Questo romanzo è stato scritto nell'arco di quindici anni e assume la sua forma definitiva soltanto adesso, ora che la terza e ultima parte si aggiunge alle prime due che videro la luce da Feltrinelli nel 2001 e da Rizzoli nel 2003. Del tutto rivisto nelle prime due parti, dunque, e finalmente concluso, Canti del caos si presenta in tutta la sua assoluta singolarità. Concepito per non lasciare indifferenti, a costo anche di suscitare reazioni di rifiuto, questo romanzo si accampa come opera incandescente, vertiginosa, un'opera che va a inscriversi immediatamente, di diritto, nel novero di quelle imprese estreme che come grandi massi erratici punteggiano la storia della letteratura. Canti del caos si è andato formando nel corso del tempo come un organismo vivente, pieno di violenza ma anche di delicatezza e dolcezza, di oscenità ma anche di trascendenza, di passaggi narrativi incalzanti e di affondi lirici. Nella sua gigantesca macchina realistica e metaforica vengono macinati e trascesi i codici, i generi e gli orizzonti letterari di questa la fantascienza, il poliziesco, il comico, la pornografia, il fantasy, l'horror, il romanzo d'amore, il saggio scientifico e filosofico, la meditazione religiosa e mistica. Nelle sue pagine sfilano personaggi epici, grotteschi, enigmatici, un uomo che incendia le spore, un traslocatore, una musa, una ragazza dalle stampelle profumate, un ginecologo spastico, un gruppo terroristico, una donna dalla testa espansa, un papa che scioglie la Chiesa, uno stilista di nome Lupus, ragazze scartavetrate che esplodono come soli, storie d'amore tra persone increate, Dio che commissiona a un'agenzia pubblicitaria la campagna per la vendita del pianeta Terra... Il romanzo-mondo di Antonio Moresco chiede molto al lettore, ma molto dà in una lettura avvincente, un percorso attraverso i grandi archetipi della letteratura dell'Ottocento e del Novecento e la prefigurazione del nuovo millennio, la relazione intima e profonda che si instaura tra chi lancia una sfida e chi ha il coraggio di raccoglierla.
Antonio Moresco is an Italian writer. His first publications appeared late in his life, after he had been turned down by several publishers. In 1993, he published his first collection of short stories, Clandestinity, but his career-defining project is the monumental trilogy Games of Eternity, made up of Gli esordi (1998), Canti del caos (2009), and Gli increati (2015). He has published many other works, including short stories, children stories, and he has organized several collective marches throughout Italy and Europe, which have become the topics for some of his works.
Canti del caos è un’opera che per mole, novità linguistica e strutturale, ambizione e sapere enciclopedico sciorinato (senza mai pedanteria) può essere accostata all’Ulisse, a L’uomo senza qualità, a L’arcobaleno della gravità, a Paradiso (di Lezama Lima), a Insaziabilità, a La morte di Virgilio, a Infinite Jest, a Horcynus Orca, ad Abbacinante e a una manciata di altri libri che si sono cominciati a concepire a partire dalla prima guerra mondiale, quando il caos ha smesso di essere elemento altro da rifuggire ma è entrato con tale prepotenza nella vita quotidiana da diventare soggetto di cui scrivere.
La premessa è quella di uno scrittore (il Matto, che il lettore tende a identificare con Moresco stesso, sbagliando, ma lo si scoprirà solo molto dopo) che sta scrivendo un capolavoro, in fase estremamente embrionale (ma è un capolavoro, questo è già appurato e non messo in dubbio da nessuno dei tantissimi personaggi) e delle lotte col suo editore (il Gatto, autore anche della scombussolante premessa del libro), che di volta in volta gli suggerisce come far proseguire la storia che intanto possiamo leggere nel suo sviluppo. Suggerimenti alquanto bizzarri e che il Matto tratta con estremo fastidio, un fastidio rassegnato che lo porta a metterli tutti in pratica. E qui entra in gioco il primo meccanismo eccentrico, primo di una lunga serie e unico evidente sin da subito: il mondo del romanzo che noi leggiamo è creato dalla scrittura del romanzo del Matto, quello che scrive è quello che succede anche nel loro mondo reale, portando con sé non pochi strascichi: il Gatto (invidioso o preso da delirio di onnipotenza) si impossesserà del romanzo e comincerà a essere lui lo scrittore-creatore del mondo, cercando di buttare fuori il Matto dalla sua stessa creazione:
D'ora in poi sarà la mia voce a risuonare direttamente, qui dentro. Mi prendo anche, definitivamente, la prima persona, come vedi.
