglio, due a caso, per accorgersene.
2/5, non che la mia recensione sia a sua volta questa grande opera, dispersiva e scritta d'impatto; ma tant'è.
“Ne Uccide più la lingua” è un libro molto importante. Valeria Fonte, tra le sue pagine, disseziona minuziosamente vari pilastri del pensiero maschilista/mainstream/istituzionale, rendendo evidente che alla base di certi messaggi e discorsi c’è pura e semplice misoginia. È un libro che consiglio a chi si sta approcciando al femminismo :) buona lettura
Piuttosto tronfio e sopra le righe, sembra delineare un’autrice dall’ego più grosso delle tesi che sostiene. Non che queste non siano interessanti o veritiere praticamente al 100%: è che sono riportate tutte come opinioni e riflessioni personali, con tecnica discorsiva vivace e combattiva, ma non si identifica ricerca saggistica e sociologica rigorosa alla base. Pare - erroneamente - essere sufficiente la determinazione della scrittrice, il fatto che esponga le sue tesi con baldanza e ottimo ritmo; tutt’altro fa lo scrittore di un saggio, che parte da una tesi ma si mette in secondo piano, posizionandosi nel ruolo di ricercatore, che raccoglie dati e testimonianze a dimostrazione della tesi di cui sopra. Sembra trattarsi, insomma, di un insieme di ragionamenti da influencer più che di un vero saggio, poiché non sono riportati studi, statistiche, dati di qualsiasi genere o perlomeno citazioni da ricerche o altri testi autorevoli. Insomma qualcosa di tecnico, comprovato, studiato. Ricadiamo quindi nell’errore di pensare che chiunque possa scrivere un libro, per quanto questo abbia una linea di pensiero che condivido interamente; spero finisca prima possibile l’era in cui i saggi sono scritti da influencer invece di dare spazio a sociolog*, ricercatori e ricercatrici che si dedicano all’argomento studiando per anni, con rigore e metodo scientifico. Altrimenti, anche chi sostiene tesi completamente contrarie a queste potrebbe affermarle senza documentarle, pretendendo che vengano accettate in purezza, per il semplice fatto di essere state stampate su carta (pensando al generale Vannacci di queste settimane, e al suo libro omofobo/razzista autoprodotto, penso si possa capire cosa intendo). Se l’autrice, come la sua breve autobiografia sembra segnalare, ricade invece nella categoria dei ricercatori e studiosi, ha scelto a mio parere una via troppo semplice e divulgativa. Mi rendo conto che Instagram dia una gratificazione più ampia e immediata rispetto a una pubblicazione sociologica, ma fornisce anche autorevolezza e profondità molto diverse. In definitiva molto più interessante la seconda parte, quella che cerca di smantellare i meccanismi di comunicazione della televisione e della politica analizzandone le strategie di manipolazione della parola, rispetto alla prima più militante, ma autocentrata e autoindulgente.
Molte donne, per non dire tutte, ricevono costantemente osservazioni misogine e pericolose ("potevi dire di no", "la violenza vera è un'altra cosa", ...) ormai diventate quotidiane.
Valeria Fonte spiega perché queste parole nascondono violenza e come combatterle. Per farlo porta degli esempi: messaggi ricevuti sui suoi canali social, titoli di giornali e articoli, frammenti di discorsi politici. Il fattore comune è l'utilizzo della lingua che, come dice il titolo, arriva a ferire.
L’autrice utilizza la chiave della personalizzazione [la sua esperienza in prima persona è fortissima] per urlare un'invettiva (giustamente) arrabbiata e riuscire a farsi (giustamente) sentire senza filtri in una struttura sociale che è, evidentemente, andata in merda avvelenata fin nelle sue fondamenta costitutive, dalle radici; se la sente (giustamente) calda e fa bene. I concetti di base, pur non essendo tantissimi, sono idee concrete e centrate per smantellare il sistema, soprattutto quelle in merito all'analisi della comunicazione pubblica: Fonte non promuove delle tesi campate per aria e le sue digressioni teoriche figurerebbero bene anche in un manuale di strategie per i media.
