Come Dino Campana, Emanuel Carnevali ha avuto il destino di un ‘poète maudit’: nato a Bologna nel 1897, partì da ragazzo per gli Stati Uniti, che dovevano diventare, per lui, il luogo simbolico della vita e della letteratura. Passò attraverso numerosi e umili mestieri («raccogliere cicche per strada non fu certo la cosa più spregevole a cui mi ridussi») finché lo incontriamo nella cerchia degli scrittori americani di punta in quegli anni. Ezra Pound, William Carlos Williams, Sherwood Anderson, Robert McAlmon lo accolsero come uno dei loro, con ammirazione e insieme sconcerto dinanzi a questo difficile e imprendibile personaggio, e inclusero subito testi suoi nelle loro celebri antologie e riviste. Carnevali scriveva in inglese, la sua unica lingua era quella dell’esilio, e portava così nella poesia americana un soffio selvatico, di cui fu avvertita la novità. Il suo destino era tragico: nel 1922 fu colpito da encefalite e dovette tornare in Italia. Trascorse in un ospedale vicino a Bologna gli ultimi anni della sua vita, e lì ancora lo raggiungevano le lettere dei suoi amici americani. In questo volume abbiamo voluto raccogliere le parti più significative della sua opera, finora inedita in italiano. Innanzitutto il romanzo Il primo dio, una prosa di febbrile intensità, carica di immagini, di sogni, di angosce, di camere mobiliate, l’autoritratto di un nomade, braccato dalla vita, che ci lascia sbalorditi per la modernità del suo accento. Poi una scelta dalle sue poesie: anche queste ‘eccentriche’, rispetto all’America e tanto più rispetto all’Italia, scritte in una lingua reinventata con felicità e uno strano candore, leggere e disperate. Infine alcune prose critiche, da cui apparirà l’ottica singolare di questo ‘poeta maledetto’, insofferente delle raffinatezze formali e compositive dei suoi amici americani, lui che si sentiva preso in un terribile risucchio verso la morte. Nel loro disordine e nella loro amarezza, i testi di Carnevali hanno un suono ‘giusto’ che percepiamo solo oggi, come quello di chi poteva essere uno dei grandi scrittori italiani di questo secolo e invece giunge filtrato da un’altra lingua, da un’altra storia, e pur sempre come un’emozionante scoperta.
Emanuel Carnevali, “The Black Poet” as William Carlos William once said, born in 1897, Florence, Italy. He immigrated to the U.S. just before World War I at the age of 16 and lived in the streets of New York where he held a series of menial jobs and learned the english language through the street advertising. He later moved to Chicago where he met and attended illustrious american poets like Ezra Pound, Williams Carlos Williams and Sherwood Anderson.
When writing the novel The First God (il primo dio), he portrayed his life and relationship with the United States transforming America almost into a character.
In his poetry and prose, Carnevali prized immediacy of expression and vivid depictions of suffering. In 1919, Harriet Monroe invited Carnevali to become associate editor of Poetry, a position he held for six months. While in Chicago, he became seriously ill with encephalitis lethargica, a disease that caused him to shake uncontrollably. He was hospitalized and eventually returned to Italy, where he kept up correspondences with Williams and Boyle until his death in 1942 in a mental asylum.
Carnevali’s collections frequently include selections from his poetry, prose, and criticism. A Hurried Man (1925) was the only volume published during his lifetime; posthumous collections include The Autobiography of Emanuel Carnevali (1967), which was compiled and introduced by Kay Boyle, Fireflies (1970), and Furnished Rooms (2006).
"Così dissi addio all'Italia, quell'Italia cui ho dato così poco e ho ricevuto ancor meno. (Ah, sì, qualcosa mi ha dato. Quand'ero ancora a scuola fui fatto membro di una società per la redenzione di Trento e Trieste. Raccolsi un po' di denaro, facendo nuovi adepti, e passai un buon Natale con i fondi di cui mi ero appropriato. Questo fu quasi tutto quello che mi diede. Nemmeno una fidanzata.)"