Gatto/Matto, come d'altronde il nome suggerisce, sono in fondo complementari. Ma in parallelo anche un altro scrittore (il commissario Lanza) e uno sviluppatore di videogiochi (il Softwarista) tramite il proprio prodotto (romanzo o videogioco) creeranno altre porzioni di mondo, che nel momento in cui diventano realtà si intersecano con il resto. Un caos non indifferente e che è solo la premessa, come dicevo, premessa che sarà valida per le prime due parti del romanzo. La terza è un mondo a sé.
La prima parte è quella decisamente più narrativa, in un intrecciarsi di trame e sottotrame estremamente stratificate: se l’inizio del romanzo vero e proprio (quindi escludendo la premessa) è una riflessione scritta dalla tomba subito cassata dall’editore (il Gatto), col proseguire dei suoi suggerimenti per riuscire a vendere ‘sto benedetto capolavoro si va sviluppando una storia incentrata principalmente sul rapimento della segretaria dell’editore stesso (la Meringa, in seguito chiamata Leonarda), e su quello contemporaneo di un personaggio presente nel romanzo di Lanza (la Ragazza non c’è assorbente che tenga, caratterizzata da un fluviale flusso mestruale), che quindi è anche personaggio della realtà (vedi la premessa). Entrambe verranno malauguratamente trascinate nel mondo della pornografia snuff, e Moresco non lesina i particolari più scabrosi: sperma, merda, sangue, mestruo ritornano continuamente a fare bella presenza, e nell’abilità scrittoria di Moresco divengono palpabili. E no, non c’è ironia (o meglio, il romanzo è pieno di ironia straboccante, ma non è mai usata per edulcorare il malsano), se volete leggere il tomo dovete beccarvi anche gli odori e gli umori più disgustosi che possiate immaginare. Oltre ovviamente a una buona dose di violenza e di aberrazioni (nel mondo del porno snuff, o almeno di quello di quest’estremo romanzo, non mancano donne senz’arti, uomini con falli abnormi, ragazze caudate, stupri, amputazioni, ecc). La Meringa, per intenderci, rimarrà dal rapimento alla liberazione (ultima scena della prima parte, non è spoiler, viene fatto capire quasi subito che verrà liberata) avvolta dalla carta stagnola e con solo due buchi per accedere al suo corpo (e no, non sono bocca e naso).
La seconda parte, meno narrativa, è più facilmente riassumibile (se si guarda solo all’azione principale, almeno): dio, personaggio umanissimo ma fatto di porcellana, vuole vendere il pianeta terra, di cui si è stancato ma che non vuole annientare per paura che, come un bubbone pestilenziale, possa riformarsi:
«Sì, ma perché proprio venderlo?» domandò l'account, senza girarsi. «Che altro potrei fare?» «Annientarlo, per esempio!» «Si metta nei miei panni. Che creazione sarebbe se potessi annientarlo! E poi... perché mai? A cosa servirebbe annientarlo? Si riformerebbe uguale da un'altra parte, prima o poi. No, no, meglio venderlo! E proprio questo è il momento!»
Gli stessi personaggi incontrati nella prima parte (tra cui il Matto, il Gatto e Lanza, ma anche diversi di cui non ho parlato qui) sono impegnati nel brief per il lancio pubblicitario. Un brief interminabile, che continuerà anche nella terza parte (più o meno), ma in realtà costantemente interrotto anche in questo caso per dare libero sfogo alla miriade di sottotrame (la sala del brief, come segnalato da diversi critici, funziona come la villa di campagna nel Decameron, dove ognuno deve raccontare una [o più] storie… che poi qui le storie prendano forma nella realtà è un altro discorso).
