Villaltas roman Lærlingen var Strega-nomineret i ’20; en stilfærdig, lyrisk stilsikker og stramt fortalt historie om to ganske usædvanlige hovedpersoner, de aldrende – eller faktisk temmelig gamle – Tilio og Fredi, der skifter vokslys i kirken, vasker gulve, arrangerer blomster og i pauserne drikker kaffe med vodka for at få varmen. Den ene er, trods sin høje alder, lærling hos den anden.
En roman, der rummer et helt lands sjæl, fortalt med en historisk, social og dybt menneskelig diskurs. En historie om at være i en alder, forfattere ellers ikke ofte skriver om. Og ikke mindst en fortælling om lige til det sidste at være på sporet af ’hjertets glæde’.
In un piccolo paesino in provincia di Pordenone, seduti sulla panca di un'inusualmente letteraria sagrestia, ci sono due uomini in là con gli anni che si raccontano la loro vita, gli sbagli commessi, le strade a volte accidentate che hanno percorso e le mille incertezze che ancora continuano a popolare la loro mente.
Passano le stagioni, al posto delle coperte sulle spalle c'è il ventilatore che regala un po' di refrigerio nelle ore più calde, ma Fredi e Tilio sono sempre lì, tra la celebrazione di una messa e l'altra, a raccontarsi le proprie storie.
Fredi è il più anziano, burbero e infaticabile lavoratore, invece Tilio è il suo apprendista sagrestano, un uomo che è capace di mettere in dubbio tutta la sua vita e che si fida poco delle parole del Vangelo.
"L'apprendista" di Gian Mario Villalta mi ha meravigliata. Le prime 70 pagine le ho divorate e anche se nel mezzo il romanzo presenta qualche rallentamento, sono riuscita comunque ad apprezzarlo.
Le riflessioni sull'esistenza, sulla morte, sulla malattia e l'amicizia di questi due uomini mi hanno davvero colpita, così come quell'incessante ricerca della letizia nel cuore che chissà se Fredi e Tilio troveranno mai.
Quanta dolcezza in questo libro che pur parla della vita nella sua interezza con le sue gioie e dolori, con le tristezze e la solitudine e i rimpianti. Senti le emozioni uscire dalle pagine, i ragionamenti ti catturano e ti ritrovi in luoghi del tempo. Di un'intensa superiore le ultime pagine. Il ritmo è lento come si addice all'età del o dei protagonisti. Ma serve a preparare ai pensieri alle emozioni, sgombra prima il resto delle cose, ti fa seguire un ritmo diverso per poi scrivere un pensiero o una frase chiave su cui ti lascia pensare.
In questo romanzo, Gian Mario Villalta non ha la pretesa di tenerti incollato senza fiato alle pagine, ma ti prende per mano e ti porta a seguire delle vite semplici, di quelle che di solito non si trovano narrate nei romanzi e non appaiono mai sui rotocalchi. Ma sono queste le vite vere. I due protagonisti sono Tilio e Fredi, due anziani signori che hanno deciso di dedicare il tramonto delle loro vite alla chiesa, scegliendo così un’esistenza quanto mai tranquilla, regolare e prevedibile, costellata da rituali.
Siamo in un paesino del nord Italia, in cui il ruolo della chiesa sta perdendo la centralità nelle vite sociali, ma rimangono quanti mai forti i pettegolezzi e le maldicenze con cui i protagonisti si trovano a scontrarsi. Non è affatto un romanzo religioso, anzi la religione diventa solo un ottimo spunto di discussione e scambio tra i due protagonisti, in particolare Tilio che vive il suo rapporto con i precetti cristiani e con quanto scritto dal vangelo in maniera quasi scientifica: quanto viene declamato dal Don merita una sua propria analisi.
Anche qui, come nel “Città Sommersa” di Marta Barone, anch’esso candidato al premio strega 2020, troviamo affrontate le dinamiche complicate tra figlio-padre e padre-figlio. Nel primo caso è Fredi che, ancora non emancipato dalla educazione rigida ricevuta da un padre militare, fa fatica ad accettare la fragilità che l’anzianità porta con sé. Farà fatica anche ad accettare le cure discrete che Tilio gli riserverà. Quest’ultimo invece deve fare i conti con i sensi di colpa del “non ho fatto abbastanza” verso suo figlio Paolo. Basterà una chicchera a cuore aperto e questa distanza verrà annullata.
Quello che più mi è piaciuto è il rapporto maestro-apprendista (e da qui il titolo del romanzo) tra Fredi e Tilio, un rapporto che si evolverà in amicizia e una sorta di tacita complicità.
Penso che chi ha amato “Stoner” di John Williams, non potrà che apprezzare questo romanzo!
8! Un romanzo intimo, sussurrato, un racconto di un’amicizia “furlana” quella tra Tilio e Fredi. Sono due uomini anziani, soli, sono un apprendista e un sagrestano. Ognuno di noi non smette mai di imparare dal prossimo e dalla vita. Un vero maestro è per sempre studente. La voce di Tillio ti trascina nella storia e dopo poche pagine il lettore si ritrova a conversare mentalmente con i due protagonisti, e sei lì in quella chiesa a condividere dei rituali che il tempo consolida e con cui crea legami. Entri nei loro discorsi malinconici velati di ironia e vivi nei piccoli gesti del quotidiano la “letizia del cuore”, la cui mancanza aveva accomunato entrambi nei loro discorsi e nelle loro esperienze.
Un romanzo che descrive la nascita di un'amicizia particolare: quella tra un anziano sacrista, Fredi, e il suo "apprendista", Tilio di poco più giovane. Come tessere di un puzzle, il romanzo ci svela piano piano le vicende passate dei due uomini e accompagna il lettore verso riflessioni dal sapore esistenziale. Un romanzo ambizioso e innovativo, ma che non mi ha per nulla coinvolta: la narrazione è poco vivace e le scelte stilistiche, a mio avviso, poco efficaci.