In Friuli, durante l’ultima guerra, si insedia un’armata cosacca proveniente dalla Russia: uomini, donne, vecchi e bambini ai quali le autorità tedesche hanno promesso una patria. Questo fatto storico diventa nella narrazione di Sgorlon la tragica odissea di un popolo predestinato allo sterminio. Stretti in un lembo di terra, i cosacchi invasori e i friulani invasi sono ugualmente vittime di una diversa, ma speculare, oppressione. Tuttavia, un raggio di speranza è portato dall’indimenticabile Marta, con il suo immenso bisogno d’amore e con la sua tenace convinzione che nel mondo ci sia un’armonia segreta capace di dare un senso all’esistenza.
Carlo Sgorlon was born in 1930 in Cassacco, a tiny village near Udine, capital of Friuli, a region in northeastern Italy near the Austrian and Yugoslav borders. He spent much of his childhood in the countryside, where he attended primary school only rarely but came into daily contact with Friulian peasant life. The influence of his grandfather, a retired schoolmaster with a strong literary bent, and his grandmother, a practicing midwife steeped in local folklore, formed the basis of his love of literature and his reverence for ancient peasant traditions. He has written a number of novels in the dialect of Friuli, as well as twelve novels and numerous short stories in Italian. His fiction has been translated into French, Spanish, Finnish, German and certain Slavic languages. His literary scholarship, aside from translations from the German, includes two major critical works, one on Kafka and the other on Elsa Morante.
This novel garnered the prestigious Strega award in Italy in 1985. It tells the little known history of Russian Cossacks arriving in Friuli (an area in Italy which borders Austria) due to an agreement with the Germans that these Cossacks could settle in Friuli if they agreed to help the Germans. By this time the armistice between Italy and the Allies had been signed and Italy was overrun by Germans.
As the story begins, some Jewish villagers and gypsies living in a mountainous village had been rounded up and taken away by the Germans. It happened without warning and the few people who were left - some happened to be elsewhere at the time - were shocked that such a thing could happen, that Germans could target civilians, the old and/or infirm and women and children. It was equally baffling that their erstwhile allies were now enemies and that some Russians who had been their enemies were suddenly fighting with the Germans in Italy.
But the locals were not going to take this lying down, and partisans were keeping Germans at bay in the mountains. The main protagonist of this novel could be said to be an ethnic group, namely these Cossacks who were hoping that eventually the Germans would help them to overthrow the Stalinist regime. Settling in Friuli was plan B. However, at the end of WWII many of these Cossacks were repatriated by the British and Americans to Russia as per the Yalta agreement. It is not difficult to imagine what Stalin did to them.
Most of the plot is centered around a particular villa belonging to Esther and Aaron Heshel, Russian Jews. Aaron is a well known orchestra conductor. Both of them had been taken away in the roundup mentioned above, which takes place in the first pages, so not a spoiler. In fact they are never heard of again, and we all know what their likely fate must have been.
Left at the villa are Marta and Anita. Marta is the housekeeper who has become fluent in Russian, and Anita is the young pregnant sister of Marta’s fiancé Arturo who went to Russia to fight with the Germans, but who has not been heard of for a long period of time.
Before long, the Cossacks arrive en masse, and some of them are given rooms in the villa. Initially the Cossacks and the locals sort of manage to live cheek by jowl, even though the sons and husbands are partisans in the surrounding mountains, fighting against fascism, and who are thus enemies of both Germans and Cossacks. The Cossacks in the villa are very pleasant, and a good relationship exists between them, Marta, Anita and Haha, an old gypsy. These four were all fortunate enough not to be around when the Germans came. However as time goes by certain events in the village ignite anger and misery. Tragedy is bound to happen. This is just some background of the story, and I won’t reveal any details.
The Cossacks, the locals and the partisans are all treated sympathetically. The history is interesting and the writing is good.
Carlo Sgorlon was born in the Friuli district, near Udine. He wrote several novels, and in addition to the Strega Prize he also won the Premio Campiello for another novel. I read this in Italian. The English title is Army Of The Lost Rivers.
