"Alors que je n'ai pas eu de crise de folie ? J'ai seulement essayé de mourir ?" En 1962, Goliarda Sapienza survit à une tentative de suicide. Rescapée, elle subit cependant une cure d'électrochocs censée la guérir de sa dépression. Elle n'en sortira que plus ravagée, au point de perdre la mémoire de la plus grande partie de ce qu'elle a vécu les dix précédentes années. C'est alors qu'un jeune psychanalyste entreprend de la soigner... "Le Fil de midi" est le récit de cette thérapie, et de son échec. C'est une plongée dans le chaos intime de Goliarda Sapienza, un livre à l'image de ce qu'elle traverse à cette époque : fragmentaire, à fleur de peau, erratique. Bouleversant par sa fragilité, le texte témoigne de la lutte que mène l'auteure pour refonder un équilibre. Et c'est un chemin de vie qu'elle nous offre finalement, un lent parcours de reconstruction qui s'ouvre sur l'horizon le plus vaste : l'année même de la parution de ce récit en Italie, en 1969, Goliarda Sapienza s'engage dans l'écriture de 'L'Art de la joie".
Goliarda Sapienza was an Italian actress and writer. Goliarda Sapienza was born 10 May 1924 in Catania. Her mother was Maria Guidice, a prominent socialist, her father Peppino Sapienza, a socialist lawyer. As a child, Goliarda Sapienza reenacted films she had seen in cinema. In 1941 she and her mother went to Rome, where she studied theatre. She worked as an actor in both films and plays, but from 1958 she focused on writing. Her now famous novel L’arte della gioia (The Art of Joy) was finished in 1976 but rejected by publishers because of its length (over 700 pages) and its portrayal of a woman unrestrained by conventional morality and traditional feminine roles. It was first published by her husband Angelo Pellegrino after her death.
Ci sono libri che non dovrebbero mai esser scritti – e forse è questo che più amiamo di loro. Il fatto che siano pugnalate allo stomaco. Il fatto che finiamo per portarceli dietro per anni, in cicatrici.
“Il filo di mezzogiorno” racconta l’esperienza psicoanalitica della stessa Sapienza, affetta da un disturbo depressivo che la condusse, in più di un’occasione, a tentare di togliersi la vita. Nel racconto, le sedute insieme allo psicanalista di Goliarda si alternano ai ricordi della donna e ai suoi sogni, senza che sia mai tracciato un confine netto tra i due; in questo modo, presente, passato ed esperienza onirica si fondono ed amalgamano, divengono una cosa soltanto, divengono la mente di Goliarda. Ed è questo che permette al lettore di penetrare il malessere psichico della protagonista, che gli concede spazio all’interno degli attimi di follia di quest’ultima – se di follia possiamo parlare. Il concetto stesso è smantellato dalla scrittrice.
Lo stile narrativo di Sapienza, quasi illogico e surreale, reca in sé paradossalmente talmente tanto realismo da avermi costretta a rabbrividire quasi ad ogni pagina. Il transfert amoroso di Goliarda nei riguardi dell’uomo che la ha in cura mi ha intristita fin nelle viscere; le diagnosi a tratti manualistiche e sbrigative prodotte da lui hanno gettato ulteriore benzina su un fuoco che aveva iniziato ad ardere, in me, da che era stato menzionato l’uso dell’elettroshock; i dialoghi in merito alla sindrome dell’abbandono di Goliarda, invece, mi hanno solo fatto sentire il bisogno di venire inghiottita dal letto.
Forse, per alcuni di voi, una serie infinita di sentimenti sgradevoli nel corso della lettura può solo decretare l’insuccesso di un libro, ma (dall’alto del mio masochismo) il mio giudizio è più che positivo. Una lettura poco piacevole è per me unicamente quella che non lascia impronta alcuna nella persona che sono, nelle mie giornate, nella mia visione delle cose. E questo, indubbiamente, non è stato il caso.
Colta in un vortice vorace e terribile, incapace di distinguere presente e passato, Goliarda è costretta a riscoprire sé stessa e gli altri di nuovo, come una bambina che deve ancora imparare cosa sia il mondo e quali siano le sue regole.
La sua mente, distrutta dagli uomini che adorano l’elettricità e la vedono come unica soluzione al male di vivere che si annida in ognuno di noi, si aggira spaventata entro i confini di una stanza d’ospedale. Ogni cosa è crollata intorno a lei, cerca la luce e i colori che tanto l’hanno riscaldata da piccola, ma il suo occhio assetato trova solo una fredda lampadina, che le fa battere i denti.