Valeria (non la conosco, ma la sento vicina) ha una forza esplosiva e sembra pronta a scendere in battaglia: mi unisco al suo esercito. Ma specifico: la sua non è una rabbia meschina, gretta, claustrofobica; è una rabbia potente, deflagrante, carica di ossigeno, l'ossigeno che serve a fare divampare una fiamma.
mi aspettavo di più da questo libro, ma rimane comunque un’analisi validissima e necessaria, più da introduzione al femminismo e alla lotta che un saggio di approfondimento però
Un libro scritto in prima persona dove l'autrice non si fa problemi ad usare un linguaggio incisivo e forte, perché per arrivare all'obiettivo a volte è giusto così. Il fatto che lei parli anche del proprio passato e di ciò che le è successo rende il tutto ancora più "d'impatto". Un testo pieno di spunti di riflessione e informazioni veramente interessanti e condivisibili. Trovo che sia una lettura da fare per capire l'importanza del linguaggio e di quanto il nostro modo di parlare sia, consapevolmente o no, pieno di luoghi comuni e discriminazioni di genere. È arrivato il momento di usare le parole per uscire dal silenzio a cui siamo state abituate da sempre: in genere ci si aspetta che le donne non abbiano così tanto da dire, è tempo di dimostrare il contrario.
"Arrabbiati, ti amo arrabbiato e ribelle, rivoluzione cocente, esplosione. Ho odiato il fuoco che dorme in te, sii di brace diventa una vena appassionata, che grida e s'infuria. [...] amo in te la sete eruttiva del vulcano l'aspirazione della notte profonda a incontrare il giorno il desiderio della sorgente generosa di stringere le otri ti voglio fiume di fuoco, la cui onda non conosce fondo. Arrabbiati contro la morte maledetta non sopporto più i morti." (Nazik al-Mala'ika)
Grazie, Valeria. Farò tesoro del tuo personale inno alla vita.
Mia personale opinione su questo libro, che ho letto in quanto incuriosita dalla recensione critica di una linguista che seguo su internet: l'autrice vive fuori dal mondo, e con lei tutte le persone che reputano il contenuto di questo saggio aderente alla realtà. Non si tratta di invalidare le esperienze personali, anzi: quello che è successo a Valeria Fonte e a tante altre donne è terribile, e comprendo al 100% la rabbia scaturita da tali vicende. Però, da lì all’interpretare la realtà tutta alla luce di tale esperienza, anche basandosi su dati e fatti inesistenti (quando non inventati di sana pianta), ce ne passa. Questo soprattutto quando si hanno pretese di scientificità e superiorità morale, così come di dare voce a una categoria composta da milioni di persone.
Secondo: non basta sapere a menadito le definizioni delle principali fallacie logiche e dei vari bias cognitivi per salvarsi; bisogna anche saperli evitare. Probabilmente Fonte mi accuserebbe di "reductio ad Hitlerum", ma tant'è: il Mein Kampf ci va tutto sommato leggero con gli ebrei, in confronto a come lei dipinge gli uomini.
Valeria Fonte ha scritto di cose che più o meno già so, ma che spesso non riesco a esprimere come vorrei. Mi sono sentita fortemente capita da ciò che descrive, ho sentito più volte la necessità di leggere le sue parole a voce alta, a volte accompagnata da lacrime che mi rigavano il viso. Un libro che farei leggere a tuttə.
Necessario per avere consapevolezza di quanto le parole possano definirci. Duro, arrabbiato, nonostante io non sia giovanissima, al contrario dell'autrice, ho trovato risposte a stati d'animo che ho vissuto e che mi facevano sentire inadeguata. Dissentire, farsi sentire si può, di deve
«[Sulla misandria:] Odiare gli uomini, è questo che intendo? No. E se anche li odiassi, ci sarebbero zero morti e zero feriti. Possiamo dire lo stesso sulle donne colpite da misoginia?» . Non leggevo un testo così infervorato e coinvolgente dai saggi femministi di Michela Murgia, il cui percorso Fonte mi pare più che degna a continuare. Lo stile furibondo e a tratti supponente non mi ha affatto disturbata, perché l'autrice parte da esperienze e riflessioni personali (che l'hanno giustamente sconvolta e fatta arrabbiare) per estendere il discorso su un piano generale tremendamente condivisibile: quello della dannosissima società patriarcale e del maschilismo interiorizzato che continua imperterrito a mietere vittime, partendo proprio dalle parole, la fonte di violenza più accessibile e l'arma più facilmente sguainata. Molti riferimenti a fatti di cronaca ridicolmente recenti, impeccabilmente narrati dalla penna pungente di Valeria Fonte, che non conosce pietà e attacca tutti quelli che, anche in minima parte, se lo meritano: assassini, stupratori, politici, giornalisti, leoni da tasstiera, qualunque uomo abbia mai leso fisicamente, psicologicamente o platonicamente il corpo o l'onore di una donna. Un libro brillante e suggestivo, consiglio di tenere un blocco per gli appunti a portata di mano, perché offre numerosi spunti di riflessione. . «Non conta sopravvivere, conta vincere. Non ci basta resistere, bisogna aspirare all'egemonia di una pretesa di vita decente. Sesso debole un paio di palle. Non esistono donne deboli! Esistono donne a cui è stato insegnato che debole è l'unico modo che hanno per approcciarsi alle cose.»
