En avril 1945, Budapest est libérée par l'armée russe au terme d'un siège implacable. Cet épisode historique, que Sàndor Màrai évoquera vingt-cinq ans plus tard dans ses Mémoires de Hongrie, lui inspire, à chaud, ce roman qu'il achève en quelques mois. Pendant les dernières semaines du siège, une centaine de réfugiés se terrent dans les caves d'un immeuble, attendant l'issue d'un combat incertain. Autour de la jeune Élisabeth, fille d'un savant renommé, résistant au nazisme, se rassemblent toutes sortes de gens. Au fil des jours, dans l'atmosphère oppressante de ce huis clos, les caractères se révèlent, les masques tombent.
Sándor Márai (originally Sándor Károly Henrik Grosschmied de Mára) was a Hungarian writer and journalist. He was born in the city of Kassa in Austria-Hungary (now Košice in Slovakia) to an old family of Saxon origin who had mixed with magyars through the centuries. Through his father he was a relative of the Ország-family. In his early years, Márai travelled to and lived in Frankfurt, Berlin, and Paris and briefly considered writing in German, but eventually chose his mother language, Hungarian, for his writings. He settled in Krisztinaváros, Budapest, in 1928. In the 1930s, he gained prominence with a precise and clear realist style. He was the first person to write reviews of the work of Kafka. He wrote very enthusiastically about the Vienna Awards, in which Germany forced Czechoslovakia and Romania to give back part of the territories which Hungary lost in the Treaty of Trianon. Nevertheless, Márai was highly critical of the Nazis as such and was considered "profoundly antifascist," a dangerous position to take in wartime Hungary. Marai authored forty-six books, mostly novels, and was considered by literary critics to be one of Hungary's most influential representatives of middle class literature between the two world wars. His 1942 book Embers (Hungarian title: A gyertyák csonkig égnek, meaning "The Candles Burn Down to the Stump") expresses a nostalgia for the bygone multi-ethnic, multicultural society of the Austro-Hungarian Empire, reminiscent of the works of Joseph Roth. In 2006 an adaptation of this novel for the stage, written by Christopher Hampton, was performed in London. He also disliked the Communist regime that seized power after World War II, and left – or was driven away – in 1948. After living for some time in Italy, Márai settled in the city of San Diego, California, in the United States. He continued to write in his native language, but was not published in English until the mid-1990s. Márai's Memoir of Hungary (1944-1948) provides an interesting glimpse of post World War II Hungary under Soviet occupation. Like other memoirs by Hungarian writers and statesmen, it was first published in the West, because it could not be published in the Hungary of the post-1956 Kádár era. The English version of the memoir was published posthumously in 1996. After his wife died, Márai retreated more and more into isolation. He committed suicide by a gunshot to his head in San Diego in 1989. Largely forgotten outside of Hungary, his work (consisting of poems, novels, and diaries) has only been recently "rediscovered" and republished in French (starting in 1992), Polish, Catalan, Italian, English, German, Spanish, Portuguese, Czech, Danish, Icelandic, Korean, Dutch, and other languages too, and is now considered to be part of the European Twentieth Century literary canon.
This is a strange book to read. I am a great fan of Sandor Marai, but this is unlike other works of his I have read.
It is perplexing because it is a work of fiction (the narrator is a woman in her mid twenties and therefore not Marai), but it has the testimonial weight of a memoir or a documentary (and therefore it is not very fictional). It is also highly poetical and subtle and delicate in its observations, and so cannot then be a documentary. And yet, as a vignette of a bloody episode in European history (a few hours during the liberation of Budapest by the Red Army from its Nazi occupants) it has the impact and value of a testimony.
The plot is simple and other reviewers have left some summaries (albeit in Italian and Portuguese), and so there is no point in providing another one.
I have withheld the fifth star because I wanted more.
“Si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare. C'è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione, e il cui senso è semplicemente questo: io sono dalla tua parte, anch'io la penso così, condivido la tua preoccupazione, noi due siamo d'accordo...“
Il romanzo è ambientato in un rifugio antiaereo, a Budapest. Una ragazza, Erszebet, vi si nasconde, con degli sconosciuti; sopra di lei aerei bombardano e distruggono le case in continuazione. Suo padre per evitare l’arresto da parte dei nazisti è costretto a farsi murare vivo in una cantina.
