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Le Lettere a un giovane poeta furono realmente indirizzate da Rilke al giovane scrittore Kappus fra il 1903 e il 1908. Pubblicate postume nel 1929, si diffusero in breve tempo nei paesi di lingua tedesca come una specie di breviario – non tanto d’arte quanto di vita. Oggi, nella generale riscoperta di Rilke, ormai sfrondato di quegli omaggi sensibilistici che per molti avevano a lungo impedito l’accesso alla sua grande poesia, queste pagine tornano a essere una guida preziosa. Fin dalle prime righe, esse ci danno l’accordo che poi sentiremo risuonare in ogni parola di Rilke: «La maggior parte degli avvenimenti sono indicibili, si compiono in uno spazio che mai parola ha varcato, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, misteriose esistenze, la cui vita, accanto alla nostra che svanisce, perdura». Scrivere, per Rilke, era al tempo stesso un atto che poneva esigenze assolute, mutando la vita intera, e un oscuro processo biologico, una fermentazione delicata dove alla coscienza spettava soprattutto di stare in ascolto, esercitando un’ardua «passività attiva». E proprio in queste lettere Rilke ha saputo illustrare la sua «via» alla letteratura con le parole più precise e più dense. Unite a due altri brevi testi di carattere affine (le Lettere a una giovane signora e Su Dio), le Lettere a un giovane poeta vengono qui proposte nella celebrata versione di Leone Traverso, che fu uno dei primi e più felici interpreti di Rilke in Italia.
141 pages, Paperback
Published November 1, 1980
Amare anzitutto non vuol dire schiudersi, donare, unirsi con un altro (che sarebbe infatti l'unione di un elemento indistinto, immaturo, non ancora libero?), amare è un'angusta occasione per il singolo di maturare, di diventare in sé qualche cosa, diventare mondo, un mondo per sé in grazia d'un altro, è una grande immodesta istanzia che gli vien posta, qualcosa che lo elegge, e lo chiama a un'ampia distesa.
E se all’oblio il mondo t’abbandona,
all’immobile terra di’: Io scorro,
e all’acqua fuggevole: Io sono.
- Sonetti a Orfeo (1923)
Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate; accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza; ché per un creatore non esiste povertà né luoghi poveri e indifferenti.
“La volontà di Cristo era certamente la stessa. Indicare. Ma qui gli uomini son stati come i cani, che non comprendono il cenno di alcun dito, e credono di dover agguantare la mano. Invece di proseguire oltre il crocevia, dov’era innalzato ormai un indicatore nella notte del sacrificio, la cristianità s’è accampata là sotto sostenendo di abitare ivi in Cristo, benché in esso non ci fosse alcuno spazio, neanche per sua madre, né per Maria Maddalena, come in ogni indicatore, ch’è un gesto e non un soggiorno[…] Questa crescente rapina della vita non è un effetto della svalutazione del terrestre continuata per secoli? Che delirio, deviarci verso un al di là, dove noi qui siamo assiepati di compiti e aspettazioni e futuri! Che truffa, sottrarre immagini di delizie di qui, per venderle alle nostre spalle al cielo!”
Voi siete ancora così giovane, così al di qua di ogni inizio, e io vi vorrei pregare quanto posso di avere pazienza verso quanto non è ancora risolto nel vostro cuore, e tentare di avere care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera.
Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri, li invia alle riviste, li confronta con altre poesie, e si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove.
Ora, poiché mi ha autorizzato a consigliarla, le chiedo di rinunciare a tutto questo.
Lei guarda all’esterno, ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare. Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno.
Non v’è che un mezzo. Guardi dentro di sé.
Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a sé stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere?
Questo soprattutto, si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere?