"A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e attraversare la strada, per diventare come matte, e tutto era bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che succedesse qualcosa, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline..."
Cesare Pavese was born in a small town in which his father, an official, owned property. He attended school and later, university, in Turin. Denied an outlet for his creative powers by Fascist control of literature, Pavese translated many 20th-century American writers in the 1930s and '40s: Sherwood Anderson, Gertrude Stein, John Steinbeck, John Dos Passos, Ernest Hemingway, and William Faulkner; a 19th-century writer who influenced him profoundly, Herman Melville (one of his first translations was of Moby Dick); and the Irish novelist James Joyce. He also published criticism, posthumously collected in La letteratura americana e altri saggi (1951; American Literature, Essays and Opinions, 1970). A founder and, until his death, an editor of the publishing house of Einaudi, Pavese also edited the anti-Fascist review La Cultura. His work led to his arrest and imprisonment by the government in 1935, an experience later recalled in “Il carcere” (published in Prima che il gallo canti, 1949; in The Political Prisoner, 1955) and the novella Il compagno (1947; The Comrade, 1959). His first volume of lyric poetry, Lavorare stanca (1936; Hard Labour, 1976), followed his release from prison. An initial novella, Paesi tuoi (1941; The Harvesters, 1961), recalled, as many of his works do, the sacred places of childhood. Between 1943 and 1945 he lived with partisans of the anti-Fascist Resistance in the hills of Piedmont. The bulk of Pavese's work, mostly short stories and novellas, appeared between the end of the war and his death. Partly through the influence of Melville, Pavese became preoccupied with myth, symbol, and archetype. One of his most striking books is Dialoghi con Leucò (1947; Dialogues with Leucò, 1965), poetically written conversations about the human condition. The novel considered his best, La luna e i falò (1950; The Moon and the Bonfires, 1950), is a bleak, yet compassionate story of a hero who tries to find himself by visiting the place in which he grew up. Several other works are notable, especially La bella estate (1949; in The Political Prisoner, 1955). Shortly after receiving the Strega Prize for it, Pavese took his own life in his hotel room by taking an overdose of pills.
Quel libro che ti dimostra quanto Pavese fosse bisognoso di coccole.
Come ha già detto qualcuno che conosco bene e che ama Cesare allo stesso modo, recensire un suo libro è inutile. Inutile perché tutto quello che c'è da dire, da comunicare, lo fa già lui. L'edizione Mondadori intitolata 'La bella estate', contiene in realtà tre romanzi brevi, originariamente pubblicati insieme e non separati, come ha fatto Einaudi (e qui c'è da fare i complimenti, per una volta, alla Mondadori). I romanzi brevi sono 'La bella estate', 'Il diavolo sulle colline' e 'Tra donne sole'. Quello che più mi è piaciuto è 'Il diavolo sulle colline', gli altri due sono, diciamo, sullo stesso piano. L'ultimo però ha qualcosa che gli altri due non hanno, cui accennerò più avanti.
Tutti e tre i romanzi parlano di giovani. Parlano di me. Non solo i giovani di ieri, ma anche quelli di oggi. La ricerca del limite, di una vita sfrenata in cui non c'è un attimo di tregua, un attimo per stare soli. Prendere citazioni a caso dal libro non ha senso, è quasi tutto sottolineato e non saprei cosa riportare.
Pavese ha la brillante capacità di descrivere lo stato d'animo dei giovani che passano le notti in bianco tanto per fare qualcosa. Bevono tanto per fare qualcosa (non come me che sono un amante dell'alcol come pochi ahaha lol) e fanno baldoria tanto per fare qualcosa. Si annoiano, a fare qualcosa. Sono alla ricerca di qualcosa e pensano di trovarlo non stando fermi, tenendosi sempre in movimento, sfiorando la morte, a volte.
Nell'ultimo romanzo, 'Tra donne sole', troviamo una premeditazione del suicidio dello scrittore. C'è un accenno pesante, c'è il motivo. Una delle ragazze si ammazza perché è stufa della vita che fa. È stufa di Torino, di dover sempre fare qualcosa, di fare festa, di non poter stare sola ogni tanto. Si chiede se la vita è tutta lì. Se l'è chiesto anche Cesare, ma non ha trovato soluzione. Ancor oggi noi ce lo chiediamo, ma non capiamo. E consezienti ripetiamo gli stessi identici errori.
Fiutare il freddo Questo libro mi è tornato in mente perché questa estate aveva una vetrina tutta per sé in una libreria centrale di Oxford, con un ingrandimento del bel quadro presente sulla copertina dell’edizione inglese, una donna con un vestito a righe bianche e rosse. Il mio cuoricino di italiana amante di Pavese si è inorgoglito e l’ho riletto, dopo x anni dalla prima volta. Mi è piaciuto, è particolare nella produzione di Pavese perché Cesare si fa sartina sedicenne ed è bravo a interpretare la testa vuota dell’età, le piccole meschinerie da ragazzetta, come l’accompagnarsi a una ragazza secondo lei più grossolana per sembrare più fine. Chiamare fra sé scema un’amica che la trascura da un po’, la voglia di essere donna senza sapere bene di che si tratta. Accompagnarsi ai grandi e farsi vedere, ma non farsi portare nei prati, custodire i tesori di fanciulla (chissà se leggeva Liala: Ginia, non Cesare). “A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all’improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline.” Erano i tempi della gioventù di un’altra generazione, quando in collina si andava a piedi. Ginia comincia a frequentare gli studi dei pittori con un’amica che fa la modella, le fa strano posare, essere retribuita, ma non ricevere i disegni con la sua immagine. Comincia a guardare con interesse i quadri, poi si innamora di un pittore che condivide lo studio con un amico, sui tetti della città. Qui il turbamento, volersi far prendere sul serio da un uomo fatto, il cuore in tumulto da adolescente nel farsi le scale fino in cima per capire se c’è lui o l’altro. La stagione è cambiata, ora Ginia fiuta il freddo e io, dalle finestre dei ballatoi, guardo i tetti di Torino e la cerchia dei monti imbiancati intorno. Sono belle le serate a guardarli seduti fra letti e cavalletti, tende di velluto a dividere gli ambienti, parlare di pittura, mangiare pane e salame e castagne, bere vino. Mi ricordano quasi i miei anni di università, sui tetti di un’altra città :)
Ali ono kad matori uzdišu tinejdžerima koji se guše u suzama "eh, da su mi opet tvoje godine i tvoji problemi, pa da se odmorim", znači NE, NIKAD VIŠE opet odrastanje i sve što ide uz to - nesigurnosti, zaljubljivanja, toksična prijateljstva; meni su sada, deset godina kasnije, najveći problemi:
- Zakonsko starateljstvo nad Britni Spirs - Oćel opet nestašica toalet papira zbog blokade u Sueckom kanalu - Ima li u supermarketu kiselih bombona
Lepa i bolna knjižica, ima naravno patetičnih momenata, ali zbog toga sam je i odabrala.