Ogni giorno Erszebet lotta contro la morte; la sua vita nel rifugio è terribile e misera, una cosa sola la sorregge e le consente di resistere: la speranza. Ha paura, ma vuole vivere, spera in una liberazione sempre più vicina, spera che la vita le possa riservare qualcosa di meglio di quanto stia vivendo ora.
L’unica compagnia nel rifugio è costituita da un paralitico e una donna fuggita da un campo di concentramento. E intanto medita sulla guerra. Perché non si può vivere senza la guerra? E spera e confida nei liberatori, sempre più prossimi, sempre più idealizzati. I Russi, come li chiamano tutti.
Purtroppo non esistono i buoni. I Russi arrivano, e nell’oscurità dello scantinato si approfittano di lei, della sua speranza e della sua fiducia. Quando finalmente esce dal buio di quella cantina è distrutta. Ora che è finita, cosa deve fare? E’ veramente libera? Che cos’è la liberta? Qual è il suo prezzo? Troppe domande forse…
“Bene, ci siamo. Il grande caos, la guerra che mi ha pervaso finora è finita. Adesso comincia un’altra guerra: così pensa. Perché sa che questa fine non significa la fine in assoluto della guerra; al massimo che è cessato un tipo di guerra e che ne comincia una diversa. Non la pace, no”
Marai scrive in modo funzionale al suo scopo, ossia quello di descrivere e vivere la lentezza di quegli interminabili momenti, l'angoscia della città sotto assedio, la speranza che il nuovo possa essere meglio del vecchio. Una speranza vana.
Prosa precisa, lucida e cruda che riesce a trasferire al lettore tutti i sentimenti provati dalla protagonista. Uno dei migliori Marai.
Ho deciso di leggere questo libro spinta dall'amore incondizionato nei confronti di "Le braci" e devo dire che non mi ha deluso nemmeno stavolta. Con "Liberazione" Marai ci racconta una pagina di orrore, una pagina di storia che io conoscevo solo marginalmente. Siamo nel 1944 e Budapest è assediata, accerchiata dall'armata rossa. In questo scenario, si snoda la storia di Erszébet, una venticiquenne, che vive sotto falsa identità e che cerca di trovare un nascondiglio al padre, celebre scienziato, braccato, che verrà poi murato insieme ad altre persone in cantina, mentre Erszébet, troverà rifugio nello scantinato del palazzo in cui vive, tra brande, fetore e "promiscuità da porcile". In questo luogo, Erszébet e gli altri vivranno per quattro settimane, in preda al pericolo, all'ansia, alla paura, solidarizzando fra loro, in attesa della "liberazione" che sperano possa cambiare le loro vite, ma scopriranno che la realtà sarà ben diversa dall'immaginazione. Una storia in cui Marai racconta in modo delicato e tragico gli orrori della guerra, il dolore, l'assedio, il fetore, ma anche una riflessione sulla condizione umana e gli impulsi che regolano la nostra natura.
Sándor Márai. Quem já leu algum romance dele sabe ao que vai e não vai ao engano. E quem não, vai ficar perturbado. Sem ser exaustivo é um desassombrado que conhece o lado negro da natureza humana e o apresenta. Um analisa do comportamento e relações humanas que neste romance avalia como grupo. O grupo que ataca. O grupo que se defende e protege. O grupo heterogéneo que se fecha numa cave à espera do fim da guerra e do cerco à cidade de Budapeste.
O que conta é muito vivido e terrível nos tempos que correm. Não gosto de ler estes temas mas se um desafio me leva a eles que seja com o sóbrio Sándor Márai.
Libertação é um título e uma palavra esmagadora como esta história.
El pasado Abril leí mi primera novela de Sándor Márai, fue El matarife, también su ópera prima. Se da la curiosa circunstancia que para mi segunda lectura he escogido este Liberación, que si no mal tengo entendido es su último libro publicado, aparecido en el año 2000, aunque fue escrito en el año 1945.
La historia se ubica en la liberación de Budapest a manos del Ejército Rojo, por lo tanto este libro tiene como principal valor la inmediatez, dado que relata con detalle el ambiente de desesperanza y angustia que experimentan los civiles de esa ciudad durante los veintitantos días de asedio de los rusos para derrotar a los nazis, empleando como narradora a una joven llamada Erzsébet, hija de un prominente matemático, que se posicionó públicamente contra los fascistas, al fin y al cabo tanto este matemático como su hija son judíos.
