Dall'incontro fra Vitaliano Trevisan e l'universo di Poe nasce uno sguardo limpidamente classico e insieme feroce, capace di narrare l'autentico orrore. Che si tratti di una famiglia oscena e di una madre moribonda che sa nascondere segreti - il più atroce dei quali solo al lettore sarà svelato - o di un uomo che vuol raschiare via dalla casa ogni traccia della donna che l'abitava, o del più spietato ritratto di artista italiano contemporaneo che possiate immaginare. In questo libro la lingua dello scrittore vicentino raggiunge un equilibrio e una originalità nuovi proprio mentre l'autore fa un salto all'indietro di due secoli e dichiara di ispirarsi al maestro del racconto: Edgar Allan Poe
Vitaliano Trevisan (1960–2022) è stato uno scrittore, attore, drammaturgo, regista teatrale, librettista, sceneggiatore e saggista italiano. Dopo una giovinezza trascorsa come impiegato nel settore edilizio e dell'arredamento, si dedica a lavori più manuali fino ad approdare alla letteratura. Dopo alcune prove letterarie di buona levatura, raggiunge il successo nazionale e la notorietà nel 2002 con il romanzo I quindicimila passi, apprezzato dalla critica, che racchiude i pensieri di un uomo, Thomas, dalle mille fobie e dai meccanici comportamenti ossessivo-compulsivi. È morto suicida il 7 gennaio 2022 nella sua casa di Crespadoro all'età di 61 anni.
THAT'S ALL WE HAVE, FINALLY, THE WORDS, AND THEY HAD BETTER BE THE RIGHT ONES
Senza pendoli e senza pozzi, facendo a meno di casa Usher e gatti neri, senza scomodare il Maelström, ma appropriandosi del barilozzo di amontillado solo per sottintendere vendetta, con uguale ferocia e orrore, calibrando sui due secoli trascorsi, Vitaliano Trevisan fa omaggio a Edgar Allan Poe - maestro anche per me, colui che mi ha regalato le prime letture davvero emozionanti negli anni del ginnasio - e porta a casa un librino di cento pagine scarse con cinque racconti che del maestro restituiscono atmosfera luce e odore, però segnano anche una personalissima nuova prova per lo scrittore vicentino (provincia di). Due, tre e quattro sono probabilmente i “grotteschi”, al primo e all’ultimo la definizione di “arabeschi”.
La frase che ho usato qui sopra come titolo viene attribuita a Raymond Carver, e io me ne approprio un po’ come se fosse il mio motto. E direi che lo stesso potrebbe valere per Vitaliano Trevisan, non solo giudicando dalla citazione che segue, ma proprio in generale, per tutto il suo modo di scrivere e concepire la letteratura: È bene qui ricordare che l’autore concepisce la scrittura solo in senso fisico, concreto, letterale. Non si può dire di avere scritto se non si è scritto. Chiaro e semplice. Ridare alle parole un significato concreto: in un mondo sempre più astratto, lo ritengo un dovere. Compito non facile, non facile; ma in fondo, bella è soltanto la lotta.
Per la cronaca, qui sopra si riferisce a Matteo Garrone e all’esperienza del film Primo amore: Garrone firma (e quindi percepisce diritti d’autore anche come sceneggiatore, sottraendoli a chi ha scritto “in senso fisico”, Trevisan e Massimo Gaudioso); e Garrone firma pur non avendo scritto una parola, ma da autore, imponendo la sua visione e volendo che i suoi scriba scrivano e riscrivano le scene fino a catturare le sue sensazioni – più che il suo pensiero – e soddisfarlo pienamente.
Ho notato più volte come i miei scritti tendono a divagare, a lasciarsi andare alla deriva, proprio come i miei pensieri. Perché resistere? Quando la corrente è troppo forte, la cosa migliore è lasciarsi andare, dimenticare, almeno per una notte, quando è notte. Ma nonostante divagazioni, derive, lasciarsi andare, dimenticare (o ricordarsi di dimenticare), quello che vince è lo stile di Trevisan, il suo rigore, la coscienza della condizione umana. Voce di ghiaccio.
Grotteschi e arabeschi. Poe e storie di horror quotidiano. Il grottesco é la materia, terrigna, sanguinolenta, l'arabesco é la ratio, il razionalizzare l'impossibile, magari raschiando un muro per cancellare l'ombra di un mobile, di una fotografia che sono stati tolti. Uhm però... troppo terrigno stavolta il Trevisan per i miei gusti, sanguinolento anche, saltato a piè pari le pagine dove descrive uccisioni di animali, e il sesso é stupro o quasi o violenza mortifera. E anche l'arabesco, ho letto di meglio uscito dalla sua penna. L'arabesco non é molto arabescato insomma. Il barilozzo di Amontillado invettiva incattivita ma poco conturbante e niente di nuovo che non si sia già letto e pensato in relazione alle raccomandazioni, al tirare le tasche dei potenti, all'essere figlio di.. e quindi avere sempre il culo con un cuscino sotto che para il colpo. In questo caso in relazione al mondo del cinema e suoi attori e comparse. Non mi ha convinto. No. Ecco.
I was half-way through this slim volume of short stories before I realised that I had already read it some years back and given it a measly 2 stars on Goodreads. I guess it goes to prove that I did not find it particularly memorable the first time round. Returning to it did not improve my perception. Trevisan's book is a tribute to Edgar Allan Poe, and he certainly does a reasonably good job of channeling the master of classic horror fiction through his use of febrile, demented monologues. However, whereas Poe builds an atmosphere of dread reserving moments of pure terror to the climax of his tales, Trevisan hits us on the head with a sledgehammer, with scenes of misogynistic violence, sexual perversion and bloody murder. Perhaps I'm too squeamish, but this was not for me.
Un grottesco abbastanza banale, noioso, che fa leva sul senso comune proprio di un tipo specifico di persona (non dirò le tre parole che avrebbero fatto inorridire il defunto) per cui anche le riflessioni e le introspezioni risultano piatte e tautologiche. Rimane l'interesse per gli altri romanzi ma con una certa refrattarietà all'atto quindi chissà se mai li leggerò.
"Sono le menti più malate, a volte, a elaborare i pensieri più razionali, ed è così facile scambiare il ragionamento per la ragione, il vuoto per la profondità." (Madre con cuscino, pp. 47, 48)