La Terra del rimorso di Ernesto De Martino, un classico del pensiero contemporaneo, verte sul tarantismo, un istituto culturale d’impronta magica, diffuso nelle comunità contadine del Salento, al cui interno la musica e la danza ricoprono un ruolo d’importanza primaria. Nel 1959 De Martino ne fece l’oggetto di un’innovativa inchiesta etnografica, guidando un’équipe formata da specialisti di discipline diverse, dalla storia delle religioni all’etnomusicologia, dalla psichiatria alla sociologia. Lungi dall’essere un mero fenomeno morboso, il tarantismo si configura, nella straordinaria indagine demartiniana, come un orizzonte mitico-rituale di deflusso di profondi conflitti operanti nell’inconscio, fatti risalire al morso della Taranta, monstrum mitico evocato dal suono di musiche del repertorio tradizionale, che i tarantati dovevano sfidare e vincere in una vorticosa gara di danza. Questa nuova edizione conferisce il massimo risalto alla ricchezza teorica di un’opera che va ben oltre l’indagine di un peculiare fenomeno di catartica musicale, mobilitando le due competenze disciplinari, storico-religiosa e antropologica, che hanno innervato il pensiero di De Martino. Marcello Massenzio individua la tematica etico-politica alla base della scelta di studiare il tarantismo, in un confronto con l’altro grande etnologo dei suoi tempi, Claude Lévi-Strauss e il suo disagio o «rimorso» di fronte alla disgregazione delle culture indigene nel mondo postcoloniale. Fabio Dei analizza l’altro dialogo cruciale nella genesi dell’opera, quello tra De Martino e Antonio Gramsci, riconducendo il progetto delle spedizioni etnografiche nel Mezzogiorno all’influenza delle annotazioni gramsciane sul folklore come cultura delle classi subalterne. Con il dossier fotografico di Franco Pinna.
Ernesto de Martino (1 December 1908 – 9 May 1965) was an Italian anthropologist, philosopher and historian of religions. He studied with Benedetto Croce and Adolfo Omodeo, and did field research with Diego Carpitella into the funeral rituals of Lucania and the tarantism of Apulia.
Ernesto de Martino was born in Naples, Italy, where he studied under Adolfo Omodeo, graduating with a degree in philosophy in 1932. His degree thesis, subsequently published, dealt with the historical and philological problem of the Eleusinian Gephyrismi (ritual injuries addressed to the goddess) and provides an important methodological introduction to the concept of religion. Clearly influenced by reading Das Heilige by Rudolf Otto, de Martino preferred to emphasize the choleric nature of the believer, overturning the German scholar's thesis and making it capable of being applied to relations with gods in polytheistic religions and spirits in animist religions.
Attracted by the ideological stance of the regime, for several years de Martino worked on an essay interpreting Fascism as a historically convenient form of civil religion. However, the attempt was insubstantial and the work, still unpublished, was gradually rejected by the author, who subsequently approached left-wing ideas and after the war became a supporter of the Italian Communist Party. At this time, which we now call the "Neapolitan" period, lasting until 1935, de Martino fell under the spell of the personality and work of an archaeologist who was particularly open-minded concerning the ancient history of religions.
De Martino has also been a very charismatic mentor and teacher. From 1957 to his death he taught ethnology and history of religions at Cagliari's University.
All’inizio del 2005, come ultimo esame all’università da dare prima della tesi scelsi, dopo attenta riflessione, “Storia delle tradizioni popolari”: la speranza era che fosse una materia interessante e un esame gratificante (e non troppo difficile!), e infatti andò così, l’appello andò perfettamente. Fu nel corso di quel ciclo di lezioni che venni a conoscenza del testo più celebre dell’etnologo Ernesto De Martino, La terra del rimorso, sul particolare fenomeno del tarantismo pugliese, che, all’epoca in cui egli si recò in Salento per la sua indagine, nel 1959, era a un passo dalla scomparsa.