Pero por azares que ignoro, al ser publicada varias décadas después, la novela pierde ese componente testimonial, que describe las penosas circunstancias que experimentaron los perseguidos, el temor a ocultarlos, y los curiosos inventos a los que tuvieron que recurrir para zafarse. También la escasez y la incertidumbre que por otro lado envolvieron al resto de habitantes de la ciudad, que aprendieron a distinguir el tipo de bombas que les arrojaban y a detectar franjas horarias propicias para hacer un poco de vida ociosa según la forma de proceder de los bombardeos. Así, pasados los años, la novela adquiere entonces la categoría de curiosidad histórica, una visión a pie de calle de aquello que los libros de Historia sólo apuntan a grandes rasgos, con números impersonales y grandes hechos alejados de la experiencia vital de quienes se vieron en mitad del caos y la destrucción, de la violencia y la persecución, alejándose de sus vidas normales.
El bueno oficio como narrador de Márai logra disimular que, quizás por ese ánimo descriptivo y testimonial, la historia personal que la conduce no goza de cualidades remarcables, que pueda ser recordada o mencionadas si alguien quiere numerar esas novelas que más nos impactaron. Por supuesto las circunstancias que rodean a Erzsébet suenan honestamente atribuladas, pero más allá de eso el relato no conduce a terrenos fulgurantes, no creo que a lo largo de las 158 páginas que componen la novela haya encontrado algún momento de deslumbramiento o emoción.
Me imagino que sería cuestión de dejarse de rodeos e ir a por el corpus principal de Márai, esos títulos que le han dado prestigio como un consumado narrador, me refiero a El último encuentro o Divorcio en Buda, dónde si espero poder probar y testear el verdadero valor del narrador húngaro.
Sicuramente si tratta di un Márai differente dal solito. Il maestro ungherese ha fatto dell'immobilità il suo tratto distintivo, e in questo romanzo tocchiamo forse lo zenit di questo stile narrativo statico ma mai banale, mai noioso. Come suggerisce il titolo, siamo in piena occupazione nazista e l'autore, invece di descrivere per filo e per segno quello che succede, ce lo fa capire attraverso i sentimenti e i pensieri di Erzsébet, una giovane ragazza che ha trovato rifugio presso uno scantinato insieme ad altri derelitti umani, ebrei e non. Per quasi un mese sono costretti a sopravvivere sopportando la convivenza forzata, la paura, l'angoscia, il freddo, la fame, l'incertezza, il fragore delle bombe, le notizie incerte sull'arrivo dei russi, il marciume, la sporcizia, la morte.
Questo libro è una lunga riflessione ponderata su quello che succede agli esseri umani quando sono costretti, volente o nolente, a toccare il fondo pur di sopravvivere. Il finale è incredibile. L'ho trovato spiazzante e magistrale. Forse non ha la stessa eleganza di altri suoi romanzi, ma è sempre un piacere e una grande lezione di stile, leggere un Márai. Autore davvero immenso.
Novela breve que tiene por protagonista a una joven ocultándose de los nazis en Budapest. A pesar de la brevedad de la historia hay varios puntos destacados en los que se reflexiona sobre el origen de los conflictos y represión como la sufrida por los judíos en la Segunda Guerra Mundial y la tendencia del ser humano a categorizar su realidad con sus correspondientes riesgos. En mi opinión la obra trata sobre la ingenuidad especialmente ante las expectativas de salvación o en este caso de liberación en una guerra y la naturaleza del ser humano.