La delicatezza indimenticabile con cui Pavese entra nei pensieri, nelle prime esperienze intense, di una ragazza così giovane che ama totalmente, che si dona e viene ferita, e poi la definisce, come se non fosse meraviglioso ma solo il racconto di una verginità che si difende. C'è qualcosa di speciale e limpido in questo breve romanzo, come se l'autore avesse scattato una fotografia che ricorda una fase irripetibile della vita.
«Verrà sicuro, le stagioni ci sono sempre, – ma le pareva inverosimile proprio adesso ch’era sola. – Sono una vecchia, ecco cos’è. Tutto il bello è finito». Ginia, protagonista, 16 anni.
Un romanzo dalla visione piuttosto atavica, binaria e arida, la vita si svolge in un mondo a 2 stagioni: l'estate, (La bella estate, appunto) rappresentata allegoricamente dall'adolescenza, dall'innocenza, dai sogni, dall'amore, dal futuro ... e l'inverno, nella metafora di Pavese, è l'ingresso improvviso nella vita adulta, quando questi sogni vengono infranti dall'ineluttabile perdita dell'innocenza e dal disincanto del primo amore. La sua prosa mi sembra relativamente asciutta e misurata, scorre senza troppe elaborazioni o abbellimenti letterari. Romanzo più adusto da leggere che da ascoltare...
Piękne lato wcale nie jest takie piękne. Choć łatwo sobie wyobrazić to parne, gorące lato, włoskie wsie i miasta skąpane w słońcu, to czegoś zabrakło. Na pozór mamy wszystko – trzy opowieści, interesujących bohaterów, pierwsze miłości, zauroczenia, rozczarowania, młodzieńcze poszukiwania siebie, coming of age. Czegoś zabrakło w tej powieści, może punety? Sam nie wiem.
I niestety, muszę przyznać, że tłumaczenie nie przetrwało próby czasu, język jest toporny, nieprzystępny, może dlatego tak długo ją męczyłem.
Trochę szkoda tego lata, zwykle lato jest piękne. Lato według Paevesego było męczące
Questo racconto è stato il mio primo approccio a Pavese e, nonostante il timore reverenziale che nutrivo prima di iniziare la lettura, sono rimasta piacevolmente colpita. Credo sia del tutto superfluo sottolineare quanto poetico sia lo stile dell'autore e quale grande maestria dimostri nella costruzione di dialoghi che tratteggiano perfettamente i personaggi. Pavese è un autore sensazionale che è riuscito con questo suo libro a delineare quello che è il desiderio giovanile di mettersi alla prova e sfiorare il limite, superandolo talvolta, fino a giungere ad una conclusione amara, ma spesso inevitabile.
Bellissimo. Leggerlo alla mia età, a quasi diciannove anni, fa l’effetto di un calice di vino trangugiato tutto d’un sorso, inebria e stordisce. Mi sono sentita come trascinata dalla penetrante eloquenza di Pavese e dal suo cocente intuito; come punzecchiata più volte negli anfratti più reconditi ed intimi del mio animo; come se avessi trovato l’altra faccia della medaglia, il pezzo mancante da tempo, l’altro “io” che spesso si perde. “La bella estate” è la raccolta delle speranze giovanili che cozzano con la disillusione della maturità, dei sogni innocenti che vengono annacquati dalla crudezza della realtà, del vitalismo e del nichilismo; ed è quasi impossibile non affezionarsi a quell’autore dal sorriso un po’ esitante e dall’animo profondamente umano che emerge, talvolta silenziosamente, talvolta in modo prorompente, tra le righe della sua opera.
