La vita può cambiare, all'improvviso. Lo fa solo attraverso la forza umana più grande: l'amore. È proprio l'amore per la moglie che non c'è più a guidare il vecchio Moses. È un amore che affonda nel ricordo e che porta Moses a rivivere le tappe di un'infanzia segnata da un primo incontro: quello con l'insolente, un ragazzo suo coetaneo, forse un «dio nero che non si prende». Lì Moses capisce che «odio e gratitudine possono essere unica cosa», lì nasce il conflitto che non lo abbandonerà più. Fino alla notte di una vecchiaia ormai compiuta. In quella notte tutto cambia. Arrivano dei nuovi vicini di casa, e una donna «con l'oro nelle mani e la danza sulla pelle» che custodisce un segreto: il segreto che spingerà Moses ad affrontare finalmente il passato. È grazie a questo secondo incontro che gli occhi e il cuore di Moses vedranno ciò che non hanno mai voluto vedere. Solo così l'amore per quella moglie scomparsa diventerà l'unica forza per arrivare alla verità.
Vive a Rimini fino alla maturità scientifica, trasferendosi successivamente a Bologna per iscriversi al corso in Scienze della comunicazione dell'Alma Mater Studiorum. Nel 2002, segue i corsi della Scuola Holden a Cesena esperienza conclusa non in modo positivo. Si laurea nel 2005 con la tesi L'oggetto culturale nell'industria italiana. Il caso del Signor M. ovvero i criteri di pubblicazione di un libro. Il suo romanzo d'esordio, Senza coda (Fanucci, 2005), ha ricevuto nel 2006 il Premio Campiello Opera prima; si tratta di un'opera che racconta "di un'infanzia che si misura angosciosamente con il mondo adulto, con le sue sopraffazioni e violenze, varcando la linea d'ombra che conduce ad una pensosa maturità". Il 22 marzo 2007 pubblica con Guanda il romanzo Il buio addosso (premio Insula romana 2008). Il 12 febbraio 2009 viene messo in commercio il terzo romanzo, Bianco (Guanda), che vince la XXVIII edizione del Premio Comisso, il Premio Tondelli 2009 e il premio della critica Ninfa-Camarina 2010. Il 23 febbraio 2012 viene pubblicato il romanzo Il senso dell'elefante (Guanda), che vince il Premio Campiello Giuria dei Letterati 2012, il premio Vigevano - Lucio Mastrolonardi, il premio Bergamo. È tradotto in Germania, Francia, Spagna, Stati Uniti, UK, Canada, Svezia. Nel febbraio 2015 esce per Feltrinelli il romanzo Atti osceni in luogo privato. Vive a Milano, dove lavora come caporedattore di una rivista di psicologia. Scrive per la cultura del Corriere della Sera.
”To Kill a Mockingbird - Il buio oltre la siepe”: il romanzo di Harper Lee uscì nel 1960, il film di Robert Mulligan due anni dopo. Gregory Peck è l’avvocato Atticus Finch che difende Tom Robinson interpretato da Brock Peters.
L’impresa mi è parsa zoppa sin dalla partenza.
Un giovane scrittore italiano decide di scrivere un romanzo sul tema del razzismo, (impresa molto nobile, e, secondo me, l’unico motivo per il quale si parla bene di questa sua opera), e l’ambienta nel sud degli Stati Uniti durante il Novecento, in due momenti non ben identificati.
Come lavoro di documentazione: la lettura del celebre libro di Harper Lee (in Bianco però l’uccellino c’è davvero, ed è coprotagonista, si chiama William) e l’ascolto di un paio di Delta blues.
Un po’ come se uno statunitense decidesse di scrivere un romanzo contro la pena di morte e l’ambientasse durante la rivoluzione francese dopo aver ammirato un paio di J.L.David e letto Hilary Mantel.
Eppure il giovane scrittore di Rimini vive in un’epoca che conosce assai bene il razzismo, in un paese che è tutto meno che immune dal razzismo, lo pratica con convinzione, paese che è membro di una corposa comunità di paesi in gran parte ben immersi nel razzismo, che inneggiano a muri, barriere, confini, respingimenti, aiutiamoli-in-casa-loro… Ma no, andiamo a vedere quanto è smeraldo l’erba del vicino.
Il risultato è come quei brutti spaghetti western girati tra le campagne del Lazio e le montagne dell’Abruzzo, desolazione e tristezza assolute. Il risultato è che mi sono sforzato di non cercare la verosimiglianza (ce n’è poca, poca assai), di prendere il romanzo come un apologo senza tempo e senza terra, un esempio valido per tutti e per sempre. Ma non ci sono riuscito, perché Moses e Rose e Gladys e Judith sono nomi e personaggi che rimandano a un paese ben preciso, a un epoca, meno precisa ma comunque sempre identificabile. Epperò di verosimiglianza neanche l’ombra.