MARAI, Sandor: Befreiung, München 2011 Laut Coverangabe ist es ein Roman. Es ist aber auch eine historische Schilderung, wie die Sowjets im Jahr 1945 zu Weihnachten Budapest besetzen/angreifen und die deutschen Truppen vertreiben. Ein Kampf um jeden Häuserblock. Die Zivilbevölkerung muss sich in den Kellern schützen und verstecken. Ein bunt zusammengewürfelter Menschenhaufen aus verschiedensten Gesellschaftsschichten und mit unterschiedlichen Interessen. Aus der Sicht einer 23-jährigen Frau werden die Zustände beschrieben. Ihr Vater wird von den Nationalen gesucht. Sie versteckt ihn. Er wurde mit anderen Gesuchten in einem Keller eingemauert. Sie selber versucht im gegenüberliegenden Haus zu überleben. Mit einem gelähmten Mann erwartet sie letztlich die ankommenden Sowjets. Ein junger sibirischer Soldat erscheint im Keller als Befreier, obwohl er sich dann mehr herausnimmt …. Marai hatte das Buch für sich geschrieben. Erst nach seinem Tod wurde das Manuskript gefunden und im Jahr 2000 erstmals veröffentlicht. Es ist gut, dass es geschrieben wurde und dass es der Nachwelt als Zeitdokument erhalten geblieben ist. Die Dinge sollten sich nicht wiederholen. Aber Marai – der sich in diesem Manuskript mit vielen Fragen auseinandersetzte – meint, dass es sich immer wieder wiederholen wird. An das Gute und die Liebe „haben schon viele geglaubt. Alle großen Menschen, die Heiligen und die Dichter, und alle kleinen Menschen, wenn sie in große Schwierigkeiten geraten sind.“ (Seite 136)
Siamo a Budapest alla fine della seconda guerra mondiale, Erzsébet deve nascondere suo padre, uno scienziato che si è sempre interessato solo delle sue stelle ma è comunque ricercato dai nazisti. Lo nasconderà per dieci mesi, parte dei quali sarà costretto a trascorrere murato in una cantina insieme ad altre cinque persone. Erzsébet stessa si nasconde in un altro scantinato sotto falso nome, e la maggior parte del libro racconta la storia di queste persone in questo scantinato durante l'assedio di Budapest e la conseguente liberazione da parte dei russi.
Un libro molto toccante, anche se le parti più orribili sono raccontate con un distacco che ha del dissociativo, e forse in realtà è proprio per questo che sono tanto più terribili. È il terzo che leggo di questo autore e finora è quello che ho preferito, di gran lunga.
Aquela pergunta que tantas vezes surge: o que é que eu faria naquela situação? Num cenário de guerra, numa cidade cercada, na cave de um prédio, com pouca água e quase nenhuma comida, com outros a viver o mesmo, a proteger-se a si e aos seus, quando à volta tudo são ruínas e ameaça e terror. Este é um livro que aborda essas linhas limite da condição humana, quando o medo, a esperança, o instinto de sobrevivência e o desalento da vida se entrelaçam num momento suspenso em que a chegada do exército russo que pode libertar a cidade está iminente. Sandor Marai nunca faz dos seus livros registos de acção, mas olha para dentro da personagem principal, para os desafios e para os conflitos interiores que a atravessam. É denso, duro, difícil, sobretudo quando o nosso mundo de 2024 está tão próximo, em tantos locais do planeta, daquela Budapeste em 1945. Belíssimo.
La descrizione di un assedio. Non solo della città in guerra, ma anche dell’animo umano. Marai, che scrive sempre benissimo, riesce veramente a trasmettere quei giorni in cui Budapest viene liberata nell’inverno del ‘45. L’intera narrazione però segue anche in prima persona le giornate di Erzsebet, la protagonista, che ci fa sentire da vicino tutto il disagio fisico e psicologico, tutti i dubbi relativi ai liberatori, tutti i traumi dovuti alla guerra. Non una lettura leggera.