In sintesi, per “tarantismo” si intende il complesso di ideologie e di riti costruito sugli effetti del morso di un ragno, la tarantola pugliese (che, in effetti, non esiste in natura ma è una creatura mitica nata dalla fusione delle caratteristiche di varie specie di ragni): chi ne era colpito era costretto, in un determinato periodo dell’anno (l’estate), a ballare; è la celebre tarantella. Il ballo (e la musica, ma anche i colori, associati a determinati ritmi), però, oltre a essere indotto dal ragno, era allo stesso tempo anche la cura contro la malattia del suo morso: nel corso di esso, il tarantato in parte si identificava con la taranta, in parte lottava con essa, fino a sconfiggerla e a ritrovarsi “guarito”.
Queste terapie antichissime De Martino e i membri della sua équipe poterono vederle dal vivo ancora nell’estate del 1959, e dal contatto diretto con la gente e le interviste e i colloqui si mossero a ritroso per effettuare ricerche che analizzassero il fenomeno a tutto tondo: dal punto di vista medico, storico, musicale. Uno degli elementi più affascinanti del libro è infatti proprio la struttura collaborativa che fa risaltare gli apporti di ciascuno (in fondo al volume vi sono anche varie Appendici curate dai singoli studiosi che presero parte al lavoro, gli psichiatri Giovanni Jervis e Letizia Jervis-Comba, l’etnomusicologo Diego Carpitella, Amalia Signorelli, l’assistente sociale Vittoria De Palma; il libro è corredato delle belle fotografie di Franco Pinna), che dà l’idea delle discussioni e delle ipotesi preliminari, degli scambi di opinioni, dell’avventura del viaggio e della ricerca, dell’immediatezza dell’esperienza.
Appurato che il tarantismo, a prescindere dalle intime convinzioni di chi lo viveva in prima persona, non era causato dal reale morso di un ragno (al più, poteva svilupparsi traendo a pretesto l’iniziale insorgere di reali casi di latrodectismo), De Martino vi individua un modo per scaricare e neutralizzare le numerose cause di frustrazione e irrequietezza sociale purtroppo tristemente comuni nei ceti (quelli contadini) che, ancora al suo tempo, lo praticavano (non a caso, esso gli apparve come maggiormente diffuso nel mondo femminile, e intervistando le interessate poté venire a conoscenza di tante esistenze dure e segnate da costrizioni e sopraffazioni): il “ragno” con il suo “morso” i cui effetti si fanno sentire ciclicamente nel corso degli anni incarna quindi l’elemento potenzialmente disturbatore dell’ordine, l’insoddisfazione che può degenerare in ribellione, e che quindi viene sublimata e placata con la musica e la danza.
Allo stesso tempo, però, De Martino rileva che il tarantismo da lui visto dal vivo non è che un relitto di un sistema tradizionale molto più complesso e ricco, le cui origini fa risalire al medioevo (e i cui motivi di fondo si possono, forse, ricollegare a culti dell’antichità classica, anche se egli è ben attento a non ridurlo a semplice “continuazione” o “imbarbarimento” di essi, ma ribadisce con forza il suo status autonomo), che va oggi rapidamente scomparendo. Fra le cause di tale progressiva marginalizzazione e prossima fine, oltre ovviamente al mutare delle condizioni economiche e sociali, egli indica anche l’opera secolare di “adattamento” e “disinnesco” messa in atto dalla Chiesa cattolica (che ad es. si rileva nel ruolo attribuito alla figura di san Paolo, che non compare nella struttura “originaria”, o meglio più antica, del rito), che vi ha introdotto elementi estranei e ha causato così l’irreparabile venir meno della coerenza interna del sistema di credenze (vedi le scene cui assiste nella cappella di Galatina, dove i tarantati ogni anno, il 28 e 29 giugno, si recavano a ringraziare san Paolo per la guarigione o a implorarla: lì, senza l’elemento fondamentale della musica e del ballo, il tarantismo gli appare svuotato di senso, ridotto a manifestazioni patologiche).