La terza è la summa conclusiva e il momento più fatalmente sperimentale: insoddisfatto dallo stallo del brief, dio ferma il tempo. Le ultime 350 pagine sono la storia di un tempo bloccato, e per restituire l’idea di un tempo che non c’è usando il sistema verbale umano (che in qualsiasi lingua necessariamente dà anche l’idea di tempo tramite i verbi) Moresco scombina i tempi verbali della narrazione (e spesso pure la persona del verbo): mette in moto un tipo di idioma in cui in una stessa frase i verbi possono essere prima al futuro, poi al passato remoto e poi al presente, descrivendo sempre la stessa azione:
Fiumi e laghi, grandi dighe, città turrite, nella notte nera. Tutta la luce ha cominciato a cancellare, a increare. A quel punto ioni ed elettroni si indistinguerà e formerà atomi elettricamente neutri che non dispersero più la radiazione che è, tutto il cosmo era trasparente per la luce che ci sarà prima che ci sarà, precipitò verso l'infrarosso e l'universo si oscurerà, e allora le stelle si accenderà.
Questo per 350 pagine, quindi se avete qualche dubbio che un tale livello di sperimentazione possa infastidirvi avrete già la risposta: sì, vi infastidirà. Gli stessi personaggi, incastrati in questo tempo immoto, sono incapaci di comprenderlo e non trovano altro che stupidi espedienti per dargli un nome (il “primadopo” lo chiameranno). Quello che è difficile da credere, è che funziona alla perfezione, con la buona volontà ci si abitua a questa scrittura e il romanzo-fiume (romanzo-mondo, romanzo-galassia, romanzo-universo) continuerà a scorrere. D'altronde Moresco è intelligente, riesce sempre a far precedere al verbo il soggetto senza risultare ripetitivo e così distinguendosi per chiarezza anche nel caotico marasma grammaticale. E in questo tempo bloccato l’Investitore (così chiamato perché inizialmente doveva essere lui l’acquirente del pianeta) presterà fede al suo nome e investirà con la sua auto tutti i personaggi, devastando il mondo già devastato (perché bloccato nel tempo): tra i personaggi che muoiono c’è anche dio (fatto di porcellana, i suo frammenti grandineranno sul parabrezza), tra i personaggi che muoiono c’è anche il Matto (che pareva Antonio Moresco ma non è, come dicevo: quando, dopo circa 900 pagine prova ad appropriarsi dello scritto e a dire “io mi chiamo Antonio Moresco” tutti gli altri personaggi lo sfanculano e non gli permettono di fare una cosa del genere). Potrebbe sopravvivere forse il solo Investitore, chi lo sa, a noi non è dato. Il libro si chiude con il canto dalla tomba del Matto, cioè esattamente nella stessa situazione in cui era iniziato. E questo canto finale è forse il momento più alto, più dirompente, più devastante, più bello in definitiva, di tutto il romanzo.
Questa è una descrizione sommaria, probabilmente troppo incentrata sulla trama (eppure non ne ho dato che uno scampolo, non ho citato la storia di Lupus, la migrazione verso la città di Sperma, la riscrittura demoniaca del vangelo… non ho neppure citato la Musa, uno dei personaggi più importanti e affascinanti), ma è quello che mi è dato di fare nel tempo limitato che posso dedicare a un commento qui. Si vola alto, comunque, altissimo. Pensavo che Gli esordi non fosse superabile: né per qualità né per novità. Ma qui siamo diversi livelli oltre.
Quasi mille e cento pagine, quindici anni di elaborazione, ambientazione in un futuro prossimo venturo, ovviamente distopico, dove la realtà è per definizione artificiale, creata a tavolino da un softwarista che è anche un creatore di vita biologica in quanto donatore di seme. C’è uno scrittore, evidentemente Matto, che, pur privo di ispirazione, insieme al suo editore (il Gatto, ma qui l. a metafora mi sfugge) si è messo in testa di creare il capolavoro letterario assoluto. Ma il mercato naturalmente è in agguato e, seppur popolato da individui ingenui, essendo senza scrupoli, non esita a vendere l’intera creazione (di chi, a chi?) che così implode, schiacciata da un’automobile carro armato che ad uno ad uno elimina tutti i personaggi del libro videogame, compresi i sui creatori, non prima che l’intero universo venga risucchiato nel big-bang all'incontrario dell’ in-creazione.
Questa idea di fondo, indubbiamente fantasiosa, è sprecata dentro pagine e pagine di pura pornografia a sfondo violento, dove l’intento sembra essere quello di scandalizzare e rompere ogni taboo possibile, di provocare il lettore eccitandolo e quindi, rendendolo cosciente della violenza connaturata nell’ umano. Ma, forse perché donna, questo meccanismo con me cortocircuita, e le fiche siliconate e scoppiate, le bocche rovesciate e squarciate i culi smerdati e trasognati, ripetuti all’ infinito, invece che eccitarmi, mi annoiano.
