In 1929, the fifth year of the Fascist era and the twenty-first year of Alberto Moravia's life, the Italian literary world was stunned by the appearance of his first novel, The Time of Indifference. It is a deceptively simple story – five characters, the events of a few days, the intrigues of families and lovers.
The place is Rome. The central figure is Michele, a young man in confused but furious rebellion against the emptiness of bourgeois life. His father is dead; his mother, Mariagrazia, desperately clings to her bored lover, Leo; his sister has no hope of marriage or career and bleakly prepares to give herself to Leo as well. A frequent visitor is Leo's former lover, Lisa, ostensibly Mariagrazia's friend, a woman who feels she is in the final late bloom before age destroys beauty. She longs to make Michele her lover, but he is bored and disgusted by her pretenses, her vanity, her desperation.
All five are cast loose on the sea of modern life – obsessed with what they want, what they feel they are owed, the wrongs that have been done them, their loneliness. What Moravia destroys forever in this pitiless novel is the illusion that a world of ever-growing material comfort can ever feed the human soul.
Alberto Moravia, born Alberto Pincherle, was one of the leading Italian novelists of the twentieth century whose novels explore matters of modern sexuality, social alienation, and existentialism. He was also a journalist, playwright, essayist and film critic. Moravia was an atheist, his writing was marked by its factual, cold, precise style, often depicting the malaise of the bourgeoisie, underpinned by high social and cultural awareness. Moravia believed that writers must, if they were to represent reality, assume a moral position, a clearly conceived political, social, and philosophical attitude, but also that, ultimately, "A writer survives in spite of his beliefs".
The Time of Indifference is a kind of camera that has five characters: a bourgeois family in financial difficulty, and the lover of the mother, who holds the mortgage on the villa that the latter contracted with him. It studies manners of merciless acuity on a breathless bourgeoisie, living on pretenses, undermined by boredom, lassitude, indifference, loss of vital energy, and moral values. The family's son, Michel, is full of inclinations, aspirations, and revolt, but is always won over by renunciation. His disillusioned, distanced spectator gaze, faced with the distressing spectacle of the attitudes and postures of the protagonists, makes him a second narrator; it's a Meursault before its time. The present novel is a work of the author's youth, who saw stunning success in a scandal. Indeed, the acerbic description of the protagonists' moral turpitude and fundamental stupidity is most pleasing to the eye of the amateur of satyr and study of acid manners.
******************** ”Entrò Carla; aveva indossato un vestitino di lanetta marrone con la gonna così corta, che bastò quel movimento di chiudere l’uscio per fargliela salire di un buon palmo sopra le pieghe lente che le facevano le calze intorno le gambe; ma ella non se ne accorse e si avanzò con precauzione guardando misteriosamente davanti a sé, dinoccolata e malsicura; una sola lampada era accesa e illuminava le ginocchia di Leo seduto sul divano; un’oscurità grigia avvolgeva il resto del salotto.” ********************
Non ho grande memoria ma mi sento abbastanza sicura per affermare di non aver letto mai un incipit che contiene in modo così palese tutto il messaggio di un’opera. Il noto attacco in medias res trascina con sé il lettore nel salottino di casa Ardengo e vede attraverso gli occhi del libidinoso Leo il corpo giovane di Carla mentre lei mostra quell’indifferenza così dolorosa che è fulcro del romanzo.
Qui si anticipa anche quel gioco di luci che sarà scenografia e allegoria in tutta la torbida storia. Mancano, però, tre personaggi in questo incipit: Mariagrazia – madre di Carla-: consumata in un cieco egocentrismo senza coscienza di sé; Michele – fratello di Carla-: nel continuo tentativo di stuzzicare in sé un minimo di orgoglio che lo faccia ribellare a quell’ipocrisia borghese che non riesce più a tollerare; Lisa – amica di famiglia-: che lotta per aggrapparsi a qualche rimasuglio della giovinezza che le sfugge tra le dita.
… “quale debole sforzo basterebbe per essere sinceri, e come invece si faccia di tutto per andare nella direzione opposta.” Sospirò; gli pareva di essersi definito: ‘Perché sto qui?’ pensò ‘perché mentisco?[Sic!] sarebbe così facile dire la verità e andarsene’.
Moravia dipinge senza mezzi termini tutta la falsità di un'epoca e di un ceto consumato dall’indifferenza e dalla noia. Una classe sociale che pensa e agisce in base unicamente a sesso e denaro; null’altro importa. Ogni tipo di ribellione è perdente già in partenza. . A questo proposito non sono mancate analisi del testo che hanno voluto leggere una denuncia dell’inerzia di molta borghesia di fronte alla palese e sfrontata ascesa del partito e del pensiero fascista.
Interpretazione, questa, molto plausibile ma quel che è sicuro è che qui si mette in scena un microcosmo dove convive una doppia realtà: una biforcazione tra ciò si dice/esprime a parole e ciò che si pensa/sogna/immagina. I dialoghi subiscono tutti questa separazione per cui ciò che si pensa non è mai ciò in realtà ciò che si dice agli altri.
Un concetto che fa pensare immediatamente -e con fondata ragione- a Pirandello*. Citato direttamente nel testo ed esaltato nel ballo in maschera finale dove i personaggi tornano al loro posto indossando il costume che la società altrettanto fasulla ha loro assegnato. ____________________ PS- Il mio incontro con Moravia risale a tanti anni fa e non fu felice. Ci guardammo subito in malo modo: una reciproca antipatia. Io tentavo, a dire il vero, qualche approccio ma ne uscivo sconfitta. L’unica cosa che pensavo avesse fatto ammodo era titolare il romanzo “La noia”. Non riuscivo ad andare oltre le venti/trenta pagine, per quel che ricordo: lo trovavo estremamente monotono. A mio discapito posso dire che ero molto giovane. Ma è una giustificazione fiacca. Se penso che lui scrisse tutto questo a circa 22 anni vorrei mettere la testa sotto la sabbia da tanta vergogna che provo. Ora, in ogni caso, io e il signor Moravia abbiamo fumato questo calumet della pace. E’ stato inebriante. Ci siamo guardati negli occhi con la promessa che non ci incroceremo più con indifferenza. _____________________
* Un ulteriore prova dell’affiatamento di Moravia con l’idea pirandelliana è attestato dal fatto che il titolo originale de “Gli indifferenti” era “Cinque personaggi e due giorni”
Ho colmato una mia grandissima lacuna. Mi vergognavo di non aver letto ancora niente di Moravia.
