"Se questo libro segue il filo delle mie esperienze è perché, attraverso di esse, un anno dopo l'altro, ho cercato di comprenderne l'obiettivo." Con lo spirito curioso e concreto del bambino che imparando a sperimentare e a muoversi nel mondo acquisisce conoscenza, Enzo Mari si racconta in prima persona, dal periodo di autoformazione dell'infanzia e della prima giovinezza, tra gli anni Trenta e Quaranta, attento ai molti stimoli di una realtà difficile ma in pieno fermento, agli studi all'Accademia di Brera, alla fase di più intensa attività artistica che ha fatto di lui uno dei designer più geniali e innovativi del Novecento. Mari è sempre stato mosso dalla convinzione che progettare corrisponda a una pulsione profonda insita in ogni essere umano. Una convinzione che lo ha portato, negli anni Sessanta, a rivoluzionare il concetto di design, realizzando, con coerenza, un'"utopia democratica": disegnare e produrre oggetti belli e utili per la gente comune, fino ad allora esclusa da un'arte ritenuta elitaria. Con la fine degli anni Settanta, Mari considera conclusa l'utopia del design. Da questo punto in poi la sua testimonianza autobiografica si trasforma in una severa denuncia del progressivo degrado del lavoro progettuale odierno.
Mi scalda il cuore vedere come la ricerca della bellezza ed i metodi per raggiungerla vengano spiegati con la saggezza di un uomo che ha vissuto applicando questo modus operandi sin dai primi anni di vita. Ancora una volta la sensibilità del designer penetra la vita di ciascuno di noi e ci costringe a fare riflessioni politiche, economiche e sociali che ti chiedi: "ma questi non dovevano semplicemente disegnare una cavolo di sedia?". Finisco questo libro con la sensazione che forse avrei dovuto fare architettura o design, poi ci rifletto e capisco che questi insegnamenti sono trasversali, vanno solo applicati al proprio ambito. Che peccato non esserci mai visti Enzo, ti voglio bene.
Capire il design o quantomeno la visione del design di Enzo Mari. Un appassionante racconto del pensiero del designer milanese protagonista del 'made in Italy'. Si scopre il sogno utopico dietro la progettazione di oggetti che possano regalare bellezza a tutti (ed essere quindi di acquisto diffuso, non oggetti di elite) e nel contempo che vengano costruiti senza alimentazione del lavoro industriale. Uno sprone a progettare con le proprie mani, anzi a prendere in mano la propria vita per farne qualcosa che ci rappresenta e possa influire sul mondo e sugli altri. Perché ognuno di noi possa portare il proprio contributo e non solo vivere passivamente e consumisticamente questo pianeta già sommerso da rifiuti ed inquinamento. La progettazione per Mari passa per l'assunzione di responsabilità (dell'Altro innanzitutto e poi anche di se stessi) e tende alla bellezza.