Un freddo profondo la paralizza, irrigidisce le sue braccia, le sue gambe, la spinge a cercare – con le mani – un calore umano che sappia risollevarla, che sia in grado di farla tornare umana, che infonda in lei quel po’ di vita che serve per vivere.
Non ricorda più nulla di quegli ultimi anni: degli amori, dei dolori, del suo desiderio di divenire scrittrice. Il passato – invece – sì staglia nitido nella sua mente, diviene l’unico rifugio possibile, mentre tutto intorno a lei crolla, mentre la sua stessa anima – affannata e sola – cerca disperatamente ciò che le è più familiare per ricomporsi, per sopportare il dolore del vuoto.
È una scrittura frammentaria, fatta di piccoli e indecifrabili fotogrammi di un passato che – agli occhi di Goliarda – è ancora così vivo, rappresenta per lei tutto, è la ragione del suo stesso esistere. Ma questo aggrapparsi ciecamente all’idealizzazione di ciò che è stato viene fortemente avversato dal medico dei pazzi, l’uomo che si presenta ogni giorno da lei, l’uomo che vuole farle vomitare tutto ciò che pensa lei abbia subito per dimostrarle che si può essere nuovi, diversi, che si può sfuggire alla nevrosi.
Leggo su una recensione: “Il dramma di una donna emendato attraverso il processo psicoanalitico: a differenza di scrittori come Joyce e la Woolf, a Goliarda Sapienza non importa davvero la psicoanalisi in letteratura, quanto la letteratura nell’universo clinico, grazie alla forza che un romanzo può conferire alla coscienza.”, e questo già davvero tanto. Estrapolo dalle pagine del libro questa frase: “Scoprii solo dopo che io ero l’unica di tutti i figli nata dal secondo matrimonio: a casa mia non si parlava mai di cose concrete" Penso che la storia della letteratura italiana del novecento avrebbe bisogno di una “sistematina”
Dietro quel bellissimo nome, quel bellisssimo viso, una sofferenza detta con forza bollente, con balbettii, Goliarda racconta la sua morte psichica per elettrochoc e la sua rinascita attraverso il lavoro di un analista davvero sconcertante. Finale a sorpresa!
"non andare fra le viti nel filo di mezzogiorno: è l'ora che i corpi dei defunti, svuotati della carne, con la pelle fina come la cartavelina, appaiono fra la lava. è per questo che le cicale urlano impazzite dal terrore: i morti escono dalla lava, ti seguono e ti fanno smarrire il sentiero e: o morirai di sete fra gli sterpi disseccati dal sole- sterpo secco pure tu- o penserai sempre a loro smarrendo il senno"
• "C’era una volta una donna che non riusciva più a parlarsi." Così potrebbe iniziare "Il filo di mezzogiorno" se fosse una favola ma non lo è. È piuttosto un’autoindagine spietata, un’opera a metà tra la confessione, il delirio e l’epifania, scritta in una prosa che ha la densità emotiva della poesia (Goliarda♡).
• Il filo di mezzogiorno è il libro di un’interruzione: quella dell’identità. A seguito di una crisi depressiva violenta e silenziosa, Goliarda, che nel testo non si nomina mai direttamente, intraprende una psicoanalisi condotta da un misterioso psicoanalista dei sogni. Un percorso viscerale. La stanza dei colloqui diventa uno spazio di messa in scena dove il tempo cede il passo alla memoria e l’io si fa voce e corpo e scissione. La tensione è duale tra il desiderio di salvezza e la paura della verità ma anche tra il linguaggio come ponte e il linguaggio come prigione.
• Tra la protagonista e l’analista corre il filo di mezzogiorno che è sottile, fragile, incandescente. È il legame, la dipendenza, la fame d’amore ma anche il momento in cui la luce si fa più verticale e impietosa.
• Goliarda Sapienza scrive con una prosa lirica, ogni frase è corpo che urla e ama, che fruga nelle pieghe della propria storia e del proprio dolore alla ricerca di un senso che non consola ma almeno orienta. "Non ho più nome, né padre né madre: ora posso iniziare a scrivere" sembra suggerire in ogni pagina. Passa dal monologo interiore all’evocazione onirica, dalla narrazione psichica alla poesia pura, forma di verità.