Lo psicanalista Alexander Lowen spiega molto bene che il piacere del narcisista si divide ugualmente nel creare come nel distruggere ciò che crea. In Moresco però io ho trovato un passo in più: è come se la nausea nei confronti del mondo, la pagina bianca e la fatica di scrivere, gli facessero desiderare la non esistenza, in modo che anche lui possa finalmente sentirsi pacificato, libero dal peso di dover creare. E infatti all’interno delle mille e più pagine ho trovato questa invocazione dove è l’autore stesso che sembra parlarci: "Oh signore fa di me una forma increata, ma non come cosa che sia esistita e che poi abbia cessato la sua esistenza, fa’ di me cosa inesistente da sempre, per sempre, che possa stare tutto dentro l’abbraccio del mio non essere, tutto dentro il tuo abbraccio dove niente può esistere, come in uno spazio buio e cieco e profondo e senza messinscena di stelle."
Bene caro Moresco e cara Accademia, per dirla con Michele Mari, di fronte a tal nichilismo, per piacere fatevi da parte. Riconoscete che la vita e dunque la letteratura non è cosa vostra, è altrove, magari in quell’ universo femminile che Moresco non vede, perché non è sesso, sottomissione, vagina e mestruazioni. I lettori se ne sono già accorti. Gli editori ci stanno lentamente arrivando. Prendete atto anche voi che il mondo vi sfugge, che non è solo l’inferno che amate raccontare. Alzate gli occhi dal vostro ombelico e ricominciate a vedere.
Come lettore (e spettatore o fruitore di opere artistiche) sono parzialissimo nel preferire coloro che sfidano l'ignoto, gli Ulisse dell'arte che si cimentano in imprese disperate, i solitari ed incompresi esploratori di nuove dimensioni, coloro che scelgono il sentiero non battuto rispetto alla autostrada asfaltata. E quindi non posso che dare il massimo dei voti a questa immensa costruzione all'ineffabile e all'inenarrabile - come altro definire un libro che si prefigge di narrare il blocco dello spazio e del tempo, di descrivere la distruzione di ogni sequenzialità temporale o logica, di "cantare il caos" appunto? Queste mille pagine si dipanano in un continuo mescolamento di piani narrativi in cui autori/creatori e personaggi/creature si incontrano e si scontrano (autori/editori/pubblicitari/Muse/eroi/dei e demoni), declinando metaletteratura e autofiction in un calderone davvero godibile e intellettualmente raffinato. Proprio questa sottile ironia tipicamente postmoderna rende tollerabile anche l'elemento superficialmente di maggior impatto e più discusso (e sicuramente meno importante): l'accumulo davvero pesante di abiezione, violenza, porno-horror e oscenità. In fondo sono solo parole (ci dice tra le righe l'autore stesso), un delirio estremo dello scrittore (che sia Moresco, il Matto, il Gatto, l'account, Dio, l'editore o il softwarista donatore di sperma), quindi perchè dargli rilevanza? E anche lo stile di scrittura (velocissimo, sincopato, che lavora per accumulo e stratificazione continua di visioni e parole) aiuta a non fissarsi sui particolari più raccapriccianti, ma contribuisce a creare una valanga di immagini di un universo sconfinato dove tutto deve entrare. Ed è come salire una scala vertiginosa verso un delirio panico in cui tutto si sfascia in una distruzione del reale: o forse una creazione di una nuova cosmogonia viscerale e brulicante - in questo mi sento di accomunare Moresco ad un monumento della letteratura contemporanea come Mircea Cartarescu: l'afflato creativo e demoniaco (in senso platonico) è assolutamente simile. Nell'autore romeno, però, ho trovato una maggiore aspirazione ad un movimento verso l'alto, una sorta di spinta forse più "spirituale", mentre in Moresco prevalgono le immagini ctonie; non per niente il libro si apre e si chiude con la voce narrante sottoterra (o dentro un utero: e in fondo è lo stesso). Forse l'unico elemento che non mi ha entusiasmato in modo particolare è stato il riferimento forse eccessivo a contingenze attuali e un pò pop, quasi inutili ammiccamenti alla cultura di massa (la pervasività dei pubblicitari, i videogames come atto creativo, la turbo-finanza che concorre verso lo zenit dell'annuncio cosmico): in questo forse a volte pare mancare l'ultimo scatto verso l'alto, verso l'eterno, il sublime e si resta comunque qui e ora immersi nel fango di questa materia vitale...