Stupendous. The kind of book that keeps you turning the pages in fascinated horror. Most of the events take place on the twenty-fourth day of the siege of Budapest in the Spring of 1945. Elizabeth is the daughter of a famous scientist who has long gone into hiding. When the long-dreaded siege finally starts, Elizabeth withdraws into the cellars of her dilapidated building, along with about 140 neighbors and stray refugees. For over 3 weeks this population descends into a form of madness as food and water run scarce and sick people die. Initially everybody maintains a sense of decorum, bourgeois families behaving with condescending friendliness towards the plebs while poor people don't yet dare to revolt against the elite. Elizabeth has found her spot between 2 silent but companionable strangers, a handicapped man and a woman her own age. Eventually a gang of Hungarian fascists enters the cellars and summarily execute a Jewish dentist's assistant. At this point, all of a sudden, people start talking loudly, expressing for the first time a rage against racial laws which they had never dared voiced before, probably because they actually didn't really feel it. But somehow, having witnessed this murder in their midst is "the last straw", as 2 postal employees stress pedantically. Thereupon a couple of Germans come into the cellars and give an evacuation order. Elizabeth's paralyzed neighbor, who turns out to be a Jewish mathematician, tells her she'd be better off staying put. The other young woman, who reveals herself as a concentration camp survivor who has more or less lost her mind, follows orders without saying goodbye to the man, whom in fact she'd helped to hide. Soon after the cellars have been evacuated, a handsome young Russian soldier walks in. Elizabeth tries to establish a dialogue with him, but they have no common language. Desperate to communicate her pacific intentions, Elizabeth gives the soldier a glass of schnapps, whereupon, maybe emboldened by the strong drink, he rapes her, without being aware that there is a witness since the mathematician has remained totally silent. The soldier tries to apologize and leaves. Later on Elizabeth attempts to cross the street to check whether her father has survived the siege, and comes across the soldier's corpse. She has been liberated. Everything about this book is pitch-perfect, from the description of the squalor of the cellars to the stand-off between Elizabeth and the Russian before the rape. Along with "the Miracle of San Gennaro", this is one of the overlooked masterpieces of twentieth-century literature.
Claridad y precisión en su prosa realista. Márai nos lleva al final de la 2a guerra mundial a través de los ojos de una joven que habita un sótano durante el asedio de Budapest. Es un autor de los imperdibles.
Ein ziemlicher Reinfall... Sandor Marais "Die Glut" ist ein Meisterwerk, so dass ich mir von diesem Roman einiges versprochen habe. Leider schleppen sich die ersten 150 Seiten nur langsam dahin. Der Satz, die Protagonistin versteckt sich in einem Luftschutzkeller, fasst die gesamte Handlung schon zusammen. Gegen Ende des Buches kommt es zu dem ersten Dialog, in dem der Autor seinen Helden antisemitische Klischees in den Mund legt. Wenig später wird die Protagonistin vergewaltigt. Die Vergewaltigung durch den russischen Eroberer wird durch den Roman - ohne Tiefe - legitimiert. Auch das Opfer hat viel Verständnis für den Täter und schämt sich eigentlich vor allen Dingen dafür, dass sie bei der Tat nicht frisch gewaschen und hübsch gemacht war. Sowas war schon in der Zeit, als das Buch verfasst wurde inakzeptabel.
Con "Liberazione", Márai ci ha lasciato - a caldo, nell'estate del 1945 - una testimonianza bruciante dell'orrore vissuto dalla sua Budapest a fine '44/inizio '45, nei mesi in cui fu assediata dai sovietici, bombardata dagli Alleati e sottoposta ai rabbiosi rastrellamenti dei tedeschi ormai sconfitti: un grande libro, pubblicato solo nel 2000 - tardissimo, ma molto meglio che mai.
Sándor no defrauda y deja ganas de más. Se ve su mano en cada frase, con esa capacidad única de analizar cada momento, cada sentimiento. Es un libro sumamente "inmersivo", y retrata una realidad no tan lejana que merece la pena recordar de vez en cuando.
Um relato lúcido sobre a guerra e os seus efeitos na vida dos civis, numa Hungria dividida durante a a segunda guerra mundial. Diferente de Marai, mas inconfundivelmente seu…duro, real, e vale muito a pena ler!
Budapest, 2ª guerra mundial, ocupada pelos alemães e sues lacaios locais, os Cruz Flechada. As tropas soviéticas estão a cercar a cidade e os bombardeiros americanos e inglesas lançam bombas do céu. E são estes dias que Erzsébet, a nossa heroína vai passando na cave do seu prédio, junto com os vizinhos e muitos de outras casas já destruídas. E é na companhia de Erzsébet e dos seus companheiros de cave que Márai nos faz passar quase a totalidade do livro. Muito bem desenhadas as personagens que habitam a cave, desde o conselheiro aos carvoeiros, sempre bêbados, que vão mantendo diálogos, alguns interessantes acerca da miséria, da morte, da esperança ou mesmo a liberdade e o que será a libertação. A parte final, acontece com vitória do cerco há, ainda na cave, uma interação entre a moça e um soldado soviético que, na minha leitura é mais desejada do que imposta. É um romance pesado!