Adesso magari il mio sarà un discorso un po’ astruso però ci provo: questo è un libro in ralenti. Un libro nel suo scorrere può soffermarsi più o meno sulle varie azioni personaggi: c’è il libro che racconta molti avvenimenti in poche pagine, addirittura poche righe, e inevitabilmente lo dovrà fare in modo piuttosto superficiale e c’è il libro che invece darà grande attenzione ai particolari e ai pensieri dei personaggi. Non solo Gli indifferenti appartiene al secondo gruppo, ma non credo di aver mai trovato un libro che riesca a raccontare così poche vicende in così tante pagine. E senza fare schifo (tutt’altro!), aggiungo.
In circa trecento pagine verranno raccontati, se non sbaglio, meno di tre giorni dal punto di vista di cinque personaggi (mi ha ricordato molto il teatro), e senza flashback, quindi sono raccontati proprio solo tre giorni. Come ha fatto Moravia? Ogni gesto, per quanto piccolo o apparentemente insignificante, assume un enorme importanza e si porta dietro tutti i pensieri e le intenzioni nascoste dei personaggi.
Sicuramente ci sarebbe da dire tanto anche sui personaggi, sull’indifferenza e l’inettitudine, che li caratterizza (quasi) tutti. Ma sono cose piuttosto evidenti.
Alla fin fine quello che mi ha sorpreso è stata la capacità di Moravia di non risultare quasi mai noioso, nonostante la lentezza e l’immobilità che permea il romanzo.
Per me è stato claustrofobico. Buio e pioggia ovunque, con gente che si muove, quasi per inerzia, con una innaturale velocità, spinta da chissà quale forza sconosciuta, come in un vecchio video in bianco e nero dei primi del '900. In fondo i protagonisti non sono che questo, fantasmi di un mondo scomparso.
Il romanzo di Moravia è una vecchia pellicola, ingrigita, piena di gente che recita. Volti che ridono, si divertono e parlano perché non c'è altro da fare. Che disprezzo ho provato per quel mondo, che pena mi hanno fatto! Che rabbia par la loro ipocrisia borghese! Un mondo triste e meschino in cui tutti mentono, sovrastati dalla loro mediocrità. Tutto è finzione, non c'è rabbia, amore o disprezzo, solo indifferenza.
Leggendo c'è sempre questa sensazione di cupo grigiore. Non dà scampo.
Moravia è davvero spietato in questa descrizione del suo tempo e l' idea che abbia iniziato a scriverlo a 17 anni mi riempie di angoscia. Ai tempi stava male, non ha potuto nemmeno terminare gli studi liceali. Costretto a letto, quanto si sarà annoiato, quanto avrà letto, fantasticando sulla realtà (e per fuggire dalla sua realtà)? Michele è forse lui? Non riesco a non pensarci. E a non provare pena per quel ragazzino incatenato nell' indifferenza.
13 χρόνια πριν από τον ξένο του Καμύ, ο Μοράβια αποτυπώνει με εκπληκτικό τρόπο την πλήξη, την αδιαφορία και την παρακμή της αστικής οικογένειας και ταυτόχρονα θέτει αμείλικτα υπαρξιακά ερωτήματα μέσω των πρωταγωνιστών του. Τα πρόσωπα του βιβλίου είναι 5 όλα κι όλα, κι όμως, με κάποιο τρόπο, ο κάθε ένας από μας μπορεί να δει τον εαυτό του σε κάποιο από αυτά.
Published in 1929, The Time of Indifference (Gli indifferenti) is Moravia’s first novel. In many ways, this novel can be considered a masterpiece. At any rate, it is worth noting that The Time of Indifference is a novel that won Moravia fame and critical acclaim. It is certainly a very successful piece of writing. On surface it is a simple story, a tale of intrigue and betrayal, featuring only 5 characters (Mariagrazia, Leo, Carla, Michele and Lisa) and covering events over a short amount of time (only a few days really). However, there is more to this novel that meets the eye. Besides the basic plot, this novel is also a critique of aristocratic/ bourgeois society and a very successful one at that. It is also a very good study of character. Moravia very first novel is quite ambitious. Given its mature feel, it is hard to believe that the author was so young when he wrote it.
The writing is very precise. The novel is written in a realistic style. The characters are studied and described with accuracy, without too much mercy, one could add. With a novel whose pace is as slow as this one (hardly anything happens in the conventional sense of the word, most of the novel takes place within the heads of the characters), it is up to the characters to make the matters interesting. These five sure manage to do that. Who are the characters then? A family, for five out of five characters in this novel live together in a villa. The fifth character Lisa is connected with them by past. A sort of a family saga then? Once I listened to an interview with Moravia where he elaborated on the influence that the Russian classics had on him and I certainly couldn’t help thinking of Tolstoy and his line- all unhappy families are unhappy in their own way. This novel tells a story of one very unhappy family.
