Raccolta di racconti pubblicati su rivista tra il 1940 e il 1943: Notte di luna Quando il Girolamo ha smesso... Claudio disimpara a vivere Quattro figlie ebbe e ciascuna regina Strane dicerie contristano i Bertoloni I ritagli di tempo Navi approdano al Parapagàl Un «concerto» di centoventi professori Al Parco, in una sera di maggio L'Adalgisa
Carlo Emilio Gadda was an Italian writer and poet. He belongs to the tradition of the language innovators, writers that played with the somewhat stiff standard pre-war Italian language, and added elements of dialects, technical jargon and wordplay. Gadda was a practising engineer from Milan, and he both loved and hated his job. Critics have compared him to other writers with a scientific background, such as Primo Levi, Robert Musil and Thomas Pynchon--a similar spirit of exactitude pervades some of Gadda's books. Carlo Emilio Gadda was born in Milan in 1893, and he was always intensely Milanese, although late in his life Florence and Rome also became an influence. Gadda's nickname is Il gran Lombardo, The Great Lombard: a reference to the famous lines 70-3 of Paradiso XVII, which predict the protection Dante would receive from Bartolomeo II della Scala of Verona during his exile from Florence: "Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo/ che 'n su la scala porta il santo uccello" ("Your first refuge and inn shall be the courtesy of the great Lombard, who bears on the ladder the sacred bird"). Gadda's father died in 1909, leaving the family in reduced economic conditions; Gadda's mother, however, never tried to adopt a cheaper style of life. The paternal business ineptitude and the maternal obsession for keeping "face" and appearances turn up strongly in La cognizione del dolore. He studied in Milan, and while studying at the Politecnico di Milano (a university specialized in engineering and architecture), he volunteered for World War I. During the war he was a lieutenant of the Alpini corps, and led a machine-gun team. He was taken prisoner with his squad during the battle of Caporetto in Octorber 1917; his brother was killed in a plane--and this tragic event death features prominently in La cognizione del dolore. Gadda, who was a fervent nationalist at that time, was deeply humiliated by the months he had to spend in a German POW camp. After the war, in 1920, Gadda finally graduated. He practiced as an engineer until 1935, spending three of these years in Argentina. The country at that time was experiencing a booming economy, and Gadda used the experience for the fictional South American-cum-Brianza setting of La Cognizione del Dolore. After that, in the 1940s, he dedicated himself to literature. These were the years of fascism, that found him a grumbling and embittered pessimist. With age, his bitterness and misanthropy somewhat intensified--one of his less amiable traits was misery. There is some debate amongst scholars as regards Gadda's sexual orientation. Certainly, his work demonstrates a strongly subversive attitude towards bourgeois values, expressed above all by a discordant use of language interspersed with dialect, academic and technical jargon and dirty talk. This is particularly interesting as the criticism of the bourgoise life comes, as it were, from the inside, with the former engineer cutting a respectable figure in genteel poverty.
Doveva essere un romanzo, dal titolo Un fulmine sul 220, ma il Carlo Emilio, un po’ annoiato, ha spezzato il fulmine e è nata L’Adalgisa.
Dieci quadri, anzi, dieci disegni per descrivere la Milano del tempo che fu; con la sua borghesia salottiera, fastidiosetta, un poco urticante e che non manca di mostrarsi a teatro, dove “s’aduna a purgare le sue indigestioncelle farisaiche, i suoi peccatuzzi stitici, col porger orecchio a quegli altri peccati, un po’ più cipperimerli per fortuna, di Luigi Dallapiccola o di Igor Strawinski.” Quella borghesia fatta di chiacchiere scambiate “pèna denter de l’üss” Son salita anche sul 24, attenta a non finire come “donna” Elsa, vittima della società musogònica vociante “Vegnì ki! Occupàaato! S-ciào. A momenti le ciapàvom no, e poi però l’émm ciapàa!”. Il 24.