Molto bello, belli i personaggi, ottima l’ambientazione. Il ritmo è abbastanza lento ma non è noioso, semmai si tratta di una scrittura dal respiro molto ampio. Ambientato tra il ’44 e il ’45, è la storia di Marta, che fa la domestica presso una villa di ebrei russi emigrati in Friuli, e che si ritrova a gestire la villa da sola durante l’occupazione tedesca con tutto il campionario di umanità che da quella casa si trova a passare; contemporaneamente è la storia dei cosacchi che proprio in Friuli sono calati al seguito – o meglio, per ordine - dei tedeschi e che si sono accasati nei villaggi e nelle frazioni, tra cui anche quella dove Marta vive: l’ampio respiro che l’autore si prende nella scrittura serve proprio perché la narrazione non intende soltanto raccontare le azioni di guerra tra cosacchi e partigiani, ma soprattutto i pensieri e i sentimenti che la tragedia della guerra suscita rispettivamente nel popolo friulano e nel popolo cosacco, e pertanto si sofferma su tutti gli aspetti psicologici dei vari personaggi che di man in mano vengono introdotti a rappresentare queste due categorie. La diaspora dei popoli cosacchi e più in generale il tema della patria e della nostalgia per la propria terra, ed anche il tema dello smarrimento che viene successivamente ad una guerra, vengono raccontati con continui riferimenti all’odissea: la terra natìa una Itaca ormai perduta, e i popoli cosacchi condannati a vagabondare in ogni dove come Ulisse. L’autore narra la guerra senza schierarsi dalla parte di nessuno: i partigiani hanno le proprie ragioni nel difendere la loro terra, i cosacchi hanno le proprie ragioni nel fare quel che possono per sopravvivere oltre che per rispettare le proprie tradizioni, la gente del posto fa quel che può per aiutare tutti mentre aspetta che la guerra finisca, e la morte che falcia vittime tra tutte le parti in gioco è quasi come un personaggio indipendente da tutti gli altri attori e da tutte le volontà in causa. Il finale dolceamaro induce a molte riflessioni, soprattutto sulla tragedia del conflitto, direi che fa decisamente da controcanto all’inno di pace che ho letto da poco in ‘Educazione Europea’ di Gary Romain: qui si riflette su come l’essere umano si porta la guerra nel ventre, per sua natura, e periodicamente le febbri di questa malattia sono sempre destinate a riemergere. Ora procedo a mettere in wl ‘I Cosacchi’ di Tolstoj, cui Sgorlon stesso dice di aver attinto molto materiale. Un’ultima nota: mi accorgo che da qui Pansa ha preso qualche ispirazione per il suo “I tre inverni della paura”, anzi molto più di qualcosa: la villa isolata, i personaggi che da lì vanno e vengono come da un porto di mare, il fidanzato disperso in Russia, il disorientamento della guerra che volge al termine… solo l’ambientazione è spostata dalla Carnia alla pedemontana del parmense.
Conoscevo già questo episodio storico, così poco conosciuto, dell’invasione di una armata cosacca in Carnia durante la seconda guerra mondiale. Ho letto qualche anno fa il bellissimo libro di Claudio Magris “Illazioni su una sciabola”, che in nulla assomiglia a questo semplice ma anche appassionante romanzo di Sgorlon. Due sono le tragedie che si scontrano in questo angolo del Friuli: quella di un popolo, il cosacco, ingannato e usato dai nazisti senza nessuna pietà e quella di un altro popolo, quello friulano, che vede la propria terra invasa, depredata da stranieri. L’approccio con cui l’autore affronta questa grande tragedia è quanto mai umano e dolente. Spesso i carnefici diventano vittime e viceversa. Non c’è la divisione netta tra i buoni e i cattivi, sono tutti o in un modo o in un altro delle vittime. E questa visione dolente accompagna i personaggi per quasi tutto il libro; poi la fine drammatica dei Cosacchi nella fuga verso l’Austria lascia un po’ di sgomento. Straordinarie sono poi alcune figure, tra cui soprattutto quella di Marta, sulla quale Sgorlon costruisce il ritratto di una donna vera, accogliente, generosa, comprensiva e saldamente legata alla terra. Lettura molto soddisfacente!
Come capita a molti lettori forti, stavo leggendo due libri in parallelo: una raccolta di racconti di Mia Alvar, autrice filippina di cui chiacchiererò fra qualche giorno, e L’armata dei fiumi perduti, romanzo di Carlo Sgorlon Premio Strega nel 1985. Ho rilevato un tema dominante in entrambi, forse figlio della lettura parallela o forse no, ma mi è sembrato interessante e nella mia mente è stato catalogato sotto l’etichetta “concetto di casa”.
L’armata dei fiumi perduti ha affrontato – in anni in cui era molto meno nota – la storia delle truppe cosacco-caucasiche che giunsero in Friuli nell’estate del 1944, occupando un territorio che avrebbe preso il nome di Kosakenland in Nord Italien. Non si trattava “semplicemente” di una occupazione militare: i cosacchi, collaborazionisti del Reich, vennero trasferiti in Carnia con la promessa della costituzione di una nuova patria, senza che ne fosse pienamente stabilito il carattere temporaneo. Viaggiarono e si insediarono dunque con civili al seguito, mettendo in atto l’organizzazione storica della loro società e rendendo naturalmente complessa la convivenza con la popolazione autoctona, spesso privata di abitazioni e terre anche se non mancarono esempi di tentativi di spontanea integrazione.