Let’s start with Mariagrazia, an aging widow whose lover Leo is losing interest in her. Mariagrazia, who is, like all the other characters, a creature incapable of finding her place in the world. Mariagrazia who worries about her increasingly bored lover Leo leaving her. A woman of little imagination. A woman who says that the poor don’t suffer the way they do (higher class that is) because the poor don’t have their sensibilities and imagination, but is Mariagrazia very sophisticated herself? Not at all. She shows little candid interest in her children. Mariagrazia is incapable of understanding that the world that she belongs to is long gone and for all her talk of sophistication seems to be a lady of a limited intelligence. Her lover Leo is more important to her than her children, and her children are of more interest to Leo than herself, albeit not in a normal way. Her children are interested in nothing, a passive decedents of a dying class.
Leo, the lover of Mariagrazia, used to be romantically involved with Mariagrazia’s friend Lisa. Why he treated Lisa for Mariagrazia is not elaborated on and perhaps it is not important for the context of the novel. Sensing that Leo is growing apart, Mariagrazia suspect he has something to do with Lisa, her friend, the lady she stole Leo from in the first place. Although, it is hard for me to understand why woman would fight over a man like Leo? Leo doesn’t remain passive but falls head over heels with Carla, Mariagrazia’s daughter. Leo who enjoys torturing Michele, the son of Mariagrazia. Not a very decent human being, but that says something about Mariagrazia as well. When Lisa makes her appearance, Leo at this point quite bored with Mariagrazia’s jealousy and reprouches, decides to pay Lisa a visit only to discover that Lisa is no longer interested in him. Lisa falls in love with Michele, who in turn is discounted by her pretences. Perhaps Lisa reminds Michele of his mother. Michele seems to be disgusted with everything, with society and life in general. Who can blame him? His inner thoughts take over the novel at one point. Michele becomes the judge and the judges himself just as harshly as he judges the world.
What to say of the siblings? Carla and Michele, children of Mariagrazia, indifferent and bored, lost in a world that has no place for the likes of them. They were the only characters I could relate to. I felt sympathy for them both. Because they are so young and they haven’t really lived, haven’t really felt and perhaps will never get the chance. I felt sympathy for the poor Carla, for her youth and beauty, for her imprisonment. For Carla’s life is a sort of imprisonment. An impoverish family who insists on keeping up appearances is a trap for a young girl, especially a passive one, even if she is a pretty girl.
The novel opens with a disturbing scene, a scene in which a step-father (Leo) courts his stepdaughter (Carla). Can he be really considered a stepfather or is Leo merely a lover of the mother of the girl (Mariagrazia)? Even if he is just a casual lover (and Leo seems to be more than that, at least in Maria Teresa’s eyes) the fact remains Leo lives in the villa. The fact they all inhabit the same space makes the whole affair even more revolting. Either way, it is very disturbing. Now, having read other novels by Moravia, I’m not stranger to this scenario. For example, there is another novel by this author that features a protagonist who falls in love with his stepdaughter, but for some reason the opening scene of this one was particularly nauseating. Incestuous- like relationships are a pretty common occurrence in Moravia’s novels, and yet here he almost takes it too far. Perhaps he was aiming for a shock effect? Moravia seems to have known what he was doing, for I’m not sure have I ever read a more revealing opening scene. It transforms the reader into the atmosphere of a decadent family perfectly. It is hard to describe what is more disturbing, the incestuous passion of the lover, or the indifference of Carla. Leo’s pursuit of Carla is initially shocking, but by the end of the novel, nothing really surprises us anymore.
The basic story line resembles a soap opera, with seduction attempts at every step of the way, and yet the character feel very real. The characters give this novel its flare of a Greek tragedy. They are a dying breed. It is the older who try to seduce the young, perhaps trying to recapture their youth and life? The young (Carla and Michele) instinctively sense that it is all in vain. The protagonists of this novel are hard to love, lost in their indifference (Michele and Carla), their stupidity and egoism (Leo and Mariagrazia) or their desperation (Lisa). They all want to be loved, but they have no clue how to love. Their isolation is painful to watch, but at the same time it makes perfect sense. Could it be any different? They all live in illusions, and surprisingly the young ones (Carla and Michele) seem to be more aware of it. The young ones sense it but lack the strength and the motivation do to anything about it. Mariagrazia is afraid of her lover abandoning her. Lisa is afraid of not making Michele her lover. Carla is simply lost. She’s so passive, she daydreams of a lover, and deceives herself with the story of this imaginary lover. Carla might become Leo’s prey out of sheer boredom and desperation, because it is the only way to escape her coursed life. Michele is worried for his sister and mother, but incapable of idolizing them and perhaps incapable of loving them as well. What they all seem to be incapable of is- love. The older ones can still feel desire and lust, but neither of them can feel love, neither for themselves, nor for one another and certainly not for the society. The Time of Indifference describes with painful accuracy the hypocrisy of bourgeois class. Moreover, with its modern theme of loneliness and isolated protagonist, this novel speaks volumes about the course of human existence, the curse of solitude all of us endure.
Il cambiamento: oggetto della speranza di tutti per poter migliorare le proprie vite e uscire dalla mediocrità. Ma la volontà senza azioni rimane puro e semplice pensiero, come accade per i protagonisti del testo di Alberto Moravia.
La famiglia Ardengo, composta da Mariagrazia, madre rimasta vedova, e dai due figli Michele e Carla, è completamente indifferente di fronte al declino della società borghese di inizio novecento, e della loro stessa famiglia. Sono in rovina, ma questo non riesce a turbarli poiché sono presi ognuno dai propri pensieri. Tutti i personaggi rifiutano continuamente di giudicarsi e di trovare dentro di sé una via d' uscita ai loro problemi. Appaiono quasi privi di autocoscienza, non vengono toccati dalla crisi economica, non vengono attaccati dalle parole di chi li insulta. Tutto questo però, non perché essi non ne abbiano consapevolezza, ma perché troppo deboli per affrontare la vita, non avendo la forza di opporsi anche a piccoli o banali cambiamenti. Si trovano in un mondo fatto di apparenze, in cui tutto resta superficiale. Tutto ruota intorno alla maschera che si deve mantenere, all'indifferenza che ha ormai intaccato anche l'anima delle persone. L'apparenza è così importante che le persone ne sono schiave; è l'ipocrisia che vince sempre sul bisogno di sincerità, ipocrisia che si rende necessaria nel mondo borghese chiuso e privo di speranza, e che caratterizza l'uomo contemporaneo. E così le azioni vere e sincere non trovano più modo di essere.