Meravigliose invece moltissime invenzioni di personaggi davvero iconici e alcune intuizioni molte ricche: tra tutti il mio preferito è sicuramente il traslocatore - e ho trovato davvero affascinante l'idea dei personaggi letterari come ombre ammassate dentro un Cavallo di Troia che attendono di invadere la Città. E nel finale un ammirazione sconfinata per il tentativo estremo e ipersperimentale di narrare l'immobile, lavorando per contraddizioni logiche, paradossi verbali e distruzione della sintassi...
Basically Dante's Inferno and Joyce's Ulysses made love, but then their offspring was kidnapped and raised by The 120 Days of Sodom and this is the fucked up masterpiece that came out of it.
E' stato un parto. Un parto di un figlio non voluto, con mille complicazioni e decisamente terminato in un'isterectomia.
Personalmente avrei preso la terza parte e l'avrei data alle fiamme, ma i libri non si bruciano, quindi mi sarei limitata ad appoggiarla vicino al caminetto. Solo che l'ho preso in biblioteca e la bibliotecaria avrebbe preteso la restituzione del volume.
Sì, va bene, non ho capito la genialità e blablablabla. Cercherò di farmene una ragione. Mi servirà almeno un anno di analisi, però. Me la paghi tu, Antonio?
Tanto ho amato "Gli Esordi" tanto ho avuto l'impulso in più momenti di lanciare questo libro fuori dalla finestra. Alla fine la media tra i momenti in cui la volontà di dedicarmi al “lancio del libro” era irresistibile e i momenti di inebetimento totale di fronte ad alcuni passi di rara bellezza mi porta ad assegnare al libro tre stelline e mezzo, anche se devo riportarne graficamente quattro (sento sempre più il bisogno delle mezze stelle, Goodreads perché non le inseriamo?). Ma partiamo con ordine. Antonio Moresco è un genio della letteratura? Propendo ancora per il sì. La scrittura di Moresco è unica, inimitabile, su questo non ci piove. In "Canti del Caos" andiamo anche oltre a "Gli Esordi" per arditezza linguistica e per scrittura visionaria. Moresco va oltre l'immaginario, adotta un linguaggio surreale per ambientazioni surreali che nel loro essere tali sfociano spesso nel loro contrario, nell'iperrealtà. La sua aggettivazione costante che procede con fare marziale spacca la testa al lettore, gli aggettivi di solito ascritti alle cose finiscono per descrivere le persone e viceversa. Moresco ha delle parole a lui particolarmente care come "esploso", "scoppiato", "trasfigurato" che si ripetono costantemente in quasi ogni descrizione e che talvolta fanno davvero uscire gli occhi dalla testa chi legge per il loro abuso. I personaggi sono folli: Investitori (non di borsa ma muniti di automobile), Laringectomizzati, Donne dalla Testa Espansa, Donne che urlano etc. e sorprendono ogni volta il lettore ad ogni prima apparizione. L'idea di fondo è strepitosa, Dio che mette in vendita il mondo, il mercato che vende e compra se stesso in uno stop-spazio temporale che non può che dar vita ad un increazione. Sino a qui 5 stelle senza se e senza ma. Ma invece arrivano anche i ma. Moresco mi sembra procedere all'interno di questo romanzo con il fare che era un po' tipico di Lacan, il quale accusato di non saper scrivere in maniera decente disse semplicemente che scriveva male di proposito perché chi lo avesse voluto capire si sarebbe dovuto sforzare. Ecco, Moresco scrive benissimo, niente a che vedere con lo psichiatra francese, ma richiede al lettore uno sforzo inaudito. Sembra che l'intero libro sia pieno di sesso e merda, pompini e inculate come se queste dovessero nascondere ciò che veramente c'è sotto. Come a dire: "Se il lettore riesce a superare indenne 300 pagine di uomini che godono a farsi seghe con l'uccello impastato di merda allora sarà meritevole della perla letteraria a pagina 301". Attenzione, nessuno vuole la pappa pronta, concordo pienamente con il