Nel 2014 è stato l'unico italiano a recarsi in Siria per combattere contro l'Isis, contribuendo alla prima grande sconfitta dello Stato Islamico a Kobane. Ma la sua missione non è finita. Nel 2016 è tornato, alla guida di una brigata internazionale da lui fondata, con la missione di liberare Raqqa, la roccaforte di Daesh, in una battaglia "cento volte peggio di Kobane". Questo libro è la ricostruzione dell'inferno del combattimento decisivo, casa per casa, in cui lui stesso è stato ferito. Un resoconto crudo e drammatico degli scontri per ristabilire la democrazia in Siria.
Un libro indegno in cui il soggetto chiaramente megalomane invece di parlare di tutto ciò che concerne quella esperienza sia te quarti di libro per sputtanare chiunque non gli sia andato a genio . Il top lo raggiunge quando un comandante gli dice che oramai i kurdi non sanno più combattere e lui ed il suo gruppo sono gli unici coraggiosi rimasti . Ridicolo .
Quando voglio conoscere veramente qualcosa leggo un libro; giornali e Tv non mi convincono molto. Karim Franceschi con "Il Combattente" e con "Non morirò stanotte" è stato il mio Virgilio nell'inferno della Siria, in particolare il luogo d'azione di quest'ultimo reportage sono le ultime roccaforti dell'Isis, tra cui la loro "capitale", la città di Raqqa. E Franceschi non è un reporter bensì è un attore in prima persona, è uno dei comandanti che ha partecipato sul campo alla riconquista del cuore nero del Califfato, tra mille pericoli ed un nemico quasi sempre invisibile ma non per questo meno letale. Dopo aver letto il suo primo libro anche questo l'ho divorato, è scritto bene, non parla di supereroi o santini con l'aureola scevri da difetti, parla di ragazzi che hanno paura, che hanno magari coraggio ma si stancano, si esauriscono, dubitano, litigano, ogni reazione esasperata dal pericolo, dalla continua tensione in cui ogni momento potrebbe essere l'ultimo. La solita vecchia belva, la Guerra, non si smentisce mai, uccide, deturpa, sventra, azzoppa e terrorizza, stringe lo stomaco di chi la incontra e difatti vorrei chiudere queste mie righe con un ringraziamento. Karim Franceschi, grazie. Grazie per quello che hai fatto, Grazie per il tuo coraggio e Grazie per aver mostrato che difendere un ideale è ancora forse la cosa più preziosa per un essere umano.
Il libro è ben scritto, ma a mio avviso non merita più di una stella: mi è parso di aver letto, dalla prima all'ultima riga, l'autocelebrazione dell'autore.
In sostanza la guerra l'ha vinta da solo, senza mai perdere l'occasione per criticare gli alleati e chiunque non fosse parte della sua cerchia ristretta: lui è l'uomo perfetto, gli altri invece sono incapaci di ragionamenti basilari e privi di qualsiasi tipo di competenza bellica. Non solo, è onnipresente la critica verso gli americani e i loro bombardamenti aerei, nonostante in più di un'occasione abbia lui stesso ritenuto necessario richiederne l'impiego.
La descrizione di alcuni eventi risulta inoltre molto differente da quanto descritto da un altro combattente internazionale, facente parte dello stesso team: una squadra di combattenti arabi delle SDF chiede di potere entrare nell'edificio in cui sono gli internazionali per potersi prendere cura del proprio ferito; secondo Franceschi invece le SDF chiedono di entrare, dopodiché i combattenti arabi cominciano a spararsi sui piedi per evitare il combattimento.
Non dubito che Franceschi e la sua squadra abbiano potuto avere un impatto positivo sui combattimenti, ma arrivare alla totale autocelebrazione denigrando chiunque altro fa sì che quanto raccontato sfoci nel ridicolo, destando dubbi sull'intero contenuto.