"Erzsébet ya sabe que eso no basta; no basta con pensar de otra manera; en la vida llega un momento en que hay que actuar también de otra forma. No basta con pensar algo, esa “distinción” hay que expresarla algún día, ya sea con palabras o acciones…"
Erzsébet lleva veinticuatro días en un sótano de Buda. Su padre está en el edificio de enfrente, también bajo tierra, pero emparedado vivo. Es el único modo de que los alemanes y los propios húngaros no lo encuentren. Esa reflexión se le ocurre justo antes de que los rusos lleguen. Su cercanía despierta los pensamientos de sus compañeros de celda. Eso y el hecho de que dos alemanes han fusilado a un judío hace unos minutos.
Más tarde el sótano se queda vacío. Solo quedan Erzsébet y un paralítico, que resulta ser un profesor judío. La conversación que mantienen, sencilla y manida, debieron de mantenerla muchos humanos en la Segunda Guerra Mundial. Ella dice que los judíos son orgullosos. Él replica que los hombres lo son.
"Los judíos son seres humanos -explica en tono didáctico-, así que entre ellos también hay personas orgullosas. Asimismo las hay tacañas, voraces, lujuriosas y ladronas. Y personas a quienes gusta engañar al prójimo y otras que mienten. Pero los judíos son así por ser personas -añade-. Los judíos, señorita… los judíos son de muchos tipos. Quien piense que son todos iguales es que no los conoce. Los judíos no son iguales -concluye."
Y de repente llega un joven soldado ruso. El judío enmudece. Para ella representa la liberación…
Para mí Sándor Márai representa también una liberación. En mí no hay alegorías, ni un ruso, ni un húngaro ni un judío, pero sí muchas preguntas. Al igual que el profesor para Erzsébet, para mí Márai es sabiduría, el hombre que tiene todas las respuestas. Así que me quedo junto a él, con su mano en mi muñeca, deseando que llegue el día en el que tengamos este diálogo:
"-Creo que ya puedo irme -dice ella al cabo. -Si lo desea, ahora puede irse, sí -asiente él."
Esa tercera liberación significará que también yo habré hallado todas las respuestas.
TW: SA This book was such a disappointment for me. I absolutely loved Embers by Márai and was looking forward to reading another book by him but this on didn’t even came close to the greatness of Embers. It was just so boring and I missed his captivating way of describing people’s thoughts and emotions. I wish I Dnf it because till the end it was just a boring book but in the last pages Márai added a super unnecessary rape scene (not to mention that rape scenes are almost always unnecessary) it was so random and did nothing to the story. Felt like he just wanted to shook the reader at the end. What made me even more furious are the protagonist’s thoughts about the rape. She didn’t judge her rapist but was ashamed in front of him because she was dirty and smelled badly. Another big failure of men writing women.
This entire review has been hidden because of spoilers.
Siamo a Budapest, è il Dicembre del 1944. La disfatta dei nazisti è ormai prossima. L’Armata Rossa, che già dall’inizio di novembre è arrivata alla periferia della capitale ungherese, sta per completare l’accerchiamento della città. Mentre le deflagrazioni delle bombe sventrano i palazzi e i bombardamenti riducono Budapest ad un cumulo di macerie, i nazisti continuano ad accanirsi ferocemente contro ebrei e dissidenti politici.
La protagonista del romanzo è una ragazza di venticinque anni, Erzsébet, giovane studentessa universitaria. Dopo essersi rifiutata di salire assieme ai propri compagni su di un treno diretto in Germania, Erzsébet da alcuni mesi è costretta a celare la propria identità utilizzando documenti falsi. Il padre, un importante scienziato a sua volta inviso al governo filonazista, vive nascosto in una cantina, pressochè murato vivo insieme ad altri cinque perseguitati. Erzsébet stessa si appresta a trascorrere le quattro settimane di assedio nello scantinato del suo palazzo con decine di altre persone in condizioni di vita al limite della sopportabilità, in una “promiscuità da porcile”. Tuttavia, è fiduciosa. Aspetta qualcosa di meraviglioso che si riassume in una sola parola: “liberazione”. Tra poco i russi saranno qui, pensa, e tutto cambierà. Lei deve solo cercare di sopravvivere sino al momento al loro arrivo.