Ripetizioni di pensieri, ma anche di atteggiamenti, di scene che si ripresentano e contribuiscono a creare il "non sentimento" che è la noia. La famiglia riunita alla stessa tavola ripete sempre la stessa recita di falsità, ogni discussione ricade nello stesso circolo vizioso da cui tutti cercano ogni volta di ritirarsi, ma da cui non riusciranno mai ad uscire.
La prima volta in cui ho letto questo romanzo giovanile di Moravia, frequentavo il IV anno di liceo e non mi era piaciuto. Questa volta l'ho ascoltato nella versione audio, letta da Toni Servillo sulla pregevole app di Rai Play Radio e l'ho profondamente apprezzato. L'inautenticità dei vari Leo, Maria Grazia, Lisa, l`inettitudine di Michele, l'irrisolutezza di Carla mi sono sembrati molto comprensibili e 'moderni', in una contemporaneità anestetizzata, che ben conosce la paralisi e la frustazione. L'atto mancato tentato e non agito da Michele alla fine del romanzo nei confronti dell'odiato Leo, amante per 15 anni della madre e poi seduttore/sedotto della sorella Carla, di cui farà una 'donna onesta' (???), mi ha quasi divertito, nonostante il costante senso di oppressione che mi ha accompagnato durante l'ascolto. Non è il destino, la Provvidenza di verghiana memoria, a decidere il destino di questi moderni sconfitti: è la loro inconcludenza, la loro piccolezza, la noia di una vita che, ancor prima di essere vissuta, ha già permeato di sé ogni sguardo, ogni suppellettile, ogni parola di ciascun discorso vuoto e falso. Lo rileggeró tra 20 anni e chissà come sarà nuovo e originale allora. Come ciascun classico, a ciascuna lettura.
1929. Ventidue anni per il giovane autore. La sua opera d'esordio.
Sarebbero sufficienti queste coordinate per capire il valore di questa opera se ricordassimo semplicemente che siamo in epoca fascista, che fare letteratura all'epoca, soprattutto per dissentire, era pressoché impossibile e che la stessa letteratura, se voleva calarsi nel reale, non aveva altra scelta se non quella di contribuire a celebrarne i fasti. Eppure questo è un potente romanzo realista e segue capolavori quali La coscienza di Zeno (1923) e Uno nessuno e centomila (1926). Pirandello, Svevo, Moravia: giovanissimo e già capace di rappresentare la stanchezza, la noia, il disincanto, lo stallo più assoluto della classe borghese e di farlo, tra l'altro, sulla scia delle potenti letture che avevano riempito la sua giovinezza malata: Joyce, e Dostoevskij. Senza dimenticare lo stesso Svevo di Senilità. Impossibile non ricordare Emilio Brentani in Michele, con i dovuti distinguo. Realismo appunto a restituire una situazione di stallo totale. Tutto nella narrazione è funzionale a ottenere il più assoluto immobilismo: il tempo rappresentato, appena due giorni, lo spazio gestito nelle dicotomie aperto-chiuso, grande- piccolo, o attraverso atmosfere cupe, coltri polverose di vecchi tendaggi, luce soffusa o assente. I personaggi, cinque appena, al centro la famiglia monca e decaduta, una coppia, guarda a caso fratello-sorella, un trio con la madre, un quartetto con Leo, una cinquina esplosiva con l'amica della madre. Rapporti tesi, difficili, ambigui fra di essi, sulla scia di un latente erotismo declinato nelle sue più rocambolesche variazioni. Dialoghi pressanti, è tutto un vociare che tace la verità. Ambivalenza totale, rovelli interiori, consapevolezza assoluta e presa di coscienza della propria inettitudine, accettazione totale di essa secondo differenti scelte: Michele e Carla che Carlotta non può divenire. Un finale aperto e ambiguo. Un 'opera magistrale.