Mirabilis mirabilia il gioco di parole, il mescolarsi d’idiomi. E le note, le note, caro Carlo Emilio! L’è vegnuu foeura on alter liber, un godimento. On piaser! Ahhhhhhhhh
A volerla fare facile, sarei tentato di dire che Gadda è un eccellente scrittore, uno dei più stupefacenti, e tuttavia grandissimo solo per metà. Sarei tentato di sostenere, infatti, che la sua grandezza si esprime solo in quella parte della scrittura che attiene, più propriamente, agli strumenti del mezzo espressivo, come l'uso babelesco del linguaggio, la costruzione del periodare, la punteggiatura creativa, o agli elementi accessori, come l'espressionismo delle immagini, la rappresentazione dei caratteri, ma che si dimostra alquanto carente di tutta quell'altra metà del cielo, la metà che comprende trama, fabula, una cavolo di storia da raccontare, per intenderci. E sarei tentato anche di aggiungere, per sobillare quella parte di me che adora nutrirsi di Grandi Storie, che una rapida scorsa alla bibliografia dell'ingegnere sembrerebbe offrire più di una conferma a tale infida impressione: le sue opere, in perenne divenire e mai compiute, sono oltre tutto il frutto di continui ripescaggi, riciclaggi, riadattamenti, unioni, incastri di brani altri, emersi in tempi, luoghi e modi diversi, più che il felice e ortodosso esito di una forza creativa che ispiri l'idea di un racconto e si esaurisca alla conclusione dello stesso. Tutto questo sarei tentato di dire, tuttavia ricordo bene il senso di appagamento suscitatomi dalla lettura di questi scritti, perché è certo che una qualche bizzarra forma di godimento mi ha rapito mentre ne sfogliavo le pagine e mi fa ora sentire un filo a disagio e fuori luogo a preannunciare tutto quello che sarei tentato di dire, a volerla fare facile.
«El m’a guardàa i brilànt’....» Gadda ritrae la società milanese del 1931 con una piccola raccolta di racconti, che toccano i vertici del divertimento possibile: sono racconti benevoli, ironici, scritti in una prosa magica e scintillante come la bacchetta magica dell'apprendista stregone (Fantasia, Walt Disney, starring Topolino). I personaggi appartengono a tutte le classi sociali, dai domestici alla nobiltà, ma il massimo spazio è dato alle famiglie della buona borghesia illuminata (ingegneri alla Edison, come minimo; professionisti di buon nome; industriali). Irresistibile la matriarca Giulia de' Marpioni e le care piccole puledre che scorrazzano per l'appartamento: Lola, Maria Filiberta e la treenne Maria Giuseppa o Majà Uèppa o Mapeppa o Poppa o Peppa o Mappa o Pipippa, la beniamina della famiglia, sbaciucchiata da almeno 8 ottuagenarie, 20 zie e 40 cugine, tutte rigorosamente milanese speaking. La matriarca è molto sicura di sé, come si conviene alle matriarche e sparge il terrore nei negozi facendo ingresso in ora di pausa pranzo: dati i metri e metri di seta necessari ad avvolgerla, non si può ignorarla. Leggendo si ha l'evidenza di quanto è piccolo il mondo: al parco, a teatro e per le vie, pare che tutti si conoscano, che tutta Milano sia popolata da 10 cognomi e i loro parenti (forse, nel 1931). Gadda si diletta in particolare a ironizzare sull'universo femminile, che è più pittoresco e inoltre comprensibilmente gli piace di più. Nel raccontare l'Adalgisa si sente palpitare il cuore e l'ormone del giovane ingegnere che fu: anche se lo sospetto di amare le Adalgise, popolane prosperose e non prive di buone maniere, ma sposare le donne Else, eleganti , eteree e socialmente irreprensibili. Ritorno a celebrare lo stile impagabilmente brillante di Gadda, fra un italiano piegato all'estro del momento, milanese, slang geologico/ingegneristico, senza respingere qualche integrale e formula di calcolo combinatorio (però in nota). In effetti le note prima di Wallace le ha valorizzate Gadda e sono divertentissime. I racconti sono seguiti da una quantità quasi equivalente di studio storico/filologico dei testi che sono confluiti nella raccolta L'Adalgisa; nel complesso noioso. Però sono molto belli i pezzi sull'edificio del Politecnico e sulla Marianna, l'ennesima donna, questa è sfortunata, alla quale Gadda concede la sua attenzione e la sua pietas.