Una buona parte della narrazione è in forma di flashback. E che fa lo scrittore, o l’editore per lui? Scrive il flashback in capitoli separati e in corsivo, come se fosse un film degli anni Cinquanta, quando si introduceva un passaggio di tempo con il flou e la musichina così ben imitata da Nanni Moretti in un’indimenticabile scena di Ecce Bombo.
Il protagonista Moses ha perso la moglie da tre anni e ne è tuttora molto innamorato, sentimento che si traduce in un dialogo continuo e insistito, ogni occasione è buona per rivolgersi direttamente alla moglie morta e, si presume, sepolta. A tal punto che io lettore mi sono augurato che Moses avesse modo di raggiungere la consorte molto presto, in paradiso o inferno che fosse, purché l’insopportabile litania si arrestasse.
La scrittura è una perenne ricerca di lirismo, di preposizione spiazzante, di discorso spezzato, possibilmente contorto e involuto, declamata, magniloquente, enfatica, gonfia, tumida, molle.
Missiroli era un bruco al tempo di Bianco: diventa crisalide con Il senso dell’elefante, e finalmente farfalla con Atti osceni in luogo privato. Imparerà a volare davvero o si limiterà a svolazzare?
Per collocazione e tematiche - sud degli Stati Uniti, anni ’50/’60, odio razziale dei bianchi del Ku Klux Klan verso i neri, violenza e opposizione ad essa - pare proprio un romanzo americano dell’epoca. Invece è stato scritto nel 2009 da un giovane autore italiano che si dimostra anche bravo, ma come può esserlo un valente imitatore: sì, perché il romanzo, più che un originale, sembra proprio un bel falso d’autore, alla stregua di un quadro "alla Hopper" - visti i tempi e i luoghi - realizzato oggi.
Lo definirei: cinematografico. È "Bianco" di Marco Missiroli. Un artiglio che ti prende alla gola e non ti molla. Il razzismo ai tempi del KKK e ai giorni nostri. La morte, la mancanza, l'amore, l'incomprensione, l'odio. C'è ben poco di salvifico, in tutto questo. Ma per quanto la storia sia tremenda, angosciante, proprio non sono riuscita a smettere di leggere. Qui la bravura di Missiroli nel narrarci tanto disgusto senza buonismo, né via di scampo. Missiroli deve avere tanto dolore dentro e lo esprime con diversi livelli di intensità. • Moses Carpenter è un bianco ormai anziano ed è a capo del clan del quartiere. Quando la bianca Gladys con il marito "pellescura", il figlioletto e la suocera si trasferiscono nella sua strada, nel vicinato si anima un fermento antico, fatto di disprezzo e violenza. Sta a Moses schierarsi, espiare una colpa antica, trovare il coraggio di affidarsi al ricordo della moglie e ai ricordi di quand'era ragazzo. Un argomento scomodo per un romanzo veramente duro, difficile da digerire, ma proprio per questo bello e delicato.
Una storia difficile. Da descrivere con le giuste parole. Per non scendere nella banalità. Un bravissimo scrittore che si muove con determinazione per raccontare la discriminazione razziale da due punti di vista. Bianco e nero. In questo caso più bianco che nero, essendo il protagonista di razza bianca. Ma durante il racconto non mancano i riferimenti alla stessa inutile lotta vissuta dal nero. Bravissimo davvero
Anche se si pensa che il protagonista del libro sia il razzismo, in realtà si capisce pian piano che il ruolo centrale è ricoperto dalla mancanza e dalla nostalgia. Questo libro vuole farti soffrire, e ci riesce in molti modi, facendoti sentire odori, vedere luoghi e toccare oggetti come se tu fossi davvero lì.
“Bianco è un romanzo sulla redenzione, quindi sul riscatto. Sul riscatto morale prima di tutto, sociale, ma soprattutto un riscatto umano. Un romanzo sul razzismo negato, quello dei perbenisti, quello di tutti i giorni, quello più odiato di tutti.”
In questo modo l’autore Marco Missiroli descrive Bianco nel corso dell’intervista televisiva di una emittente locale riminese.
Un romanzo sulla redenzione, ma soprattutto un romanzo d’accusa. Un’accusa pesante che arriva da tutte le parti senza che ci si possa difendere, né trovare riparo.
Un romanzo che lascia ben più dell’amaro in bocca per una vicenda raccontata, legata ad un passato lontano dal nostro mondo.
Siamo nel profondo sud degli Stati Uniti nella prima epoca post-schiavismo e quel razzismo una volta vissuto alla luce del sole, vive ormai nel dietro le quinte, nei salotti con le finestre chiuse e le tende abbassate, nei discorsi fatti sottovoce o negli ambienti chiusi, negli sguardi di traverso e nelle frasi a doppio senso, però vive.
In maniera più subdola di prima, quando era alla luce del sole e si basava su convinzioni portate avanti e sostenute nella pubblica piazza; in quel momento da un certo punto di vista era molto più semplice contrastarlo contrapponendo idee più civili, leggi più moderne e predicando principi fondamentali come uguaglianza e parità di diritti e doveri.