Chiaro che la parte più affascinante, più viva del testo sia la prima, quella in cui sono riferiti gli incontri e i colloqui e le storie della gente con cui gli studiosi sono entrati in contatto; apprezzabile anche il tono, che non scade mai nel sentimentale o nel nostalgico, o nel gusto per il “colore locale”, ma rimane aderente e partecipe a una realtà di miseria e di disagio, che effettivamente sconvolgeva i malati e le loro famiglie (voglio dire, gli autori non hanno alcun interesse a preservare l'”autentico” tarantismo, che è invece auspicabile scompaia). Interessantissima, tuttavia, anche la parte più prettamente storica, in cui vengono presi in esame i resoconti di medici e studiosi del passato, e i diversi approcci al fenomeno nel corso dei secoli, mentre meno mi hanno convinto, o coinvolto, i tentativi di comparazione con esempi più o meno analoghi dell’epoca classica, ricavati da testimonianze letterarie (come anche l’introduzione di Clara Gallini, che, a differenza del resto del libro, scientificamente rigorisissimo ma perfettamente comprensibile anche ai non addetti ai lavori, è alquanto oscura).
This was recommended to me because I'm off to Puglia in October. I'd never have found it otherwise, though it is a major classic of Italian cultural anthropology. If that makes it sound like a serious read, you are on target. But it is a brilliantly intelligent step by step look at a bizarre survival, still to be observed in Southern Italy at the end of the fifties. 'Tarantism' involved curing people, mainly women, who'd fallen into a depression that they believed was the result of being bitten by a poisonous spider. The cure involved rousing them with bright colours and lively music. Author Ernesto De Martino brings many different disciplines to bear in a scrupulous attempt to question what were the causes of this practice and its remote sources: folklore, medical anthropology, ethnopsychiatry, ethnomusicology, religious studies--I could go on but it might daunt you. I was daunted at first, then I saw he was actually a very clear thinker: the journey he took me on expanded my mind and gave me new ways of thinking.
Tarantismo, connessioni antiche e dissoluzioni moderne. Il testo di De Martino, seppur scritto con un linguaggio molto forbito di stampo crociano, scorre veloce e delinea un mondo che non c'è più. Dietro un mito, come quello della taranta, che si ci illude di conoscere bene dalle narrazioni odierne, c'è una verità diversa che richiede di essere conosciuta e ricercata.
Il tarantismo era (o è, purtroppo non ho informazioni sulla situazione attuale) "un fenomeno storico-religioso nato nel Medioevo e protrattosi sino al '700 e oltre", "caratterizzato dal simbolismo della taranta che morde e avvelena, e della musica, della danza e dei colori che liberano da questo morso avvelenato". Quando nel 1959, De Martino e la sua equipe decidono di studiare il fenomeno, portando una rottura verso la centralità medica precedentemente adottata, il tarantismo era radicato in alcuni paesi della Puglia, e contava all'incirca un centinaio di tarantati. Il tarantato, annualmente, è preso da delle crisi compulsive, che lo spingono verso una vera e propria crisi di nervi, e la famiglia è costretta, per farlo quietare, a pagare dei musici. Il tarantismo, quindi, va a pesare enormemente, sia sulla vita psichica di queste persone, sia sulla loro economia, soprattutto considerando l'estrazione sociale bassissima (fra le note, emerge come quasi nessuno di loro fosse dotato di acqua corrente in casa). Quindi lo studio condotto da De Martino e la sua equipe, per sua stessa ammissione, è qualcosa di più che uno studio asettico: non documenti, persone.
"La terra del rimorso" è diviso in tre sezioni.