recensione a cura del blog “Libri Magnetici" by Meghan
Decidere di leggere questo saggio è una scelta: una scelta perché la tematica non è solo quella della discriminazione, dell’abuso, verbale e non, della violenza, verbale e non.E’ una scelta perchè Valeria Forte con uno stile diretto, senza filtri e assolutamente non banale, ci dimostra che è facile abituarsi alla violenza, di farla entrare nelle nostre vita più che nella quotidianità come un sistema vero e proprio, con regole e del tutto assimilato.“Le parole ammazzano”, leggiamo in un passaggio: è le parole sono quelle che aiutano a dare la colpa alla donna della violenza subita, del palpeggiamento non voluto, della foto diffusa in rete.Alle donne è vero spesso non si spiega come difendersi, ma piuttosto le si lascia abituare alla parola-condanna, alla violenza non visibile, perché se non hai un occhio nero quale violenza hai avuto, all’essere sopravvissute per sbaglio alle botte-massacro.L’autrice non vuole darci un suo punto di vista, ma piuttosto analizza in modo molto crduo quello che ognuno di noi vede da sempre.
«La questione è che ci mettono di fronte a due uscite obbligate: curioso che non ce ne sia mia una terza. O ti alvi in tempo, oppure non lamentarti se sarà tardi. La viviamo così la guerra aperta con la enuncia: chi vince? Io o tu?»
L’aggressività maschile viene analizzata proprio come un potere fondato sul dissenso di quella femminile e per questo, Valeri forte ci spiega che è indispensabile scardinare la mascolinità perché il potere non è il dominio dell’altro o sull’altro. Non è semplicemente dire un “no”, ma è necessario che tutti iniziamo a dirlo come un “no” vero. Ne uccide più la lingua, ma le parole sono anche l’antidoto, sono la rinascita.
«Mi chiamo Valeria Fonte e sono ancora viva. Non sono una sopravvissuta. Sono morta, ma poi rinata.»
Potente, disturbante, salvifico. Valeria Fonte è riuscita a dare nome e cognome alla mia rabbia. È un libro che ti cambia la vita, facendoti male nel processo.
Perché riconosci il male che ti è stato fatto e capisci che devi iniziare a farci i conti.
Perché ogni persona socializzata come femmina ha vissuto almeno una delle cose che lei racconti.
Perché impari che lo stupro è parte della vita di ogni femmina.
Che lo stupro NON è un'altra cosa. È quella roba lì, ed è successa anche a te.
E dare il nome alle cose aiuta ad elaborarle.
Bellissima anche la parte di analisi della retorica linguistica e del linguaggio dei media, che andrebbe fatta studiare a scuola, per creare una generazione di persone più consapevoli.
Potente, con una rabbia cruda ma saggia, che ti entra dentro il cuore e ti fa tremare quanto lei. Veloce da leggere, ma non leggero. Sono andata alla sua presentazione quando è uscito il libro, ma sono riuscita a leggerlo solo ora, e posso dire che si vede veramente la scrittrice ovunque in questo testo. Leggevo e sentivo la sua voce nella mia testa, invogliandomi a resistere, farmi sentire da chi ascolta, ma principalmente ricordandomi che non sono sola. Non siamo sol3. Che la voce femminista arrivi ovunque.