Leggo Moravia per la prima volta, e lo faccio partendo proprio dal suo primo romanzo. Non è stata una scelta deliberata, ammetto di essermi affidata un po' al caso, di essermi buttata, ma sono contenta che le cose siano andate così. Leggo il primo Moravia (primo in tutti i sensi) a ventidue anni, e ventidue anni aveva lui quando scrisse questo romanzo: certo la cosa non mi lascia indifferente (è un gioco di parole non voluto, lo giuro), perché i miei ventidue anni mi sembrano così piccoli, così insignificanti al confronto... ma torniamo a noi. Torniamo a questo dramma borghese, dove dramma mi sembra proprio il termine più adatto: leggendo questo romanzo ho avuto le stesse sensazioni che ho quando assisto ad un dramma a teatro, puntando tutta la mia attenzione su una scena con pochi ambienti fissi, sempre quelli, a malapena caratterizzati (la villa, una strada bagnata dalla pioggia costante, la casa di Lisa, la casa di Leo) e una manciata di attori pronti a tirare avanti tutto lo spettacolo da soli, senza bisogno di comparse, senza spalle. Infatti gli unici personaggi presentati da Moravia sono proprio loro, Carla e Michele, la madre (appellata quasi sempre così, raramente detta Mariagrazia, quasi fosse solo un personaggio, un ruolo), Leo e Lisa. Qualcun altro è nominato di sfuggita, ma non compare mai attivamente, mai in prima persona, non ci sono altre voci al di fuori di queste cinque. La madre, i figli, l'amante, l'amica. Ruoli che si intrecciano e si confondono. La madre che è quasi sempre appellata attraverso il suo ruolo genitoriale, ma che di materno non ha nulla, una donna fatta di capricci, gelosie e atteggiamenti infantili. L'amante, Leo , che è amante della madre ed era stato amante dell'amica e si appresta ad adoperarsi a diventare amante della figlia, senza aver provato amore per nessuna di queste figure. La figlia, Carla, disperata e non rassegnata a vivere la sua vita sempre uguale, sempre monotona, che s'è lasciata trascinare dall'esistenza per ventiquattro anni senza opporsi a nulla, abbandonata, che cerca di trovare una "nuova vita" concedendosi all'amante di sua madre, senza interesse, senza passione. E l'amica, Lisa, abbandonata dal marito, abbandonata dall'amante, che suscita le inutili gelosie della sua amica Mariagrazia e cerca di trovare affetto e calore fra le braccia di Michele, troppo giovane e indifferente per curarsi davvero di lei. E infine, c'è lui, Michele. Il personaggio forse più controverso, il più lucido e al tempo stesso il più incapace di spezzare tutta la finzione in cui la sua famiglia è avvolta. Michele è un personaggio in cui è facile specchiarsi, un uomo debole e indifferente, che affronta la sua vita covando rancori e sofferenze, senza avere però la forza di incanalarli contro gli oggetti che ha davanti. Michele sente ogni passione, razionalmente conosce perfettamente ogni emozione, ogni reazione che da lui ci si aspetterebbe, e si sforza con struggente impegno di aderirvi, di incarnarli, come un perfetto attore. Eppure non sente nulla, nulla lo riesce a colpire davvero, la vita la pensa e non è capace di viverla restando, irrimediabilmente, indifferente. Un romanzo crudo, freddo per certi versi, narrato con una prosa estremamente precisa ma asciutta, che nonostante tutto però permette di sentire sulla propria pelle i piccoli, immensi dolori di questi personaggi che nonostante la complessità delle loro relazioni restano sostanzialmente soli, incapaci di comunicare davvero anche solo il più piccolo sentimento, irrimediabilmente chiusi nei propri drammi, nelle proprie preoccupazioni, nelle proprie individualità. E questo muro, questa totale assenza di una qualsiasi forma di empatia in un primo momento sembra rimbalzare sul lettore, che si sente messo all'angolo, solamente spettatore. Eppure, in qualche modo, questo essere solo spettatori di emozioni paralizzate finisce col trascinare e travolgere inevitabilmente, perché forse un po' di questa indifferenza la conosciamo anche noi, la riconosciamo anche come nostra. E non sono sicura sia un processo piacevole riconoscere così bene i drammi di Carla e Michele e la madre. Un grande romanzo che mi ha convinta dai primi capitoli a voler leggere altro di Moravia.
Da dove iniziare con un romanzo come “Gli indifferenti”? Dall’ammirazione per lo spietato realismo con cui Moravia ha delineato la società borghese dell’epoca? Dall’apprezzamento per la magistrale caratterizzazione dei personaggi - apatici, incapaci di provare veri sentimenti? O, forse dallo stupore per il fatto che Moravia sia stato in grado di scrivere questo romanzo a soli diciott’anni?
“Gli indifferenti” ha, come protagonista, una famiglia borghese composta da una madre, Mariagrazia, due figli, Carla e Michele, e l’amante della donna, Leo. Si tratta di una famiglia in duplice decadenza: economica - rischia di dover vendere la villa e a abbassarsi a vivere in un appartamento - e morale - è totalmente priva di valori. Nonostante i problemi economici, le uniche preoccupazioni di Mariagrazia sono per il suo aspetto fisico e per il desiderio di tenersi stretta l’amante. Vede in Lisa, una sua amica, una potenziale rivale e non si rende conto che, invece, la minaccia più grande è rappresentata dalla figlia. E’ Carla, infatti, il nuovo obiettivo di Leo; la ragazza tentenna, indecisa, ma alla fine cede, senza provare la minima vergogna. Michele assiste a tutto questo e, invece di indignarsi, non prova assolutamente niente - l’indifferenza più totale.
Quella che Moravia descrive negli “Indifferenti” è una società borghese vuota, falsa, superficiale, basata su due soli valori: il sesso e il denaro. I personaggi sono incapaci di provare veri sentimenti, di vivere la vita in modo autentico: sono, come dice il titolo, indifferenti. Lo sono, però, in modo diverso: gli adulti, Mariagrazia e Leo, sono indifferenti da un punto di vista prettamente morale - egoisti, vanitosi, alla ricerca del piacere - mentre i giovani, Carla e Michele, lo sono da un punto di vista più psicologico - sono apatici, non provano sentimenti. La generale indifferenza porta i personaggi a comportarsi in modo falso, macchinoso e ripetitivo. Sembra che indossino una maschera; la maschera, infatti, è simbolo di falsità e immobilità, ed è un termine ricorrente all’interno del romanzo - soprattutto nel finale, in cui ha un significato molto importante.
Il romanzo di Moravia si svolge quasi esclusivamente al chiuso, in ville arredate da tantissimi mobili e suppellettili che contribuiscono a creare un’atmosfera di claustrofobia e soffocamento. Carla e Michele avvertono questa claustrofobia e vorrebbero fare qualcosa per cambiare la situazione, ma falliscono entrambi, a causa della loro indifferenza. Si tratta, però, di fallimenti di tipi diversi. Carla si illude di iniziare una nuova vita con Leo e non capisce che, così facendo, diventa uguale a sua madre. Il suo fallimento consiste, quindi, nell’arrendersi e conformarsi pienamente alla società borghese. Michele, invece, attua vari tentativi di ribellione, ma nessuno ha successo. L’ultimo, in particolare, ha risvolti tragicomici e rappresenta un rovesciamento dell’ideale di eroe romantico che si fa giustizia da sè. Il fallimento di Michele non consiste, quindi, nel conformarsi alla società, ma nell’esatto contrario: nel ricadere in modo definitivo nella sua indifferenza e inettitudine.