Quei tempi sono passati e la società si è rinnovata, è diventata più moderna, più aperta.
Non per tutti però, non lo è mai per tutti.
Gli eredi del Ku Klux Klan sono ancora vivi e tra vecchi e giovani cercano di portare avanti la loro lotta per la giustizia divina.
E’ il volere di Dio, secondo loro e secondo alcuni fondamentalisti religiosi che si fregiano della Croce e che nostra Santa Chiesa dimentica sempre più spesso di ricordare e richiamare all’ordine assieme a tanti altri fenomeni oscuri.
Un volere che questi eredi, incappucciati come i loro padri, portano avanti in una guerra di razza che trova molti adepti e pochi coraggiosi che si oppongono rischiando la pelle.
La redenzione invocata dal Missiroli sembra una parola grossa rispetto a quanto si legge nel suo romanzo; certo è che ciascuno trova la propria chiave di lettura e dunque ogni appassionato divoratore di libri vede la propria opinione prendere forma pagina dopo pagina, fino ad arrivare ad una recensione completa che è sempre personale. Nel mio caso questo libro ha suscitato un profondo senso di malessere generale per tutte le corrispondenze che è possibile trovare nella vita di tutti i giorni ancora oggi. Mi riferisco al poco rispetto degli altri che esiste in troppe persone; quella forma di perbenismo falso che è utile quando si può avere un piccolo vantaggio e che si dimentica con facilità quando invece viene il momento di rispondere di qualcosa. Quel modo di pensare per cui è possibile lasciare da parte la piccola mancanza personale perché è trascurabile, quasi un niente rispetto a quelle di altri. Ne deriva uno scarso senso di responsabilità per le proprie azioni che trovano spesso una giustificazione, se non un alibi, come il caso del volere di Dio per gli appartenenti al KKK protagonisti del romanzo.
Il vecchio Moses può sembrare l’uomo della redenzione, come lo definisce l’autore, oppure l’individuo mosso dal senso di colpa nei confronti di se stesso e soprattutto della moglie defunta. Le sue azioni possono creare rabbia o passare come quelle dell’eroe di turno.
Il finale può essere considerato a lieto fine oppure lasciare ancora più indignati di prima. Se un buon libro è quello che lascia forti emozioni dietro di sé, allora il mio giudizio è molto alto. Tempo di lettura: 4h 03m
Altro che pugno allo stomaco. Questo libro è un artiglio che ti prende alla gola e non ti molla dalla prima all'ultima pagina. Il razzismo ai tempi del KKK e ai giorni nostri, la morte, la mancanza, l'amore, l'incomprensione, l'odio. C'è ben poco di salvifico, in tutto questo. Ma per quanto la storia sia tremenda, angosciante, orribilmente verosimile, non si riesce proprio a voltarsi dall'altra parte, a smettere di leggere. Il disgusto per ciò che viene narrato affiora prepotente, ed è la bravura di Missiroli a presentarcelo senza buonismo né via di scampo. Moses Carpenter è un bianco ormai anziano, ed è a capo del clan del quartiere. Quando nella via si trasferiscono la bianca Gladys con il marito, il figlioletto e la suocera "pellescura", nel vicinato si anima un fermento antico, fatto di disprezzo e violenza. Sta a Moses schierarsi, espiare una colpa antica, trovare il coraggio di affidarsi al ricordo della moglie e ai ricordi di quand'era ragazzo. Un argomento scomodo per un romanzo veramente duro, difficile da digerire, ma proprio per questo bello e importante. Missiroli deve avere tanto dolore dentro, e lo esprime alla perfezione.
Consigliato. ATTENZIONE SPOILER. Atmosfera cupa quasi claustrofobica (con momenti di intensa apertura) continui richiami al passato per individuare "le colpe" del protagonista tipico di Missiroli. Protagonista questa volta ancor più negativo di altri (è il terzo libro di Missiroli che leggo). Sullo sfondo il sottile e delicato richiamo all'incapacità di giustificare la sofferenza. Il razzismo è ovviamente il filo conduttore della storia ma in questo caso lo vediamo dal punto di vista di chi lo esalta e di chi vive all'ombra di un sentimento orribile nascondendo una vita senza prospettive. Resta la dignità dell'anziana morente contrapposta alla miserabile esistenza di Moses.
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Non avrei mai letto questo libro se la mia bibliotecaria non me lo avesse messo in mano chiedendomi un parere, e il mio parere è decisamente positivo. Una storia terribile, violenta e pietosa a un tempo, ambientata nel Sud degli Stati Uniti ai giorni nostri, tra modernità e rigurgiti razzisti, con personaggi completamente anacronistici, permeati di paura e pregiudizi, ed altri vivi, nuovi, vitali. Assolutamente da leggere