Il più bel libro di Gadda che ho letto fino ad oggi. Nonostante io abbia avuto qualche difficoltà a seguire il discorso, per l'uso del dialetto milanese che non capisco e il modo di scrivere di Gadda in generale (problematici anche nella Cognizione e nel Pasticciaccio), l'ho trovato davvero un libro stupendo, un quadretto della borghesia milanese perculata dal Carlo Emilio. Mi ricorda quando da piccolo andavo a teatro a sentire l'opera senza sapere di cosa parlasse. Provo le stesse sensazioni positive leggendo Gadda e non capendo di che si parla. Letteratura italiana come questa non se ne farà mai più, spiace.
L'Adalgisa di Gadda. Grande scrittura, ricchissima, spunti gustosi, incredibile capacità di rappresentare la realtà milanese della sua epoca, ma c'è da chiedersi quanti lettori non milanesi e privi dell'eccezionale cultura dell'ingegner Gadda riuscirebbero oggi a capire anche la metà dei contenuti del testo? Il testo è un’impresa linguistica, una costruzione più ingegneristica, ed era logico essendo stata creata da un ingegnere, che letteraria. Forme dialettali, neologismi scherzosi, tecnicismi, termini latini, tutto si combina e si fonde, in una composizione che, incredibilmente, appare equilibrata e godibile. A Gadda tutto è concesso e tutto si può perdonare, anche quello che si segnerebbe come gravissimo errore a un ragazzino, anche i “diti”, il “gnente”, i “capegli”, come si perdonano le “zittelle” a Landolfi. Avevo letto il libro tantissimi anni fa e ne avevo un vago ricordo. Lo ricordavo, a dir la verità, più triste e meno grottesco e divertente e forse non avevo torto, perché la deformazione a cui Gadda sottopone tutti i suoi personaggi, bianchi, neri o turchini che siano, produce in fondo una sensazione di profonda tristezza, forse in quanto rappresenta un mondo che ormai non esiste più. Qualche notazione non troppo politicamente corretta è evidente e individuabile senza fatica. Frasi come “il cencio caccoso d’una negra” e i “labbroni senegalesi dai piedi caprigni” non esprimono di certo stima e simpatia per le genti africane. In confronto, il fascista Lucio D’Ambra, nel suo romanzo La perla nera esprime molta più ammirazione per alcuni aspetti della cultura dei popoli dell’Africa. Sappiamo però che l’idea suprematista era tutto sommato dominante in ogni parte d’Europa ai tempi del fascio e ampiamente diffusa anche tra quelli che credevano in tutta sincerità di essere antifascisti. Stimolante, Gadda, ma non imitabile. Purtroppo, invece, un nucleo duro di letterati amanti del virtuosismo, più che dell’affabulazione, in Italia ha gaddeggiato e continua a gaddeggiare, acclamato e ammirato da un uguale nucleo duro di lettori e critici, inconsapevolmente dannunziani, o forse joyciani, che non comprendono come certe forme di iperletterarietà siano tutto sommato le bare in cui la letteratura si autotumula, a vantaggio di autori meno raffinati, è vero, ma capaci di farsi leggere da stuoli di lettori più folti dei colti accademici che si prosternano di fronte alle squisitezze busimarianmoreschiane. Nessun problema, comunque. Ogni lettore ha il Gadda che si merita. La maggior parte dei fruitori delle italiche lettere invece continua serenamente a leggere i Carofigli, i Ferranti, gli Starnoni, i Tamari e i tanti tamarri, che pure esistono e sono pubblicati: tutti autori meno letterariamente complicati e di più facile comprensione. Ricordiamoci però che in Italia abbiamo avuto anche in tempi meno recenti esempi di buona e semplice scrittura, non dissimile da quella che si praticava e si pratica ad esempio nell’universo francofono, ad opera di Camus, Sartre, Mauriac, Gide, Modiano, Simenon, Ernaux. Abbiamo avuto anche noi scrittori