fatto che il lettore debba anche sforzarsi, che debba sentire il peso del confronto con i romanzi torrenziali dalle molteplici angolature etc., ma il problema è che tutta questa questione sesso-fecale mi appare totalmente slegata dal resto. Non sono per i moralismi facili, se sull'altare della letteratura si devono impiccare bambini ben venga, se bisogna rendere ridondante la violenza sino all'inverosimile, lo si faccia, se bisogna fottere per tutto il tempo si faccia anche quello, ma deve essercene l'effettivo bisogno, che qui ,prima parte esclusa, non ho trovato. Se infatti nella prima parte l'intera ambientazione era uno snuff-movie metropolitano, il che necessitava assolutamente di una scrittura dai simili contenuti, sinceramente, forse per un mio limite, non ho trovato assolutamente alcun nesso tra la seconda parte e questo continuo scopare nel lerciume, che mi ha annoiato a morte. Non ho provato alcun fastidio per il festival dei fluidi corporei di cui Moresco ci rende partecipe, ma in tutta la seconda parte tutte queste molteplici per non dire tantissime incursioni nell’ano di qualcuno, mi hanno immerso nella noia più totale. Nonostante per Heidegger una certa predisposizione alla noia sia il preludio allo schiudimento dell’essere, questo non mi sembra proprio il caso. Voltavo la pagina e appena leggevo che qualcuno stava per tirarselo fuori l'unica cosa che mi passava per la mente era "che palle, di nuovo". Un altro problema di questi ripetuti paragrafi interamente dedicati ai più lerci e frenetici rapporti sessuali è anche la loro ridondanza linguistica. Leggendo i primi infatti si viene travolti dalla scrittura di Moresco, si pensa che nessuno avrebbe mai descritto del sesso in quella maniera e si rimane in estasi. Il punto, purtroppo, è che poi questa stessa maniera si ripete per un numero di volte tale da perderne il conto, annullando la magia letteraria dell’originalità. Tanto si apprezza la Differenza della prima lettura tanto è ammorbante la Ripetizione della centesima per parafrasare il titolo dell’opera di maggior spessore teoretico di Gilles Deleuze. La terza parte è un totale delirio linguistico (in senso positivo), spariscono lo spazio e il tempo dalla storia e spariscono anche dal linguaggio, i futuri si fanno sostantivati, si fondono con i presenti e i passati, tutto si realizza in un primadopo pieno di madrifiglie e padrifigli che richiamano se non alla Trinità per lo meno alla Dualità divina, Dio Padre e Dio Figlio con l’espulsione dello Spirito Santo. E poi personaggi che si chiamano come città numerate, ambientazioni tanto oniriche quanto paranoiche, con anche momenti struggenti che sorgono dalla più atroce violenza come l’estenuante ricerca tra Shangai 5 e Chongquing 3, che mette in mostra tutta la versatilità della prosa moreschiana, manifestandosi con grande dolcezza in contrasto alla brutalità regnante nel libro. La sparizione del tempo, della vita e della morte che si fondono nella folle increazione delle membra spappolate dall'Investitore accompagnano il lettore verso la conclusione del libro che mostra come tutto non sia mai accaduto e come ancora si debba nascere o come tutto sia ormai compiuto e non si possa fare altro che morire. La forma romanzo è dunque strepitosa, molteplice, sorprendente, ma è come Moresco ha deciso di riempirne la metà della pagine che mi lascia perplesso. Che dire. “Canti del Caos” aveva a mio pare tutte le potenzialità per ottenere le 5 stelle, e molti lati oggettivi fanno pensare che effettivamente le meriterebbe, ma l’idiosincrasia che ho provato in certi tratti del libro non mi permette di dare voti troppo elevati e di essere poi in pace con la mia coscienza di affibbiatore di stelline. Ovviamente non vedo l’ora di leggere “Gli Increati” per giungere a termine di questa folle, monumentale opera letteraria.