Che cos’è che cerchiamo tutte le sere per le strade? Qualcosa che rompa e svari la giornata… Un trittico di romanzi brevi ambientati nel dopoguerra a Torino o nelle campagne limitrofe, che mi sento di considerare, almeno in parte, dei romanzi di (mal)formazione. Nei primi due casi, infatti, i protagonisti subiscono il fascino di una persona più grande di loro che ha un'influenza negativa sulla formazione del protagonista. Nel romanzo che dà il titolo alla raccolta, La bella estate, Ginia, una sarta che vive col fratello, che la tratta come una cameriera, sente che la sua vita è ormai entrata sul binario della monotonia, malgrado abbia appena sedici anni - Che un altr’anno sarebbe tornata l’estate, le pareva incredibile. E si vedeva già per i viali, alla sera, sola e con gli occhi rossi, da casa al lavoro, dal lavoro a casa, nell’aria tiepida, come una ragazza di trent’anni - e cerca un po' di svago uscendo con la sua amica Amelia, una ragazza più grande di lei che fa la modella per i pittori e che le fa conoscere Guido, di cui Ginia si innamora più per noia che per altro. Ne Il diavolo sulle colline, il protagonista e narratore è uno studente universitario che assieme a due amici esce con un tal Poli e con la sua amante; Rosalba, che tenta di ucciderlo per gelosia, poi suicidandosi. Poli è un viziato figlio di papà cocainomane, e più avanti quell'estate, quando va a trovare Oreste - uno dei suoi due amici, che ha una campagna vicina alla villa di Poli - il narratore scopre che quest'ultimo è sposato con una donna, Gabriella, da cui è stato separato, ma con cui sta trascorrendo le vacanze. Il protagonista trascorrerà allora uno strano periodo con loro, tra caccia, bagni al fiume e feste estemporanee, con Gabriella che risveglia la sensualità sia del narratore che di Oreste - che pure è fidanzato con un'altra al paese - mentre Poli fa finta di niente e ricorre alla cocaina per lenire il proprio male di vivere. In Tra donne sole, infine, la protagonista, Clelia, è una donna un po' più adulta, che ha scelto di lasciare Torino per Roma per lavoro, e adesso è tornata con l'incarico piuttosto importante di aprire la filiale torinese dell'atelier per cui lavora. Il giorno del suo arrivo, nel suo hotel, una giovane tenta di togliersi la vita. Si tratta di Rosetta, una ragazza di buona famiglia che Clelia arriverà a frequentare assieme alle sue amiche, Momina e Mariella. Clelia, che appartiene alla classe operaia e forse, quando è andata via da Torino vagheggiava frequentare l'ambiente della società bene, guarda adesso con un certo distacco e disincanto quelle giovani viziate, senza scopi e senza ideali.
Come in molti testi di Pavese che ho letto, anche in questo prevalgono il senso di malinconia, il male di vivere, la necessità d'amore e d'affetto: in poche parole il senso di solitudine ("Gli dissi che Poli, per pazzo che fosse, era un uomo malinconico, un uomo solo, di quelli che a forza di pensarci sanno già prima quel che deve toccare" ). In tutti questi tre racconti colpisce soprattutto il contrasto tra la solitudine e la natura, con il sole dell'estate, i colori, i profumi, propri di questa stagione. Leggendo le opere di Pavese si colgono indizi su come sarebbe finita la sua vita. Tutte le sue opere sono disseminate di versi, considerazioni e riflessioni che ne anticipano la fine, ma che forse sono chiari ora che sappiamo com'è andata a finire.
"Certe cose non si sanno mai bene. Morire non mi ha fatto paura. È difficile vivere [...] Sono grato a quella poveretta che me l'ha insegnato. [...] Nel salone arioso, sotto il grande lampadario, sembrava un ricevimento, e si chiedevano come può darsi che chi come Rosetta ha tanto bisogno di vivere, voglia morire. Qualcuno diceva che il suicidio andrebbe proibito"
Abordare infantilă a condiției femeii în pragul maturității. Dacă ar fi fost scrisă de un contemporan, aș fi zic că e ceva specific (a trata subiecte sensibile în necunoștință de cauză), dar scrisă în 1949 fiind... O steluță.
Tre romanzi brevi scritti in prima persona, in seguito pubblicati singolarmente. La bella estate [72/100] affronta il passaggio dall’adolescenza all’età adulta e la conseguente scoperta del desiderio. Ginia, sedicenne piena di aspettative, lavora in una sartoria e vive col fratello. L’amicizia con Amelia, più matura e disincantata, la introduce all’ambiente bohémien degli studi di pittura torinesi. L’incontro/scontro tra due personalità agli antipodi, tra flash di vita minima. Il diavolo sulle colline [81/100] racconta di tre studenti universitari torinesi, delle nottate tra la città e le colline intorno, e del loro incontro con Poli, giovane borghese proprietario di una tenuta che sorge su un terreno incolto e semi-abbandonato. La natura qui è ricca di suggestioni e diventa un elemento organico, simbolico, mitico, che fa da sfondo a questioni esistenziali ed equilibri impossibili: ottimo. In Tra donne sole [76/100] Clelia torna a Torino per dirigere un atelier, dopo aver passato anni nell’ambiente romano. Inizia a frequentare un mondo elegante, frivolo, dove niente sembra contare davvero. Dialoghi secchi, annoiati, ambigui. Indolenza, vuoto affettivo, spleen: non sorprende che Antonioni ci abbia tratto un film, co-sceneggiato da Alba De Céspedes. Finale così così. In generale sono racconti che danno forma a una visione del mondo tra contemplazione estatica, malinconia e rassegnazione; cupi e pessimisti, con attimi di bellezza spiazzante. Fedelmente al mood del loro autore, il suicidio diventa un'alternativa possibile alle contraddizioni della vita. Premio strega 1950.