Due popolazioni già accomunate dalla tragedia della guerra (“Il Friuli e la steppa si somigliano almeno in una cosa.” “Ossia?” “Nei nostri cimiteri sono seppelliti molti italiani, e nei vostri molti cosacchi”) si confrontano quindi sulla linea sottile fra chi una patria pare averla perduta (e non mancarono le azioni partigiane di liberazione) e chi sta cercando una nuova casa: Sgorlon, in un romanzo solido, dal ritmo a volte compassato ma assolutamente catturante, affida il racconto di questo confronto epico al coro di una serie di protagonisti che restano scolpiti nella memoria e su cui troneggia Marta, che riesce nel miracolo di riunire in se entrambe le tragedie mantenendo sempre viva una speranza più grande di lei.
Un romanzo che porta inevitabilmente a domandarsi che cosa – o magari chi – sia la propria casa: un messaggio certamente moderno, in un’epoca storica in cui i confini sono saltati, la mobilità è continua e la ricerca di radici è comunque un tema da affrontare, forse perché è proprio nel pieno della tempesta che le radici più profonde non tradiscono.
Letto grazie al gruppo Libri dal mondo. Un episodio della Seconda Guerra Mondiale poco conosciuto (i tedeschi portano i cosacchi in Friuli) raccontato in maniera splendida da Sgorlon. Conclusa la lettura si ha voglia di leggere I Cosacchi.
Read thanks to the group Libri dal mondo. A quite unkwon event of the Second World War (Cossacks pushed by Germans arrived in Friuli) described wonderfully by Sgorlon. When the book is over, you want to read The Cossacks.
Un romanzo difficile da lasciarsi alle spalle, vincitore del Premio Strega nel 1985. Ispirandosi a fatti storici, Sgorlon descrive la difficile convivenza tra gli abitanti di un piccolo borgo friulano e un'armata cosacca inviata dai tedeschi per combattere i partigiani in cambio della promessa di una nuova patria. I cosacchi, popolo fiero, di origini nomadi, legati allo zar, si erano alleati ai nazisti nella speranza di vedere sconfitto Stalin e poter ritornare nella propria terra, o almeno di poter trovare una nuova patria. Se all'inizio gli abitanti del villaggio, i partigiani e i cosacchi si studiano e cercano di mantenere lo status quo, limitando al minimo gli scontri, alla lunga l'incertezza sul futuro, le ristrettezze dovute alla guerra, l'esasperazione per il protrarsi di una situazione di pericolo continuo portano all'esplosione della violenza. Ogni personaggio è ben studiato ed è interprete di un diverso atteggiamento nei confronti della vita e della guerra: la speranza per il futuro, l'orgoglio della propria stirpe, la disperata consapevolezza della perdita della propria identità, l'adattamento alle difficoltà della vita, la pietà verso i bisognosi. Sgorlon è stato in grado al contempo di suscitare empatia verso questi soldati senza patria e di farli odiare. Mi è piaciuto lo stile, molto descrittivo ma mai pesante, che fa scivolare di pagina in pagina senza fatica.
"Ora coglieva negli strani discorsi che Gavrila gli veniva facendo negli ultimi tempi una verità sottile, sfuggente, difficile da definire e da penetrare. Capiva ciò che voleva dire il colonnello quando ripeteva che gli uomini moderni non avevano più patria. Per i cosacchi era vero. Per gli zingari era vero. Per gli ebrei era una cosa reale da due o tremila anni. Bastava dare un'occhiata al vecchio Haha, alla sua faccia stupita e dispersa, per capire che neanche lui aveva più patria. Forse essa era soltanto un greto di torrente, un prato alla periferia della città, dove accamparsi coi suoi carrozzoni e con la sua gente, e niente di più. Ma adesso la sua tribù e i suoi carrozzoni erano stati dissipati e distrutti, e così anche quella patria da nulla gli era stata sottratta. Chissà quante erano le popolazioni nel mondo sconvolto dalla guerra che erano state costrette a migrare, che erano state decimate, cacciate dalla loro terra, ed ora si stavano allestendo frontiere e linee di demarcazione che avrebbero loro impedito di ritornare; o che le avrebbero costrette, per le mutate condizioni politiche, per l'instaurarsi di sistemi politici nuovi e disorientanti, nei quali la gente non si ritrovava più, ad amdarsene raminghi in luoghi stranieri, che non conoscevano e dove nessuno li conosceva."