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Avevo già adorato "Gli esordi" e quindi pensavo di essere preparato alla prosa di Moresco, ma sono uscito da questa lettura stordito ed esaltato, illuminato ed ispirato. Ho letto le 1013 pagine in 8 giorni a cavallo tra due settimane lavorative, quindi davvero divorandolo a velocità supersonica di mattina presto, di sera e nel fine settimana. Ma era l'unica cosa possibile, la penna di Moresco è una Formula 1 che vola sulla carta, creando strutture e ritmi impossibili per chiunque altro. Lo stile è simile a quello degli Esordi, di cui ricordavo oltre al delirio onirico anche e forse soprattutto la sensazione di circolarità che sprigiona. Qui questi effetti mi sembrano addirittura più evidenti. Nella mia mente queste frasi lunghissime piene di aggettivi e participi creano un ritmo velocissimo e che rimanda ad un cerchio, ad una vorticosa rotazione a spirale attorno alla narrazione, alla ricerca impossibile di un senso. Senso sicuramente necessario per noi per condurre le nostre vite ma di certo non così evidente. E il fatto di avere questa sensazione circolare in un libro che espone l'immobilizzazione finale dello spazio tempo, che rende impossibile distinguere il prima e il dopo e il dove, per me va oltre la definizione di capolavoro. Immagino che questo stile, questi contenuti, e certo anche l'esplicita e ricorrente narrazione pornografica possano risultare indigesti ai più, ma nel mio percorso di lettore si tratta di un faro illuminato durante la tempesta.
Mi c'è voluto tempo per leggerlo, ma molto di più per digerirlo e valutarlo non è affatto cosa semplice. Ero e sono dibattuta tra l'apprezzamento dello sforzo e il riconoscimento del valore letterario, dell'apporto linguistico, del coraggio provocatorio del tema metaletterario, dell'approccio ultracontemporaneo e il ribrezzo. A distanza di tempo prevale il ribrezzo e rimane il rimorso d'averci dedicato tutto quel tempo, caparbia, intenzionata ad arrivare alla fine del fango, del sangue, dell'orrido e del grottesco. Ciò non toglie il suo valore letterario e linguistico, innanzitutto volgare nel senso più ampio del termine.
L’idea è originale e il libro è originale, ma l’ultima parte è di una prolissità frustrante. Solitamente mi impongo di leggere comunque tutto: invece ammetto di aver saltato paragrafi a iosa sul finale, dove l’utilizzo martellante del futuro in terza persona singolare lo rende illeggibile. Un bell’esperimento, intelligente, ma il signor Moresco dev’essere un sadico a pubblicare una cosa de genere.
Dall'analogico, passando per il tecnologico, fino al teologico. O anche dal fisico al metafisico, dal corporeo al trascendente, dall'esplosione all'implosione. Dalla creazione all'increazione.
Potrebbero essere riassunte così le tre parti che compongono Canti del Caos, ammesso che riassumere un libro di Moresco sia possibile. Perché la moltitudine che racchiude è impossibile da catalogare, decifrare, comprendere, analizzare, contenere. Così come è difficile riuscire a elencare tutte le emozioni che si provano durante la lettura del libro (che sia del Gatto, del Matto, del softwarista, del vecchio che si masturba, della Musa, del copy, di Dio...) mentre esplode, deflagra, sboccia, si comprime e si espande, si profuma e si smerda. Il fascino per la sperimentazione letteraria e linguistica continua, l'ammirazione per la capacità di mescolare di generi e tematiche e livello di lettura, fino al disgusto (?) per la pornografia estrema e sadica e la vergogna per l'incapacità di distogliere lo sguardo dalla morbosità e dalla violenza, sempre tuttavia frutta di una ispirazione altissima; e poi la fatica e la presa in giro, la sconfitta, l'abbandono, l'incomprensibilità nell'affrontare l'ultima parte, quella che sarà, che è là, che è già.
Un libro ostico, scorrevole, malato e ammaliante, che non lascia indifferenti se lo si riesce a finire, perché la tentazione di mollarlo a ogni pagina letta è direttamente proporzionale a quella di divorarlo, esplorarlo, entrarci dentro. Un libro che si ama e si odia contemporaneamente, che stufa spesse volte ma senza mai smettere di stupire.
Sincerità: non ci ho capito niente, ma è stato un viaggio pazzesco. Non ho le capacità di capire una cosa del genere, ma la sensazione di star sfogliando un capolavoro ti arriva ad ogni frase. Un poema epico dei giorni nostri? Sicuramente, se è l'espressione di un disagio interiore, non vorrei per nulla al mondo rinascere Moresco.