“Liberazione” è un romanzo lento come può essere lo scorrere del tempo in uno scantinato di una città sotto assedio, con un pessimismo ineluttabile di sottofondo che, come Marai intuiva nella stesura del romanzo durante il ’45 e fa vivere simbolicamente alla protagonista, troverà una grigia conferma nella realtà del dopoguerra ungherese.
In questa opera, Sandor Marai narra una parte della martoriata storia del proprio Paese per denunciare lo strazio della guerra e l’ottusità di ogni forma di totalitarismo. Al centro del libro vi è il male, l’orrore, ma soprattutto vi è quel confine sottile che separa la fine di un incubo e l’inizio di una nuova orribile prevaricazione. Marai racconta la disperazione attraversa una prosa raffinata e una vena narrativa elegantemente spietata. È proprio nella descrizione di una Budapest esausta, spinta dapprima nell’abisso della follia nazista e poi umiliata dall’intervento sovietico, che lo scrittore ci regala pagine di altissima letteratura.
E' ormai libera, ma non sa che farsene di questa libertà.
Queste 150 pagine scarse di Marai, recuperate dopo molti anni e pubblicate solo nel 2001, mantengono una forza e una nettezza ineguagliabili. Il titolo stesso indica il cuore straziante e straziato della narrazione: la liberazione, così attesa da milioni nel 1945, si fa reale, assume le fattezze dei russi che entrano a Budapest ed in questa trasformazione vite, persone, idee sono sconvolte. L'autore ungherese maneggia un materiale duro e delicato con maestria con effetti molto moderni: il vero cognome di Erzsebet mai viene fatto (l'identità distrutta nella guerra), cambi di tempi di narrazione che colpiscono il lettore (dal passato remoto di una memoria ad un presente vivo e brutale), ripetizioni ossessive di parole che perdono il loro senso e comunicano lo smarrimento totale delle persone nella città assediata (un "ordine" c'era,.... un "ordine" c'era...malgrado tutto, un "ordine c'era"). Fino al punto nevralgico, al momento dell'ingresso in scena del "liberatore", in cui il tempo della narrazione viene splendidamente sospeso, pagine e pagine si accumulano per descrivere cosa accade in pochi secondi; il giro di boa, il passaggio dello spartiacque porta in una dimensione tra realtà e sogno, dove il deja-vu rimescola i livelli a porta il libro ad vertici più alti. E quello che resta a noi lettori è quello che è rimasto ad Esrzebet, quello che le ha portato il russo, qualcosa che lei non sa dire e neppure noi...
Questo libro in poche pagine riesce a trasmettere la paura, il disorientamento e l'angoscia che la popolazione civile di un paese occupato dal nemico può provare. La protagonista è riuscita a nascondere il padre grazie all'aiuto di un sacerdote che l'ha murato in uno stanzino insieme ad altri perseguitati. Lei si è nascosta in uno scantinato con altre persone e, giorno dopo giorno, cresce l'ansia nell'attesa della liberazione di cui parla il titolo. Si sa che stanno arrivando i Russi, che potrebbero liberare finalmente la popolazione visto che ormai la guerra è agli sgoccioli. Tutta la speranza quindi è riposta in questo evento, si attende con trepidazione l'arrivo dei Russi, come di coloro che porteranno la salvezza. Purtroppo le speranze verranno disattese perché il primo incontro della protagonista con un Russo si rivelerà una brutta esperienza che toglierà la speranza nel futuro e porterà la nostra protagonista a non sapere cosa farsene di questa tanto agognata riconquistata libertà. Una bella riflessione sugli effetti nefasti della guerra sulla popolazione civile.
La libertad debe ser ganada. Una vez obtenida ¿qué se hace? Cuando no somos libres, cuando la incertidumbre y el terror son la constante en nuestras vidas, hemos de llenarnos de planes y expectativas para cuando estemos bien, en cambio despues del Do de pecho, después que el último fragmento de fuerza es utilizado, aun cuando consigamos nuestra libertad, tal vez no sabremos que hacer con ella.
Para mi leer a Sandor Marai siempre es delicado, encuentro sus libros fascinantes, su lectura espesa y aún así muy reconfortante. El final de liberación es impactante, una característica muy particular del autor es su capacidad de contar una historia pobre en acciones, pero rica en diálogos y soliloquios.