Dei quadri. La sensazione che ho avuto leggendo i tre brevi romanzi che compongono “La bella estate” è stata quella di entrare in tre quadri, mossi da vivaci pennellate e rappresentanti la semplicità della vita di campagna di qualche decennio fa. Quella che mi sono sempre immaginata osservando le foto in bianco e nero dei miei genitori da giovani: i pantaloni a zampa, le biciclettate lungo campi con le balle di fieno, i corteggiamenti e le sbandate, le festicciole di paese tra un ballo e un bicchiere di vino rosso, le gite in utilitaria fra il verde delle colline.….quella vita sempliciotta e felice che adesso pare non esistere più. Ecco, questa vita Cesare Pavese sa narrarla con una abilità tale da renderla un capolavoro. La semplicità che diventa capolavoro…qualcosa di cui in pochi sono capaci. Nel primo romanzo, che dà il titolo principale, “La bella estate”, sono protagoniste due adolescenti, Ginia e Amelia la prima un po’ più piccola (e più ingenua) dell’altra, perse tra i primi turbamenti dell’amore giovanile, che sboccia a fine estate, impetuoso e talvolta un po’ meschino, in attesa delle stagioni successive; in “Il diavolo fra le colline” il romanzo che ho preferito, seguiamo le bevute fra le tenute in collina, i dialoghi, i vizi e le avventatezze di un gruppo di giovani di città, tra cui Poli, che scivola nel male della droga; in “Tra donne sole” Pavese si cela nientemeno che nella voce e nei pensieri di Clelia, giovane donna romana volutamente celibe e senza figli, che si trasferisce a Torino per aprire una ditta ed esplora, con le amiche e le colleghe, a loro volta perse in uno strano senso di solitudine, le belle campagne circostanti. Tantissimi i temi che corrono fra le pagine: il senso di onnipotenza tipico dell’età adolescenziale, l’opposizione tra innocenza e verginità, l’amicizia, il tradimento, la crescita, la libertà, l’indipendenza e il suicidio. Anche stavolta Pavese non ha mancato di regalarci una perla che, seppur ambientata in un tempo passato, risulta tremendamente attuale.
Prima di tutto faccio un mea culpa, ho sempre pensato di malsopportare Pavese per via di una sfortunata relazione tra me e "La luna e i falò" che risale ai tempi della mia adolescenza, quando mi era facile giudicare di livello inferiore gli scrittori italiani senza far troppi complimenti, erano i tempi in cui avevo una fissazione per i classici francesi e tutto ciò che non era un romanzo mi sembrava sciocco. Guess what? La sciocca ero io. Tempo fa ho letto Lessico Famigliare, e in questa saga la scrittrice racconta di Pavese, del suo carattere nervoso e impetuoso, dei suoi "me ne infischio, mi basta solo un piatto di minestra", dei suoi amori violenti, del suo pessimismo e della sua ironia, purtroppo svaporata insieme alla sua vita, essendo questa prerogativa solo delle sue amicizie e mai della letteratura, trattata al pari dei suoi rapporti amorosi in modo turbolento. Un preambolo del genere per spiegare come mai ora ho riprovato con Pavese, e come mai questo libro sia stato rivelatore e mi abbia fatto cambiare totalmente idea su di lui. Leggiamo della storia di Ginia, una ragazzina di 16 anni quasi 17 che pensa di sapere come dovrebbe andare il mondo, è giovane e snob come lo sono le persone coscienzione a cui si dice sin da piccole di comportarsi in modo maturo. Queste sono le stesse persone (per esperienza personale purtroppo) che a un certo punto vanno in frantumi perchè comportarsi da adulti quando si è ancora ragazzini preclude il raggiungimento della vera consapevolezza e saggezza, e ci si ritrova grandi ma con una mentalità e un bagaglio di esperienze inadeguati, si è sempre fuori tempo. Ginia è in questa situazione, giudica tutti e pensa di sapere tutto, ma l'amicizia con Amelia, più grande, più smaliziata, mette in luce tutta la sua fragilità di ragazza che non conosce la vita. Nel corso di un anno Ginia scopre di non essere poi tanto diversa dalle sue amiche e cede al fascino dell'amore, scopre come possano essere articolati e sfaccettati i rapporti con le persone, quanto sia facile perdere la dignità e sentirsi persa. Anche l'ambiguità dell'amicizia con Amelia, che a tratti assume i contorni del desiderio, mette in luce l'insicurezza e l'indecisione tipica dell'adolescenza. In sostanza mi è piaciuto leggere questo libro perchè mi sono ritrovata in Ginia, nel suo modo troppo saputo di giudicare e nella sua difficoltà nel'accettare gli errori e le brutte figure, lati del mio carattere che sto finalmente abbandonando, ma ho dieci anni più di lei, quindi immagino che ci sia possibilità di cambiare davvero per tutti. Credo che darò una nuova occasione a Pavese, ora non penso più sia uno scrittore qualunque, anzi mi affascina parecchio. Tre stelle e mezzo.
La bella estate, nel complesso, è il racconto di una condizione continua di insoddisfazione, di ricerca della felicità, del male di vivere, di quel disagio che lo stesso autore non sarebbe riuscito a ricomporre e che lo avrebbe portato al suicidio il 27 agosto 1950. I tre racconti hanno ciascuno dei pregi che mi rendono difficile dire quale sia il migliore: La bella estate è quello con la vicenda più accattivante e il modo in cui Pavese tratteggia i vizi e il modo di lavorare degli artisti è molto particolare, Il diavolo sulle colline contiene le descrizioni natuali più ammalianti, mentre Tra donne sole è la storia più originale, con il personaggio più complesso e più accurato nell'analisi psicologica. http://athenaenoctua2013.blogspot.it/...