1 La prima parte è dedicata allo studio sul campo. De Martino e la sua equipe, composta da un dottore, uno psicologo, uno psichiatra, un etnomusicologo, un assistente sociale, un economa, "partì da Roma per Galatina una mattina di giugno del 1959". Questa prima parte serve a far conoscere lo stato del tarantismo. Innanzitutto i suoi riti. Poi le persone che ne sono affette, attraverso le interviste e varie prove psicologiche, come il test di Rorschach. Ma anche a far vedere come il tarantismo sia ormai in declino, lontano dagli apici toccati nel 1700. Cioè, il tarantismo intesa come istituzione, con i suoi simbolismi e le sue pratiche, è ormai vicino al crollo (lo stesso De Martino riconosce come ormai si tratterà di pochi anni prima che scomparirà). Emblematica è la scena della cappella di Galatina, quando il tarantismo sfocia nella vera e propria crisi di nervi, privata dalla struttura rituale della musica. L'intento di De Martino, in questa prima parte, è dimostrare anche come il tarantismo non c'entri (quasi) nulla con i morsi dei ragni - come si credeva da un secolo a quella parte. De Martino, cioè, vuole dimostrare, studiandolo sul campo, che il tarantismo è un'istituzione culturale. La cosa più sorprendente di questa prima parte è quanto sia letterariamente bella. La scrittura di De Martino crea un vero e proprio racconto che sfocia quasi nell'horror. La tensione è altissima, e ci si sente quasi in un racconto mystery, con la causa del morbo da scoprire. Ora, sinceramente non so quanto sia voluta come cosa, o quanto sia una roba mia, ma raggiunge livelli altissimi, come nel racconto del primo esorcismo a cui assistono o l'orrore della scena nella cappella.
2 Dimostrato come il tarantismo sia un fatto culturale, e non la malattia di un paio di contadini, De Martino torna indietro, utilizzando la ricerca diacronica sui documenti, per vedere com'era il tarantismo prima di iniziare a crollare. Soltanto, così, infatti è possibile riuscire a darne una lettura completa. Emerge, così, come già ipotizzato nella prima parte, il ricorso al tarantismo per riuscire a incanalare e domare una crisi esistenziale. Soprattutto in fase puberale (12-13 anni), la tensione psichica per l'individuo raggiungeva il suo culmine - o magari, anche più in là, con un lutto o con un qualche evento traumatico. Ora, questa tensione, questa rottura si incanalava nell'inconscio per l'incapacità dell'individuo di riuscire ad affrontarla, o anche soltanto per riconoscerla. L'inconscio, così, se ne libera attraverso il meccanismo socialmente accettato e codificato del tarantismo: quella che sarebbe stata una crisi disordinata e nevrotica (proprio come nella cappella di Galatina), il tarantismo la codifica e ne permette la liberazione attraverso la musica, la danza e i colori. Tutto miticizzato attraverso il racconto del morso della taranta. La crisi psichica, quindi, non soltanto viene negata, ma viene ricondotta al morso del ragno che priva della ragione. Ed è un patto quasi diabolico che l'individuo stringe con il proprio inconscio, che, annualmente, si ripresenta a richiedere il saldo del conto: il tarantismo è annuale. Il tarantismo è quindi il modo che hanno gli individui per affrontare l'abisso della loro vita psichica. Ma non è un modo sano, è importante sottolinearlo. E' come avere crisi nervosi leggermente più piccole ogni anno per rimandare quella grossa.
3 La terza parte è una parte comparativa e storicistica. Innanzitutto, De Martino, comparando il tarantismo ad altri riti religiosi, come il vodu o altri riti africani, ipotizza una discendenza protomediterranea, e ne fa risalire la nascita fra l'800 e il 1300. In parte come risposta al crollo dei culti orgiastici che risalivano fino alla Magna Grecia, e di cui De Martino mostra i collegamenti con il tarantismo e la sua simbologia. In pratica, la Chiesa, nel tentativo di imporre il monopolio della fede, si oppose a qualsiasi culto pagano, ma, varie sacche di resistenza sopravvissero, modificando e riplasmando i vari culti, adattandoli anche alle esigenze dei secoli successivi (particolare influenza ebbero per esempio i racconti dei ragni che i Crociati incontrarono in Terra Santa). Mostrata l'origine, De Martino, sempre attraverso lo studio dei documenti, si interroga sul perché il tarantismo sia entrato così fortemente in declino. Di nuovo, in parte la causa va ricondotta alla Chiesa e ai suoi tentativi di sostituirsi al paganesimo, questa volta imponendo la simbologia di San Paolo in sostituzione della taranta, causando una confusione simbologica inaudita. Dall'altra, grande importanza per il declino del tarantismo ha avuto la cultura illuminista e positiva del'700-'800, che derubricò il tarantismo a malattia (fisica o mentale che fosse). Il tarantismo si è trovato, così, privo della sua mitologia e della sua riconoscenza.