Emidio Clementi, in Lungo i bordi, dedica a Emanuel Carnevali un pezzo cupo e ossessivo. La musica sembra muoversi in modo circolare e fluido, sebbene io abbia sempre immaginato l'inquietudine come un insieme di disegni incoerenti, spigolosi e informi. La miseria fluisce, è un torrente; la fame la risucchia. Bisogna che l'anima sia staccata dal corpo per non morire; è necessario che siano due entità distine e autonome per trascinarsi nelle strade di New York sporchi e affamati e non lasciarsi annichilire e chiudersi in un mutismo irreversibile. Ogni processo deve avvenire su due piani che convergono, ma non riescono a mescolarsi: ecco la salvezza. La sofferenza, nella maggior parte dei casi, desertifica: tutto quello che prima palpitava e si agitava sotto la pelle muore lentamente e si ha la sensazione di avere dentro di sé delle mani che scavano senza sosta, sperando di trovare qualcosa che sopravviva. Carnevali non è riuscito a morire in quella miseria che ha ucciso tutti, quella miseria senza Dio ma piena di uomini, o piena di un Dio malvagio e di uomini violenti e corrotti. Ha pensato sé stesso come un poeta ed ecco il poeta, ecco lo scrittore emerso dal miasma. Un amico scrittore mi ha detto che una sola vita non basta, ma abbiamo entrambi concordato sul fatto che esistano casi eccezionali in cui un'unica vita è sufficiente e, anzi, basta per l'umanità intera. Parlavamo di Céline, ma adesso so che anche Carnevali è una di quelle vite che ha gettato nel mondo il proprio dolore e i propri pensieri e li ha resi intelligibili. Non è un processo facile. Infatti, Emidio Clementi, a proposito di Emanuel Carnevali, canta: "Dire qualcosa mentre si è rapiti dall'uragano: ecco l'unico fatto che possa compensarmi di non essere IO l'uragano / Emanuel / Primo Dio"
Abbiamo passato insieme una brutta notte, voglio lasciare anche una poesia. Quand’è passato
L'amore...Io pensavo fosse una lunga gita in barca su un lago tranquillo: intorno i salici piangenti lasciavano cadere nell’acqua le chiome, e fra quelle chiome, i raggi che il sole andandosene, aveva dimenticato. Ma ora che è passato, so che era un fiume travolgente e fragoroso, che distruggeva tutto, tutto. Nell’anima non mi è restato che un cespuglio, che oscilla e ondeggia al vento come i capelli di una strega, che sibila, che maledice il vento come il braccio spaventoso di una strega, ed è ricordo.
Forse meno sfortunato di Pascal D'Angelo ma più di Pietro Di Donato Emanuel Carneval occupa un posto di rilievo nella letteratura italo-americana della prima metà del Novecento. Venuto prima dei due citati, forse tra i più famosi, Carnevali ben poco si ritrovava nella definizione di Italo-Americano rivendosi di più come Americano al 100%, ciò è evidente dal suo modo di rapportarsi alla grande metropoli e alla vita negli Stati Uniti nei primi del '900 in cui emigrò appena sedicenne imparando a leggere dalle insegne di New York svolgendo ogni genere di lavori prima di approdare alla carriera letteraria. Al contrario degli altri scrittori sovramenzionati Carnevali riuscì ad entrare nella cerchia intellettuale del mondo culturale della Grande Mela frequentano tutti i più grandi artisti del periodo, da Ezra Pound a William Carlos Wililiams passando per Kay Boyle e un ampia cerchia di bohemien oggi poco ricordati ma influenti per le generazioni successive. Al contrario dell'isolamento culturale in cui fu costretta la carriera di D'Angelo e di Di Donato, Emanuel ebbe agganci, ebbe una enorme possibilità di carriera la quale sicuramente si sarebbe evoluta se avesse avuto il tempo necessario, se una terribile malattia degenerativa non lo avesse costretto a ritornare in Italia interrompendo una carriera promettente in cui "il capolavoro era dietro l'angolo".
Carnevali non ha l'ottimismo di Pascal né la fiducia nelle proprie potenzialità dei protagonisti di Christ in concrete. Carnevali ha comportamenti estremamente distruttivi e autodistruttivi, ha un rapporto problematico con l'esistenza, con l'amore, con Dio, con gli esseri umani. Carnevali scrive per vocazione perché come poeta non può far altro, non lo fa per farsi sentire, per la semplice testimonianza, ma per indagare sé stesso, per necessità esistenziale. E' lui stesso a farcelo capire nel suo unico romanzo, Il primo dio autobiografia che sembra talvolta rieccheggiare l'America surreale e immaginaria di Kafka o quella cruda e iperrealistica che verrà raccontata in futuro da Hubert Selby Jr. solo che qui è tutto estremamente reale e realistico raccontato dall'interno. Il finale improvviso (che solo per rammarico del lettore può chiamarsi tale) tronca di netto l'avventura americana di Canevali vedendolo rinchiuso in una casa di cura, esiliato e allontanato nuovamente dal mondo dopo che la malattia lo ha reso una vergogna agli occhi degli uomini.
Raramente in uno scrittore autodidatta si può osservare tanto acume e tanta poesie nella propria scrittura anche in prosa. Carnevali non ebbe la possibilità di scrivere altro oltre questo abbozzo di romanzo e svariate poesie (mai debitamente raccolte prima d'ora) né di proseguire la sua carriera, ma ha scritto abbastanza per essere considerato un grande, forse persino un precursore nella sua unicità.
Qua c'è tutto: premessa della sorella, il romanzo, 150 pagine di poesie, 3 racconti, 4 articoli e 3 testimonianze di altri scrittori.
+Un po' di bio: Carnevali arriva in America nel 1914, sedicenne, senza conoscere una parola d inglese. Fa decine di lavori diversi, impara la lingua e scrive poesie. Nel 1922 deve tornare in Italia a causa di una grave malattia che lo accompagnerà per tutta la vita. Nel 1925 viene pubblicata, in Usa, una sua raccolta di racconti, unica opera pubblicata finché Emmanuel è in vita. Lui continua a scrivere, sempre in inglese e passa il resto delle vita tra ospedali, cliniche e pensioni. Muore a 44 anni. Si dice che abbia contribuito a formare la letteratura americana moderna, io non so se sia vero. Sherwood Anderson ha scritto di lui e Will Carlos Williams gli è stato amico e ne è stato influenzato.