Che dire. Un libro meraviglioso del mio amato Cesare Pavese. La bella estate è stato pubblicato dallo scrittore torinese nel 1949, per poi essere insignito nel 1950 del famoso Premio Strega. Un racconto delicato e profondo, che definirei un racconto “di formazione” in quanto narra della piccola Ginia che anela a diventare donna. Il tutto sullo sfondo della Seconda guerra mondiale. Ho sentito sulla pelle le vicende dei personaggi e ho empatizzato molto proprio con il personaggio di Ginia, una ragazza di 16 anni che vive in maniera spensierata la sua età, sogna di essere felice e di avere un futuro pieno di cose belle, quella che Pavese chiama appunto “la bella estate”. La sua vita cambia improvvisamente quando conosce Amelia, una modella che la introduce nel mondo bohemien torinese e che si innamora di lei. Frequentando il circolo dei pittori di cui Amelia fa parte, Ginia si lascia meravigliare, coinvolgere e persuadere da un ragazzo, il pittore Guido, e da un nuovo modo di vivere, così diverso dal suo. La giovane si concede a lui e da quel momento è convinta che Guido la ami, ma lui non farà altro che trattarla con disinteresse. Un giorno Ginia decide di posare nuda per il pittore, per attirare la sua attenzione, ma non sa che l’amico di Guido la sta guardando da dietro una tenda. Quando quest’ ultimo esce dal suo nascondiglio, la giovane Ginia, a causa della vergogna, scappa dallo studio artistico, derisa proprio da Guido che la definisce come una “scema”. La “bella estate” tanto agognata cede il posto ad una realtà cruda e deprimente. Riavvicinatasi ad Amelia, sarà proprio quest’ultima a inserirla nel mondo reale sciolto dalle illusioni giovanili. Troverà Ginia il coraggio di essere se stessa?
Dat ik Pavese gelezen heb, komt door niemand minder dan Paolo Giordano, auteur van o.a. De eenzaamheid van de priemgetallen en onlangs nog Het zwart en het zilver, die ik allebei met heel veel plezier heb gelezen. Giordano heeft Pavese pas kort geleden (her)ontdekt en gelezen, hoewel ze quasi in hetzelfde dorp woonden en hij hem als kind mogelijk nog gezien heeft. 'Ik heb Cesare Pavese te laat leren kennen', schrijft hij in zijn voorwoord bij 'De mooie zomer'. Hij wilde hem niet lezen na een kwalijke ervaring bij een literatuurexamen. Een redeloze antipathie waar hij nu spijt van heeft: 'Ik weet zeker dat het een troost voor me zou zijn geweest, en dat ik in bepaalde periodes altijd een van zijn verhalen bij me zou hebben gehad, in de binnenzak van mijn jas, als een soort kogelwerende plaat.' De drie novellen in 'Die mooie zomer' zijn dan ook van een uitzonderlijke kwaliteit. Ze vertellen over relaties tussen jonge mensen die niet altijd vlot verlopen vanwege een overwicht, een macht van de ene over de andere. Ernaar smachten om net zo vrij te zijn als je vriendin, zoals Ginia in het titelverhaal of de erotisch geladen verhouding tussen drie studenten onderling en tussen hen en een verwend rijkeluiszoontje met zijn lief in 'De duivel op de heuvels': het is een onophoudelijk graaien naar gevoelens, angsten, verlangens van jonge mensen tussen puberteit en adolescentie. Dit alles is geschreven in een wonderlijke stijl, met zinnen waarin veel ongezegd blijft en een verhaal lang blijft hangen als een vage onrust. Prachtige literatuur. De derde novelle, 'Vriendinnen', kon me minder boeien. Pavese schildert daarin een milieu van een bovenklasse die van het ene feestje naar het andere holt, veel contacten heeft met anderen, maar nergens enige echte diepgang weet te bereiken. Best aardig, maar lang niet van het niveau van de eerste twee verhalen.
Scrivo queste parole a mio rischio e pericolo perchè dopo che avrò massacrato il pluripremiato Cesare Pavese mi aspetta la galera o peggio il rogo. Io mi domando sempre perchè i classici, i "capolavori" della critica devono sempre essere così difficili da leggere e digerire? Finchè propineranno questi libri nelle scuole è ovvio che i ragazzi proveranno avversione per la lettura. Detto questo "La bella estate" è noioso, indigesto, interminabile pur essendo poco più di 300 pagine. Ha una prosa scialba, a tratti incomprensibile. Va bene il realismo ma troppo spesso Pavese dà per scontato che il non detto o quello che si dovrebbe intuire tra le righe sia sempre a portata di mano del lettore. I personaggi poi, non se ne salva uno, sono tutti odiosi, piatti, inverosimili e intercambiabili. Parlano tutti per frasi fatte. Quale ingranaggio cerebrale mi manca per poter comprendere il valore intellettuale di questo libro? O il perchè è stato premiato? Come fa a piacere questa roba? Qual è lo scopo di questo libro? Intrattenere? Lasciare un messaggio profondo? Spiegare il male di vivere? A me ha trasmesso solo fastidio e insofferenza. Leggerlo è stato un'agonia. Fuori dalla cerchia della critica e dei premi letterari (che lasciano sempre il tempo che trovano) c'è tutto un mondo di libri meno quotati o poco conosciuti o comunque di "genere" scritti mille volte meglio e mille volte più di profondi di quest'opera insulsa e sopravvalutata. Ma tenendo conto dei voti medio/alti che il resto del mondo ha dato a "La bella estate" è ovvio che sono io a non capire un cazzo. Ora potete uccidermi.
Recuerdo que me encontraba yo solo en Soria, hace ya muchos años, de visita turística. Vi un puesto de libros de segunda mano y, sin saber muy bien por qué, pues no había leído nada de autor, compré la novela “El bello verano”, de Pavese, en una vieja edición de Salvat: lo leí de un tirón esa misma tarde sentado en un banco de un parque público, fascinado por sus historia y los personajes y enamorado hasta el tuétano de la sensible e inocente Ginia. Es de las pocas novelas que he releído después.