Che cos'è l'arte di spessore, o in questo caso, la letteratura di spessore? Si potrebbero dire molte cose al riguardo. Potrebbe essere qualcosa che ti tocca a livello emotivo, che ti fa incazzare, o ti diverte, o magari ti fa spaventare, o ti rende sereno, o forse ti disgusta, e molte altre cose.. Oppure potrebbe toccarti ad un livello molto più razionale, instillando nella tua mente nuove idee, nuovi spunti di riflessione, facendoti pensare fino a farti esplodere il cervello.. Personalmente ritengo di spessore ciò che nel tempo, per un motivo o per l'altro, mi rimane. Quando finisco di leggere un libro, so sempre che il giudizio del momento dovrà superare la prova del tempo. So che a distanza di mesi o anni il valore di alcune opere rimarrà costante, quello di altre precipiterà, e quello di altre ancora, inizialmente sottovalutate, salirà.
Non saprei dire se questo libro mi è piaciuto. Ho amato alcune parti, ne ho detestate altre, è stata una lettura che ho trovato a tratti semplice, a tratti impegnativa, e in molte parti pesante e proibitiva. Ho odiato e amato l'autore, il suo stile, i personaggi, le situazioni, il linguaggio. Non avevo mai letto nulla di simile prima d'ora, e non so se avrei il desiderio o il coraggio di ripetere un'esperienza del genere. Può essere un libro superficiale, che non ti lascia nulla, o può essere il più grande capolavoro mai scritto, che ti invoglia a rileggerlo, a capirlo meglio, a trovare tutte le chiavi di lettura possibili. Potrei considerarlo un detestabile esercizio di stile di un autore che si masturba compulsivamente, proprio come uno dei suoi innumerevoli personaggi, oppure qualcosa di mai scritto prima e di irripetibile, che mette alla prova i limiti della letteratura e del linguaggio, superandoli.
Alla fine dei conti, però, non importa quale giudizio sommario possa dare a "Canti del caos" in questo momento. Se mai incontrerò l'autore, potrei avere voglia di stringergli la mano o di spaccargli la faccia, ma l'esperienza vissuta attraverso questo libro mi rimarrà per sempre.
This novel was written over the course of fifteen years and takes on its definitive form only now, now that the third and final part has been added to the first two that were published by Feltrinelli in 2001 and by Rizzoli in 2003.
Completely revised in the first two parts, therefore, and finally concluded, Canti del caos presents itself in all its absolute singularity. Conceived not to leave anyone indifferent, even at the cost of provoking reactions of rejection, this novel stands out as an incandescent, dizzying work, a work that immediately, by right, is inscribed in the list of those extreme undertakings that, like great erratic boulders, dot the history of literature.
Canti del caos has formed over time as a living organism, full of violence but also of delicacy and sweetness, of obscenity but also of transcendence, of pressing narrative passages and lyrical thrusts. In his gigantic realistic and metaphorical machine, the codes, genres and literary horizons of science fiction, detective fiction, comedy, pornography, fantasy, horror, romance, scientific and philosophical essays, religious and mystical meditation are ground down and transcended. Epic, grotesque, enigmatic characters parade through its pages, a man who sets fire to spores, a mover, a muse, a girl with perfumed crutches, a spastic gynecologist, a terrorist group, a woman with an expanded head, a pope who dissolves the Church, a stylist named Lupus, sandpapered girls who explode like suns, love stories between uncreated people, God who commissions an advertising agency to create a campaign to sell planet Earth...
Antonio Moresco's world-novel asks a lot of the reader, but it gives a lot in a gripping read, a journey through the great archetypes of nineteenth- and twentieth-century literature and the prefiguration of the new millennium, the intimate and profound relationship that is established between those who launch a challenge and those who have the courage to take it up.
Non sono riuscito a finirlo. Convoluto, ricorsivo, ripetitivo. Non si capisce cosa dovrebbe aggiungere la centesima oscenità alle novantanove precedenti, sempre con gli stessi ridicoli aggettivi e sempre prevedibili. "lusting for a kind of awful greatness that he simply wasn't able to achieve"
una dannata discesa agli inferi senza ritorno. il caos e la circolare creazione degli eventi che si generano in sè stessi attraverso un vortice di carne sangue sesso e merda.