Pochi romanzi sono definibili dei capolavori. “Gli indifferenti” è sicuramente tra questi.
Once upon a time, it appeared, men used to know their paths in life from the first to the last step; but now it was not so; now one's head was in a bag, one was in the dark, one was blind. And yet one still had to go somewhere; but where?
Il romanzo d’esordio di Moravia fa male, ferisce lentamente e senza avvisare. Man mano che le pagine scorrono il lettore attraversa una moltitudine di stati d’animo diversi: rabbia, ilarità, tristezza e tanto per cambiare noia (sentimento di totale indifferenza che tanto affligge il nostro sventurato Michele, così come il resto dei personaggi del romanzo). Pensare che a soli 17 anni lo scrittore romano cogliesse l’ipocrisia dell’ormai tramontante classe borghese e intuisse ciò che l’ascesa di Mussolini avrebbe comportato per il suo paese ha dell’assurdo. Non si può negare che talvolta il libro sia un po’ prolisso e pomposo in alcune descrizioni, mai ai livelli di D’Annunzio per carità, però sicuramente si intuisce la volontà di Moravia di mostrare il suo talento letterario. Non mi soffermerò sulla trama poiché sulla carta essa presenta solo cinque personaggi principali e forse due ambientazioni? Ciò che realmente contraddistingue questo libro è proprio come esso sia in grado di trasmettere quel vuoto e quella cupezza di cui Carla si lamenta e Michele si strugge, arrivando lentamente a pervadere il lettore costringendolo quasi ad interrompere la lettura (come è avvenuto con me ad agosto). Chiedendo pareri anche a parenti ed amici in merito all’opera di Moravia, tutti ne avevano un ricordo pessimo: come di una lettura difficile, pesante e a tratti deprimente. Solo contestualizzando il romanzo si possono veramente intuire le vere intenzioni di Moravia ed apprezzare l’opera per ciò che essa vuole trasmettere o almeno evidenziare. La critica mossa alla “noia borghese” che caratterizza il dopoguerra italiano appare così evidentemente articolata, che non riesco a comprendere come essa possa essere stata scritta da un liceale.. La magistrale sapienza con la quale i vari intrecci si susseguono nel racconto, portando poi ad un inevitabile epilogo, che più che accendere gli animi rende solo più evidente ciò che è infine la tematica centrale dell’opera stessa di Moravia.
( ليست رواية ، إنما ماخور ! ) كان هذا أول رد قوبلتُ به حين تحدثت عن مجريات الرواية لأحد الأشخاص ، و الصراحة فإنّ وصفه قد لائم الرواية و عبّر ببساطة عمّا في نفسي .. فتسمية الرواية باللامبالون لا تناسبها تماماً ، و الأصح تسميتها بالفاسدون ، المنحلّون ، اللاأخلاقيّون ، فما جاؤوا به من انحطاط نفسي وحياة حيوانية تحركها غرائز ومطامع بشعة ، وعلاقات لا تتقاطع إلا لتُشكّل دَرَناً مليئاً بالخطايا والتدني الأخلاقي .... ، ما جاؤوا به من محتوى لا يرتقي للفظة اللا مبالاة أو حتى يُدانيها .
أبطال الرواية أشخاص تُحركهم مصالح دونية ، جميعهم يُظهرون خلاف ما يُخفون ، ولو أنّ واحد منهم تحلى بالجرأة والصدق وأبدى ما يُضمر لانتهى كل هذا العبث ، لكنهم مُخاتلون ، افتقروا منذ زمن لحسّ المسؤولية والعبء بالآخر ، وصار ما يحفل به أحدهم هو منفعته الشخصية حتى لو كانت بالقفز على شرف الجميع ، حتى الشخصية الوحيدة التي كانت محط اهتمام و آمال ، انساقت في النهاية وراء مآرابها سالكةً أحطّ الدروب وأقفرها أخلاقاً ...
المشكلة لها وجهان : وجه داخلي وآخر خارجي ، داخلي وهو لا مبالاتي ، عدم إيماني وصدقي ، وخارجي يتمثل في كل الأحداث التي لا أستطيع مواجهتها ... ، وكلا الوجهين لا يُمكن تحملهما ..
ما جعلني أصبر عليها هو المعالجة النفسية لشخصية الإبن ميكيلي ، التي جاءت ببعض المقاطع من العمق ما يُرفع له القبعة ويشدّ انتباه القارئ ، لكن الذهول الذي رافقني من فسادهم أجبرني على النفور و التعجب من كل هذا الانحطاط الناتج عن عائلة واحدة !! هل هذه العائلة نسخة صُغرى عن ذاك المُجتمع ؟!!
أيضاً الترجمة بعيدة عن الأسلوب الأدبي وتحتوى شتّى الأخطاء ، فمثلاً إليكم بهذه الجملة : ( هل تريد نقوداً سائلة أم بشيك؟ ) ، أعتقد أنّ حتى جوجل ترانسليت لا يأتي بهذه الجملة الركيكة ، فضلاً عن الأخطاء الإملائية التي تُشوّه كل صفحة تقريباً .
أمّا النهاية ، فإذا كان يريد بها (النهاية المفتوحة) ، فكانت تُشبه كل شيء إلا ذلك ..