3 Romane, die den Schauplatz Turin und Umgebung gemeinsam haben. Im ersten Teil lesen wir von jungen Leuten im künstlerischen Milieu, stets auf der Suche, ziellos. Ein starker Teil, der offen endet. Im zweiten Roman finden wir 3 junge Männer, ebenfalls in den Tag lebend, den Sommer in der Stadt und der Umgebung verbringend. Auch hier sind alle Protagonisten auf einer Suche. Im dritten und für mich schwächsten Teil liest man von einer jungen Modedesignerin, die in die Heimatstadt Turin zurückkommt, um eine Filiale der römischen Zentrale zu eröffnen. Sie beginnt mit dem gescheiterten Selbstmord einer jungen Frau, den sie am Ende der Geschichte erfolgreich noch einmal begeht. Der letzte Teil war für mich eher uninteressant. Durch einen starken 1. Teil, einen guten zweiten und dem schwachen dritten Teil ergab sich eine Bewertung von ca. 3,9.
Purtroppo il mio rapporto con Pavese non decolla, forse perché le tematiche trattate non sono esattamente il mio genere, e forse anche perché lo giudico eccessivamente prolisso e ripetitivo in certi frangenti, con uno stile certo asciutto, ma con una lentezza che mi porta a saltare intere righe. Godibile il romanzo eponimo, che a me è parso quello col ritmo più agile, con una bella storia e una fine non scontata, ben costruito e ben diviso in un prima e in un dopo un certo avvenimento. Lo stesso non posso dire de Il diavolo sulle colline, che sarebbe potuto durare la metà e in cui ho visto a tratti un Gatsby che non ce l'ha fatta, e una ripetitività estenuante che Tondelli, parlando di argomenti a tratti simili e con le dovute differenze dovute al periodo storico, non fa mai apparire. Purtroppo mi ha annoiato molto. La situazione migliora con Tra donne sole, in cui è analizzato il tema del suicidio (naturalmente determinante in Pavese) a confronto col freddo cinismo di certi ambienti dalla dubbia moralità, che sempre l'autore pare disprezzare a confronto con l'atavica purezza della campagna schietta, selvaggia, mai inquinata dalla modernità. Insomma, sono consapevole della bravura dello scrittore piemontese, del suo posto di rilievo all'interno del nostro Novecento, ma proprio non riesco a farmelo piacere.
Un parto. Un fottutissimo parto. E non sono nemmeno sicuro di cosa veramente questo libro mi abbia lasciato. Una tristezza immensa, un immenso fastidio, tanto che appena finito avevo voglia di buttarlo nel fuoco per esorcizzarlo, dimenticarlo. Sicuramente noioso. Sicuramente vuoto, insulso. Eppure evidentemente capace di tagliare, in qualche modo. Mah.
Composto da tre romanzi brevi, "La bella estate", "Il diavolo sulle colline" e "Tra donne sole" (che ho realizzato soltanto ora, dopo anni che è tra e non tre), da una parte i tre romanzi possono essere letti in modo completamente indipendente - tanto che ora, per esempio, Einaudi li sta vendendo singolarmente -, ma insieme compongono, come detto da Pavese stesso nella post-fazione, una "temperie ricorrente". In particolare, tutti e tre sono accomunati dalla sconfitta che è per Pavese caratterizza il passaggio all'età adulta. E' come se, per Pavese, l'età adulta si aprisse con una capitolazione. Comunque, seppur appunto, ognuno dei tre testi può fare "libro a sé", secondo me è anche più interessante un'analisi di come tutti e tre si richiamino l'un l'altro e di perché, in fondo, Pavese abbia racchiuso in un unico libro tre testi scritti anche a quasi dieci di anni di distanza l'uno dall'altro.
1 "La bella estate" racconta di Ginia, ragazza 17enne, che inizia a girare con Amelia, donna adulta, che la porta nel suo giro, fatto di artisti mezzo scapestrati, dove Ginia si invaghisce e viene sedotta da Guido, un pittorucolo. La bella estate del titolo del romanzo, che poi diventa anche titolo della raccolta, è l'estate ricca di aspettative e sogni che Ginia pensa di poter rivivere. Noi, infatti, la conosciamo nel pieno della sua vita da ragazza, "a quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse". E' in questa estate dei suoi 17 anni che Ginia fa la conoscenza di Amelia, a cui si lega, prima di tutto perché affascinata dal mondo che si porta dietro: lei modella e donna adulta, Ginia ragazza che già lavora per portare avanti la famiglia. Ma, pur sempre ragazza di 17 anni. L'incontro con Amelia, e il mondo adulto e disilluso degli artistoidi torinesi, per Ginia si prospetta come l'inizio di qualcosa di meraviglioso, una festa continua, ma invece declina in mestizia e infelicità. Non c'è tragedia alla fine: solo consapevolezza che non vi sarà alcuna bella estate.