• La voce di Goliarda è solitaria come il percorso che descrive che non è quello della guarigione ma della resistenza alla dissoluzione. Il libro si snoda come un lungo sguardo nello specchio dove il volto che si riflette è mutevole, a tratti mostruoso, sempre autentico.
• Il filo di mezzogiorno è un romanzo, è un saggio, è un’autobiografia. Un esperimento esistenziale che ci dice che la coscienza non è mai un dato, ma una conquista. E che scrivere può essere l’unico modo per non morire.
Incipit Nica diceva che le imparava nelle notti buie, perché lei se c’è la luna non esce dal ventre della terra dove abita. Il filo di mezzogiorno Incipitmania
Cronaca di un percorso di cura psicologico, autobiografia onirica della sua analisi in seguito ai tentativi di suicidio. Che dire, sicuramente originale, non mi aspettavo una lettura di questo genere, mi ha coinvolto, commosso e divertito.
Non esistono i suicidi, ma solo assassinii.
Non cercate di spiegarvi la mia morte, non la sezionate non la catalogate per vostra tranquillità, per paura della vostra morte, ma al massimo pensate – non lo dite forte, la parola tradisce – non lo dite forte ma pensate dentro di voi: è morta perché ha vissuto.
QUEL livre de fou je n’étais pas préparé à ça, je n’avais aucune connaissance dessus à priori et je pense que cela m’a permis de n’en profiter que plus encore !! hyper touchant très poétique et finalement ça fini pas si mal!! mtn il faut lire l’art de la joie!! je recommande chaleureusement c’est pour l’instant 1 de mes livres pref de 2025 !!!!
«[…] intanto che non tutti e specialmente io siamo segnati dal destino – il destino non esiste, ce lo facciamo noi – non tutti andiamo solo verso la pazzia o verso la morte... porti alla luce questo, signora.” “Sì, lo capisco, ma a volte ho ancora un po’ di paura.”»
Beh, libro devastante. È il racconto autobiografico della psicoterapia "selvaggia" affrontata negli anni '60, e già dovrebbe bastare. Però Goliarda non è contenta e s'inventa un letteratura pionieristica, che scorre nella poesia per ingorgarsi tra mulinelli filosofici e dilemmi esistenziali punteggiati di marxismo. E se non basta, ricordiamoci che per decenni non se l'è cacata nessuno (embè, era donna), mentre negli stessi anni Roth diventava il vate scrivendo i lamenti di Portnoy.
Un intenso romanzo psicoanalitico, una particolarissima autobiografia di un'artista dimenticata e sottovalutata per troppo tempo. Dentro c'è tutta sé stessa: l'educazione dura di una famiglia socialista rivoluzionaria, i suoi inizi di attrice all'Accademia di Roma, l'incarcerazione del padre, la pazzia della madre, il rapporto con il compagno regista Citto... Ma c'è anche molto Freud con i suoi transfert, le interpretazioni dei sogni, i riferimenti al sesso e al rapporto con la madre. Infatti tutto è giocato sull'analisi che Goliarda fa in seguito agli elettroshock che aveva subito come cura di una crisi depressiva. Tornata come bambina, giorno dopo giorno (inizialmente ha una percezione del tempo totalmente sballata) ricorda la sua vita e ricostruisce sé stessa, spogliandosi di tutte le barriere difensive. Con l'aiuto del suo medico, di cui immancabilmente si innamora, lotta per liberarsi della sua ansia di abbandono e per conquistare finalmente un'indipendenza sociale. A parti quasi scientifiche di spiegazioni psicoanalitiche si alternano momenti più poetici. come dei flussi di coscienza della protagonista. Anche il dottore, scavando nel mare dell'inconscio della sua paziente e operando con il suo bisturi tagliente, non rimane indenne, fa analisi lui stesso e ne viene travolto. Ma forse una vera e completa analisi non è possibile: rimarrà sempre inviolato e inviolabile il segreto che ognuno di noi contiene in sé e che ci rende unici e magnificamente indecifrabili.
Goliarda Sapienza mi riconcilia col mondo. Un diario atipico di un percorso di analisi, incorniciato da due tentativi di suicidio, con un linguaggio onirico-poetico che ti fa entrare nel cuore dell’autrice. Bellissimo.
magnifique, perturbant par moments car cet ouvrage révèle une tentative par son psychanalyste de faire rentrer goliarda dans un moule hétéronormé et qu’elle n’est pas en mesure de le refuser. les trois dernières pages sont l’une des plus belles choses que j’ai lues ever.