Os indiferentes de Alberto Moravia é um critica à sociedade burguesa. Cada personagem tem uma máscara e atua com o propósito, o de “dar-se bem na vida". Todos são conhecedores das dificuldades e problemas dos outros, mas todos fingem como se estivessem num palco a encenar para um publico. Escrito em 1929, este romance é uma sátira à família aristocrata em decadência. "O medo da mãe agigantava-se; nunca quisera saber dos pobres e nem sequer conhece-los de nome, nunca quisera admitir a existência de gente de trabalho penoso e de vida triste. ‘Vivem melhor do que nós’, dissera sempre, ‘nós temos maior sensibilidade e mais inteligência e, por isso, sofremos mais do que eles..." (p. 26)
Leo é um patife, negociante de imóveis e sedutor. É rico e bom observador, sempre atento às viúvas ricas, dá-lhes a mão e apodera-se-lhes do corpo e da alma. Amante de Mariagrasia, a quem empresta dinheiro.
Mariagrasia é uma mulher nascida e criada na burguesia, enviúva, mas não quer aceitar a nova realidade e vai-se endividando ao longo dos anos, para manter o status, torna-se ridícula e desacreditada na alta sociedade. É ciumenta, ama e quer casar com Leo, assim resolveria todos os seus problemas.
Carla, filha de Mariagrasia quer mudar de vida, cansada da vida que leva, decide mudar, o único pretendente que lhe faz a corte é Leo, o amante da mãe. Carla, com 24 anos já não suporta viver naquela casa em permanente conflito com a mãe, torna-se indiferente ao amor e aceita ser amante de Leo, este, muito mais velho que ela.
Michele, é irmão de Carla, descobre o plano de Leo, que pretende ficar com a casa da família como pagamento pelas dividas da mãe. Sofre por inercia, termina os estudos, mas não arranja emprego, falta-lhe referências e não quer recorrer a Leo. Michele pensa e vive em permanente conflito consigo mesmo, pensa constantemente em como resolver o problema financeiro, mas é incapaz de mentir e enfurece-se pelos outros representarem sentimentos que não sentem, mentirem permanentemente em relação ao seus pensamentos, desejos, ambições e conviverem bem nesse papel.
Lisa, a quinta personagem deste romance era ex-amante de Leo e apaixonada por Michele. Mulher vivida e sabida. Observa todos com atenção e representa muito bem o seu papel. Compreende Michele e a sua indiferença, atiça-o para uma atitude, sabe do envolvimento de Carla com Leo e comenta a Michele, joga e goza com a ingenuidade de Mariagrasia, sua grande amiga. Espectadora cínica da tragédia familiar.
Gli Indifferenti è il primo romanzo pubblicato da Moravia, quando l'autore era soltanto ventiduenne. La trama del romanzo di per sé è molto scarna: Michele e Carla sono due fratelli, entrambi accomunati da un desiderio di evasione rispetto al mondo che li circonda, ossia quella buona borghesia ipocrita e falsa, ai tempi faro della società fascista. L'intero romanzo ruota attorno all'asfissia vissuta dai due giovani, e ai loro tentativi di fuggirne. Carla stringe una tresca con quello che un tempo era stato l'amante della madre, Leo, cinico proprietario di immobili, perfetto esempio del buon borghese, benestante, ben piazzato socialmente, vuoto fino al midollo e spinto nelle sue azioni unicamente dal proprio tornaconto economico e dalla propria estrema voluttà. Michele vive una sorta di situazione parallela con Lisa, amica della madre, donna ormai non più giovane, dominata anch'essa da una formidabile libido e da un'altrettanto formidabile superficialità. Centro dei rapporti dei due giovani, come si può evincere, è proprio la madre, Mariagrazia, un personaggio di un'idiozia tremenda, di fastidiosissima falsità, perfetta rappresentazione della civetteria borghese. I personaggi terminano qui. E le vicende si svolgono quasi interamente all'interno della villa della famiglia di Carla e Michele, ormai ipotecata e simbolo assoluto della loro decadenza economica ed interiore. Da ciò quel senso di claustrofobia che si avverte nella lettura del testo, senso che concorre a motivare ulteriormente i sentimenti dei due giovani, così vicini eppure così lontani: Carla cede nel suo desiderio di evasione alle lusinghe del viscido Leo, in un desiderio di degradazione e bestializzazione che tuttavia si tramuta, nella conclusione del romanzo, nel concepimento del più convenzionale e squallido dei matrimoni riparatori, portandomi nel corso del testo a dubitare quanto fosse effettivamente sincera la sua volontà di evasione. Michele non cede alle tentazioni di Lisa, è sempre preda di un disgusto nei confronti di ciò che vive e che lo circonda pronto a tramutarsi puntualmente in indifferenza, parola che ritorna ossessivamente nelle descrizioni dello stato psichico del giovane. Moravia intende psicanalizzare i suoi personaggi, soprattutto i due protagonisti, scardinare i loro sentimenti, motivare le proprie scelte e non scelte... Secondo me non ci riesce appieno: è la sua una psicanalisi superficiale, spesso non si comprende appieno come possano i due protagonisti vivere quei sentimenti che ne dovrebbero caratterizzarne l'eccezionalità. Ed in effetti secondo me sono molto più riusciti i personaggi caricaturali di Leo, Lisa e Mariagrazia: dei veri e proprio mostri di nulla, tutti tesi a vivere nelle loro occupazioni insensate, nel pieno rispetto della convenzionalità borghese. A ciò secondo me influisce anche un difetto nello stile del giovane Moravia (non ho letto altro di lui e mi limito a questo romanzo): per quanto la sua sia una scrittura sobriamente elegante, seppure a tratti troppo densa, resta troppo spesso fredda, non è coinvolgente, se si eccettua qualche scena, come il dialogo conclusivo tra i due fratelli, o le descrizioni allusive delle stanze e dei panorami, in cui davvero riesce con qualche breve periodo a significare l'intero stato d'animo dei protagonisti. Tuttavia un enorme merito del giovane Moravia è essere riuscito a tratteggiare l'estrema stupidità e frivolezza di un'intera classe sociale in un semplice romanzo, e soprattutto di come nascere in determinati ambienti, in determinate circostanze, marchi una croce quasi impossibile da cui liberarsi: in ciò il finale di Carla, che inizia a progettare una buona sistemazione per Michele, un buon lavoro, un buon partito, è veramente strepitoso.