2 "Il diavolo sulle colline" è, invece, la storia di tre universitari che conoscono un rampollo di una ricca famiglia industriale con problemi di alcol e cocaina (su internet si dice sia stato preso a modello uno degli Agnelli) che li invita a passare l'estate nella sua villa. Per rendere un'idea di come i diversi testi si richiamino, questo è l'incipit: "Eravamo molto giovani. Credo che in quell'anno non dormissi mai. Ma avevo un amico che dormiva meno ancora di me, e certe mattine lo si vedeva già passeggiare davanti alla Stazione nell'ora che arrivano e partono i primi treni". La giovinezza per Pavese è caratterizzata da questa frenesia che, in tutta sincerità, non riesco a non ricollegare a quella vuota e disperata dei giovani di Bret Easton Ellis. Certo, se Bret Easton Ellis fosse vissuto nella Torino degli anni '40. Però, ecco, sì, insomma, "Le regole dell'attrazione" in modo meno videoclippettaro l'avrebbe potuto scrivere Pavese se fosse vissuto 50 anni dopo. Uscire, fare l'amore, la frenesia sono un modo per combattere la solitudine feroce dei 20 anni: "Io, quell'anno, quando restavo solo passavo brutti quarti d'ora". Particolarità di "Il diavolo sulle colline" è la contrapposizione fra la città, Torino, con il suo mondo borghese e il ricco rampollo Poli, e il mondo delle campagne, dove perfino una collina può parere che abbia il sangue, una voce e che vivesse. Il che, in Pavese, non si traduce in un'idealizzazione della natura o della campagna. Anzi, il narratore viene preso ironicamente in giro per le sue ingenue convinzioni sulla campagna e la sua autenticità. La contrapposizione, allora, è fra qualcosa di artefatto, urbano, e qualcosa di - non trovo altro termine se non mitico. "Non c'è niente che sappia di morte più del sole d'estate, della gran luce, della natura esuberante. Tu fiuti l'aria e senti il bosco, e ti accorgi che piante e bestie se ne infischiano di te. Tutto vive e si macera in se stesso. La natura è morte". Morte che però al contempo è l'opposto di quello che è la città: non-vita. Tra l'altro, proprio questo aspetto mitologico si può riscontrare anche nella scrittura, nella descrizione della natura, e nell'afflato di alcuni dialoghi che paiono presi di peso da "I dialoghi con Leucò".
3 "Tra donne sole" è il racconto di Clelia che torna a Torino dopo averla lasciata da ragazza. Qua deve aprire una boutique e si trova a girare con la ricca gioventù torinese, e in particolare conosce Rossetta, che tenta il suicidio con i barbiturici, proprio come Pavese pochi mesi dopo, ma stiamo già facendo troppi pettegolezzi. "Tra donne sole" è, per me, il proseguimento di "La bella estate". Cioè, per carità, cambia il nome della protagonista, da Ginia a Clelia, ma non riesco a togliermi dalla testa che siano la stessa persona. Il suo cinismo, la sua disillusione, sono frutto del primo racconto. Per la prima volta è lo sguardo adulto di Clelia che racconta l'adolescenza. La lingua è fredda, distaccata, chirurgica, in alcuni punti quasi insostenibile per quanto è glaciale. E' come se nemmeno a Clelia importasse di sé. "Tra donne sole" è un concentrato di nichilismo puro, dove non esistono quasi più coordinate che permettano la vita. Gli episodi si susseguono quasi senza soluzione di continuità. "Rossetta, stupita, mi disse che non sapeva nemmeno lei perché era entrata nell'albergo quel mattino. C'era anzi entrata contenta. Dopo il veglione si sentiva sollevata. Da molto tempo la notte le faceva ribrezzo, l'idea di aver finito un altro giorno, di essere sola col suo disgusto, di attendere distesa nel letto il mattino, le riusciva insopportabile. Quella notte almeno era già passata. Ma poi proprio perché non aveva dormito e gironzava nella stanza pensando alla notte, pensando a tutte le cose sciocche che nella notte le erano successe e adesso era di nuova sola e non poteva far nulla, a poco a poco s'era disperata e trovandosi nella borsetta il veronal...". I brutti quarti d'ora che uno passa quando è da solo.
Ora, la prendo un attimo autobiografica, perché secondo me può tornare utile nello spiegare la particolarità de "La bella estate". Questa è stata la seconda volta che leggevo "La bella estate". La prima volta è stata credo nel 2009, contate che l'edizione che ho io è quella vecchia degli Oscar Mondadori per capirci. Avevo 19 anni, massimo 20. L'età di cui parla "La bella estate". Le sensazioni che racconta sono le sensazioni che, col senno di poi, riconosco di aver provato. Quelle notti infinite, dove pareva che dovesse succedere tutto e si cercava disperatamente sempre qualcosa da far accadere in più. Estati che avevano un odore fortissimo di gelsomino. Una disperazione feroce che sfociava nell'esuberanza e vice versa in modo frenetico e vertiginoso. Sono tutte cose che si ritrovano in Pavese. Ma mi annoiò terribilmente. Perché? Uno dei motivi è, sicuramente, la scrittura, che oscilla dal naturalista al chirurgico e che a 19 anni ho indubbiamente trovato noioso. Ma non basta. La spiegazione me la sono data leggendo questo pezzo, da "Il diavolo sulle colline": "L'idea di passare un'altra notte bianca mi atterrì. Mio padre e mia madre non avrebbero detto niente; due parole sul tempo, un'occhiata su dal piatto, caute domande sugli appelli d'esame. Non so come Pieretto se la vedesse coi suoi; a me quei visi inermi facevano pena, e mi chiedevo che sorta di tipo fosse stato mio padre a vent'anni e che ragazza mia madre, e se un bel giorno avrei anch'io avuto dei figli così estranei. Probabilmente i miei pensavano al tappeto verde, alle donne, all'anticamera del carcere. Che cosa sapevano delle nostre smanie notturne? O forse avevano ragione: si tratta sempre di un tedio, di un vizio iniziale, e di qui nasce ogni cosa". Pezzo che trovo insopportabile da quanto vicino, insostenibile nella sua accuratezza di quello che provavo a vent'anni. Ma è uno sguardo, quello che chiede Pavese, accettabile soltanto a posteriori. I racconti dell'adolescenza, tendenzialmente, usano la retorica - condivisibile, eh - dell'esuberanza, della frenesia, che celano la malinconia. E' come se, normalmente, convivessero in questo tipo di romanzo entrambi sentimenti. Cosa che in fondo è vera. Pavese toglie la parte della gioia, della frenesia, della vita. Sbatte in faccia, senza alcun mezzo termine, la parte buia, disperata, apatica dell'adolescenza. Quel crollo, quella sconfitta di ogni speranza che coincide, per lui, con l'età adulta. Cioè, per capirci, Pavese è quello che nei suoi diari annotava che "Si diventa adulti quando si capisce che dire un dolore lascia il tempo che trova". E' questa disperazione che per me, a 19 anni, risultava inconcepibile, distante, noiosa. Quello che voglio dire è che lo sguardo di Pavese non è quello dell'adolescente, ma quello dell'adulto che ripensa alla sua adolescenza ("Il diavolo sulle colline") o dell'adulto che guarda altri adolescenti ("Tra donne sole"), ma anziché essere ammantato di nostalgia, che sembra essere una costante nel racconto di quegli anni della nostra vita, è ammantato di disillusione e disperazione. Una disperazione così profonda che raramente, tra l'altro, si risolve nella catarsi della tragedia, ma molto più frequentemente si spegne nella non-vita della quotidianità adulta.