L'argomento in oggetto è la piccola invasione del Friuli da parte di un'armata cosacca alleata dei tedeschi, durante la seconda guerra mondiale. Interessante spunto quello di analizzare la convivenza forzata del popolo friulano con i cosacchi che erano e si consideravano pure invasori di diritto. All'inizio sembra che tutto proceda bene, nonostante le razzie, ma poi i rapporti diventano tesi dopo alcuni episodi criminali e alla fine, con l'avvicinarsi della sconfitta tedesca e della vittoria partigiana, sfocia in vera e propria guerriglia. A parte alcune mie simpatie ed antipatie istintive per vari personaggi, il libro si perde nella descrizione della apparente tranquillità iniziale, e alla fine diventa veramente pesante seguire i vari flussi di coscienza dei singoli. Si riscatta nel finale proprio per l'aumento di ritmo, con le descrizioni dei singoli drammi. Veramente profetico il concetto dell'uomo moderno "senza patria", in una perenne migrazione a causa di guerre, violenze o promesse non mantenute. Non mi è piaciuto invece il vago tratto giustificativo delle violenze perpetrate, come se in guerra, in tempi strani, tutto fosse lecito. E come se l'indole selvaggia del cosacco non fosse controllabile. Non direi. Ci sono differenze sostanziali tra uccidere un partigiano e una donna innocente, e innanzitutto viene il libero arbitrio. Che poi fossero tempi grami, è perfino inutile scriverlo. Per certi versi è un libro antico, non tanto per lo stile quanto per alcuni concetti (soprattutto per quanto riguarda la figura femminile, che nella postfazione l'autore dice essere la vera eroina dell'opera, ma che a mio parere descrive con occhio molto, molto maschile). Ecco, lo metto a confronto con l'elegia di Paolo Rumiz sulla guerra ("Come cavalli che dormono in piedi") e lo trovo inferiore, pur contenendo la stessa pietà comune a vincitori e vinti e la sottolineatura della vanità della guerra. Forse proprio questo confronto impietoso mi fa essere più severa nel voto.
Dell'arrivo dei cosacchi in Friuli durante la seconda guerra mondiale mi aveva parlato per la prima volta un produttore friulano. È un fatto poco conosciuto fuori dai confini del Friuli. I cosacchi, filo-zaristi e nemici dei russi erano stati mandati lì dai tedeschi, durante la guerra, con l'illusione che quella sarebbe stata la nuova terra e che al fianco dei tedeschi avrebbero potuto prendersi la tanto auspicata rivincita contro i russi. Sono arrivati da invasori e da invasori si sono comportati, tant'è che quello stesso produttore mi raccontava come qualche anno fa, quando alcuni parenti dei sopravvissuti tornarono in Friuli per vedere quei luoghi, la gente ancora li guardava con diffidenza. Di fatto i tedeschi non mai ebbero intenzione di premiarli, a guerra finita, e quando poi i tedeschi persero la guerra, i cosacchi subirono pure il tradimento degli inglesi che li vollero riconsegnare ai russi, cosa che avrebbe comportato la fucilazione o, nel "migliore" dei casi, la deportazione in Siberia. Quel tradimento portò al suicidio di massa della Drava. Il romanzo parla dunque dell'arrivo dei cosacchi in Friuli, della loro coesistenza con la gente del luogo, delle battaglie con i partigiani nascosti nelle montagne e della ritirata verso l'Austria. Sgorlon ha cercato di mettersi nei panni di tutti, di Marta, innanzitutto, una domestica friulana che si trova a mediare tra tutti, della gente del luogo, dei cosacchi "buoni" e di quelli "cattivi" e lo ha fatto senza prendere le parti dell'uno e dell'altro ma raccontando la guerra così com'è, sempre sbagliata, sempre troppo lunga.
questo libro è proprio bello e parla di una storia poco conosciuta: quella dell'arrivo dei cosacchi in Carnia alla fine della guerra. Sgorlon ha scritto tanto e cose belle, ma in Friuli, la sua terra, non è noto come avrebbe meritato. Nessuno è profeta in patria, neppure quando lo meriterebbe. Così che alla fine le stesse storie dei posti finiscono dimenticate e senza memoria...
Un pezzo di storia triste come tutte le storie intrise di guerra, devastazione e sofferenza. L'invasione cosacca nel Friuli permessa dai tedeschi con l'illusione di una nuova patria lascerà due popoli sconfitti con la consapevolezza dell'assurdità della guerra
Tanti sono i meriti da attribuire all’autore, primo tra i quali quelli di aver fatto conoscere un pezzo di storia sconosciuto ai più. Ma il romanzo non convince. La narrazione é lenta, le vicende personali cadono a volte nel patetico, a volte nel banale. Si, ma anche no.
