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222 pages, Paperback
First published January 1, 1995
E' difficile spiegare come mi sento al termine della lettura di questo libro. Mi è stato prestato. L'ho letto con piacere, perché ho apprezzato lo stile di Trueba da Quattro Amici. Potrei dire che scrive sempre in modo graffiante ed accattivante, mai noioso. Potrei dire che i colpi di scena sono frequenti ma ben cadenzati. Potrei dire che il sesso, sempre presente, è forse eccessivo in alcuni punti.
Ma non è questo. Il punto è che questo libro mi ha toccato dentro, commuovendomi. Fino agli ultimi due capitoli mi ha irritato per il suo incredibile accanimento nei confronti delle dinamiche familiari. La famiglia numerosa, al centro del romanzo, è dipinta come un luogo di ipocrosia, bassezze e rinunce.
E poi, negli ultimi due capitoli Trueba conferma la sua grandezza, il suo insistere in tutta la prima parte del romanzo su qualcosa per poi finire nel suo opposto, senza però negare. Dipingere la complessità - di più: l'ambiguità - della vita, senza cedere all'indulgenza o al lieto fine.
So bene cosa significa essere parte di una famiglia numerosa. Conosco bene quella sensazione di ingombranza claustofobica che ti minaccia costantemente. Conosco il sapore amaro del dover rinunciare a sé stessi, a volte. Ma conosco anche quell'illogica, irrazionale ed inspiegabile sensazione di calore che ti assale quando meno te lo aspetti, spesso un secondo dopo che chiudendo gli occhi hai ceduto alla tentazione di lasciarti annegare in quel mare di lacrime che a volte la vita diventa.
Questo libro mi piace perché trasmette esattamente la sensazione di ambigua contraddizione che conosce chiunque sia parte di una famiglia grande ed ingombrante. C'ho visto dentro tanta vita vissuta e tanti dubbi che temo. Ma c'ho visto dentro anche la certezza che la famiglia, nel bene come nel male, è qualcosa che ti accoglie sempre con l'unico abbraccio in grado di contenere tutte le tue ambiguità e meschinità di essere umano.