Giacinto Mortola è un cronista sportivo, redattore di un grande quotidiano alla vigilia della pensione. Simone Perasso ha giocato in serie A, due gol nel Torino, poi poca serie B e molta serie C. Mortola ha cominciato a fare il giornalista quando l'informazione era un'altra cosa, e anche il calcio in cui ha debuttato Perasso era diverso, forse più vero. Quell'ultima notte Mortola rimane di turno al giornale, solo nella redazione, per intercettare le notizie dell'ultimo minuto e metterle in pagina: è quella che nel gergo giornalistico chiamano "la lunga". E in occasione di quella "lunga", il destino dello stagionato redattore di poche ambizioni, vittima designata del carrierista caporedattore Angrisani, incrocia per l'ultima volta quello dell'ex centravanti dimenticato da tutti (o quasi). Una vicenda di giornalismo e di calcio, dagli anni Sessanta ai giorni nostri. Per questi tempi di feroce arrivismo, ha un protagonista curiosamente controcorrente, dolce e ostinato, apparentemente svagato ma con una piccola scintilla da ribelle. Roberto Perrone racconta la sua umiliazione e il suo riscatto con un sorriso appena venato di nostalgia. Perché questo apologo in apparenza lieve ci racconta anche quello che dovrebbero e potrebbero essere l'informazione e lo sport: qualcuno vive una bella storia e qualcun altro vuole e sa raccontarla.
Mai sentito nominare. La sua carriera si è svolta su giornali che non incrocio e come autore non mi è capitato mai in mano un suo libro. La cosa a cui assomiglia di più è una puntata di Sfide. A me Sfide piace.
Un giornalista sportivo mite, per nulla ambizioso, inviso solo a qualche bullo, per un incarico imprevisto conosce un giovane giocatore nel suo unico momento di gloria Seguirà un’intervista che è l’inizio di una lunghissima amicizia, vissuta tramite qualche biglietto d’auguri, qualche lettera, una fotografia e un incontro quando il giocatore è ormai diventato un imprenditore, con più occhio per gli affari che per il pallone. Ma quella partita e quei due gol sono rimasti nell’immaginario di molti, compresi alcuni ragazzini per i quali quella fu la prima partita vista da soli allo stadio.
Scorrevole, gradevole, una vaga aria sognante. Ricordo una partita, Brescia-Juventus 3-1, quando la Juve era in B. Un certo Serafini segnò i 3 goal. Probabilmente lo spirito di Roberto Carlos aleggiò sullo stadio o dentro il ragazzo: fece 3 reti strepitose, tra le quali un pallonetto da 40 metri. Ha giocato in diversi ruoli, dopo una puntatina in A (dove giocò ben poco) fa del cabotaggio tra le varie serie cadette. Quello fu il suo do di piede. Non so quanti siano i Giacinto Mortola, ma sicuramente in giro ci sono diverse versioni di Angrisani.
Perrone scrive bene, su questo non ci piove, ma devo dire che la storia non mi è parsa nulla di speciale. Certo Giacinto Mortola sa rendersi simpatico ma a parte questo le emozioni sono davvero poche. Storia godibile, ambientata nel mondo del calcio che io amo, ma mi aspettavo decisamente di più dopo aver letto a suo tempo le critiche di D’Orrico.