Parla della storia raccontata dai miei nonni della presenza dei Cosacchi in Friuli durante la seconda guerra mondiale. I Cosacchi in Carnia... Bella storia inserita nel particolare periodo storico.
"La madre di Alda cerco' nella sua memoria, e scopri' che era vero. Le piazze dei paesi erano piene di gente entusiasta il giorno in cui la guerra era stata dichiarata. Forse nei periodi di pace e di serenita' gli uomini facevano in tempo a dimenticare quanto fosse tremenda la guerra, e quando tornava a scoppiare ne rivedevano il vero volto con una sorta di sbalordita sorpresa." (p. 86)
"Pensieri peregrini portavano Marta lontano, in direzioni bizzarre, e si mescolavano fra loro curiosamente. Lei si sentiva dominata dalla impressione degli strati del tempo, di cui avvertiva la solennita'. Pero' sapeva bene che la storia che misteriosamente l'attirava non era quella dei grandi eventi politici e militari, la storia dei vincitori e delle loro battaglie, ma il destino faticoso e sofferto di ogni uomo." (p. 102)
" - Il Friuli e la steppa si somigliano almeno in una cosa. - Ossia? - Nei nostri cimiteri sono seppelliti molti italiani, e nei vostri molti cosacchi. Una specie di gemellaggio nella morte." (p. 120)
"(Gavrila)Non sarebbe mai tornato alla sua citta' nella steppa, ne' avrebbe mai rivisto i fiumi della Cernozjom. Lui in patria non sarebbe ritornato mai perche' essa non era prevista nel destino degli uomini moderni, la cui sorte era di vagabondare eternamente, di smarrirsi tra illusioni potenti e pensieri fittizi, e di non arrivare mai alla meta. La patria non c'era piu'. (p. 130)
" - La terra non tradisce mai, ragazzo. Non e' come gli uomini, che si dicono amici e poi possono voltarsi contro di te. La terra e' madre. Da essa veniamo e ad essa torneremo. In essa ci seppelliranno quando sara' finita. La terra e' il principio e la fine, e tutto il resto non e' che favola." (p. 184-5)
"L'uomo moderno non sapeva piu' dove andare perche' non credeva piu' nelle cose e nelle idee. Non era piu' capace di pensieri semplici ed essenziali, ed era un essere smarrito che navigava senza meta, tra circi e mostri senza fine." (p. 222)
"Alla fine entro' (Ghirei) nel territorio piu' difficile da intuire e da capire, che cioe' v'era nel mondo moderno, forse a causa della guerra, o forse anche per altri motivi, piu' ardui da definire, una cosa impalpabile che s'insinuava nella mente degli uomini, e impediva loro di ritrovare la propria identita', di riprenderne possesso, di ritrovare se stessi e un modo antico di sentire e di pensare. Forse tutto un mondo, amato e ben conosciuto, si era dissolto per colpa della guerra. Forse tutti gli uomini moderni erano degli esuli, dei profughi, dei senzapatria, al di la' delle vicende della guerra e delle sue vicissitudini. Era la loro stessa anima che non aveva piu' un luogo familiare e ben conosciuto, ne' certezze, ne' dimensioni consolatorie, ed essi non sapevano piu' dove rifugiarsi e a che cosa aggrapparsi." (p. 284-5)
Friuli, 1943-1945: nella Carnia, dopo l'armistizio, si installa un popolo che, nelle valli montane, cerca una nuova patria. Alleati della Germania nazista, i Cosacchi cercano un modo per ritrovarsi e insieme riconquistare la Russia, patria perduta a causa dei "rossi". "L'armata dei fiumi perduti" dello scrittore friulano Carlo Sgorlon, prende spunto da una storia vera per raccontare, attraverso vicissitudini particolari, un dramma collettivo. Marta è una donna di servizio che perde prima il suo fidanzato Arturo nella campagna di Russia e poi la sua Signora Esther, deportata dai nazisti. La grande casa che custodisce viene occupata dai Cosacchi che Marta accoglie senza odio. Conosce Urvan e di lui si innamora, non considerandolo un occupante ma una vittima di guerra. In questo romanzo Sgorlon riesce a narrare il dramma collettivo di un villaggio, di due popoli che, ingannati dalle bugie che una guerra porta con sé, vivono drammi paralleli. Un libro toccante e intenso che ricorda al lettore come in una guerra non ci sono vincitori ma solo vinti.