Chi sono io per dare 6,5 a un libro scritto da uno dei più grandi autori della letteratura italiana? Assolutamente nessuno. Purtroppo però non posso dire che questo libro mi sia piaciuto, dato che non mi ha trasmesso nessuna emozione e l'ho trovato strano e piatto. Ho apprezzato sicuramente lo stile e l'atmosfera, quest'ultima tra l'altro decisamente adatta a questo periodo dell'anno.
Riconosco la modernità di questo libro, che tratta temi e racconta vicende che negli anni 40/50 avranno fatto scalpore e avranno scandalizzato l'opinione pubblica. Oltre questo però il libro non mi ha regalato una bella lettura e onestamente non mi sento di consigliarla, se non a chi vuole leggere tutto quello che ha scritto Pavese. Io riproverò di sicuro con altre opere.
Come La luna e i falò - l'unico altro di Pavese che ho letto - m'incanta il frangente storico in cui si inseriscono le tre storie contenute in questo La bella estate. L'immediato dopoguerra è una premessa sorda, immanente ma come tacita, quasi a voler suggerire - lo fanno spesso, infatti, i protagonisti nei loro folgoranti, spigolosi dialoghi - che gli equilibri e le dinamiche della società italiana tra anni '40 e '50 erano già in moto prima del conflitto bellico, lo precedono, irradiandosi solo più aspri, più urgenti. Due vicende al femminile e una al maschile, in tutte il contrasto tra maschile e femminile posto come perno della svolta culturale che l'Italia stava affrontando, sbagliando rotta, deragliando, dimenticando di risolvere questioni cruciali, trascinando in un falso movimento verso il futuro i fantasmi e i mostri del passato. Galleggiando tra la borghesia intellettuale e l'ambiente bohémienne di Torino, Pavese tratteggia con un ritmo magistrale il fervore inquieto di quegli anni formidabili e contorti, in cui le tre narrazioni in prima persona riportano il carosello di demoni maligni e sornioni tra i quali non possiamo fare a meno di riconoscere i prodromi di quello che ancora oggi ci inchioda alle nostre angosce peggiori. Curioso come dei tre sia proprio La bella estate il meno riuscito, mentre Tra donne sole (che ha ispirato Le amiche di Antonioni) e Il diavolo sulle colline sono due romanzi brevi letteralmente indimenticabili, affollati di personaggi scolpiti con penna assieme acuminata e pietosa, attenta alla più controversa delle sfaccettature.
Il brusco passaggio dalla “spensieratezza” dell’adolescenza ai tormenti dei sentimenti. La scoperta del proprio corpo, la sessualità, il rapporto con l’altro sesso, le amicizie morbose, il sentirsi sole ed incomprese. Essere troppo timide in un mondo di coetanei che si sentono invece già emancipati e avvezzi alla vita. Sono questi e tanti altri gli ingredienti che come sempre Pavese riesce a mettere insieme in maniera magistrale. Ed anche in questo romanzo non può mancare quell’amore profondo per la collina, per la vita semplice e rurale, ma così vera, violenta, appassionata. “Io sto bene soltanto in punta a una collina” “Mi devi vedere in campagna. Solo allora dipingo. Nessuna ragazza è bella come una collina”
C’è qualcosa che torna sempre leggendo Pavese: un senso spietato di sconforto e disillusione dalla vita ma nello stesso momento una voglia sfrenata di goderne a piene mani. Di vivere come se vedessimo tutto o per la prima o per l’ultima volta.
“Ginia tornò a casa nella neve, invidiando i ciechi che chiedono l’elemosina e non pensano più a niente”
La bella estate è una perla rara, un racconto di donne scritto da un uomo. La sensibilità del Pavese è arcinota, basta leggere certe sue poesie per ricordarlo, ma in questo racconto è particolarmente evidente. Leggere La bella estate è ritornare indietro a certi vizi e difetti dell’età adolescenziale, è un salto al tempo delle prime insicurezze nei rapporti sociali e delle prime esperienze d’amore. Gli occhi tra le righe passano dalle paure di un’età tenera a quella irresponsabile spregiudicatezza che viene meno con la maturità. L’estate poi è la stagione simbolo di quella stessa età, un’età calda, densa di promesse ed illusioni, speranze e desideri, alcuni che non supereranno la stagione.
E’ la storia di un’estate, quella in cui Ginia è diventata amica di Amelia, una ragazza più grande di qualche anno che lavora come modella e che la introduce al mondo dei pittori che ammalia facilmente Ginia. Ginia è giovane, spesso non comprende pienamente quello che succede, e non sa bene neanche lei che cosa vuole. Pavese ha descritto La Bella Estate come “la storia di una verginità che si difende” e in più di un senso è cosi.
Vorrei che il racconto continuasse, vorrei sapere di più sui personaggi, vorrei dare a Ginia il finale che si merita.