In tutte e tre le parti De Martino porta avanti anche un discorso metodologico, in netta contrapposizione a quello medico imperante, che può essere più o meno così: se le cose non le tocchi, che cazzo ne vuoi sapere?
Questo è un libro che può esser letto anche al di fuori dell'antropologia semplicemente come racconto, proprio perché non presuppone importanti conoscenze di base. È veramente molto interessante, e giustamente è conosciuto come uno dei più famosi scritti di De Martino.
Interessante e utile libro. Un must da leggere per saperne di più sulla storia del Salento e altre parti di Italia in cui vi è stata l’impronta che questo fenomeno. La ricerca di De Martino è senza dubbio di fondamentale importanza sia se si vuole studiare meglio l’argomento e sia se si ha voglia di leggerne di più, ma avendo avuto modo di studiare approfonditamente il fenomeno, volendo approfondire meglio le mie radici ho avuto l’opportunità di informarmi meglio e sentire anche la voce di chi ha vissuto il fenomeno in prima persona e notare alcune cose in questo testo che mi hanno un po’ delusa. Per questo do meno stelle, soprattutto per alcuni piccoli dettagli che mi hanno un po’ sempre fatto storcere il naso, uno su tutti la poca importanza data ai protagonisti della ticerca (ai tarantati) a volte trattati come cavie in un esperimento e ai musicanti e soprattutto a Stifani, il violinista, senza il quale De Martino non avrebbe ottenuto molti contatti sul campo. Purtroppo a volte c’è quasi quell’atteggiamento di superiorità, quasi un volersi distaccare e un voler prendere senza in realtà andare mai infondo e informarsi con pura voglia di conoscenza mettendo per un attimo da parte il voler a tutti i costi trovare una risposta al problema; e da notare la presenza di alcune frasi che quasi sottolineano la differenza del “noi/loro” che molti antropologi/etnologi negli ultimi decenni hanno proprio cercato di far venire meno. Nella ricerca sul campo ci dovrebbe essere più rispetto verso l’informatore. Per il resto rimane sempre un libro fondamentale
Se il Salento avesse un testo sacro come la Bibbia lo è per la religione cristiana, allora questo testo non potrebbe che essere "La Terra del rimorso".
Un'analisi dettagliata del complesso fenomeno del tarantismo a partire da un'indagine sul terreno condotta da un'équipe di professionisti (storico delle religioni, psichiatra, psicologo, etnomusicologo...). I risultati del meticoloso studio nel Salento del 1959 aprono una più ampia prospettiva sia sul significato del tarantismo, che per De Martino è essenzialmente "un fenomeno magico-rituale culturalmente condizionato", sia, in un'ottica diacronica, sulle origini di tale fenomeno e sulla maniera in cui esso è stato recepito e interpretato dagli intellettuali nel corso dei secoli.
Il risultato di tanto lavoro di ricerca? Ce lo rivela il titolo stesso. Non "La terra del rimorso", dove la t minuscola designa la microrealtà salentina in cui questo fenomeno è sopravvissuto sino a pochi decenni fa, ma "La Terra del rimorso", con tanto di T maiuscola che accende i riflettori sul fatto che il tarantismo, lungi dall'essere rilegato in questo lembo di terra agli estremi confini dell'Occidente, è in realtà una condizione di sofferenza che interessa ogni angolo del nostro pianeta - e sulla quale, dunque, abbiamo il dovere di concentrare la nostra attenzione e i nostri studi.