Premda radnja prati živote protagonista u nekoliko dana, Moravija uspeva da nam u kratkom vremenskom okviru predoči sve mane italijanskog visokog društva, kroz detaljnu studiju njihovih ličnosti, dajući romanu snažan psihološki pečat.
“La propria immagine, quel che veramente era e non poteva dimenticar di essere, lo perseguitava; ecco, gli larve di vedersi: solo, miserabile, indifferente.”
Il romanzo narra la storia di una famiglia borghese in declino composta da una madre, Mariagrazia, e i figli Michele e Carla. Vi è poi Merumeci, che oltre ad avere in mano le sorti economiche della famiglia, è un vecchio amante di Mariagrazia ma che insidia la giovane Clara. La famiglia si barcamena tra amori, tradimenti, liti e gelosie, in un’atmosfera decadente fatta di feste, cene e palazzi, che vuole mantenere uno splendore ormai perduto. I personaggi vengono travolti dagli eventi come se non potessero fare nulla per determinarli.
Questo romanzo ha avuto, per me, un inizio molto difficoltoso. Per mesi sono rimasto fermo a poche decine di pagine. Poi, l’ho ripreso e l’ho terminato in pochi giorni. La lettura mi è risultata piuttosto pesante. Senza nulla togliere alle fantastiche descrizioni di personaggi, atmosfere, luoghi e stati d’animo, mi è parso troppo prolisso e a volte la noia ha prevalso. I personaggi sono interessanti, così come la trama. Nonostante non sia tra le mie letture preferite, resta un romanzo che racconta un pezzo dell’Italia degli anni venti. Quell’Italia che, con la sua indifferenza, ha contribuito a trascinare in paese nel baratro del fascismo.
Un velo di tristezza percorre la trama di questo romanzo, percorre le vite dei vari personaggi, percorre la stessa, feroce critica che Moravia riserva a una società in cui imperano l'inganno, la manipolazione e la prevaricazione e i sentimenti eticamente e moralmente più altri si vedono capitolare innanzi a una vita che appare indifferente al destino sesso dei propri figli
Gli indifferenti, La noia ed Il conformista, tre fra i più celebri romanzi di Alberto Moravia, sono accomunati dall'essere trainati da un atteggiamento mentale guida. Se La noia è il più estremo dei tre, Il conformista è il più coinvolgente, Gli indifferenti con il suo clima di decadenza risulta il meno avvincente, anche se comunque mi è piaciuto. Moravia riesce a rendere bene il clima vacuo della borghesia permeata dal fascismo.
Credo di essermi innamorata di questo libro, delle parole non dette, dell'indifferenza di Michele, della rassegnazione e dell'attrazione di Carla verso l'autodistruzione, persino dell'ipocrisia e delle sceneggiate di Mariagrazia.
Capolavoro imprescindibile della letteratura italiana del Novecento. Il romanzo, dallo stile fortemente drammatico e teatrale e scritto in maniera scorrevolissima, verte intorno alle vite della famiglia composta da Mariagrazia (madre), Michele e Carla (figli) e due amici di famiglia, Lisa e Leo. Da ogni riga traspare la fortissima ipocrisia borghese e in risposta l'indifferenza di chi (in questo caso Michele) coglie questa ipocrisia ma non ha alcuna arma per contrastarla perchè sarebbe come combattere contro un muro di gomma. Sebbene Moravia avesse scritto il romanzo senza alcun intento moralista (nella superba prefazione di Sanguineti scopriamo che si tratta quasi di un esercizio di stile) giunge alle nostre orecchie un messaggio forte e chiaro. L'essenza borghese è come il peccato originale, qualcosa con cui si nasce, un marchio dal quale non si può più sfuggire. L'unica maniera per non entrare a pié pari nello sfacelo di un'intera classe è rimanere a guardarla vivere nel suo mondo convenzionale e ipocrita, agire come in una pantomima senza senso perchè qualsiasi sforzo atto a contrastarla non farebbe che contaminare colui che ha smascherato la farsa.
Un buon romanzo, sentito. Un'italica mediocrità resa con efficaci parole. Una rassegnazione talvolta non voluta, ma imposta dalle circostanze, in cui, purtroppo, si finisce per cadere. Si fa presto a dire che siamo "liberi". In realtà troppi sono i componenti ed i legami che ci condizionano.
4.5 Una prosa accessibile e indagatrice, che rimuove il superfluo e lascia con numerosi interrogativi senza risposta.
«Un disgusto opaco l'opprimeva; i suoi pensieri non erano che aridità, deserto; nessuna fede, nessuna speranza alla cui ombra riposare e rinfrescarsi; la falsità e l'abbiezione di cui aveva pieno l'animo egli le vedeva negli altri, sempre, impossibile strapparsi dagli occhi quello sguardo scoraggiato, impuro che si frapponeva tra lui e la vita; un po' di sincerità, si ripeteva riaggrappandosi alla sua vecchia idea fissa (…) Si sentiva soffocare; guardò Lisa, pareva contenta: "Come vivi?" avrebbe voluto gridarle: "sinceramente? con fede? dimmi come riesci a vivere." I suoi pensieri erano confusi, contraddittori: "E ancora" pensava con un brusco, disperato ritorno alla realtà, "forse questo dipende soltanto dai miei nervi scossi... forse non è che una questione di denaro o di tempo o di circostanze." Ma quanto più si sforzava di ridurre, di semplificare il suo problema, tanto più questo gli appariva difficile, spaventoso. "È impossibile andare avanti così." Avrebbe voluto piangere; la foresta della vita lo circondava da tutte le parti, intricata, cieca; nessun lume splendeva nella lontananza: "impossibile."».