+Il primo Dio è il suo unico romanzo, pubblicato postumo, e a me è piaciuto. Carnevali si rivolge direttamente al lettore. Conosce i suoi difetti e ne parla apertamente, raccontando con una voce caratteristica e sfrontata. È pieno di sé e sconsolato, orgoglioso e brillante. Emanuel ha iniziato con la poesia e nella sua prosa, di poesia, ce n'è molta. Le sue immagini però non suonano forzate, non paiono scritte per stupire. Non usa trucchi, non c'è mestiere nella costruzione delle sue frasi secche, potenti, dirette e a tratti disperate, che ti fanno pensare che quello che stai leggendo sulla pagina è succo di Emanuel, senza abbellimenti e senza omissioni.
+Le Poesie: sono vere, pratiche, terrene e a verso libero. Più prosaiche della sua prosa. So che l'autore amava Rimbaud ma per forma, tempi e scelta delle parole scommetto che si è ispirato a Majakovskij. Lo sento. Ovviamente non ha la sua potenza. Nessuno ce l'ha. Le poesie sono comunque ciò che mi è piaciuto meno di questo libro. Soprattutto quelle scritte dopo il ricovero, che risentono del suo precario stato di salute.
+I tre racconti sono molto belli. Una dozzina di pagine in tutto. C'è molto cinismo. E tanta purezza.
+Nei saggi ha quell'atteggiamento di superiorità da provocatore che adoro. La prosa è, anche qui, intrisa di immagini poetiche e violente.
+ La postfazione di Ballerini pare scritta da un filosofo tedesco, è ipercritica e insiste(giustamente?) sul lato negativo di Emanuel.
Questo libro va letto. Carnevali va diffuso. Una delle migliori scoperte che ho fatto ultimamente.
Sto ancora cercando la forza nelle tue parole (forse nei versi, ma quello non è il mio campo prediletto). Momentaneamente vedo solo un temino di terza media, sotto la media anche per essere un temino di terza media. E capisco che la vita di un fallimentare wannabe-bohémien, di un clochard dal piglio poetico possa fare emozionare stuoli e stormi di ragazzini rinchiusi nella monotona e grigia atmosfera cittadina, ma caspita, sei poeta, e trasmettimela 'sta emozione perdio!
l'opera della adelphi, raccoglie l'unico romanzo pervenutoci da Carnevali, Il Primo Dio, e poi una sezione di poesie scelte, un'altra di racconti e l'ultima di saggi critici. lo scrittore nato in italia ed emigrato in america solo 16enne, dà prova di grande talento letterario. non a caso è considerato un poeta maledetto. nel suo stile e nella sua poesia, ma anche nella prova, si incontrano la rabbia, la sincerità brutale ed il linguaggio forte di tale corrente letteraria. il Primo Dio è un romanzo autobiografico che racconta passo per passo la vita dello scrittore, che si auto-definiva più un poeta che un romanziere: dalla sua infanzia in italia alla sua emigrazione negli stati uniti, la difficoltà di trovare lavoro, la povertà, gli amori, gli amici letterari, la famiglia, la malattia, il ritorno in terra d'origine, i suoi giorni in ospedale. nelle poesie ricorda bukowski, o forse è bukowski che ricorda lui visto che hank è posteriore a carnevali. una biografia grezza, cruda ma vera. uno stile asciutto, poetico anche nella prosa.
le poesie danno un senso di oblio ben definito, un estasi alla dylan thomas, una potenza nella parole semplici che solo i grandi poeti sanno dare. c'è qualcosa nella sua malinconia che ricorda anche vagamente leopardi. un leopardi americano.
racconti e scritti critici coronano infine la figura a tutto tondo della figura di carnevali, che forse sbagliava a definirsi solo un poeta perchè era molto di più, molto di più.
una vita che da sola vale mille storie, una rabbia che non poteva essere calmata, neppure l'autore avesse incontrato quel grande amore di cui parlava agli amici, una voce unica. forse nella storia della letteratura italiana carnevali non avrà mai un capitolo tutto per se, resterà un culto per pochi, ma chi lo incontrerà su queste pagine non lo dimenticherà facilmente. il libro in se poi è ben costruito: "il primo dio", le sue poesie con l'originale in inglese a fronte (e tenendo conto di come e in che tempi imparò l'inglese si resta stupiti: aveva già padroneggiato la lingua tanto da renderla propria), i ricordi di chi lo frequentò ed un saggio critico (purtroppo per me quasi illeggibile).
essere poeti mentre si racconta una storia,anche la propria, non e' da tutti. le parole nel libro hanno la stessa perfezione e leggerezza di un origami quando danno forma a qualcosa di terribile,sono cosi'ben utilizzate che il dolore che esprimono arriva netto senza sbavature come il tuffo di un nuotatore professionista. un libro molto bello uno scrittore con la febbre. e' vero che ricorda dino campana. condividono qualche linea di febbre