che raccontavano storie, anziché imbellettare con ciprie e diamanti le pagine stampate. Questi scrittori si chiamavano Deledda, Tomizza, Soldati, Saba, Primo Levi, Rigoni Stern, Arpino, Prisco, Sciascia, e sono probabilmente la parte più sana e duratura della nostra storia letteraria, checché ne pensino i critici. In conclusione, Gadda è una divinità da adorare, padrone assoluto della lingua, anzi dei linguaggi, compresi quelli classici, dialettali, stranieri, tecnici, capace di scrivere pagine da applausi a scena aperta, da clapandeggiare all’infinito, ma da non tentare di riprodurre, Dio ci scampi, come succede purtroppo anche a me, quando lo leggo per troppo tempo, cosa che invece non mi capita con Landolfi, con Stefano D’Arrigo, più condizionati da semplici bizzarrie arcaistiche o dialettismi. Insomma, Gadda scrive pagine entusiasmanti, stupende, può essere utile per comprendere come si può agire sul linguaggio, come si può utilizzare la propria cultura nello scrivere, a patto che ognuno rimanga nelle proprie stanze e conosca i suoi limiti. Lui viveva su un altro pianeta e noi non troveremo mai scale sufficientemente lunghe per raggiungerlo. E poi, se volete capire alcune delle frasi più belle del Gadda de L’Adalgisa, andate a studiare il milanese, magari cominciando dai testi di Carlo Porta.
Raccolta di frammenti, brani, tentativi, schizzi, bozzetti, insomma tutto ciò che poteva starci, ma che a chiamare "racconto" piú che un'approssimazione si fa un azzardo. In ogni caso la scrittura di Gadda mi incanta sempre e sempre mi lascia esterrefatto per la sua molteplicità e imprevedibilità, per la sua contemporanea esistenza ed impossibilità ad essere.
Una raccolta di racconti che avrei davvero voluto terminare di leggere, ma nella quale mi sono tristemente impantanato, fino a decidere di abbandonarla. Ho apprezzato tantissimo la varietà di linguaggi che Gadda utilizza all'interno dei vari racconti, spaziando dal dialetto milanese alle lingue straniere, dai termini quotidiani a quelli tecnico-scientifici. Ho apprezzato anche l'ironia affettuosa con la quale descrive la Milano del secolo scorso e i suoi borghesi (ma non solo) abitanti. TUTTAVIA Ho trovato la narrazione estremamente difficile da digerire, trovandomi spesso a non capire come si fosse passati da un evento ad un altro, da un personaggio al successivo. Purtroppo ciò mi ha fatto perdere interesse, portandomi ad abbandonare la lettura. Peccato.
Ammetto con estrema umiltà che alcuni passaggi mi sono scivolati di dosso senza che io ci capissi alcunché; altri però mi hanno davvero divertito. In ogni caso, la maestria e l'ingegno di Gadda vanno sicuramente ammirati.
La sezione riportata di sotto è presa dal racconto "Quattro figlie ebbe e ciascuna regina".
Con il gran maestro Gadda si hanno due alternative: fermarsi a ogni riga per capire il significato di molti termini, oppure cogliere il senso complessivo della frase, la sua musicalità e la profonda, pungente ironia.
Gadda va letto ad alta voce, come e più di qualsiasi altro: meno per facilitare meglio lo scorrere della narrazione che per godere come si deve di uno dei più volenti orgasmi linguistici della nostra letteratura.
Ci sono libri che si presentano come una tormenta di neve, come un vortice che ti risucchia conducendoti in terre ignote. L’Adalgisa è un viaggio che non comprendi se non alla luce di uno studio critico non approntato da noi, appassionati lettori e critici in erba.
Mi sono divertita, a volte perdendomi nella bellezza della lingua e dei vocaboli, a volte nelle caricature di questi borghesi miei concittadini di 100 anni fa. Chi diceva che non esistono bei libri scritti bene e che facciano anche ridere?