Un libro che tocca delle corde profonde, trasportando in uno stato quasi onirico in cui i contorni sono sfocati, i significati molteplici, i simboli abbondano e l'emozione appare. Goliarda non si preoccupa di spiegare, non commette l'errore del suo analista che ritiene di essere esperto della vita e dei suoi enigmi, l'autrice ci porta invece nella dimensione più indecifrabile del vivere e del soffrire, ma anche del godimento così spinto da risultare febbrile e mortale. Ho dato tre stelle perché pur riconoscendo si tratta di un'opera autobiografica estremamente originale, sono rimasto comunque sperso nell'alone confuso di nomi, persone, eventi appena abbozzati, non permettendomi di cogliere appieno i riferimenti. Era proprio quello che doveva accadere in fondo, riconoscere l'unicità inesplicabile dei movimenti del vivere umano, senza tradurli per chi legge e sebbene comprenda e apprezzi questa ragione, il coinvolgimento che ha prodotto in me è stato comunque parziale. Sono curiosissimo di leggere L'arte della gioia.
"- et si marchant dans le bois inconnu de la vie j'ai envie de courir et si je meurs épuisée par une course heureuse sous le soleil, contre le vent... si je meurs de la surprise de quelque nouveau visage-rencontre caché derrière un arbre en attente, si je meurs foudroyée par l'éclair de la joie, étouffée par une étreinte trop forte, noyée dans une tempête d'émotions entraînant vers une mer qui invisible attend derrière la nuit, si je meurs vidée de mon sang par les blessures ouvertes d'un amour perdu que rien n'aura pu refermer, si je meurs poignardée par la lame effilée d'un regard cruel, je vous demande seulement ceci : ne cherchez pas à vous expliquer ma mort, ne la disséquez pas, ne la cataloguez pas pour votre tranquillité, par peur de votre propre mort, mais tout au plus pensez ‐ ne le dites pas fort, les mots trahissent - ne le dites pas fort mais pensez en vous-même : elle est morte parce qu'elle a vécu. (p. 253-254)
Pues no sé qué decir aún. Diría que tengo que pensar y asentar más el libro y diría que el epílogo de Marta Sanz me ha parecido un tanto lleno de lugares comunes. Muchas cosas bellas (la escritura de Goliarda lo es), una sátira al psicoanálisis y un poco de contexto histórico de la salud mental y las mujeres. Autobiografía o autoficción, who knows. ¿Contra el psicoanálisis? No lo creo.
«Non andare fra le viti nel filo di mezzogiorno: è l’ora che i corpi dei defunti, svuotati della carne, con la pelle fina come la carta velina, appaiono fra la lava. (…) O morirai di sete fra gli sterpi disseccati dal sole – sterpo secco pure tu – o penserai sempre a loro smarrendo il senno»
Un libro toccante, una seduta psicanalitica nell’anima di Goliarda e del lettore. È un libro che ti attraversa, scava e ti graffia. La sua scrittura è sublime, ricca di immagini e metafore sulla vita, morte, quotidianità, guerra. Bellissima la parte della descrizione della nascita, molto toccante. Vita e morte di contrappongono continuamente, lottano senza fine. Non c’è morte senza vita e vita senza morte...” è morta perché ha vissuto”.
«Ogni individuo ha il suo segreto che porta chiuso in sé fin dalla nascita, segreto di profumo di tiglio, di rosa, di gelsomino, profumo segreto sempre diverso sempre nuovo unico irripetibile, segreto di impronte digitali graffito inesplicabile sempre nuovo diverso sempre unico irripetibile. Segreto di occhi azzurri, eco del segreto dello spazio segreto di occhi neri, eco del segreto della notte segreto di occhi grigi, eco di segreto di disegno di nuvole sempre dissimile, impensato segreto di occhi verdi, eco del segreto di profondità marine danzanti di alberi di corallo, alberi di sangue? Segreto di sangue pietrificato...ogni individuo ha il suo segreto...non violate questo segreto, non lo sezionate, non lo catalogate per vostra tranquillità, per paura di percepire il profumo del vostro segreto sconosciuto e insondabile a voi stessi, che portate chiuso in voi fin dalla nascita sconosciuto e insondabile a voi stessi. Ogni individuo ha il suo segreto, ogni individuo ha la sua morte in solitudine...morte per ferro, morte per dolcezza, morte per fuoco, morte per acqua, morte per sazietà unica e irripetibile. Ogni individuo ha il suo diritto al suo segreto ed alla sua morte»